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Hayek e i limiti della ragione

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La controrivoluzione scientifica

Hayek denuncia come la discussione circa il metodo da adottare nel campo delle scienze sociali sia stata interamente guidata dall’esempio della fisica classica, in base alla credenza secondo cui, essendo questa la più altamente sviluppata tra tutte le scienze empiriche, il suo metodo dovesse essere imitato da tutte quelle scienze che aspirino a conseguire un certo successo scientifico.

Se gli studiosi dei fenomeni sociali ed economici del XVIII e degli inizi del XIX secolo potevano alternativamente definire l’economia politica una branca della scienza o della filosofia morale e sociale, senza per questo doversi preoccupare di stabilire se il loro campo di ricerca fosse scientifico o filosofico (infatti coloro che si dedicavano alla ricerca in questi campi “impiegavano tranquillamente il termine ‘filosofia’ quando si occupavano degli aspetti generali dei loro specifici problemi, e in taluni casi “troviamo perfino una certa contrapposizione tra filosofia naturale e scienza

morale”1), fu solo durante la prima metà del XIX secolo che si manifestò

quel nuovo atteggiamento per cui il termine Scienza venne sempre più

1

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nettamente riservato alle discipline fisiche e biologiche che proprio in quell’epoca cominciarono a rivendicare come loro tratti caratteristici un rigore e una certezza capaci di distinguerle e renderle superiori rispetto ad ogni altro ambito del sapere.

I loro successi furono così vistosi che da subito cominciarono a suscitare uno straordinario fascino sugli studiosi di altre discipline, i quali presero immediatamente a imitarne l’insegnamento e il linguaggio.

Ed è cosi, continua Hayek, che ebbe inizio quella controproducente tirannia che il metodo delle scienze fisiche ha da allora ininterrottamente continuato ad esercitare sulle altre discipline, le quali, invece di preoccuparsi di adattare sempre di più i loro metodi alla specificità dei propri problemi, mostrarono una ferma volontà nell’imitare gli stessi metodi delle brillanti sorelle, con la triste conseguenza che da allora le conoscenze riguardo gli studi sociali non sono più progredite di un passo.

Secondo il filosofo austriaco il grande successo della fisica non deve indurre a credere che alcune delle sue procedure caratteristiche possano essere di applicabilità universale; infatti le metodologie di alcune delle altre scienze naturali o sociali possono legittimamente differire da quelle della fisica non perché esse siano meno avanzate, ma perché la situazione che si presenta nei loro campi risulta essere significativamente differente.

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Sarebbe dunque paradossale “cercare di introdurre una metodologia resa possibile da quelle speciali condizioni all’interno di discipline considerate diverse in conseguenza del fatto che nei loro specifici campi non

prevalgono tali condizioni”2.

Hayek sente tuttavia il dovere di precisare che egli non si trova ad essere ostile alle scienze naturali ed ai metodi da esse utilizzate nel loro specifico ambito, ma a quel particolare atteggiamento sorto alla fine del XVIII secolo in quel gruppo di scienziati e ingegneri che aveva a proprio centro Parigi (e più specificatamente l’Ecole Polytechnique) denominato scientismo, consistente in “una meccanica e acritica applicazione di certi abiti di

pensiero a campi diversi da quelli nei quali si sono formati”3.

Infatti, al contrario di quella scientifica, la visuale scientista “non è un tipo di approccio obiettivo alla realtà, in quanto è già pregiudicata in partenza dalla pretesa di sapere quale sia il metodo più appropriato a una data ricerca

prima ancora d’averne preso in esame il contenuto”4.

2 Hayek (1967) pag 42. 3 Hayek (1952) pag 14. 4 Ibidem.

(4)

Fenomeni semplici e fenomeni complessi

Una delle differenze principali tra le scienze fisiche e quelle sociali consiste nel fatto che, mentre le prime si occupano di fenomeni semplici, le secondo hanno invece a che fare con il mondo dei fenomeni complessi.

A parere di Hayek esiste un modo piuttosto semplice volto a misurare il grado di complessità dei diversi tipi di modelli astratti, risultante nel contare il “numero minimo di elementi di cui deve consistere un caso del modello, per mostrare tutti gli attributi caratteristici della classe dei modelli

in questione”5 .

Dunque ciò che consideriamo il campo della fisica potrebbe benissimo essere definito come “la totalità di quei fenomeni in cui il numero di variabili di diverso tipo, significativamente connesse, è sufficientemente piccolo da consentirci di studiarle come se formassero un sistema chiuso, di

cui possiamo osservare e controllare tutti i fattori determinanti”6.

Se alla vista delle leggi della fisica, e in particolare della meccanica, restiamo sorpresi da quanto esse appaiono semplici in termini di numero di variabili distinte, diversamente gli studi sociali hanno come oggetto fenomeni intrinsecamente più complessi, nei quali la difficoltà principale

5

Hayek (1967) pag 76.

6

(5)

che si presenta allo studioso è quella di poter accertare concretamente tutti i dati che determinano una manifestazione particolare.

Una simile teoria avrà dunque lo svantaggio di “avere un piccolo contenuto empirico, poiché ci consente di predire o spiegare solo certi aspetti generali di una situazione che può essere compatibile con un grande numero di

circostanze”7, di modo che la possibilità di falsificarla risulterà essere

piuttosto limitata.

Nondimeno, sostiene Hayek, questa è per il momento, o forse per sempre, tutta la conoscenza teorica che possiamo ottenere nel campo dei fenomeni complessi e, nonostante tutto, ciò contribuirà all’avanzamento della conoscenza scientifica, la quale dovrà dunque procedere in due direzioni diverse: se da un lato è certamente auspicabile rendere le nostre teorie il più possibile falsificabili, dobbiamo anche spingerci in campi in cui la complessità degli oggetti studiati conduce necessariamente a diminuire il grado di falsificabilità, con lo svantaggio che l’eliminazione di teorie del genere, essendo difficili da confutare, “sarà lenta e molto legata alle capacità argomentative e persuasive di coloro che le usano in quanto non

possono mai esserci esperimenti cruciali che decidano tra esse”8.

7

Op. cit., pag 82.

8

(6)

Secondo il filosofo austriaco la migliore illustrazione di una teoria dei fenomeni complessi che ha grande valore, nonostante descriva esclusivamente un modello generale in cui i dettagli non possono mai essere individuati, “è la teoria darwiniana dell’evoluzione attraverso la

selezione naturale”9.

Di certo essa non corrisponde ai criteri di ‘predizione e controllo’ che caratterizzano il metodo scientifico, dato che la conoscenza teorica della crescita e del funzionamento degli organismi può portare solo raramente a predizioni specifiche di ciò che accadrà in un caso particolare visto che non possiamo quasi mai accertare tutti i fatti che contribuiscono a determinarne il risultato.

Eppure non si può negare che essa si sia posta con successo alla base di gran parte della moderna biologia divenendone il paradigma dominante. Allo stesso modo, la teoria economica è destinata a descrivere tipi di modelli che si presenteranno se verranno soddisfatte certe condizioni generali, ma raramente, se non addirittura mai, si potrà derivare da tale conoscenza la predizione di fenomeni specifici.

9

(7)

Hayek porta l’esempio di quelle equazioni simultanee che dal tempo di Leon Wras vengono utilizzate per rappresentare le relazioni generali tra i prezzi e le quantità di tutti i prodotti acquistati e venduti.

Siffatte equazioni sono così strutturate che, “se fossimo capaci di riempire tutti i vuoti, ossia se conoscessimo tutti i parametri di queste equazioni, potremmo calcolare i prezzi e le quantità di tutti i prodotti. Ma, come perlomeno i fondatori di questa teoria hanno chiaramente capito, il suo scopo non è di arrivare a un calcolo numerico dei prezzi, poiché sarebbe

assurdo pensare di poter conoscere tutti i dati”10.

Tale punto della questione era già stato individuato dagli studiosi spagnoli del diciassettesimo secolo - notevoli precursori delle scienze economiche moderne - i quali avevano ben visto come “quello che essi chiamavano il ‘prezzo matematico’ dipendeva da un numero così elevato di circostanze da non potere mai essere noto agli uomini, ma solo ad una mente onnisciente

come quella di Dio”11.

Hayek sottolinea come in alcuni casi gli studiosi abbiano pensato che tali difficoltà potessero essere superate utilizzando, in sostituzione delle informazioni specifiche relative ai singoli elementi, “informazioni sulle

10

Op. cit., pag 93.

11

(8)

frequenze relative o sulla probabilità che si realizzino le diverse

caratteristiche distintive degli elementi in questione”12.

Ma ciò risulta essere vero quando dobbiamo studiare quelli che Warren Weaver ha definito ‘fenomeni di complessità non organizzata’, in antitesi ai ‘fenomeni di complessità organizzata’ che ci troviamo di fronte nelle scienze sociali: ‘complessità organizzata’ significa qui che la caratteristica delle strutture che la posseggono dipende “non solo dalla proprietà dei singoli elementi di cui sono composte e dalla frequenza relativa con la quale esse si verificano, ma anche dal modo in cui i singoli elementi sono

collegati gli uni agli altri”13.

Per questa ragione, nella spiegazione del funzionamento di tali strutture, non possiamo sostituire l’informazione relativa ai singoli elementi con un’informazione statistica, dal momento che, se vogliamo derivare dalla nostra teoria previsioni specifiche relative ai singoli eventi, dobbiamo disporre di un’informazione piena su ogni singolo elemento.

Hayek tuttavia è ben lontano dal respingere l’uso in generale del metodo matematico in economia: egli infatti ritiene che “il grande vantaggio della tecnica matematica sia stato quello di permetterci di descrivere, per mezzo di equazioni algebriche, le caratteristiche generali di un fenomeno anche

12

Op. cit., pag 215.

13

(9)

quando ignoriamo i valori numerici che definiranno le sue specifiche

manifestazioni”14, dimostrandosi consapevole del fatto che senza l’uso

delle tecniche algebriche “ben difficilmente avremmo raggiunto quell’ampia descrizione delle interdipendenze reciproche dei diversi eventi

in un fenomeno complesso quale è il mercato”15.

Ciò su cui vuole porre l’attenzione il filosofo ed economista austriaco è il fatto che un cattivo uso del metodo matematico nello studio dei fenomeni sociali abbia condotto molti studiosi di stampo scientista alla vana ricerca di costanti quantitative, mossi dall’illusione che fosse possibile usare la tecnica matematica per determinare e prevedere i valori numerici di quelle variabili che, per limitazioni intrinseche alle nostre conoscenze, non possono rimanere altro che sotto forma di incognite.

Infatti, se nelle scienze naturali, gli studiosi assumono che ogni fattore importante che determina gli eventi osservati sia esso stesso direttamente osservabile e misurabile, nello studio di un fenomeno complesso quale ad esempio è il mercato, difficilmente saranno completamente note o misurabili tutte le circostanze che determineranno il risultato di tale fenomeno, di modo che, a differenza di quanto avviene nelle scienze naturali, in economia e in altre discipline che trattano fenomeni per loro

14

Op. cit., pag 217.

15

(10)

natura complessi, non solo gli aspetti degli eventi fondamentali sui quali disponiamo di informazioni quantitative sono pochi, ma, sottolinea Hayek, non vi è neppure nessuna garanzia che essi siano davvero gli aspetti più importanti.

Gli scienziati sociali, condizionati dalla pratica degli scienziati della natura, cadono così nell’errore di ritenere importante solo ciò che è suscettibile di misura; ma è difficile negare che una tale pretesa “non limiti in modo piuttosto arbitrario il novero dei fatti che si possono ritenere cause possibili

degli eventi che si verificano nel mondo reale”16.

Infatti del mercato e di altre strutture sociali analoghe conosciamo tutta una serie di aspetti qualitativi che non siamo in grado di misurare, e sui quali quindi disponiamo solo di informazioni molto imprecise e generali; e dal momento che gli effetti di questi aspetti solitamente non possono essere confermati dall’evidenza quantitativa, essi vengono semplicemente trascurati e messi in secondo piano da coloro che hanno giurato di ammettere solamente quelli che considerano fatti scientificamente provabili, vale a dire misurabili.

Ad esempio, continua Hayek, “la correlazione tra domanda aggregata e occupazione complessiva può ben essere approssimativa, ma dal momento

16

(11)

che è la sola sulla quale disponiamo di dati quantitativi, essa viene accettata

come se fosse l’unica relazione causale significativa”17.

Procedendo in questo modo, avverte il filosofo austriaco, finirà con l’esistere “una prova ‘scientifica’ migliore per una teoria falsa (che sarà quindi accettata perché misurabile) che non per una spiegazione valida, la quale sarà respinta perché non esistono a suo sostegno elementi quantitativi

sufficienti di prova”18.

Secondo Hayek, sebbene allo scienziato della natura possa sembrare strano che l’economista debba farsi carico di formulare tali equazioni, in quanto è consapevole che non c’è alcuna possibilità di determinare i valori numerici dei parametri che gli consentirebbero di determinare i valori delle singole grandezze, le predizioni di un tale modello risultano essere sia controllabili (e dunque scientifiche) che estremamente utili come guida alle nostre azioni.

Forse è naturale, continua Hayek, che nel clima di esaltazione generato dai progressi della scienza, le circostanze che limitano la nostra conoscenza

fattuale, con la conseguente restrizione dello spazio relativo

all’applicabilità della conoscenza teorica, siano state pressoché trascurate.

17

Op. cit., pag 213.

18

(12)

Tuttavia è giunto il momento di prendere più sul serio la nostra ignoranza: “abbiamo infatti imparato abbastanza per sapere che non possiamo conoscere tutto ciò che dovremmo sapere per ottenere una spiegazione

completa dei fenomeni complessi”19 e che vada dunque considerata come

una pretesa assurda l’idea che la mente umana debba essere attrezzata per occuparsi nei dettagli di fenomeni di qualsiasi grado di complessità concepibile.

Sebbene siamo coscienti che di tali fenomeni non potremmo mai sapere tanto quanto siamo in grado di sapere dei fenomeni semplici, possiamo almeno in parte ridurre il limite coltivando deliberatamente una tecnica che miri ad obiettivi più ristretti, come la spiegazione non degli eventi individuali ma esclusivamente dell’apparire di certi modelli o ordini.

Il carattere limitato delle predizioni che le teorie biologiche, economiche e sociologiche ci consentono di fare non dev’essere tuttavia confuso in nessun modo con la questione se esse siano più o meno incerte delle teorie che conducono a predizioni più specifiche.

Infatti, tali teorie devono essere considerate più incerte solo nel senso che lasciano più incerti poiché ci dicono meno riguardo ai fenomeni, ma non nel senso che ciò che esse dicono sia meno certo.

19

(13)

Sebbene una teoria del genere non ci dica esattamente quali eventi particolari dobbiamo aspettarci in un dato momento ma solo quali tipi di eventi possiamo attenderci all’interno di una certa gamma o in complessi di un certo tipo, ha nondimeno il grande vantaggio di renderci più familiare il mondo che ci circonda, dando ordine e senso agli eventi che accadono al suo interno.

Così, seppure in termini generali, essa ci fornisce un quadro coerente degli eventi, permettendo di muoverci con maggiore sicurezza nel mondo, dato che siamo in grado di escludere il verificarsi di certe eventualità.

Secondo Hayek, dal momento che le nostre predizioni sono limitate a certi attributi generali, e forse solo negativi, relativi a ciò che potrebbe accadere, abbiamo anche un limitato potere di controllo sugli sviluppi, di modo che possiamo affermare che il metodo delle scienze sociali insegna l’umiltà, mentre quelle delle scienze fisiche insegna la tracotanza dovuta al fatto che possiamo prevedere e dunque, solitamente, anche controllarne il processo. Così il conoscere quali tipi di eventi dovremmo aspettarci e quali no ci permette di rendere la nostra azione più efficace: infatti,“anche se non possiamo minimamente controllare le circostanze esterne possiamo

nondimeno adattare ad esse le nostre azioni”20.

20

(14)

Queste attività, in cui siamo guidati esclusivamente da una conoscenza del principio su cui è basata una determinata cosa, potrebbe essere meglio descritta dal termine coltivazione, nel senso in cui “il contadino o il giardiniere coltiva le sue piante, laddove egli conosca e possa controllare solo alcune delle circostanze determinanti, e nel senso in cui il saggio legislatore o statista cercherà probabilmente di coltivare, piuttosto che di

controllare, le forze del processo sociale”21.

Se infatti l’uomo, ammonisce il filosofo austriaco, non vorrà fare più male che bene nei suoi tentativi di migliorare l’ordine sociale dovrà comprendere che in esso, come in tutti gli altri settori nei quali prevale una complessità di genere organizzato, egli non è in grado di acquisire la conoscenza piena che gli permetterebbe di dominare a fondo gli eventi, e che dunque dovrà utilizzare la conoscenza che potrà conseguire, non per modellare gli eventi come l’artigiano modella i suoi soggetti, ma piuttosto per favorirne lo sviluppo, creando le condizioni ambientali adatte, come fa il giardiniere con le sue piante.

A parere di Hayek ci sono buone ragioni per credere “che in alcuni campi le spiegazioni dei principi resteranno il massimo che possiamo ottenere, dato che la natura della materia è tale da mettere per sempre al di là della

21

(15)

nostra portata il tipo di spiegazione di dettaglio che ci renderebbe capaci di

fare quelle predizioni specifiche”22 che sono prerogativa delle scienze

fisiche.

Non sarebbe dunque razionale screditare ciò che potrebbe essere l’unico tipo di conoscenza che possiamo ottenere in questi campi: infatti “più ci muoviamo all’interno del regno dell’estremamente complesso, più è probabile che la nostra conoscenza sia solo di principio, e che sia capace di

fornire uno schema significativo piuttosto che i dettagli particolari”23.

Certo, nota Hayek, se confrontiamo questo genere di previsioni di mera tendenza con le previsioni accurate cui le scienze naturali ci hanno abituato, ci rendiamo conto che esse rappresentano una soluzione di ripiego della quale a nessuno piace accontentarsi. Eppure il pericolo dal quale egli non si stanca mai di mettere in guardia è proprio l’idea che occorra conseguire risultati superiori affinché una spiegazione possa essere ritenuta scientifica.

Anzi, agli occhi del filosofo austriaco non sembra neppure improbabile che “nel momento in cui l’avanzamento delle scienze toccherà i fenomeni sempre più complessi, le teorie che forniscono esclusivamente spiegazioni di principio, o che descrivono solamente una gamma dei fenomeni che certi

22

Op. cit., pag 67.

23

(16)

tipi di strutture sono in grado di produrre, diventeranno la regola piuttosto che l’eccezione (come nel caso della cibernetica, della teoria degli automi,

la teoria dei sistemi e la teoria della comunicazione)”24.

Questo sta a significare che, a causa della natura del suo oggetto, “la fisica si ritroverà solo in un secondo momento di fronte allo stesso tipo di ostacoli che le altre discipline hanno incontrato prima, e queste ultime, lungi dall’imparare dalla fisica su questo punto, hanno dovuto già lottare per tanto tempo con problemi dello stesso tipo che i fisici incontreranno solo in

un successivo stadio di sviluppo della loro scienza”25.

Così, se da un lato la spiegazione di principio si rivela uno strumento meno potente, in quanto capace di fornire sempre e solo parte delle informazioni che una spiegazione completa fornisce, dall’altro, essa risulta essere più potente, dal momento che può essere applicata in campi in cui l’altra procedura non può essere applicata.

24

Op. cit., pag 67.

25

(17)

L’oggettivismo delle scienze naturali e il soggettivismo delle scienze sociali

Le scienze naturali, costatando che cose che ai nostri sensi sembrano uguali non sempre hanno uguali comportamenti, e che invece cose che ci appaiono diverse presentano talvolta identità di comportamento, sostituiscono alla classificazione degli accadimenti fornitaci dai nostri sensi, “una classificazione nuova fondata sul raggruppamento non di tutti gli enti che presentino qualche idea di somiglianza tra loro, ma di quelli che

risultano comportarsi allo stesso modo in circostanze simili”26.

In tal modo le qualità sensibili che percepiamo scompaiono dalla nostra descrizione teorica della natura: esse non vengono più trattate come parti integranti dell’oggetto, ma vengono invece considerate esclusivamente come nostri modi di classificazione spontanea degli stimoli provenienti dal mondo esterno, con il risultato che ad una descrizione formulata in termini di qualità sensibili, se ne sostituisce un’altra fondata su elementi che non hanno in comune altri caratteri all’infuori di questa reciprocità di relazioni.

26

(18)

Secondo Hayek questo processo di riclassificazione degli ‘oggetti’ già classificati in altro modo dai nostri sensi costituisce “il tratto più

caratteristico del modo di procedere delle scienze della natura”27.

Dunque, ciò che “gli uomini conoscono o pensano a proposito del mondo esterno o di se stessi, i loro concetti o anche le qualità soggettive delle loro percezioni sensoriali, non sono mai per le scienze naturali realtà ultime, ossia dati da assumere al fine di spiegare l’azione umana che da siffatti

fenomeni mentali è guidata”28.

Ad esse infatti non interessa di stabilire cosa gli uomini pensino del mondo e come di conseguenza si comportino, ma che cosa debbano pensarne. Così si profila un’altra serie di problemi, di cui tuttavia lo scienziato non si occupa (e che neppure potrebbe occuparsi con la sua metodologia) che costituisce il campo specifico degli studi sociali.

In questo caso “non si tratta di stabilire in che misura la visione che l’uomo ha del mondo esterno sia conforme alla realtà, ma in che modo l’individuo, con la sua azione determinata dalle opinioni e concezioni che professa,

pervenga a costruire un altro mondo di cui egli stesso diventa parte”29.

27

Op. cit., pag 20.

28

Op. cit., pag 23.

29

(19)

Infatti, a differenza degli studi delle scienze naturali che vertono sulle relazioni tra cose, gli studi sociali trattano delle relazioni tra uomini e cose o degli uomini tra loro: “il loro oggetto è costituito dalle azioni umane ed il

loro fine è spiegare gli effetti involontari e imprevisti di esse”30.

Noi siamo consapevoli che gli individui possono avere la stessa reazione nei confronti di stimoli esterni che a qualunque verifica oggettiva risultano diversi, come pure sappiamo che possono reagire in modi totalmente diversi allo stesso stimolo fisico.

In altri termini, noi sappiamo che l’uomo, nelle sue decisioni coscienti, classifica gli stimoli esterni “in un modo che possiamo conoscere soltanto

grazie alla nostra esperienza soggettiva di tale tipo di classificazione”31.

Ma, mentre nelle scienze della natura le classificazioni che non abbiano a proprio fondamento una qualche somiglianza nel comportamento degli oggetti tra di loro, devono essere considerate alla stregua di ‘errori’ dai quali ci si deve liberare, nelle scienze sociali esse hanno un significato positivo per i nostri sforzi di comprensione dell’azione umana.

Infatti, grazie alla nostra esperienza soggettiva, riteniamo per certo che anche gli altri considerino, al pari di noi, simili o dissimili varie cose, benché nessuna verifica obiettiva ce ne possa offrire giustificazione alcuna.

30

Op. cit., pag 26.

31

(20)

Perciò gli uomini si comportano allo stesso modo nei confronti delle cose, “non perché queste siano identiche in senso fisico, ma perché essi si sono abituati a considerarle appartenenti alla stessa categoria, in quanto possono destinarle al medesimo impiego o attendersi che facciano lo stesso effetto

sulle persone interessate”32.

Hayek dice che non è forse esagerato affermare che tutti i progressi importanti di teoria economica, compiuti nel corso dell’ultimo secolo, sono rappresentati da ulteriori passi innanzi nella corrente applicazione del soggettivismo (infatti una merce, un bene economico, un alimento, una moneta, non possono essere definiti in termini fisici, ma solo in base all’idea che gli uomini se ne fanno e al significato che ad essi attribuiscono).

L’atteggiamento che Hayek chiama oggettivismo è tipico del modo scientista di studiare l’uomo e la società, ed ha trovato espressione nei vari tentativi compiuti per “eliminare dal campo delle scienze sociali la nostra

soggettiva conoscenza del funzionamento della mente umana”33: dalla

negazione, formulata da Comte, della possibilità di introspezione, passando ai vari tentativi di istituire una ‘psicologia obiettiva’, fino al ‘behaviorismo’ di J. B. Watson e al ‘fisicalismo’ di C. Neurath.

32

Op. cit., pag 28.

33

(21)

L’atteggiamento scientista pretende dunque di giungere ad una visuale oggettiva della realtà, facendoci ignorare tutto ciò che possiamo vedere solo dal di dentro e accantonando la nostra conoscenza, tipicamente umana, del significato che hanno le cose per il soggetto agente, al fine di condurci “ad osservare le azioni degli uomini allo stesso modo che si osserva un

formicaio o un alveare”34.

Così, a parere di Comte la vera osservazione deve necessariamente essere esterna all’osservatore, in quanto “la famosa osservazione interna non è che una vana parodia, che presuppone la ridicola contraddittoria situazione per cui la nostra intelligenza contemplerebbe se stessa nell’atto stesso in cui ha

luogo l’abituale svolgimento della sua attività”35.

Infatti, continua il filosofo francese, due soltanto sono i modi in cui i fenomeni della mente individuale possono correttamente diventare oggetto di studio positivo: “o mediante lo studio degli organi che li producono, ossia attraverso la psicologia frenica; o dal momento che le funzioni affettive ed intellettuali presentano la peculiare caratteristica di non essere suscettive di osservazione diretta durante il loro funzionamento, mediante

lo studio dei loro risultati”36.

34

Op. cit., pag 70.

35

Op. cit., pag 211.

36

(22)

Tuttavia, nella raffigurazione della realtà che uno studio così concepito potrebbe darci, non sarebbero comprese cose come gli strumenti, gli utensili, le merci, il denaro, i reati, le pene, le parole, in quanto vi si troverebbe in essi nient’altro che oggetti fisici, definiti o secondo le qualità sensibili che essi presentano all’osservatore, oppure in termini meramente relazionali.

In queste condizioni infatti, il comportamento umano nei confronti degli oggetti fisici non offrirebbe, a un osservatore siffatto, alcuna regolarità rilevabile, “perché in moltissimi casi gli risulterebbe che gli uomini non reagiscono allo stesso modo nei confronti di quelle che a lui sembrano essere le stesse cose, né in modo diverso nei confronti di quelle ritenute da

lui diverse”37.

Secondo Hayek il solo modo in cui possiamo farci un’idea della situazione nella quale verremmo a trovarci se avessimo a che fare con un organismo complicato come il nostro, ma organizzato con criteri diversi, e quindi non ci fosse possibile ricostruire il funzionamento della sua mente per analogia con la nostra, è quello di immaginarci impegnati nello studio del comportamento di persone dotate di una conoscenza di gran lunga superiore alla nostra.

37

(23)

Se venissimo a contatto con altre parti del globo abitate da una razza dalle conoscenze molto più progredite delle nostre, è evidente che “non potremmo sperare di comprendere molto delle loro azioni, senza apprendere direttamente da essi il loro sapere. Infatti, non dall’osservazione delle loro azioni potremmo acquisire il loro sapere, ma, al contrario,

dall’apprendimento del loro sapere potremmo comprendere le azioni”38.

Dunque le scienze sociali si occupano di fenomeni che “possiamo comprendere solo perché l’oggetto del nostro studio è dotato di una mente

con struttura simile alla nostra”.39

Infatti, diversamente da quanto accade nell’ambito delle scienze della natura, nel campo dell’azione umana “le cose sono quelle che le persone

agenti credono che siano”40.

Individualismo e collettivismo metodologico

Secondo Hayek la difficoltà principale che si presenta nello studio delle scienze sociali deriva dal fatto che in esse le idee compaiono in due vesti diverse, come parte del loro oggetto e come teorizzazione intorno ad esso.

38

Op. cit., pag 71.

39

Op. cit., pag 30.

40

(24)

Se nelle scienze della natura il contrasto tra l’oggetto della ricerca e la spiegazione che ne viene data coincide con l’abituale distinzione fra idee e fatti oggettivi, nelle scienze sociali è necessario introdurre una diversa distinzione tra idee costitutive, che sono cioè parte integrante dei fenomeni che intendiamo spiegare, e le idee che noi medesimi o le persone stesse di cui vogliamo spiegare le azioni, possiamo esserci fatti a proposito di tali fenomeni.

Dunque, nelle scienze sociali “il vero contrasto è tra idee che, per il fatto di essere professate dalla gente, diventano generatrici di fenomeni sociali, e

idee che la gente professa in merito ad essi”41, e il pericolo che al posto dei

‘fatti’ (ossia delle idee costitutive) si mettano le ‘opinioni’ (ossia le teorizzazioni) è sempre presente.

Sono infatti le idee che la mente popolare ha elaborato a proposito di entità collettive come ‘società’ o ‘sistema economico’ o ‘capitalismo’ che nelle scienze sociali il ricercatore deve considerare volgari e non deve confondere con i fatti.

Hayek giunge così ad enunciare il principio cardine di quell’individualismo metodologico delle scienze sociali che consiste nell’astenersi coerentemente dal trattare alla stregua di fatti tali entità astratte,

41

(25)

“prendendo sistematicamente le mosse dalle concezioni dalle quali gli uomini sono indotti all’azione, e non dai risultati delle loro teorizzazioni

sulle proprie azioni sociali”42.

Hayek definisce il metodo delle scienze della natura analitico, mentre quello delle scienze sociali compositivo o sintetico.

Infatti, a differenza delle scienze naturali, le quali prendono necessariamente per base di partenza i fenomeni naturali complessi e, procedendo a ritroso, cercano di individuare i vari elementi componenti, nelle scienze sociali sono gli atteggiamenti dei singoli che costituiscono gli elementi primari di cui ci si deve servire per ricostruire, per via di combinazioni, i fenomeni complessi, ossia per riprodurre i risultati delle azioni individuali, che ci sono molto meno noti (procedimento questo che spesso porta a scoprire, in seno ai fenomeni complessi, l’esistenza di principi di coerenza strutturale che non potevano essere identificati per via di osservazione diretta).

Gli studiosi della scienze della natura sono dunque propensi “a ricercare certe regolarità empiriche nei fenomeni complessi che si presentano all’osservatore come dati immediati e, soltanto dopo aver identificato queste regolarità, essi cercano di spiegarle come se fossero il risultato di

42

(26)

altri elementi che si presume si comportino secondo norme più semplici e

più generali”43.

Questa tendenza risulta ulteriormente favorita dalla constatazione empirica che, nell’analisi del comportamento degli individui, poche sono le regolarità che si possono stabilire in modo obiettivo; perciò essi tornano a concentrare l’attenzione sugli ‘insiemi’ nella speranza di rintracciare in questi le regolarità che cercano.

Dobbiamo inoltre tenere presente l’influenza della convinzione, secondo cui, essendo oggetto di studio i ‘fenomeni sociali’, il procedimento più ovvio sia quello di partire dall’osservazione diretta di tali fenomeni: convinzione dovuta al fatto “che l’esistenza, nell’uso corrente, di termini come ‘società’ o ‘economia’ è ingenuamente considerata come prova evidente dell’effettiva esistenza di determinati ‘oggetti’ che a quei termini

concretamente corrispondono”44.

Cosicché, il fatto che tutti parlino di ‘nazione’ o di ‘capitalismo’ porta a credere che il primo passo, nello studio di questi fenomeni, “debba consistere nell’andarne a verificare l’aspetto, esattamente come ci si

comporterebbe nei confronti di una certa roccia o di un certo animale”45.

43

Op. cit., pag 61.

44

Op. cit., pag 62.

45

(27)

Ma gli ‘insiemi’ come tali non sono mai dati alla nostra osservazione, essendo tutti indistintamente nostri costrutti mentali: essi “non sono ‘fatti dati’, dati oggettivi che immediatamente riconosciamo come simili in base ai loro attributi fisici comuni; essi non possono dunque venir percepiti indipendentemente da uno schema mentale che metta in evidenza la connessione esistente fra alcuni degli innumerevoli fatti singoli che ci è

dato osservare”46.

Infatti i termini correntemente usati per designare gli ‘insiemi’ sono in realtà complessi diversi di fenomeni singoli, tra loro anche assolutamente dissimili, ma che noi riteniamo collegati l’un l’altro in modo simile; essi non sono altro che nostre selezioni di certi elementi di un quadro complesso effettuate in base ad una teoria sulla loro coerenza.

In generale possiamo dunque affermare che l’individualismo metodologico si differenzia dal collettivismo metodologico per il modo in cui tratta i concetti collettivi che spesso si trovano nella discussione su argomenti sociali quali ad esempio società, stato, patria, classe, rivoluzione, umanità, capitalismo, pubblica amministrazione, chiesa, esercito, partito, popolo, e così via.

46

(28)

Così, dal diverso modo di concepire tali concetti, emergono tre problemi connessi tra di loro: uno di natura ontologica, l’altro di natura metodologica, e infine un terzo di natura politica.

Il problema di natura ontologica va a indagare sull’effettiva corrispondenza nella realtà dei concetti collettivi, venendo così a riproporre all’interno degli studi sociali l’antica questione filosofica degli universali.

Se da un lato gli individualisti pensano che ai concetti collettivi non corrisponda niente di specifico, di autonomo e distinto dagli individui, da individui con certe idee e le cui azioni producono effetti intenzionali ed esiti inintenzionali, dall’altro i collettivisti ritengono che ai concetti collettivi corrispondano realtà concrete che istituiscono e plasmano l’individuo.

La questione metodologica si chiede da dove cominciare nella ricerca della genesi e dei mutamenti delle istituzioni e dei fatti sociali; da dove si dovrà partire, ad esempio, nello studio di fenomeni sociali quali la comparsa di un nuovo partito, lo scoppio di una rivoluzione, la decadenza di una religione? Ebbene, se per il collettivista le realtà collettive hanno un’esistenza indipendente da quella degli individui, la cui esistenza e le cui azioni sarebbero inesplicabili senza tali realtà collettive, sarà esattamente da queste entità che occorrerà partire, al fine di comprenderne la

(29)

configurazione, i modi di sviluppo di tali realtà e le leggi che li determinano.

Al contrario per gli individualisti questo modo di procedere non è altro che una ‘mitologia antropomorfica’, dato che assegna un’esistenza reale ed autonoma alle entità collettive, attribuendo ad esse caratteristiche tipicamente umane come la volontà, l’astuzia e l’intenzionalità.

La terza ed ultima questione è quella politica, la quale si chiede se il fine a cui tendono gli sforzi di coloro che governano debba essere costituito dalla società o dall’individuo.

Ad esempio per un collettivista come Comte, l’uomo propriamente detto non esiste, in quanto non può esistere che l’Umanità, poiché tutto il nostro sviluppo è dovuto alla società, sotto qualunque rapporto lo si consideri; mentre per Hegel gli individui non sono altro che mezzi per il progresso della storia del mondo; ed anche per lo strutturalismo di Foucault l’uomo non è una realtà più forte di un volto di sabbia sull’orlo del mare.

Contro queste affermazioni si sono posti, oltre ad Hayek, altri pensatori austriaci a lui vicini, quali Mises e Popper.

Secondo Mises “Il corso della storia, è determinato dalle azioni degli

individui e dagli effetti di queste azioni”47.

47

(30)

Per lui solo l’individuo pensa, solo l’individuo ragiona, solo l’individuo agisce. Di conseguenza egli afferma che per gli scopi della scienza noi dobbiamo partire dall’azione dell’individuo poiché essa è la sola cosa della quale noi possiamo avere cognizione diretta.

La scienza infatti deve avere la sua base nell’esperienza; e l’esperienza non ci fa vedere cose come la ‘società’ o la ‘nazione’; essa “ci fa conoscere

sempre individui, ci fa ascoltare le loro parole e vedere le loro azioni”48, di

modo che “nessuno percepì mai una nazione senza percepirne i membri”49.

La tentazione contro cui occorre di continuo lottare, avvertono gli individualisti, è quella propensione all’ipostatizzazione dei concetti, vale a dire la propensione per cui si tende ad attribuire sostanza ed esistenza reale ai nostri costrutti mentali.

Siffatta ipostatizzazione è il peggior nemico di una conoscenza valida e, cosa ancora più grave, essa si pone al servizio di quelle aspirazioni politiche ove si pretende per il collettivo in quanto tale una dignità superiore a quella dell’individuo, o addirittura si attribuisce esistenza reale al collettivo e si nega l’esistenza dell’individuo, definendola una mera astrazione.

48

Op. cit., pag 41.

49

(31)

Allo stesso modo Karl Popper, in una delle sue ultime interviste, ha precisato che “parlare di società è estremamente fuorviante. Naturalmente si può usare un concetto come la società o l’ordine sociale; ma non dobbiamo dimenticare che si tratta solo di concetti ausiliari. Ciò che esiste veramente sono gli uomini, quelli buoni e quelli cattivi – speriamo non siano troppi questi ultimi – comunque gli esseri umani, in parti dogmatici,

critici, pigri, diligenti o altro. Questo è ciò che esiste davvero”50.

Sono gli uomini che esistono, “ma ciò che non esiste è la società. La gente crede invece alla sua esistenza e di conseguenza dà la colpa di tutto alla

società o all’ordine sociale”51.

Ecco, dice Popper, “uno dei peggiori sbagli è credere che una cosa astratta

sia concreta. Si tratta della peggiore ideologia”52.

Leggiamo in Miseria dello storicismo: “La maggior parte degli oggetti della scienza sociale, se non tutti, sono astratti; sono costruzioni teoretiche. (Ad alcuni sembrerà strano, ma perfino la ‘guerra’ e ‘l’esercito’ sono concetti astratti. Uomini uccisi, uomini in divisa ecc. – ecco ciò che è concreto). Questi oggetti, queste costruzioni teoriche di cui ci serviamo per interpretare le nostre esperienze, risultano dalla costruzione di certi modelli

50 Popper (1990) pag 25. 51 Ibidem. 52 Ibidem.

(32)

per spiegare certe esperienza (…). È vero che spessissimo non ci rendiamo conto che stiamo adoperano delle teorie, e che ci illudiamo che i nostri modelli teorici siano delle ‘cose’, ma questo è un genere di errore

comunissimo”53.

Infine Popper nella Società aperta e i suoi nemici, al fine di disinnescare l’obiezione etica di coloro che sono ostili all’individualismo, in quanto ritengono che esso sarebbe una posizione egoistica, sottolinea come “collettivismo non si contrappone a egoismo e non si identifica con altruismo o generosità. L’egoismo collettivo o di gruppo, per esempio, l’egoismo di classe è cosa comunissima (…), e ciò dimostra con sufficiente chiarezza che il collettivismo in quanto tale non si contrappone all’egoismo. D’altra parte, un anti-collettivista, cioè un individualista, può,

nello stesso tempo, essere un altruista”54.

Lo storicismo scientista

Heyek vede bene come il collettivismo metodologico conduca necessariamente allo storicismo, ossia alla concezione secondo cui la storia è la sola strada capace di condurre all’elaborazione di una scienza teorica

53

Popper (1944) pag 121-122.

54

(33)

dei fenomeni sociali, e che avanza la pretesa “di fare della storia una

scienza, e anzi la sola scienza dei fenomeni sociali”55.

Infatti, la concezione scientista che considera i complessi studiati dalla storiografia come insiemi dati, induce a credere che l’osservazione possa svelare le ‘leggi’ di sviluppo di tali insiemi, e di fissare l’ordine necessario di ben definiti ‘stadi’ o ‘fasi’ susseguentisi l’un l’altro nel corso della storia, di modo che l’obiettivo essenziale di ogni studio della società debba risolversi nella “costruzione di una storia universale di tutto il genere umano, intesa come schema dello sviluppo necessario dell’umanità

secondo leggi prestabilite”56 .

Ma abbiamo già visto come gli eventi particolari oggetto degli studi sociali non si presentino mai come insiemi, ossia come unità naturali di cui possiamo, attraverso l’osservazione, scoprire le connotazioni loro proprie; al contrario essi sono teorizzazioni ottenute attraverso il processo di ricostruzione operate dagli studiosi stessi, che scelgono di selezionare soltanto alcuni aspetti fra i vari elementi che possono incontrare, al fine di circoscrivere e definire il loro oggetto di studio.

Il collettivismo metodologico ha portato così ad invertire la sola procedura per mezzo della quale possiamo comprendere gli insiemi storici, quella cioè

55

Hayek (1952) pag 76.

56

(34)

della loro ricostruzione a partire dagli elementi componenti; esso ha erroneamente indotto gli studiosi a trattare alla stregua di fatti oggettivi certe vaghe concezioni di insiemi stabilite per via meramente intuitiva, dando luogo alla convinzione per cui “gli elementi, che sono la sola cosa che possiamo direttamente conoscere e dai quali deve procedere ogni nostra ricostruzione di insiemi, possono essere intesi solo a partire dagli insiemi, la cui conoscenza deve precedere, al fine di renderla possibile,

quella degli elementi”57.

Ad esempio secondo Comte esiste “una fondamentale differenze tra l’insieme della filosofia inorganica e l’insieme della filosofia organica. Nel primo noi dobbiamo esplorare un sistema in cui gli elementi singoli sono conosciuti meglio dell’insieme e di norma risultano anche singolarmente osservabili in forma diretta. Invece nel secondo, dove l’oggetto principale è rappresentato dall’uomo e dalla società, la procedura opposta risulta molto spesso la sola razionale, in quanto qui certamente conosciamo, molto meglio delle singole parti, l’insieme, che ci è anche accessibile con

maggiore immediatezza”58.

Egli dunque, riferendosi ai fenomeni sociali, proclamò l’assurda tesi secondo la quale anche qui, come in biologia, “l’insieme è certamente

57

Op. cit., pag 87.

58

(35)

molto meglio conosciuto e più immediatamente accessibile”59 delle parti che lo compongono.

Hayek ritiene che il positivismo di Comte e l’idealismo di Hegel, sebbene vengano presentati come opposti dagli studiosi, condividano tra loro l’idea centrale secondo la quale sarebbe possibile “progredire ben oltre i risultati raggiunti dalle precedenti metodologie individualistiche, animate dal modesto proposito di intendere come si realizza l’interazione delle menti individuali, studiando la Ragione umana dal di fuori, come qualcosa di obiettivamente dato e di percepibile come una totalità compiuta, quale

potrebbe apparire a una super-mente”60.

Questa idea porta entrambi a concepire la società come un organismo che progredisce teleologicamente attraverso stadi che conducono la civiltà al raggiungimento di fini via via superiori.

Tale determinismo storico implica di necessità un assoluto fatalismo: l’uomo non può cambiare il corso della storia. Infatti, anche gli individui eccezionali sono per Comte ‘strumenti ed organi di un movimento predestinato’e, per Hegel, ‘funzionari’ dello Spirito del mondo di cui la Ragione astutamente si serve per i propri fini.

59

Op. cit., pag 67.

60

(36)

In un sistema siffatto, nota Hayek, non c’è alcun posto per la libertà: infatti, se per Comte la libertà è “la razionale sottomissione al dominio delle leggi

naturali”61, in Hegel essa viene ad identificarsi con la cosciente

accettazione della necessità.

E dal momento che entrambi si ritengono in possesso della conoscenza del movimento storico, essi rivendicano il diritto di imporre una nuova ortodossia, alla quale tutti dovranno sottostare.

Tuttavia, continua il filosofo austriaco, nonostante la loro falsità, tali teorie storicistiche hanno fatto presa sull’immaginazione pubblica in maniera maggiore di quanto siano mai riusciti a fare i risultati dell’autentico studio della storia, tanto da rappresentare il tratto caratterizzante, “il vizio

prediletto”62, del XIX secolo.

Dall’ Abbozzo di un quadro storico dei progressi dello spirito umano di Condorcet, in cui tracciando a grandi linee l’evolvere del progresso umano lungo tutto il corso della storia, si vagheggia “una scienza capace di antivedere il progresso futuro del genere umano, di accelerarne il ritmo e di

guidarne il corso”63, alla convinzione di Comte secondo cui “l’evoluzione

del genere umano è governata da leggi altrettanto precise che quelle che

61

Op. cit., pag 247.

62

Op. cit., pag 87.

63

(37)

determinano i gravi”64 e procede in conformità con la famosa legge dei tre stadi, fino ad arrivare alla filosofia della storia di Hegel ed al materialismo storico di Marx, tali teorie hanno potuto conseguire questo successo grazie alla loro somiglianza con il tipo di leggi elaborate dalle scienze della natura; infatti, continua il filosofo austriaco, in un’epoca in cui solo queste ultime costituivano il parametro in base alla quale si misurava ogni impresa intellettuale, “la pretesa, avanzata da queste teorie della storia di sapere prevedere lo svolgimento futuro degli eventi, fu accolta come prova

evidente del loro elevato grado di scientificità”65.

Il compito specifico delle scienze sociali

Secondo Hayek i problemi che le scienze sociali cercano di risolvere si presentano dal momento che “l’azione cosciente di una molteplicità di persone dà luogo a risultati imprevisti e in quanto si constata l’esistenza di certe regolarità maturate spontaneamente al di fuori di ogni deliberazione

programmatica”66.

64

Op. cit., pag 219.

65

Op. cit., pag 88.

66

(38)

Infatti, è “solo nella misura in cui un certo tipo di ordine emerge come risultato dell’azione dei singoli, ma senza essere stato da alcuno di essi coscientemente perseguito, che si pone il problema di una loro spiegazione

teorica”67.

Sarebbe dunque un errore credere che il compito specifico delle scienze sociali sia quello di spiegare l’azione cosciente; “tale spiegazione, ammesso che sia possibile, è tutt’altra cosa e rappresenta il compito proprio

della psicologia”68.

Tuttavia soltanto nei casi più semplici si può dimostrare rapidamente come le azioni indipendenti dei singoli producano un ordine non intenzionalmente programmato: un esempio portato da Hayek è quello relativo al modo in cui si formano i sentieri in una zona disabitata.

Inizialmente ciascuno cerca per proprio conto quello che ritiene il tracciato migliore; ma, per “il semplice fatto di essere già stato percorso una volta, un sentiero risulta, verosimilmente, più facile da percorrere e, quindi diventa più probabile l’ulteriore sua utilizzazione; e così, gradualmente, emergono percorsi dal tracciato sempre più netto, che finiscono con

l’essere utilizzati in luogo di altri percorsi possibili”69.

67 Ibidem. 68 Ibidem. 69

(39)

Così i movimenti umani compiuti in quella zona tendono a conformarsi a un ben definito modello che, nonostante sia il risultato di decisioni prese da un certo numero di persone, non è stato tuttavia coscientemente progettato da nessuna di esse.

Altri due esempi di ripercussioni non intenzionali che seguono dalle azioni umane intenzionali sono portati da Popper e da Mises: ad esempio “se una persona desidera comprare urgentemente una casa in un certo quartiere, possiamo sicuramente supporre che non intende elevare il prezzo di mercato delle case di quel quartiere. Ma il fatto stesso ch’egli si presenta

sul mercato come acquirente, tenderà a far aumentare i prezzi”70.

E ancora: “se il governo desidera rendere possibile ai genitori poveri dare più latte ai loro bambini, esso deve comprare il latte a prezzo di mercato e venderlo a questa gente povera a un prezzo più basso, e quindi in perdita; tale perdita può essere coperta tramite tassazione. Ma se il governo semplicemente fissa il prezzo del latte a un livello più basso di quello del mercato, i risultati saranno contrari agli obiettivi del governo. I produttori marginali, infatti, al fine di evitare la perdita, escono fuori dal business della produzione e vendita del latte. In tal modo ci sarà non più, ma meno latte a disposizione per i consumatori.

70

(40)

E tale esito, continua Mises, è certamente contrario alle intenzioni del governo. Esso infatti era intervenuto perché considerava il latte come una

necessità vitale. Non voleva dunque restringere la sua offerta”.71

Secondo Hayek già nella Favola delle api di Mandeville è possibile ritrovare l’idea che “nel complesso ordine della società i risultati delle azioni degli uomini sono molto differenti da quelli che essi avevano inteso raggiungere, e che gli individui, nel perseguire i propri fini, egoistici o altruistici che siano, producono risultati utili ad altri che essi non hanno

previsto o forse neppure conosciuto”72.

L’alveare della favola, racconta Mandeville, era un alveare costituito da api ambiziose, invidiose, astute e corrotte; eppure, pur essendo ogni ceto pieno di vizi, la nazione di per sé godeva di una felice prosperità, dal momento che i vizi dei privati contribuivano alla felicità pubblica.

Infatti, i membri della Società delle api, seguendo delle strade assolutamente contrarie, si aiutavano quasi loro malgrado. Se il lusso fastoso dava lavoro a milioni di poveri, la vanità, questa passione tanto detestata, dava occupazione a un numero ancora maggiore. La stessa invidia e l’amor proprio, ministri dell’industria, facevano fiorire le arti e il commercio. Così, poiché il vizio produceva l’astuzia, e l’astuzia si

71

Mises (1951) pag 583-84.

72

(41)

prodigava nell’industria, si vedeva l’alveare abbondare di tutte le comodità della vita.

I piaceri reali, le dolcezze della vita, le comodità e il riposo erano divenuti dei beni così comuni che i poveri stessi vivevano allora più piacevolmente di quanto non vivessero prima, al punto che, continua Mandeville, non si sarebbe potuto aggiungere nulla al benessere di questa società.

A parere di Hayek, benché gli uomini affetti da pregiudizio scientista siano spesso indotti a negare l’esistenza di siffatti tipi di ordini (e a negare dunque l’esistenza di un oggetto proprio delle scienze teoriche della società), pochi, o forse nessuno, si mostrano poi coerenti fino al limite estremo: infatti, che almeno “il linguaggio rappresenti un insieme ordinato, senza essere il risultato di alcun disegno preordinato, è verità ovvia che

neppure essi osano revocare in dubbio”73.

Secondo il filosofo austriaco la riluttanza dello scienziato della natura ad ammettere l’esistenza di tali ordini spontanei tra i fenomeni sociali è dovuta al fatto che questi ordini non possono essere enunciati in termini fisici. Infatti, come abbiamo già visto, gli elementi che si presentano in una così ordinata disposizione non hanno alcuna proprietà fisica in comune, dato che si tratta di un ordine nel quale le cose si comportano allo stesso modo

73

(42)

semplicemente perché hanno lo stesso significato per gli uomini che vi agiscono: dunque, se invece di considerare simile o dissimile ciò che tale appare essere al soggetto agente, noi dovessimo prendere come dato elementare soltanto ciò che alla scienza naturale risulta simile o diverso, probabilmente non riusciremmo a riconoscere nei fenomeni sociali alcun ordine.

A giudizio di Hayek è soltanto grazie al metodo individualistico che si può dar conto del modo in cui vengono alla luce quelle strutture di relazioni interpersonali grazie alle quali gli sforzi congiunti dei singoli riescono a conseguire risultati positivi che nessun individuo singolo avrebbe potuto pianificare o prevedere.

Al contrario, il collettivismo metodologico, che rifiuta di comprendere gli insiemi ripercorrendo tutt’intero il processo attraverso il quale gli sforzi di singoli riescono a condizionarsi reciprocamente, e che si pretende capace di una diretta apprensione degli insiemi sociali in quanto tali, non riesce mai a definire con precisione il carattere o le modalità operative di questi insiemi. Esso conduce gli studiosi dei fenomeni sociali a non comprendere il modo in cui l’azione indipendente di molti uomini, distinti tra loro, possa dar luogo ad un ordine sociale stabile al servizio di importanti finalità umane,

(43)

pur senza che questo debba essere stato progettato intenzionalmente da una mente superiore ed esterna a tale ordine.

È da tale atteggiamento che deriva quell’interpretazione ‘pragmatica’ delle istituzioni sociali secondo la quale “tutte le strutture sociali operanti in funzioni di finalità umane sono il risultato di progetti intenzionalmente elaborati, e non è possibile che sia dotato di un assetto ordinato e finalizzato tutto ciò che non risulta costruito in conformità con quei

progetti”74.

Tali studiosi, negando la possibilità che dall’azione di più persone possa emergere qualcosa di ordinato e conforme a un fine utile (a meno che questo non sia il risultato di un deliberato proposito), invece di segnare un passo avanti nello studio dei fenomeni sociali, finiscono per ricadere in una concezione sostanzialmente non dissimile da quella per cui, fino al XVIII secolo, “non si riusciva a concepire il linguaggio e la famiglia altrimenti che come risultato di ‘invenzioni’ umane e lo Stato altrimenti che come il

risultato della vera e propria stipula di un contratto sociale”75.

74

Op. cit., pag 96.

75

(44)

Razionalismo costruttivista e razionalismo evoluzionista

Secondo Hayek vi sono dunque due modi di considerare la struttura delle attività umane, le quali conducono a conclusioni opposte per quel che concerne la possibilità di darne una spiegazione e di intervenire su di esse. Il primo di questi modi di considerare i fenomeni sociali, definito con il termine ‘razionalismo ingenuo o costruttivista’, si basa su “assunti che possono essere facilmente dimostrati falsi, ma che risultano così piacevoli alla vanità umana da aver assunto una grandissima influenza, al punto da venire continuamente utilizzati anche da coloro che sanno essere una

finzione”76.

Tale razionalismo ritiene che tutte le istituzioni di cui beneficia l’umanità, sono state inventate in passato, e devono essere inventate in futuro, nella piena consapevolezza degli effetti desiderabili che esse producono; che le istituzioni devono essere approvate e rispettate solo finché possiamo mostrare che gli effetti particolari che esse producono in ogni data situazione sono da preferire agli effetti che produrrebbe un altro tipo di soluzione; e che è in nostro potere plasmare le istituzioni in modo che di tutti i possibili risultati si realizzeranno quelli che preferiamo più degli altri.

76

(45)

A parere di Hayek il costruttivismo conduce allo psicologismo: se tutte le istituzioni e tutti gli eventi sociali sono frutto di piani intenzionali, allora le scienze sociali dovrebbero ridursi a psicologia, cioè allo studio delle intenzioni, dei bisogni, e dei desideri degli individui.

Un’altra conseguenza del costruttivismo è quella che Karl Popper ha definito la teoria cospiratoria della società: se dietro ad ogni istituzione e ad ogni evento sociale c’è sempre qualcuno che lo ha progettato e voluto, è allora evidente che dietro ad ogni evento sociale negativo c’è sicuramente qualcuno che ha cospirato.

Dunque il costruttivista ritiene che tutte le istituzioni – i linguaggio, lo Stato, il diritto, la moneta, la religione – siano esiti di piani intenzionali, realizzazioni di progetti elaborati da singoli o da gruppi, e crede che “l’uomo, dato che ha creato egli stesso le istituzioni della società e della civiltà, debba anche poterle alterare a suo piacimento in modo che

soddisfino i suoi desideri e le sue aspirazioni”77.

Secondo il filosofo austriaco questo tipo di razionalismo è un fenomeno relativamente nuovo, anche se le sue radici possono già essere ritrovate nell’antica filosofia greca.

77

(46)

La sua influenza moderna comincia infatti nel sedicesimo e nel diciassettesimo secolo, grazie alla formulazione delle principali dottrine del filosofo francese Descartes: è stato soprattutto per suo tramite che il termine ‘ragione’ ha cambiato significato, venendo a designare non tanto la facoltà di riconoscere la verità (in particolar modo in ambito morale), com’era per i pensatori medievali, quanto la capacità di ragionare deduttivamente partendo da premesse esplicite.

Sebbene la principale preoccupazione del filosofo francese fosse quella di stabilire dei criteri di verità per le proposizioni scientifiche, tali criteri furono inevitabilmente applicati dai suoi seguaci (il maggiore dei quali fu indubbiamente Hobbes) anche ai giudizi sull’appropriatezza e sulla giustificazione delle azioni umane.

Così il ‘dubbio metodico’, che imponeva di rifiutare come falso tutto ciò che non potesse essere derivato logicamente da premesse esplicite che fossero ‘chiare e distinte’, “privò di validità tutte quelle regole di condotta

che non potevano essere in tal modo giustificate”78, facendo apparire come

una superstizione irrazionale l’accettare qualunque istituzione che fosse basata esclusivamente sulla tradizione.

78

(47)

Tale fu l’atteggiamento caratteristico del razionalismo cartesiano, contraddistinto da un forte disprezzo per la tradizione, le regole consuetudinarie, e la storia in genere, e animato dalla convinzione che “la sola ragione avrebbe potuto rendere l’uomo capace di edificare ex novo la

società”79.

Tuttavia tale razionalismo, invece di costituire un passo in avanti nel campo degli studi dei fenomeni sociali, finì di fatto per rappresentare un ritorno ad un precedente modo di pensare ingenuo, ad una visione primitiva che trae la sua origine “dall’interpretare in modo antropomorfico tutte le regolarità che si riscontrano nei fenomeni della natura come se fossero il

risultato del progetto di una mente pensante”80 e che conduce alla credenza

per cui “dietro ad ogni istituzione umana, si tratti del linguaggio, della

scrittura, del diritto o della morale, ci sia un inventore in carne ed ossa”81.

Diversamente dal razionalismo costruttivista, l’altro di questi modi di pensare gli eventi sociali, definito con il termine di ‘razionalismo critico o evoluzionista’, si fonda su concezioni che, sebbene pochi oserebbero mettere in discussione la loro formulazione in astratto, conducono a

79

Op. cit., pag 16.

80

Op. cit., pag 14.

81

(48)

conclusioni ritenute così spiacevoli che solo pochi sarebbero disposti a seguirne le conseguenze fino in fondo.

Tale razionalismo, che si è gradualmente sviluppato sin dall’antichità, ma che per lungo tempo è stato gettato nell’oblio dal più attraente modo di pensare del razionalismo costruttivista, ritiene che l’ordine istituzionale della società non fu dovuto soltanto a istituzioni e a modi di agire inventati e progettati per tale fine preciso, ma fu in gran parte dovuto ad un processo evolutivo assolutamente inintenzionale e non previsto: “un processo in cui regole e modi d’agire, che furono prima adottati per altre ragioni o magari accidentalmente, si mantennero perché furono in grado di far prevalere

sugli altri il gruppo in cui erano sorti”82.

Esso ha giustamente compreso che sebbene le istituzioni siano tutte frutto dell’azione umana, solo poche di esse possono essere considerate come gli esiti di progetti deliberati e consapevoli. Infatti “solo una minoranza delle istituzioni sociali sono volutamente progettate, mentre la grande maggioranza di esse sono venute su, ‘cresciute’ come risultato non

premeditato di azioni umane”83.

Secondo Hayek lo stesso termine ‘istituzione’ può dar luogo ad equivoci, in quanto intrinsecamente legato all’idea di qualcosa che si istituisce

82

Hayek (1973-79) pag 14.

83

(49)

deliberatamente; a suo parere sarebbe perciò conveniente limitare l’uso di questo termine “alla sola designazione di certi strumenti di natura particolare come, ad esempio, nel caso di quelle leggi ed organizzazioni che si istituiscono in funzione di specifiche finalità, e usare il termine più neutro di ‘formazioni’ per indicare quei fenomeni che, come la moneta, lo Stato e il linguaggio, non sono stati altrettanto intenzionalmente prodotti

dall’uomo”84.

L’errore fondamentale del costruttivismo consiste dunque nel credere che fenomeni quali la morale, la legge, e le istituzioni sociali, i quali sono chiaramente il risultato dell’azione dell’uomo, debbano anche essere stati coscientemente, e perciò intenzionalmente concepiti dalla mente umana al fine di realizzare qualche disegno precostituito.

Tale errore fu già familiare agli antichi greci, la cui distinzione dicotomica tra ‘naturale’ e ‘artificiale’ costituisce secondo Hayek l’ostacolo principale per la comprensione dei fenomeni sociali, in quanto tale distinzione, se interpretata in chiave di alternativa esclusiva, è non solo ambigua, ma anche decisamente falsa.

Si tratta della divisione tra fenomeni ‘naturali’ e fenomeni ‘artificiali’: i termini greci originari, che sembra siano stati introdotti dai sofisti del V

84

(50)

secolo a.C., erano physei – che significa ‘per natura’ – e di contro, sia nomos – ‘per convenzione’ – che thesei, il quale significa ‘per decisione deliberata’.

L’uso di due termini, con significati in parte differenti, per esprimere il secondo membro di tale divisione indica la confusione che sin d’allora ha circondato tale discussione.

Infatti questa distinzione può essere tracciata o “tra situazioni che vengono a formarsi indipendentemente da, e situazioni che sono il risultato di, un’azione umana, o tra situazioni che sorgono indipendentemente da, e

situazioni che sorgono come risultato di, una progettazione umana”85.

Il non distinguere tra questi due significati conduce alla situazione per cui un autore può argomentare, riguardo a un dato fenomeno, che esso è artificiale, perché è il risultato dell’azione umana, mentre un altro può legittimamente descrivere lo stesso fenomeno come naturale, perché non è chiaramente il risultato di una progettazione umana.

Così fino a Mandeville e a Hume, non fu chiaro che esisteva una moltitudine di fenomeni i quali, a seconda che si adottasse l’una o l’altra delle due definizioni, potevano rientrare sia nell’una o nell’altra categoria, e che, pertanto, avrebbero dovuto essere assegnati a una differente terza

85

(51)

classe di fenomeni, successivamente descritta da Adam Ferguson come quella comprendente i fenomeni che sono “il risultato dell’azione umana

ma non della progettazione umana”86.

Secondo Hayek la differenza tra quel punto di vista, che spiega l’ordine che troviamo nelle cose umane come il risultato imprevisto di azioni individuali, e quello che fa derivare ogni ordine che è possibile scoprire da un deliberato progetto, rappresenta l’autentico contrasto tra il razionalismo evoluzionistico dei pensatori inglesi del diciottesimo secolo e il razionalismo costruttivista della Scuola cartesiana.

Il che non è altro che uno degli aspetti particolari di una ben maggiore differenza tra una prospettiva che considera, in generale, abbastanza contenuto il ruolo giocato dalla ragione nelle cose umane, che è consapevole che l’uomo ha raggiunto quello che ha raggiunto nonostante il fatto che solo in parte è guidato dalla ragione, e che presenta la ragione individuale come molto limitata e imperfetta, e un punto di vista che sostiene che tutto ciò che l’uomo consegue di buono sia tale perché diretto dal controllo della ragione individuale.

Dunque se il razionalismo evoluzionista è il prodotto di una profonda consapevolezza dei limiti della mente umana individuale, il razionalismo

86

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