Anno X - n. 1/2/3 - gennaio-dicembr
e 2017 - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - 70% C1/LU/851
L’emendamento Cnf alla riforma del processo di famiglia
I trasferimenti immobiliari della crisi coniugale
La legge 112 del 2016 c.d. “legge sul dopo di noi” e la legge
n. 219 del 2017 “Norme in materia di consenso informato
e di disposizioni anticipate di trattamento”
fascicolo 1/2/3 • gennaio-dicembre 2017
L’Osservatorio sul
diritto di famiglia
DOSSier
Le nuove frontiere dell’assegno di divorzio
niuge; la ridotta capacità reddituale dovuta a ragioni ogget-tive; la mancanza di un’adeguata formazione professionale quale conseguenza dell’adempimento di doveri coniugali. Tenuto conto di tutte le circostanze il tribunale può
pre-determinare la durata dell’assegno nei casi in cui la ridot-ta capacità reddituale del richiedente sia dovuridot-ta a ragioni contingenti o comunque superabili.
L’assegno non è dovuto nel caso in cui il matrimonio sia cessato o sciolto per violazione, da parte del richiedente l’assegno, degli obblighi coniugali”.
3. Ai sensi dell’articolo 1, comma 25, della legge 20 maggio 2016, n. 76, le disposizioni introdotte dal comma 1 del presente articolo si applicano anche nei casi di sciogli-mento delle unioni civili.
4. Al comma 25 dell’articolo 1 della legge 20 maggio 2016, n. 76, le parole: “dal quinto all’undicesimo comma” sono sostituite dalle seguenti: “dal quinto al quindicesimo comma”.
1. Le ragioni del progetto
A seguito delle sentenze della S.C. che hanno avviato nel 2017 un improvviso revirement al consolidato orientamento,
offerto da alcune sentenze delle sezioni unite degli anni no-vanta del secolo scorso, sui criteri di determinazione dell’as-segno divorzile – risultandone mutato il riferimento al criterio perequativo del “tenore di vita”, verso una dimensione
esclu-sivamente “assistenziale”, si dovrebbe forse dire “alimentare”
– il legislatore ha reagito con un progetto di legge, di cui si è riprodotto il contenuto, prima firmataria l’On. Ferranti.
In sede di Commissione, presieduta dalla stessa prima fir-mataria, anche ONDiF ha avuto l’opportunità di esprimere alcune considerazioni critiche, che vengono offerte con il pre-sente scritto agli associati.
2. La opportunità della soluzione
ONDiF, come tutte le associazioni familiariste, è divisa sulla opportunità degli opposti indirizzi, tra chi radicalizza gli ef-fetti dello scioglimento, senza farne sopravvivere alcuno pur fondato sul tenore di vita familiare, e chi rivaluta, anche dopo lo scioglimento, un principio solidaristico. Non vi è perciò ragione per offrire una soluzione agli opposti indirizzi.
Pare invece necessario esaminare da un punto di vista tec-nico-legislativo il progetto, con spunti critici che potrebbero essere all’origine di opportuni emendamenti.
3. il problema di una legge contro un orientamento
giurisprudenziale
Appare anzitutto da porre in serio dubbio che a fronte di un orientamento giurisprudenziale, che detta una regola
con-creta ad una fattispecie, il legislatore possa intervenire per modificarla. Non vi è dubbio che l’occasione dell’intervento sia infatti esclusivamente quella di porre una barriera ad un orientamento giurisprudenziale.
Si tratta di un delicato problema che involge i rapporti tra poteri, quello giudiziario e quello legislativo. Le ricadute sono estremamente rilevanti.
Se al giudizio di Cassazione segue un giudizio di rinvio, il legislatore potrebbe modificare l’orientamento della S.C. e imporre al giudice di rinvio una regola diversa e contraria?
Diversa sarebbe l’ipotesi in cui il legislatore, nel disciplinare una materia con un respiro di riforma generale, abbia regolato anche un rapporto già oggetto di orientamento del giudice di legittimità, in cui l’occasione è la riforma generale e non l’orientamento del giudice di legittimità.
Ad esempio sarebbe stato forse auspicabile un intervento sull’opportunità o meno del procedimento di separazione an-teposto a quello di divorzio, nel contesto del quale riscrivere la norma sul contributo economico.
È evidentemente implicato il rispetto di principi di rango costituzionale.
4. La prevalenza di un criterio sugli altri e la
giusti-zia del caso singolo
Come la sentenza di legittimità che, nell’interpretare e appli-care l’art. 5 della legge n. 898 del 1970, pone uno dei criteri suggeriti dal legislatore come prioritario (sull’an), quello
as-sistenziale, il progetto pone come prioritario (sempre sull’an)
un criterio opposto, quello perequativo, esasperato all’estre-mo, perché destinato anche a superare il limite del tenore di vita (“destinato a compensare, per quanto possibile, la disparità”).
iPOteSi Di emeNDAmeNtO ALLA PrOPOStA Di Legge
FerrANti N. 4605 DeLLA cAmerA Dei DePutAti,
A SeguitO DeLL’AuDiziONe DeL 12 NOvembre 2017
CLAuDIO CECChELLA
Presidente ONDiF
Sommario: 1. Le ragioni del progetto. - 2. La opportunità della soluzione. - 3. Il problema di una legge contro un orientamento
giurisprudenzia-le. - 4. La prevalenza di un criterio sugli altri e la giustizia del caso singolo. - 5. Le ricadute processuali: il legislatore non può sempre tacere sul processo. I giudizi pendenti. - 6. Segue. La modifica o revoca dei giudicati. - 7. Una nuova ipotesi di divorzio con addebito?
Attraverso la distinzione tra an e quantum la sentenza fa lo
stesso errore1:
“Il parametro del ‘tenore di vita’ – se applicato anche nella fase dell’an debeatur – collide radicalmente con la natura stes-sa dell’istituto del divorzio e con i suoi effetti giuridici: infatti, come già osservato […] con la sentenza di divorzio il rapporto matrimoniale si estingue sul piano non solo personale ma anche economico-patrimoniale – a differenza di quanto accade con la separazione personale, che lascia in vigore, seppure in forma at-tenuata, gli obblighi coniugali di cui all’art. 143 cod. civ. Tanto premesso, decisiva è, pertanto – ai fini del riconoscimento, o no, del diritto all’assegno di divorzio all’ex coniuge richiedente –, l’in-terpretazione del sintagma normativo ‘mezzi adeguati’ e della di-sposizione ‘impossibilità di procurarsi mezzi adeguati per ragioni oggettive’ nonché, in particolare e soprattutto, l’individuazione dell’indispensabile ‘parametro di riferimento’, al quale rapportare l’‘adeguatezza-inadeguatezza’ dei ‘mezzi’ del richiedente l’assegno e, inoltre, la ‘possibilità-impossibilità’ dello stesso di procurarseli”.
In realtà l’art. 5 pone una serie di criteri sullo stesso piano, perché (correttamente) esalta – in questo ambito così rilevan-te – la giustizia del caso concreto, con il rilievo di parametri di cui nessuno è prioritario all’altro (parametri che il proget-to, si deve dire, indica in maniera nuova e più completa al suo secondo comma, introducendo un settimo comma all’art. 5 cit.). In questo modo si lascia al giudice una valutazione discrezionale della concreta fattispecie nell’applicazione dei parametri legislativi.
Questo è possibile fornendo i criteri e le regole senza una loro gerarchia, affinché nella loro applicazione il giudice pos-sa cogliere gli aspetti particolari del caso che si presenta.
Dunque attraverso la gerarchia dei parametri il progetto pecca dello stesso errore contenuto nella sentenza.
Sarebbe necessario perciò, in sede di emendamento, inserire i criteri di cui al primo comma nell’ambito di quelli di cui al secondo, tutti collocati allo stesso livello.
5. Le ricadute processuali: il legislatore non può
sempre tacere sul processo. i giudizi pendenti
Ma vi è un aspetto sul quale la sentenza di legittimità, come il progetto, pongono tanti quesiti: è la ricaduta processuale.È stigmatizzabile e criticabile l’atteggiamento consueto del legislatore nel diritto di famiglia, costituito dalla regolamen-tazione del diritto sostanziare dimenticando di coordinare di conseguenza il diritto processuale.
Il tema coinvolge anzitutto i giudizi pendenti aventi ad og-getto l’assegno di divorzio.
È noto come tale diritto è fuoriuscito da tempo dal regime della indisponibilità, rientrando nella piena disponibilità dei coniugi, seppure con minimi garantiti dalla legge imperativa: non esiste più un divieto di oggetto dell’accordo tra le parti, ma un divieto di contenuto. Dunque il diritto è soggetto alla piena applicazione delle regole del processo dispositivo.
Ne segue, e sul punto la S.C. è assolutamente in linea e co-erente, che il coniuge che pretende l’assegno deve allegare e provare tutte le circostanze rilevanti ai fini dell’applicazione dei parametri legislativi, non potendo il giudice supplire alla carente difesa della parte.
1 Cassazione Civile, sez. I, sentenza 10/05/2017 n. 11504, cit. nel dossier.
Ma se così è, l’improvviso mutamento di indirizzo che sce-glie come preminente un parametro piuttosto che l’altro e che distingue l’an dell’assegno rispetto al quantum, non può che
“spiazzare” la parte nella sua difesa, soprattutto quando sono maturati i termini decadenziali, come quelli delle memorie integrative ex art. 709. u.c., c.p.c., e quelli delle memorie
istruttorie ex art. 183, 6° comma c.p.c., non potendo la parte
essere rimessa in termini per le intervenute decadenze (salvo invocare l’applicazione dell’art. 153 c.p.c., in un contesto giu-risprudenziale molto restio all’applicazione della rimessione in termini).
È allora necessario che il legislatore, nel codificare la gerar-chia dei criteri e nel distinguere un giudizio sull’an, rispetto
ad un giudizio sul quantum, debba stabilire esplicitamente
che nei processi pendenti, nel mutato quadro legislativo, sia consentito alle parti integrare le difese con nuove allegazioni e prove, prevedendo la piena applicazione dell’art. 153 c.p.c.
6. Segue. La modifica o revoca dei giudicati
È noto come anche a seguito del nuovo orientamento della S.C., i giudici di merito si siano affrettati, onde calmierare i carichi pendenti, ad escludere la revoca e/o modifica dei giu-dicati ex art. 710 c.p.c. o art. 9, legge n. 898 del 1970,evi-denziando come un mutato orientamento giurisprudenziale non possa integrare quel fatto sopravvenuto che consente la revisione del giudicato rebus sic stantibus.
Ora se si può convenire che il mutato orientamento giu-risprudenziale non sia un fatto sopravvenuto, né probabil-mente neanche uno ius superveniens, si deve tener conto che
il progetto di legge, se diventerà legge, è uno ius superveniens.
Pertanto nel rapporto di durata, al quale deve assimilarsi il rapporto all’origine dell’obbligo di pagamento dell’assegno di divorzio, che non si estingue con un’unica prestazione ma che impone all’obbligato prestazioni periodiche, per lo più mensili, il giudicato non potrà essere messo in discussione, per gli effetti della parte del rapporto già esaurito, ma certa-mente potrà dare origine ad una pretesa nuova e modificatrice del giudicato per le prestazioni future, le quali devono essere assoggettate comunque alla legge nuova.
A tale aspetto si giunge con un’interpretazione sistematica sui limiti cronologici del giudicato, ma onde evitare atteg-giamenti restrittivi della giurisprudenza, non sarebbe male un’espressa previsione legislativa.
7. una nuova ipotesi di divorzio con addebito?
L’ultima previsione del primo comma dell’art. 1 (“l’assegno non è dovuto nel caso in cui il matrimonio sia cessato o sciolto per violazione, da parte del richiedente l’assegno, degli obblighi coniugali”) rischia di introdurre la pericolosa appendice delgiudizio di addebito nell’ambito del giudizio di scioglimento del matrimonio.
Esiste già ed è prevalente un orientamento in seno alle as-sociazioni specialistiche e alle asas-sociazioni dei magistrati, vol-to ad auspicare l’abrogazione delle norme sull’addebivol-to della separazione, fonte di accentuazione del conflitto e origine spesso di una dilazione dei tempi di esaurimento del procedi-mento giurisdizionale.
La norma rischia di introdurre nel giudizio sullo scioglimen-to del matrimonio un nuovo episodio processuale, destinascioglimen-to
DOSSier
Le nuove frontiere dell’assegno di divorzio
ad accertare, ai fini della liquidazione dell’assegno, la sussi-stenza o meno di violazioni agli obblighi coniugali da parte del richiedente.
Senza poi dimenticare i rapporti tra il corrispondente giu-dizio in sede di separazione, che magari, in virtù delle norme sul divorzio breve, rischia di pendere contemporaneamente, con enorme difficoltà di coordinamento.
Perché avere isolato la violazione degli obblighi rispetto ai criteri dettati al settimo comma novellato dell’art. 5 cit.? vi era
già il riferimento agli obblighi matrimoniali nel precedente comma “ragioni dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio”. La duplicazione del criterio, reso esplicito in
separato comma, rischia di aprire le porte del procedimento divorzile al giudizio di addebito, ciò che è auspicabilmente da escludere, anche nella sua sede attuale, ovvero nel giudizio di separazione.
Si auspica, per questo aspetto, la abrogazione del nono com-ma dell’art. 5 cit., novellato dalla proposta di legge.
1. La negoziazione assistita “da uno più avvocati”
La negoziazione assistita da uno o più avvocati, che per le materie indicate all’art. 3 del D.L. 132/14 è condizione di procedibilità della domanda giudiziale, consiste in un ac-cordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la con-troversia tramite l’assistenza dei propri avvocati.Analogamente ai procedimenti di mediaconciliazione di cui al D.lgs. n. 28/2010, la negoziazione assistita è una forma di risoluzione non aggiudicativa della controversia, che tende a favorire il raggiungimento di un accordo transattivo tra le parti.
Qualora il procedimento vada a buon fine, l’accordo, sotto-scritto dalle parti e dagli avvocati che le assistono, sarà titolo esecutivo, nonché titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.
Ai sensi dell’art. 2, comma 2, lett. b), la procedura di
nego-ziazione assistita può essere esperita ogniqualvolta la contro-versia non riguardi diritti indisponibili o non verta in materia di lavoro.
Si intende in questa sede approfondire il ruolo dell’avvocato nel procedimento sopra delineato, sia sotto il profilo delle ob-bligazioni che questi assume nei confronti delle parti, sia con riferimento ai profili deontologici.
È infatti stato unanimemente osservato che l’avvocato non si limita a quanto previsto dall’art. 2, comma 6, del D.L. 132, secondo il quale gli avvocati “certificano l’autografia delle sot-toscrizioni apposte alla convenzione sotto la propria respon-sabilità professionale”.
Un primo problema da affrontare è quello del numero degli avvocati coinvolti nella procedura.
La norma fa riferimento all’assistenza di “uno o più avvo-cati”, dunque deve evincersi che sia possibile, per le parti,
concludere la convenzione con l’assistenza di un solo legale, che cerchi di favorire un accordo tra le parti.
Si è osservato come la soluzione sia scarsamente opportuna, e si sono sollevati dubbi sulla possibile situazione di conflitto di interessi del legale che assista entrambe le parti1.
In realtà non pare sussistere un potenziale conflitto di in-teressi per l’avvocato che si limiti ad assistere le parti nella procedura di negoziazione, in quanto in quel caso l’avvocato svolgerebbe niente più e niente meno che una funzione di conciliatore2; diverso se quello stesso avvocato assumesse in
seguito un mandato giudiziale da una delle parti nei confronti dell’altra, su cui torneremo infra.
Non si concorda invece sul fatto che nella procedura di nego-ziazione “non è previsto alcuno spazio per i difensori”3, in
quan-to, laddove ciascuna parte si faccia assistere dal proprio avvoca-to, questi, pur dovendo favorire per quanto possibile la concilia-zione, agiranno su mandato e nell’interesse del proprio assistito. La disposizione in commento fa sorgere problemi anche dal punto di vista processuale.
Premesso che, laddove l’accordo sia stipulato senza l’assi-stenza di alcun avvocato, esso debba essere considerato nul-lo, come è stato correttamente evidenziato4, la previsione che
un solo avvocato possa assistere le parti nella procedura di negoziazione lascia aperta la possibilità che il destinatario dell’invito di cui all’art. 3 (in caso la negoziazione assistita sia condizione di procedibilità della domanda giudiziale)
ri-1 Così D. Borghesi, La delocalizzazione del contenzioso civile: sulla giustizia sventola bandiera bianca ?, in www.judicium.it., p. 13.
2 Cfr. R. Bolognesi, Il “contratto” sulla procedura di negoziazione assistita da uno o più avvocati, in www.judicium.it, p. 9.
3 Cfr. R. Bolognesi, ibid. 4 Cfr. R. Bolognesi, op. cit., p. 9.
DOSSier
La negoziazione assistita, la nuova frontiera
dell’avvocatura familiarista
Con un contributo di Andrea Mengali su “Il ruolo dell’avvocato nelle procedure di negoziazione assistita. Le nuove norme deontologiche”, di Claudio Cecchella su “La negoziazione dei diritti del minore” e di Michela Labriola su “Negoziazione assistita e trascrizione nei registri immobiliari: chi autentica la firma?”
iL ruOLO DeLL’AvvOcAtO NeLLe PrOceDure Di NegOziAziONe
ASSiStitA. Le NuOve NOrme DeONtOLOgiche
AnDREA MEnGALI
Dottore di ricerca e avvocato in Pisa
Sommario: 1. La negoziazione assistita “da uno più avvocati”. - 2. La certificazione di autografia delle sottoscrizione. - 3. Il controllo sui requisiti
di validità della convenzione di negoziazione assistita. - 3.1. Diritti indisponibili e controversie di lavoro. - 3.2. Le norme inderogabili e l’ordine pubblico. - 4. Le nuove norme deontologiche. - 4.1. Il dovere di informativa al cliente. - 4.2. L’art. 9 del D.L. 132/14. Incompatibilità tra avvocato “negoziatore” e arbitro. - 4.3. Segue: il dovere di lealtà. - 4.4. Segue: il dovere di riservatezza della negoziazione.