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Il sistema portuale italiano: analisi e prospettive

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Academic year: 2021

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(1)UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA _______________________________________. SCUOLA DI DOTTORATO IN SCIENZE GIURIDICHE. DOTTORATO DI RICERCA IN DIRITTO PUBBLICO E DELL’ECONOMIA COORDINATORE: PROFESSORESSA GIOVANNA COLOMBINI. IL SISTEMA PORTUALE ITALIANO Analisi e prospettive. RELATORE:. DOTTORANDO:. PROFESSORESSA. DOTTOR. FRANCESCA NUGNES. IVAN BRUNO. _____________________________________________________________ SESSIONE DI LAUREA DICEMBRE 2014 SSD: IUS/09. 1.

(2) 2.

(3) INDICE. INTRODUZIONE……………………………………………………………………7 CAPITOLO I – IL SISTEMA PORTUALE EUROPEO. 1.. Introduzione………………..………………………………………………..9. 1.1. I primi tentativi di armonizzazione della disciplina comunitaria……..…11. 1.2. I fattori che rendono opportuna l’omogeneizzazione delle normative nazionali in materia di porti………………………………………………...15. 2.. I regimi proprietari dei porti europei…………………………………...20. 2.1. Le relazioni tra il regime proprietario e l’efficienza portuale……………22. 3.. I modelli di gestione attuati nei porti europei………………………..25. 3.1. La separazione tra attività di regolazione e attività di impresa nei porti, in ossequio alla normativa comunitaria sui trasporti…………………….31. 3.2. Il modello europeo di Ente portuale………………………………………34. 4. Il sistema di finanziamento dei porti europei………………………...37. 4.1. Le risorse finanziarie: le entrate correnti e le entrate in conto capitale……………………….………………………………………………37. 4.2. La natura degli investimenti e le differenti tipologie di infrastrutture realizzabili. Il partenariato pubblico-privato nel settore portuale………43. CAPITOLO II – IL SISTEMA PORTUALE ITALIANO: ANALISI. 1.. Introduzione……………….……………………...………………………..55. 2.. Il sistema portuale italiano: dall’ordinamento previgente al 1994 all’assetto attuale…………………..……………………..………………56. 2.1. Il percorso che ha portato alla Legge di riforma……..………………….56. 2.2. La Legge n. 84 del 1994 introduce il modello Landlord Port Authority.66 3.

(4) 2.3. La nuova disciplina del lavoro portuale…………………………………..72. 2.4. La nuova disciplina dei servizi di interesse generale…………….……..86. 2.5. La nuova classificazione dei porti…………………………………………95. 3.. Le Autorità portuali……………………………………….………………99. 3.1. La qualificazione giuridica………………………………………………..100. 3.2. Gli organi……………………………………………………………..........119 3.2.1 Il Presidente…………………………………………………………120 3.2.2 Il Comitato portuale…………………………………………………139 3.2.3 Gli altri organi……………………….………………………………145. 3.3. Le funzioni………………………………………………………………….150 3.3.1 Governo delle attività economiche………………………………..151 3.3.2 Promozione dell’intermodalità e della logistica………………….178 3.3.3 Indirizzo e programmazione……………………………………….186 3.3.4 Manutenzione delle parti comuni del porto………………………203 3.3.5 Coordinamento con l’Autorità marittima in materia di polizia e sicurezza dei porti…………………………..................................204. 3.4. Le risorse finanziarie e il problema dell’autonomia……………………211. 4.. L’impatto della riforma del Titolo V sull’assetto delle funzioni amministrative in materia di demanio portuale: decentramento sostanziale o formale?.....................................................................234. 5.. La nascita dell’Autorità di regolazione dei trasporti………………249. CAPITOLO III – IL SISTEMA PORTUALE ITALIANO: PROSPETTIVE DI RIFORMA. 1.. Introduzione……………….……………………………………………...255. 2.. L’Italia: crocevia del traffico marittimo nel cuore del Mediterraneo. Potenzialità e problematiche da superare…………………………258. 3.. L’integrazione del sistema portuale italiano nella catena logistica 4.

(5) per una maggiore competitività……..……………...………………...287 4.. Il difficile rapporto tra portualità e ambiente………….……………306. 5.. Le principali criticità emerse in sede di applicazione della Legge n. 84 del 1994……………………………………………………………..…312. 6.. Prospettive di crescita e proposte per il rilancio……………..…...321. 6.1. Riforma della legislazione portuale e Legge quadro in materia di interporti e di piattaforme territoriali: perché non un unico testo?.......345. 6.2. I sistemi multiportuali logistici nelle reti transeuropee dei trasporti…..356. CONCLUSIONI…………………………………………………………………..379. BIBLIOGRAFIA……………………………………………………...…………..383. 5.

(6) 6.

(7) INTRODUZIONE Il presente lavoro si propone di svolgere un’analisi in chiave critica dell’ordinamento giuridico portuale italiano, volta a evidenziarne le principali problematiche, che costituiscono un freno alla competitività e allo sviluppo del Paese. La finalità è quella di individuare alcune proposte concrete, al fine di rimuovere gli ostacoli esistenti e conseguire una maggiore efficienza complessiva del sistema portuale e trasportistico. Nell’analisi, infatti, gli scali sono sempre considerati in una visione sistemica e intermodale, che li pone quale anello fondamentale della catena logistica integrata dei trasporti. In particolare, il primo capitolo, nella consapevolezza di dover partire da una prospettiva continentale, è dedicato al sistema giuridico dei porti dell’Unione europea e tenta di individuare i più diffusi modelli di gestione delle infrastrutture portuali, valutandone la coerenza rispetto ai principi comunitari di liberalizzazione dei mercati e di tutela della concorrenza. Nel secondo capitolo, il focus si sposta a livello nazionale, con un esame delle motivazioni che hanno condotto all’adozione della Legge n. 84 del 1994 e un approfondimento critico sulle Autorità portuali, in termini di natura giuridica, funzioni, struttura organizzativa e autonomia finanziaria di tali Enti. Segue una riflessione circa le conseguenze prodotte dalla modifica del Titolo V della Costituzione sulla concreta realizzazione del decentramento amministrativo, previsto dalla Legge di riforma del sistema portuale. Il capitolo conclusivo muove dalla constatazione che l’Italia rappresenta il baricentro del Mediterraneo: tale circostanza, considerato il contingente trend economico, proiettato verso Oriente, candida gli scali marittimi della Penisola a svolgere il ruolo di gateway di accesso al mercato globale, a condizione che siano realizzate le necessarie infrastrutture di raccordo intermodale e che vengano superati i vari problemi di ordine giuridico ed economico, insiti nel vigente quadro normativo di riferimento. 7.

(8) Per ogni criticità, sono vagliate le possibili soluzioni, pervenendo, alla fine del percorso, ad una proposta concreta, che prevede la fusione dei due testi di riforma già elaborati, rispettivamente in materia di porti e di piattaforme logistiche, da attuarsi in armonia alla politica comunitaria delle reti transeuropee dei trasporti. In tale ottica, si rende necessario abbandonare il riferimento ai singoli scali marittimi, in favore delle prospettive di più ampio respiro correlate al concetto di sistema multiportuale, capace di competere con i principali porti mondiali.. 8.

(9) CAPITOLO I: IL SISTEMA PORTUALE EUROPEO. 1. Introduzione. Il settore portuale risente dell’assenza di una armonizzazione delle normative dei singoli Stati membri, pur non essendo in discussione la diretta applicabilità, a tutti i porti dell’Unione Europea, di un diritto acquisito comunitario, costituito da alcune norme del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), dotate di efficacia diretta. Il riferimento è agli articoli: 56, che regola la libertà di prestazione dei servizi; 101 e 102, relativi alla concorrenza; 106, sulla disciplina giuridica delle imprese pubbliche o titolari di diritti esclusivi o speciali. D’altra. parte,. né. dalla. normativa. europea1,. né. dalla. consistente. giurisprudenza della Corte di Giustizia sull’argomento2, sembra riscontrabile la presenza di una disciplina generale ed astratta, o quantomeno unificante. In effetti, quello dei servizi portuali costituisce, al momento, l’unico settore nel quale difetta ancora un armonioso quadro normativo comunitario.. 1. Articolo 288 TFUE, ex articolo 249 TCE, Trattato di Roma, come modificato dal Trattato di Lisbona (GUCE C/83 del 30 marzo 2010). 2 Tra le numerose pronunce, v.: Corte giust., sentenza del 10 dicembre 1991, C-179/90, Merci Convenzionali Porto di Genova S.p.A. c. Siderurgica Gabrielli S.p.A., in Dir. mar., 1991, p. 1128 ss.; Commissione europea, decisione del 21 dicembre 1993 – Sea Containers, IV/34.689/ 94/19/EC, in GUCE, L 15 del 5 gennaio 1994, p. 8 ss.; Commissione europea, decisione del 21 dicembre 1993, Porto di Rodby, 94/119/CE, in GUCE, L 55 del 26 febbraio 1994, p. 52; Corte giust., sentenza del 17 maggio 1994, Causa C-18/93, Corsica Ferries Italia Srl c. Corpo dei Piloti del porto di Genova, in Racc., p. I-01783; Corte giust. sentenza del 5 ottobre 1995 C-96/94, Centro Servizi Spediporto Srl c. Spedizioni Marittima del Golfo Srl, in Racc. 1995, p. I-02883; Corte giust. sentenza del 18 marzo 1997, C-343/95, Diego Calì & Figli Srl c. Servizi ecologici porto di Genova S.p.A., in Racc., 1997, p. I-01547; Corte giust. sentenza del 12 febbraio 1998, C-163/96, Procedimento penale a carico di Silvano Raso e altri, in Dir. mar., 1998, p. 778 ss.; Corte giust. sentenza del 18 febbraio 1998 C-266/96, Corsica Ferries SA c. Gruppo Antichi Ormeggiatori del porto di Genova coop. arl, Gruppo Ormeggiatori del Golfo di La Spezia Coop. arl e Ministero dei Trasporti e della Navigazione, in Dir. mar., 1999, p. 893 ss.; Corte giust., sentenza dell’8 luglio 1999, causa C-254, Commissione c. Anic Partecipazioni, in Racc., 1999, p. I-412; Corte giust., sentenza del 16 settembre 1999, Procedimento penale a carico di Jean Claude Becu, Annie Verweire, Smeg NV e Adia Interim NV, causa C22/98, in Racc. 1999, p. I-05665; Corte giust., sentenza del 18 novembre 1999 C-224/97, Erich Ciola c. Land Vorarlberg, Cons. Stato Cons. Stato, 1999, p. 1358 ss.; Corte giust., sentenza del 16 maggio 2002, causa C-482/99, Repubblica francese c. Commissione delle Comunità europee, in Racc., 2002, p. I-04397; Corte giust., sentenza del 26 giugno 2003, causa C-404/00, Commissione c. Regno di Spagna, in Racc., 2003, p. I-6695; Corte giust., sentenza del 21 luglio 2005, Administración del Estado c. Xunta de Galicia, in Racc., 2005, p. I-07419.. 9.

(10) Ciò dipende in larga misura da motivazioni storiche, geografiche, economiche e sociali: si pensi alle notevoli differenziazioni esistenti tra i porti (pubblici e privati) del nord Europa e quelli del Mediterraneo, ma anche all’ostilità di molti operatori del settore a veder regolato un ambito tuttora largamente interessato da fenomeni di monopolio o di oligopolio. In questo capitolo, dopo aver analizzato i primi tentativi (rimasti tali) di armonizzazione delle discipline nazionali in materia di servizi portuali, si cercherà di inquadrare il sistema giuridico dei porti dell’Unione europea, individuando i principali modelli di gestione delle infrastrutture portuali rispetto agli standard comunitari di liberalizzazione dei mercati e tutela della concorrenza, da attuare mediante procedure che garantiscano l’assenza di discriminazioni tra gli operatori, in una prospettiva in cui emerge, come punto fondamentale, il concetto di neutralità delle infrastrutture, realizzato sulla base di regole in grado di consentire ad imprese virtuose di conseguire i migliori risultati, incrementando la competitività del porto.. 10.

(11) 1.1 I primi tentativi di armonizzazione della disciplina comunitaria. La necessità di armonizzare le discipline nazionali è contenuta, per la prima volta, nel Libro Verde sui porti europei del 1997, documento recante i principali orientamenti di politica comunitaria del settore. Il primo progetto di direttiva, proposto dalla Commissione Europea il 13 febbraio 2001, fu bocciato dal Parlamento Europeo in terza lettura, il 20 novembre 20033. Anche la seconda proposta, presentata dalla Commissione nel settembre 2004, fu bocciata dal Parlamento Europeo, questa volta in prima lettura, il 18 gennaio 20064. In particolare, il progetto di direttiva del febbraio 2001, presentato nel quadro della comunicazione “Migliorare la qualità dei servizi nei porti marittimi, passaggio essenziale per il sistema dei trasporti in Europa”, era articolato in diversi punti. Innanzitutto, erano previste regole di carattere generale, relative a non discriminazione, trasparenza e oggettività delle procedure di accesso al mercato. Erano poi tenute in considerazione le specificità locali, in merito alla sicurezza e alla preservazione dell’ambiente, che non dovevano diventare tuttavia un pretesto per ridurre o escludere la concorrenza. Un ulteriore profilo atteneva al numero di prestatori dei servizi, che poteva essere limitato solo per ragioni di forza maggiore, riferite alla disponibilità di spazi o, per quanto riguarda i servizi tecnico-nautici, alla sicurezza del traffico marittimo5. Era inoltre previsto che il prestatore dei servizi potesse impiegare personale in base ad una propria scelta, essendo ammessa l’autoproduzione. In questo primo tentativo, le discussioni più accese tra Parlamento e Consiglio si svilupparono in ordine ai seguenti punti: estensione dell’applicabilità ai servizi di pilotaggio; diritto esclusivo di rilascio delle autorizzazioni per i servizi 3. COM 2001/35. COM 2004/654. 5 Sul punto, v. : M.Y. LE GARREC, Réflexion sur la réglementation applicable à un service de remorquage portuaire objet d’une consultation européenne, in D.M.F., 2003, p. 341 ; A. LE MONNIER DE GOUVILLE, Les services nautiques portuaires confrontés au droit communautaire de la concurrence (le pilotage, le remorquage et le lamanage sur les voies de la réforme), in D.M.F., 2003, p. 86. 4. 11.

(12) portuali; periodo di validità dell’autorizzazione; compensazione ai precedenti fornitori di servizi; autoproduzione; misure transitorie e norme di trasparenza in materia di concorrenza fra i porti6. Quanto alla proposta di direttiva dell’ottobre 2004, questa, nella sostanza, riprendeva i termini della precedente, intendendo favorire il libero accesso al mercato dei servizi portuali, con la presenza in ciascun porto di più operatori in concorrenza tra loro e selezionati sulla base di criteri trasparenti e non discriminatori, in considerazione delle esigenze di spazio, capacità, sicurezza e protezione ambientale7. In seguito alla bocciatura delle suddette proposte, la Commissione precisò che in materia portuale si sarebbe privilegiato l’utilizzo di strumenti di soft law, quali risoluzioni, raccomandazioni o comunicazioni relative a specifici aspetti della portualità. Tale soluzione è sembrata la più adatta, viste le peculiarità del settore portuale che, come gran parte della dottrina nazionale8 ed anche estera9 ha sostenuto, non erano state debitamente considerate dal legislatore comunitario, all’atto della redazione dei progetti di direttiva presentati. In questi ultimi, infatti, mancava una corretta valutazione della contingente situazione giuridica, economica e sociale dei porti europei. In particolare, le principali lacune dell’impostazione adottata in entrambe le proposte di direttiva in parola possono essere individuate: nell’erronea. 6. Per una approfondita analisi della prima proposta di Direttiva, v.: M. BRIGNARDELLO, La politica portuale alla luce della nuova proposta di direttiva europea, in Dir. mar., 2001, p. 1314; I. CHLOMOUDIS, A. PALLIS, European Union Port Policy: The Movement Towards a Long-Term Strategy, Cheltenham, Edward Elgar Publishing, 2002; C. MONTEBELLO, Il composito quadro dei “servizi portuali” e le regole della concorrenz, in Dir. mar., 2002, p. 554. 7 V. M. BRIGNARDELLO, M. CASANOVA, Diritto dei trasporti. Infrastrutture e accesso al mercato, Milano, 2004. 8 Cfr. S.M. CARBONE, F. MUNARI, La disciplina dei porti tra diritto comunitario e diritto interno, Milano, 2006, Giuffrè Editore, pp. 34-35. 9 V. : A. PALLIS – G. TSIOTSIS, Maritime interests and the EU port services directive, in European Transoport n. 38 (2008); Initial regulatory impact assessment: Market Access to Port Services Directive, London: Department for Transport, 2005; E. ORRÙ, Current Organization of Port Services in Europe. nd International workshop on the 2 EU Port Package: The good or the last try?, Università di Anversa, 2005; A. PALLIS – G. VAGGELAS, Port Competitiveness and the EU “Port Services” Directive: The case of greek ports”, in Maritime Economics and Logistics, 2005, pp. 116-140.. 12.

(13) parificazione di tutti i servizi svolti in ambito portuale, considerati indiscriminatamente attività commerciali; nell’incondizionata affermazione di un principio di accesso al mercato dei servizi portuali a favore di tutti gli operatori potenzialmente interessati; nella tentazione di imporre una governance dirigista del settore da parte delle istituzioni comunitarie, in contrasto con l’applicazione del principio di sussidiarietà, ex articolo 5 del Trattato sull’Unione europea (TUE). Concettualmente, tali pecche derivano in larga parte dall’aver mutuato il settore aeroportuale, storicamente caratterizzato dall’esistenza di mercati nazionali dominati dalle compagnie di bandiera, che precludevano ai vettori esteri sia l’acceso agli aeroporti statali – in ragione del sovrabbondante numero di slot detenuti e non sempre pienamente utilizzati – sia quello ai servizi di assistenza a terra – in forza dei rapporti preferenziali instaurati con gli handlers10. Nel settore portuale invece, i monopoli eventualmente presenti sono di dimensioni modeste e non si rivelano idonei ad ostacolare l’accesso all’infrastruttura, potendo i vettori marittimi avvalersi di un’ampia facoltà di scelta rispetto allo scalo che maggiormente corrisponde alle esigenze della propria linea. Di conseguenza, l’obiettivo principale di entrambe le proposte di direttiva, ovvero garantire il più ampio accesso possibile al mercato dei servizi portuali erogati in ciascun porto, non assume carattere prioritario nell’attuale contesto della portualità europea11. Infatti, non è comprovata la presenza di alcuna barriera, nei confronti dei vettori marittimi, al libero utilizzo delle infrastrutture portuali comunitarie12; 10. Cfr. M. TRANCHIDA, Regimi proprietari, assetti gestionali e finanziamento pubblico dei porti dell’Unione Europea, Bologna, 2007, p.3. 11 Per una analisi comparativa della disciplina dei servizi portuali adottata dai Paesi dell’Unione Europea, v. E. ORRÙ, La disciplina dei servizi portuali degli Stati membri dell’Unione europea - Un’analisi comparativa, Libreria Bonomo Editore, Bologna, 2005, p. 320. 12 Negli sporadici episodi in cui una simile situazione si è verificata, da una parte, sussisteva la coincidenza tra soggetto proprietario e/o gestore dell’infrastruttura e vettore marittimo, il quale tra l’altro risultava essere direttamente o indirettamente – ossia per il tramite di una propria collegata o controllata – concorrente della compagnia di navigazione a cui l’accesso era negato, ed inoltre la distorsione concorrenziale veniva, efficacemente ed in tempi brevi, fatta cessare dalla diretta applicazione delle norme antitrust comunitarie. A. 13.

(14) inoltre, l’esistenza di un unico modello organizzativo che prevede nei porti europei una pluralità di imprese, concorrenti tra loro per qualsiasi tipologia di servizio, è palesemente smentita dal fallimento del “mercato”13. rispetto. all’erogazione di determinati servizi portuali, segnatamente quelli di interesse economico generale, relativamente ai quali rimane fondamentale l’attività di regolazione espletata dagli Stati membri a norma dell’articolo 106 TFUE. La questione della reale necessità di una normativa comunitaria in materia di accesso ai servizi portuali risulta dunque de jure condendo. È invece ampiamente. auspicabile. un’armonizzazione. delle. discipline. giuridiche. nazionali concernenti altri aspetti della portualità14.. titolo di esempio, si citano il caso c.d. “Porto di Rødby” (Decisione della Commissione del 21 dicembre 1993, in GUCE n. L 055 del 26 febbraio 1994, pp. 0052-0057) e la decisione della Commissione europea Sea Containers/Stena Sealink (Decisione della Commissione del 21 dicembre 1993, in GUCE n. L 015 del 18 gennaio 1994, pp. 0008-0019). 13 Cfr. E. MUSSO., La regolazione del settore portuale, in AA.VV., La portualità del 2000, Taranto, 2003, Fondazione Ammiraglio Michelagnoli, pp. 193-213. In particolare, l’Autore sostiene l’opportunità dell’intervento, attraverso il finanziamento ed il controllo o la gestione diretta, del soggetto pubblico – dati i market failures registratisi – nella amministrazione dei servizi portuali caratterizzati dall’esigenza dell’accessibilità da parte della collettività e della continuità nell’erogazione; segnatamente, si tratta dei servizi c.d. di interesse generale e dei servizi tecnico-nautici. 14 Cfr. L. LUNGHI, Il sistema portuale italiano: vincoli ed opportunità, Roma, 2011, p. 83.. 14.

(15) 1.2 I fattori che rendono opportuna l’omogeneizzazione delle normative nazionali in materia di porti. Le due proposte di direttiva esaminate mettono in luce le differenze attualmente esistenti riguardo ai regimi proprietari e agli assetti gestionali dei porti dei differenti Stati membri. In particolare, emerge la non uniforme affermazione del principio di obbligatoria separazione tra amministrazione del porto e svolgimento delle attività economiche, con particolare riferimento alle operazioni portuali15. La citata problematica rappresenta uno dei principali fattori di distorsione nell’accesso alle infrastrutture portuali da parte delle imprese interessate16. Al riguardo, si evidenzia che l’orientamento della politica economica europea lascia poco spazio alla commistione tra attività di regolazione/gestione e attività economica. Infatti, l’articolo 106 del TFUE stabilisce che l’attribuzione di diritti speciali o esclusivi per le imprese di gestione di servizi di interesse economico generale è consentita nei limiti della missione loro affidata e purché ciò non costituisca violazione delle norme del Trattato. L’obiettivo perseguito è la parità di trattamento per ogni concorrente che vuole accedere al mercato portuale, con particolare riferimento alle possibili discriminazioni tra imprese. Tale concetto di discriminazione si applica non solo rispetto alle restrizioni della concorrenza nei confronti di imprese stabilite in altri Stati membri, ma anche rispetto a imprese nazionali, magari soggette a un regime giuridico diverso. Per conseguire lo scopo, si è proceduto attraverso le privatizzazioni, con la trasformazione degli enti pubblici in società per azioni e il successivo passaggio di proprietà delle azioni dallo Stato ai privati. Evidentemente, i presupposti necessari sono la separazione tra attività in “monopolio naturale” e attività di natura imprenditoriale, nonché la costituzione di autorità pubbliche 15. Come si vedrà in maniera approfondita nel prosieguo, in Italia tale impostazione è stata recepita con l’entrata in vigore della legge di riforma del sistema portuale. 16 Cfr. M. TRANCHIDA, Regimi proprietari, assetti gestionali e finanziamento pubblico dei porti dell’Unione Europea, cit., p.5.. 15.

(16) cui è affidato il compito di controllare i prezzi dei servizi e di proteggere gli utenti. Emerge quindi come la separazione debba essere considerata sotto un duplice profilo: separazione tra ente regolatore e impresa esercente l’attività economica; separazione tra impresa che esercita l’attività beneficiaria di diritti speciali o esclusivi in ragione della non concorrenzialità del servizio e imprese operanti in mercati contigui e liberamente accessibili. Quanto al primo aspetto, l’incompatibilità, rispetto agli articoli 101 e 102 del TFUE, della concentrazione in capo al medesimo soggetto di funzioni di regolazione ed imprenditoriali è stata costantemente affermata dalla CGCE17. In merito, si precisa che la separazione necessaria appare non essere soddisfatta se attuata solamente dal punto di vista contabile perché, come sottolineato ripetutamente dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, ciò non sembra sufficiente a garantire una adeguata trasparenza. Ergo, è necessaria una separazione reale, soprattutto alla luce della nozione di impresa, qualificata come “qualsiasi entità autonoma che eserciti una attività economicamente rilevante”18: la separazione contabile non crea certo due entità separate. A livello interno, l’attuazione del principio di cui trattasi si è avuta grazie all’intervento della suddetta Autorità Garante la quale, nel noto caso “Provveditorato al porto di Venezia”19, ha sostenuto che un ente che regola 17. V., sull’art. 101 TFUE: Corte giust., sentenza del 21 settembre 1988, Van Eycke, causa C-267/86, in Racc. 1988, p. 4769; Corte giust., sentenza del 17 novembre 1993, Bunesanstalt für den Güterfernverkher c. Gebr. Reiff GmbH & Co. KG, causa C-185/91, in Racc. 1993, p. I-05801; Corte giust., sentenza del 9 giugno 1994, Repubblica federale di Germania c. Delta Schiffahrts und Speditionsgellschaft mbH, causa C-153/93, in Racc. 1994, p. I-02517; Corte giust., sentenza del 5 ottobre 1995, Centro Servizi Spediporto Srl c. Spedizioni Marittima del Golfo Srl, causa C-96/94, in Racc. 1995, p. I-02883. V. sull’art. 102 TFUE: Corte giust., sentenza del 16 novembre 1977, SA G.B.-Inno-B.M. c. Association des détaillants de tabac (ATAB), causa C-13/77, in Racc. 1977, p. 2115. 18 Sul punto, v. M. NOTARI, La nozione di controllo nella disciplina antitrust, Milano, 1996. 19 Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Provvedimento n. 3211 del 4 agosto 1995, A85-Nuova Italiana Coke/Provveditorato Porto di Venezia. In sintesi, la Nuova Italiana Coke Srl aveva segnalato all’Autorità i comportamenti tenuti dal Provveditorato al Porto di Venezia, consistenti nell’impedire alle navi di tale società le operazioni di imbarco e sbarco di merci presso i propri moli in concessione, con conseguente obbligo, per le medesime navi, di servirsi dei servizi di imbarco e sbarco merci forniti in proprio dal Provveditorato al Porto di Venezia e nell’ingiustificato rifiuto, da parte di quest’ultimo, a fronte della richiesta della Nuova Italiana Coke Srl e di altre società, di autorizzare l’esercizio di attività portuali.. 16.

(17) l’accesso a un dato mercato e allo stesso tempo vi esercita attività d’impresa è inquadrabile nella nozione di impresa in posizione dominante di cui all’articolo 3 della Legge n. 287 del 199020. Ora, se la separazione tra ente regolatore e attività di impresa è un obbligo desumibile in via implicita dalle disposizioni di cui al citato articolo 3 della Legge n. 287 del 1990 e all’articolo 102 del TFUE, l’obbligo di separazione tra la gestione di servizi di interesse generale e lo svolgimento di servizi aperti alla concorrenza è esplicitamente previsto dall’articolo 8, comma 2-bis, della stessa Legge. In questo caso, l’obiettivo è quello di evitare che i vantaggi di cui l’impresa gode, grazie alla esclusività del servizio di interesse economico generale, siano sfruttati per avvantaggiare la stessa impresa anche nei mercati contigui aperti alla concorrenza. Nello specifico, la disposizione di legge in esame stabilisce che le imprese che esercitano la gestione di servizi di interesse economico generale ovvero operano in regime di monopolio sul mercato, ove intendano svolgere attività in mercati diversi, debbano operare mediante società separate21. Nella seconda proposta di direttiva europea sui servizi portuali, presentata nel settembre 2004, di cui al precedente paragrafo, viene anche sollevata la problematica relativa alla mancanza di chiarezza dei rapporti attualmente intercorrenti, da una parte, tra Stati, Autorità portuali e/o municipalità e, dall’altra, tra concessionari delle infrastrutture portuali e/o terminalisti, con il rischio di potenziali distorsioni della concorrenza, attraverso l’erogazione di illeciti aiuti di Stato22, nelle singole realtà portuali europee. Nello specifico, si 20. Nel caso di specie, il Provveditorato era contemporaneamente il principale operatore del mercato delle operazioni per il traffico commerciale nei porti di Venezia e Porto Marghera e determinava inoltre le condizioni per l’accesso allo stesso mercato e le modalità di svolgimento dell’attività delle imprese autorizzate. L’esercizio di tali poteri di regolazione conferiva all’ente in parola la possibilità di tenere comportamenti alquanto indipendenti dai suoi concorrenti, il che si traduceva inevitabilmente nel concetto di abuso di posizione dominante. 21 Sul punto, cfr. D. MARESCA, La disciplina giuridica delle infrastrutture portuali. Assetti istituzionali e regolazione del mercato tra diritto interno e diritto dell’Unione Europea, Torino, 2012, Giappichelli Editore. 22 La nozione di aiuto di stato, ai sensi dell’articolo 107 TFUE, comprende qualsiasi vantaggio economico attribuito ad un determinato o più determinati beneficiari. La Corte di giustizia ha già avuto modo di affermare. 17.

(18) fa riferimento alla previsione di obbligatorie procedure concorsuali ad evidenza pubblica per l’assegnazione in esclusiva di infrastrutture portuali, nonché all’imposizione di termini ragionevoli di durata delle relative concessioni23. Un aspetto particolarmente delicato è quello relativo alla compensazione per l’attività e per gli obblighi connessi ai servizi di interesse economico generale24, che può assumere svariate forme25, e rischia di costituire elemento di distorsione della concorrenza. In particolare, con la nota sentenza Altmark del 24 luglio 2003, la Corte di Giustizia, interpretando l’articolo 106 del TFUE, ha stabilito che le compensazioni degli obblighi del servizio pubblico sono legittime e non costituiscono né aiuto di Stato né che il concetto di aiuto è non solo comprensivo di quello di sovvenzione, ma addirittura più ampio, dato che esso si riferisce anche agli interventi i quali, in varie forme, alleviano gli oneri che normalmente gravano sul bilancio di un’impresa e che di conseguenza, senza essere sovvenzioni in senso stretto, ne hanno la stessa natura e producono identici effetti (cfr. Corte giust., sentenza del 15 marzo 1994, causa C-387/92, banco Exterior de España SA c. Ayuntamiento de Valencia, in Racc., 1994, p. I-00877). Ad esempio, secondo la Corte di giustizia, la concessione da parte di uno Stato membro o di un ente da esso controllato di una tariffa fissata ad un livello inferiore a quello che di regola sarebbe stato stabilito, può essere qualificata come aiuto. Per contro, non costituisce aiuto una tariffa preferenziale che, nel contesto del mercato di cui trattasi, sia obiettivamente giustificata da motivi economici, quali la necessità di lottare contro la concorrenza esercitata su questo mercato (in tal senso, v. Corte giust., sentenza del 29 febbraio 1996, causa C-56/93, Regno del Belgio c. Commissione delle Comunità europee, in Racc., 1996, p. I-00723). Inoltre, affinché l’aiuto sia considerato illegittimo, la sua origine deve essere pubblica, a prescindere dall’effettivo organismo pubblico o privato che emette l’erogazione. Al riguardo, v. Corte giust., sentenza del 21 marzo 1991, causa C-305/89, Repubblica italiana c. Commissione delle Comunità europee, in Racc., 1991, p. I-01603, secondo cui “per stabilire se un aiuto possa essere qualificato come aiuto di Stato, non si deve distinguere tra le ipotesi in cui l’aiuto sia concesso direttamente dallo Stato e quelle in cui l’aiuto sia concesso da enti pubblici o privati che lo Stato istituisce o designa per la gestione dell’aiuto”. Quanto invece alla forma di emissione, questa non ha rilevanza, potendo consistere tanto in un atto proveniente dalla pubblica autorità (p.es., legge o provvedimento amministrativo) quanto in un contratto privato, purché all’origine vi sia un provvedimento pubblico. Nella valutazione della misura, assumono preminente importanza gli effetti anticoncorrenziali che ne sono la conseguenza. Questi ultimi hanno infatti una importanza superiore rispetto alle finalità della sovvenzione, dal momento che “l’articolo 92, n. 1 (ora 107 TFUE), non distingue gli interventi a seconda della loro causa o del loro scopo, ma li definisce in funzione dei loro effetti” (in questi termini si esprime Corte giust., sentenza del 2 luglio 1974, causa 173/73, Repubblica italiana c. Commissione delle Comunità europee, in Racc., 1974, p. 7099). Tali effetti devono avere incidenza sugli scambi tra Stati membri. Al riguardo, si consideri che “la condizione per l’applicazione dell’articolo 92, n. 1, del Trattato (ora 107 TFUE), in base alla quale l’aiuto deve essere tale da incidere sugli scambi tra Stati membri, non dipende dalla natura locale o regionale dei servizi di trasporto forniti o dall’importanza del settore di attività interessato, giacché, quando uno Stato membro concede una sovvenzione pubblica a un’impresa, la fornitura di servizi di trasporto da parte di questa può risultarne incrementata, con la conseguenza che le possibilità delle imprese aventi sede in altri Stati membri di fornire i loro servizi di trasporto sul mercato di tale Stato membro ne risultano diminuite (v. Corte giust., sentenza del 24 luglio 2003, causa C-280/00, Altmark Trans GmbH e Regierungspräsidium c. Nahverkehrsgesellschaft Altmark GmbH). 23 Sul tema, v. C. THEYS, T. NOTTEBOOM, The economics behind terminal concession duration in seaports in Atti della conferenza IAME, Copenhagen, 2009. 24 Di cui si dirà in seguito. 25 Come il caso in cui si prevedono contributi obbligatori per legge o atto amministrativo, o il rilascio di concessioni o licenze o altri diritti speciali ed esclusivi senza procedere a gara.. 18.

(19) rafforzamento. di. una. posizione. dominante,. purché. siano. contemporaneamente rispettati i seguenti quattro criteri: a) l’impresa beneficiaria deve essere effettivamente incaricata dell’adempimento di obblighi di servizio pubblico e detti obblighi devono essere stabiliti in modo chiaro, con durata definita; b) i parametri in base ai quali viene calcolata la compensazione devono essere preventivamente determinati, con obiettività e trasparenza; c) la compensazione non può superare l’importo necessario per coprire in tutto o parzialmente i costi originati dall’adempimento degli obblighi di servizio pubblico, considerando i relativi introiti ed un ragionevole margine di utilità; d) quando la scelta dell’impresa da incaricare dell’adempimento di obblighi di servizio pubblico non venga effettuata nell’ambito di una procedura di appalto pubblico che consenta di selezionare il candidato in grado di fornire i servizi al costo minore per la collettività, il livello della necessaria compensazione deve essere determinato sulla base dell’analisi dei costi che un’impresa media, gestita in modo efficiente ed adeguatamente dotata di mezzi di trasporto, avrebbe dovuto sostenere26.. 26. Cfr. P. COSTA, M. MARESCA, Il futuro europeo della portualità italiana, Marsilio Editori s.p.a., Venezia, 2013.. 19.

(20) 2. I regimi proprietari dei porti europei. Con riguardo al regime giuridico relativo alla proprietà delle infrastrutture portuali, il TFUE, a norma dell’articolo 345, in ossequio al principio di neutralità, lascia impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati membri. Si tratta, in effetti, di un’impostazione classica del diritto comunitario, adottata in tutte quelle circostanze in cui il legislatore europeo preferisce occuparsi del fine, lasciando agli ordinamenti degli Stati la scelta sul mezzo e dunque, in questo caso, anche sul regime di proprietà. Pertanto, a livello europeo, si potranno avere, indistintamente, porti pubblici, appartenenti allo Stato, come parte del demanio marittimo – nella maggior parte dei Paesi latini – ed anche agli Enti locali oppure, al contrario, porti di proprietà di soggetti privati, come nel caso inglese27. Nei Paesi dell’Unione Europea in cui lo Stato o l’Ente locale è proprietario delle infrastrutture e gestisce direttamente anche le attività commerciali, in particolare provvedendo ad erogare i servizi portuali, come nel caso della Francia, si procede, tuttavia, solitamente, a costituire soggetti imprenditoriali distinti, con forma giuridica privatistica ed autonoma contabilità28. Tale fenomeno è comunemente denominato “corporatisation”, in contrapposizione a quello della c.d. “commercialisation”, che si verifica quando il soggetto pubblico, proprietario e gestore dell’infrastruttura portuale, al fine di orientarsi in maniera più efficiente al mercato, procede ad una riforma dei processi 27. Sul regime giuridico dei porti, v. anche: G. FALZEA, Porto e funzione portuale, Milano, 1998; D.M. TRAINA, Porti, in Trattato di diritto amministrativo europeo (a cura di M.P. CHITI e G. GRECO), II, Milano, 1999, p. 975 ss.; G. SIRIANNI, I porti marittimi, in Trattato di diritto amministrativo a cura di S. CASSESE Milano, 2000; G. PERCU, voce Porto (navigazione marittima), in Enc. del diritto; G. D’ANIELLO, Voce Porti in Enc. Giur. Treccani; S. ZUNARELLI, Lezioni di diritto della navigazione, Bologna, 2002, p. 5 e ss.; D. URANIA GALETTA, M. TRAINA, Trasporti marittimi e porti, in M.P. CHITI e G. GRECO (diretto da), Trattato di diritto amministrativo europeo, Parte speciale, Tomo IV, Milano, 2007, p. 2111. 28 V.: A. VIGARIÉ, Ports de commerce et vie littorale, Paris, Hachette, Coll. Université, 1979; G. BECCANTINI, Le district marshallien: une notion économique, in Les régions qui gagnent, Paris, PUF, 1992; C. CHEDOT – L. LEVEQUE, Les activités maritimes et portuaires de la région havraise, une dynamique économique liée aux échanges internationaux, in Les cahiers d’Aval, INSEE, Rouen, septembre 2004; C. CHEDOT – L. LEVEQUE, Cluster portuaire et localisation de la décision dans les activités maritimes et portuaires: quelques enseignements de l’exemple havrais. Texte de la communication au colloque de la commission de Géographie des Transports, Le Havre, Septembre 2010.. 20.

(21) decisionali, dei meccanismi di selezione e formazione del management, ristrutturando ed ottimizzando i propri obiettivi economici ed il proprio sistema di controlli, senza, tuttavia, costituire una società di capitali ad hoc29. Nei porti completamente privati, invece, sia la proprietà degli assets che la produzione dei servizi risulta essere in capo a soggetti privati. Il terminalista acquista, pertanto, l’area portuale su cui intende impiantare la propria attività direttamente dal proprietario privato della stessa. La pianificazione economica ed anche territoriale dell’area risulta, pertanto, di specifica competenza dell’impresa privata, la quale dovrà solo rispettare la pianificazione territoriale generale. Il controllo sull’attività portuale svolta sarà quello tipico del contesto industriale, ovvero l’andamento dei titoli di borsa, la verifica dei risultati economici da parte di azionisti o soci, eccetera. Infine, in alcuni Paesi dell’Unione Europea, esistono porti “ibridi”, dove la proprietà dell’area e delle infrastrutture portuali è pubblica, mentre la produzione dei servizi portuali è gestita da imprese private: trattasi dei cosiddetti Landlord Ports30.. 29 Cfr. E. MUSSO, La regolazione del settore portuale, cit., p. 206. 30 V.: A.J. BAIRD, Port Privatisation, Objectives, Extent, Process, and the United Kingdom Experience”, th Napier University, Edinburgo, 4 World Port Privatisation Conference, Londra, 22-24 settembre 1999; K.H. HOLOCHER, Port Management Textbook, volume 1, Brema, 1990; S., R. & P. TURNBULL, Private profit, public loss: The financial and economic performance of U.K. ports in Maritime Policy Management, 1997; UNCTAD (United Nation Conference on Trade and Development – 1998): Guidelines for Port Authorities and Governments on the Privatization of Port Facilities.. 21.

(22) 2.1. Le relazioni tra il regime proprietario e l’efficienza portuale. Se l’Unione Europea si è dimostrata indifferente rispetto al regime proprietario del porto, in dottrina si è sviluppato un acceso dibattito relativamente all’esistenza di una correlazione con l’efficienza dello scalo. In questo caso, l’analisi della prassi porta a rivedere alcune opinioni sulla gestione pubblica, spesso valutata negativamente a priori. Emblematico è l’esempio del porto di Singapore, interamente in mano pubblica, che, pur collocandosi evidentemente al di fuori del contesto europeo, sembra sostenere l’argomento in base al quale il successo di un’impresa portuale si fonda non tanto sul suo assetto proprietario, quanto su di una gestione dell’infrastruttura e delle attività orientata al. mercato e. caratterizzata da obiettivi economici chiari, elevate capacità manageriali dei vertici e trasparenza delle procedure contabili31. Un ulteriore, rilevante, fattore discriminante è la tipologia di approccio gestionale, che può essere politico (quindi imperniato su criteri di equa distribuzione dei costi e dei benefici), ovvero tecnocratico (vale a dire concentrato sull’efficienza e sull’efficacia della produzione del servizio). La prima fattispecie, storicamente propria dei porti pubblici, pur essendo fondata su obiettivi politici di diffusa condivisione, manca di capacità decisionale incisiva circa l’allocazione delle risorse e produce output difficilmente controllabili, spesso mancando di garantire il raggiungimento dei livelli di produttività ed innovazione richiesti dai mutamenti strutturali dell’economia marittima. La seconda tipologia, tipica degli scali privati, ha obiettivi (e quindi risultati) facilmente valutabili in termini di redditività e sviluppo. 31. V.: C. YAP, A Port’s Story, A Nation’s Success, Times Edition for Port of Singapore Authority, Singapore, 1990; D. HO, The Seaport Economy: A Study of the Singapore Experience, Singapore University Press, Singapore; 1996; J. TONGZON, Key Success Factors for Transshipment Hubs: The Case of the Port of Singapore, presentato in occasione di IAME Annual Conference, Hong Kong, 2001; J. DANAM, PSA: Full Ahead, PSA Corporation, Singapore, 2003; PAN JU GEK, Ship Financing in Singapore, MSc in Maritime Economics and Logistic Thesis, Erasmus University, Rotterdam, 2006; Association of Singapore Marine Industries, Singapore Maritime Foundation To Promote Singapore as Leading International Maritime Centre.. 22.

(23) Alla luce delle sopra esposte considerazioni, sembra emergere che sia più importante incidere sull’assetto gestionale, anziché sul regime proprietario di un porto. Corporatisation e Commercialisation potrebbero, dunque, essere valide alternative alla privatizzazione, nell’ottica di imporre un modello gestionale tecnocratico anziché politico32. Peraltro, una effettiva privatizzazione, nel senso di mutamento degli orientamenti di gestione, non si realizza con il mero trasferimento di quote societarie o di pacchetti azionari, poiché, ad esempio, la società potrebbe continuare ad essere controllata da soci pubblici, qualora essi detenessero più del 50% del capitale o dell’effettivo potere di controllo. Invece, è necessario che al gestore portuale privato venga conferito effettivo potere decisionale. In altri termini, è la differenza esistente tra una privatizzazione solo formale ed una privatizzazione invece sostanziale. Tuttavia,. non. può. sottacersi. che. i. porti. rivestono. inevitabilmente. un’importante funzione politica, con primario riferimento al governo del territorio, in cui rientrano fondamentali scelte di destinazione d’uso relative a beni pubblici come le coste e l’ambiente33. Gli stessi porti, inoltre, sono fondamentali per lo sviluppo economico della regione nella quale sono situati. In una prospettiva di futura regolamentazione uniforme a livello comunitario sembra, dunque, maggiormente corretto, oltre che realistico, distinguere gli obiettivi di politica territoriale ed economica da quelli di efficienza operativa, individuando a livello istituzionale differenti soggetti competenti. Sarebbe, difatti, auspicabile che si procedesse all’introduzione di un modello gestionale dei porti europei nel quale alle Autorità portuali, rappresentanti della collettività nazionale e locale – a prescindere dal regime proprietario – 32. Cfr. M. TRANCHIDA, Regimi proprietari, assetti gestionali e finanziamento pubblico dei porti dell’Unione Europea, cit., p.8. 33 V. E. MUSSO - H. GHIARA, Ancorare i porti al territorio. Dai traffici alla marittimizzazione, Milano, 2007.. 23.

(24) venissero attribuite funzioni e responsabilità di pianificazione territoriale, di regolamentazione e controllo dell’uso delle aree e delle attività svolte all’interno dello scalo e di promozione dello sviluppo economico, mentre agli operatori privati fosse imposto di perseguire l’efficienza aziendale ed il massimo profitto nell’espletamento dei servizi commerciali, con il solo vincolo del rispetto degli orientamenti dettati dall’ente gestore.. 24.

(25) 3. I modelli di gestione attuati nei porti europei. Come per i regimi proprietari, anche per i modelli gestionali emergono sostanziali differenze tra i porti europei. Si va da porti con una forte presenza di poteri pubblici a scali gestiti interamente da soggetti privati, con un’evoluzione che è andata di pari passo con quella dei mercati34. Similmente a quanto avvenuto con i grandi assi ferroviari, realizzati nel XIX secolo prevalentemente grazie all’impulso ed al finanziamento privato e poi successivamente nazionalizzati all’inizio del XX secolo, anche i porti sono stati ricondotti sotto l’ala pubblica nel secolo scorso, alla luce del generale riconoscimento della loro importanza strategica nazionale. Al contrario delle ferrovie, tuttavia, la competitività del settore portuale è cresciuta in maniera significativa nel 1900, in particolare per alcune tipologie di traffico, grazie all’innovazione tecnologia ed alla conseguente standardizzazione dei sistemi di trasporto intermodale e di movimentazione delle merci, con una decisiva riduzione dei costi connessi alle rotture di carico, che ha innalzato l’efficienza del trasporto marittimo. I porti sono stati quindi investiti da spinte concorrenziali di carattere regionale (fenomeno. denominato. yardstick. competition),. perdendo. tuttavia. gradualmente la propria connotazione locale, in parallelo allo sviluppo di notevoli. capacità. di. networking. orizzontale. 34. e. verticale,. ovvero. di. V.: R.O. GOSS, Economic policies and seaports: Are port authorities necessary?, Maritime Policy and Management, 1990, pp. 257-271; E. VAN HOOYDONK, The regime of port authorities under European law – EU Law of Ports and Port Services and the Ports Package, Maklu, Anversa/Apeldoorn, 2002; P. VERHOEVEN, Euopean port policy: meeting contemporary governance challenges, Maritime Policy and Management, 2009, pp. 79-101; R. BALTAZAR – M.R. BROOKS, Port governance, devolution and the matching framework: a configuration theory approach, in Devolution, port governance and port performance, Elsevier, Amsterdam, 2007, pp. 379-403; Institute of Shipping and Logistics, Public financing and changing practices of the seaports in the EU, ISL, Brema, 2006; ESPO (European Sea Ports Organization), European Port Governance: report of an enquiry into the current governance of European Sea Ports, 2010; P. VERHOEVEN, European Port Governance, Report of an enquiry into the current governance of European seaports, EPSO, 2011, p. 110.. 25.

(26) coordinamento con gli attori chiave della realtà portuale e di collegamento con il retroporto35 e le altre modalità di trasporto. Ad ogni modo, in considerazione della tendenziale bivalenza delle attività svolte nei porti, che vanno da quelle di tipo strettamente pubblicistico, inerenti la. sicurezza. dell’approdo,. l’ampliamento. e. la. manutenzione. delle. infrastrutture, la concessione di aree demaniali, a quelle di carattere più prettamente privatistico, le Autorità portuali europee – a prescindere dallo status giuridico di soggetto pubblico o privato loro assegnato nei singoli ordinamenti – presentano di norma una natura sostanzialmente “mista”, caratterizzata da elementi propri sia dell’ente pubblico che dell’impresa36. Sebbene non esista un modello organizzativo unitario, è comunque possibile individuare, in linea di principio, quattro tipologie di Autorità portuali, a cui ricondurre gli “Enti portuali” operanti negli Stati membri, che comunque presenteranno spesso tratti peculiari di ciascuna delle figure di seguito elencate. Una prima tipologia è identificabile con il Landlord Port: l’ente di gestione è responsabile della valorizzazione del territorio e provvede, pertanto, alla realizzazione delle infrastrutture (banchine, zone di parcheggio, di carico e di scarico delle merci), affidando ai privati l’esclusiva gestione dei traffici e dei servizi portuali accessori agli stessi37. Tale è il modello gestionale introdotto dalla Legge di riforma dell’ordinamento portuale italiano (Legge 28 gennaio 1994, n. 84). Le Autorità portuali italiane, infatti, gestiscono l’infrastruttura. 35. Il retroporto è una struttura di continuità territoriale, dove uffici doganali, sanitari nonché operatori ed autorità di regolazione, configurano una specie di “allungamento del porto”, con funzioni ausiliarie rispetto alle operazioni prettamente portuali. In tale ambito, possono essere svolte attività che rendono più fluida ed efficiente l’operatività in area portuale. Si pensi ad operazioni di pre-imbarco all’export e di varia natura in import, quali la sosta prolungata di una merce containerizzata in attesa di essere venduta, la sosta di container sottoposti a speciale regime di controllo, il deposito dei vuoti, le riparazioni, il ricovero di merci con arrivo concentrato in alcuni picchi stagionali e così via. Il retroporto è quindi un sito ubicato in prossimità dell’area portuale e con esso ben collegato, per non incidere pesantemente sui costi di trasferimento. 36 V. S.M. CARBONE, F. MUNARI, La disciplina dei porti tra diritto comunitario e diritto interno, cit., p. 134. 37 Per una illustrazione del modello, V.: T. NOTTEBOOM, Concession agreements as port governance tools, in Transportation Economics, 2007, Vol. 17, pp. 437–455; T. NOTTEBOOM, P. VERHOEVEN, The awarding of seaport terminals to private operators: European practices and policy implications, in European Transports/Trasporti Europei, Trieste, Agosto 2010, p. 85.. 26.

(27) portuale, che fa parte del demanio marittimo statale, affidando la gestione delle operazioni e dei servizi portuali a soggetti privati mediante il rilascio di concessioni o di autorizzazioni. Tale modello di gestione appare il più idoneo a consentire il rispetto delle connotazioni pubblicistiche dell’infrastruttura, permettendo al contempo la valorizzazione dei segmenti di mercato operativi nell’ambito dello scalo e, dunque, di meglio contemperare i vari interessi in gioco, nella prospettiva del massimo sviluppo portuale38. Questa impostazione è rinvenibile, essenzialmente, nel sistema portuale nord europeo (Rotterdam e Anversa) ed in quello asiatico (Singapore). Una seconda tipologia viene indicata come Tool Port: l’ente di gestione si occupa, oltre che della creazione, anche dell’utilizzo delle infrastrutture, erogando servizi accessori. Tale modello è applicato soprattutto negli Stati Uniti d’America (Los Angeles e Seattle). Una terza tipologia è l’Operative o Service Port: il porto resta completamente in mano pubblica; l’ente di gestione provvede, altresì, a gestire e svolgere le operazioni portuali. È il caso, ancora oggi, di molti porti dei paesi dell’Europa dell’est, quale retaggio dei regimi comunisti. Una quarta tipologia viene definita Company Port: il porto è interamente privatizzato, come nell’esperienza del Regno Unito. In conclusione, deve rilevarsi come, nella maggior parte dei Paesi dell’Unione europea, ad eccezione della Gran Bretagna, al bene porto venga riconosciuta natura pubblica, il che trova fondamento, in primis, nella strategicità economica del settore, a livello nazionale e locale.. 38. V. T. NOTTEBOOM, The relationship between seaport and intermodal hinterland in light of global supply chains, OECD Discussion Paper N. 2008/10; T. NOTTEBOOM, J.P. RODRIGUE, “Port regionalization: towards a new phase in port development”, Maritime Policy & Management, 2005, vol. 32 n. 3.. 27.

(28) Di recente, tuttavia, viene messa in discussione la capacità competitiva degli scali marittimi europei, sulla base delle differenti caratteristiche intrinseche del “fare impresa” in ambito pubblico, rispetto al privato. L’allarme, segnatamente, è stato lanciato dalla Corte dei Conti francese che, in un articolato rapporto, ha segnalato come in Europa i porti che si connotano per l’assunzione di un modello gestionale spiccatamente pubblico, tenderebbero a perdere quote di mercato39. Concordemente, è stato osservato in dottrina che nel Vecchio continente i porti più efficienti in termini di sfruttamento dell’infrastruttura risultano essere quelli inglesi40. Pur potendosi citare, in segno opposto, il caso del più grande porto del mondo, Singapore, interamente in mano pubblica, è senza dubbio condivisibile l’opinione in base alla quale l’innovazione, la flessibilità e la capacità di reagire in tempi rapidi alle mutate condizioni di mercato tipiche del settore privato sono caratteristiche ineludibili nella prospettiva di assicurare adeguata competitività ai porti europei. Il raggiungimento di tale obiettivo può coesistere con gli interessi pubblici legati agli scali marittimi, tuttavia è auspicabile un quadro differente rispetto a quello attuale, almeno per quanto concerne l’autonomia strutturale e finanziaria degli enti di gestione portuale. A questo punto, appare appropriato introdurre una riflessione in ordine al regime demaniale e alle relative implicazioni, in termini di competitività. In particolare, risale alla metà dell’800 l’idea, affermatasi poi nelle legislazioni codicistiche. dell’Europa. meridionale,. secondo. cui. vi. sono. beni. intrinsecamente volti all’interesse pubblico, che il Paese dichiara inalienabili perché ne sia preservata la destinazione. Tale visione produce due effetti significativi. 39. Cour des Comptes, Les ports français face aux mutations du transport maritime: l’urgence de l’action, 2006, Juillet. 40 K. CULLINANE, D. W. SONG, Estimating the Relative Efficiency of European Container Ports: A Stochastic Frontier Analysis, in Port Economics Research in Transportation Economics, 2006, Vol. 16, pp. 85-115.. 28.

(29) In primo luogo, avviene che chi diventa titolare di una concessione demaniale marittima tende a considerare il bene come cosa propria, per la durata della concessione, utilizzandolo quindi non come strumento del servizio pubblico, bensì come strumento della propria impresa. Al riguardo, basti pensare al caso della gestione di terminal marittimi, dove il concessionario certo non si prefigge di servire la collettività, bensì di perseguire un interesse privato che solo in modo indiretto ed eventuale coincide con quello pubblico. Inoltre, non di rado, viene richiesta successivamente la sclassifica del bene tratto in concessione, ai sensi dell’articolo 35 del Codice della navigazione. In secondo luogo, occorre considerare la criticità rappresentata dal congelamento del bene oggetto del provvedimento di concessione: il regime demaniale vigente nel nostro Paese ostacola la messa in circolo di quei beni per integrare reti di trasporto internazionali – con l’apertura ai traffici e ai mercati che ciò comporta – andando quindi a costituire un elemento di svantaggio competitivo rispetto ad altri Stati. Tuttavia, si osserva che la disciplina di cui al Codice della navigazione presenta degli aspetti di flessibilità che, rispetto al Codice dei contratti, garantiscono maggiormente la promozione dei traffici marittimi, aspetto che infatti, nella valutazione comparativa prevista dall’articolo 37 del Codice della navigazione, assume un ruolo preminente. Ciò non toglie, però, che si possa scegliere un diverso approccio, consistente nella sdemanializzazione delle aree portuali, onde permettere allo Stato di partecipare alla realizzazione delle infrastrutture di alimentazione integrali di sistema. Nello specifico, le aree portuali potrebbero essere assegnate all’Autorità portuale che, ponendo le dovute garanzie di neutralità, imparzialità e professionalità, assumerebbe la veste di una significativa realtà finanziaria/immobiliare a controllo pubblico, incaricata degli investimenti sulla rete, finanziando infrastrutture di coesione. Di contro, vi è chi osserva che una tale opzione ridurrebbe il presidio di garanzia della pubblicità che 29.

(30) riguarda il demanio, con l’abbandono della possibilità, per le Autorità portuali, di controllare l’utilizzo delle aree in virtù di poteri autoritativi ed il conseguente pericolo che in futuro aree attualmente asservite alla portualità vengano privatizzate per svolgere funzioni diverse, anche alla luce del fatto che un uso industriale o commerciale ben può remunerare meglio rispetto all’uso portuale logistico. In altri termini, il passaggio dal regime demaniale al regime privatistico di una parte delle aree portuali, se da un lato potrebbe determinare il rischio del non perseguimento delle finalità pubblicistiche, dall’altro aprirebbe nuove possibilità per una gestione più flessibile delle aree stesse, abilitando l’esercizio di attività produttive all’interno del porto non più mediante le tradizionali concessioni demaniali, ma attraverso veri e propri contratti di diritto privato41.. 41. Peraltro, esistono strumenti normativi atti a vincolare l’uso delle aree, come l’imposizione di specifici vincoli o destinazioni di utilizzo (Cfr. P. COSTA, M. MARESCA, Il futuro europeo della portualità italiana, cit., pp. 191-194).. 30.

(31) 3.1 La separazione tra attività di regolazione e attività di impresa. Nel rispetto del principio di separazione tra attività di regolazione42 ed attività di impresa, che deriva dalla normativa comunitaria relativa al settore dei trasporti, l’ “Ente Portuale”, che è preposto alla gestione di un’infrastruttura essenziale – mediante la quale vengono svolte attività di rilevanza pubblicistica ed erogati servizi di interesse generale – non può, in linea di principio, erogare direttamente servizi commerciali, dovendo limitarsi alla gestione, sviluppo e manutenzione dell’infrastruttura, garantendo un equo accesso alla stessa. Tale principio comunitario ha, invero, già trovato diretta attuazione nel settore portuale, comportando il riassetto della struttura organizzativa di quegli enti che, oltre alle funzioni amministrative relative all’infrastruttura portuale, esercitavano anche attività imprenditoriali in regime di monopolio o di esclusiva,. spesso. con. risultati. inefficienti. e. praticando. condotte. anticoncorrenziali. Ad esempio, nel caso Holyhead la Commissione aveva ravvisato una violazione del suddetto principio di separazione a causa della condotta del gestore del porto inglese che, amministrando l’infrastruttura portuale, favoriva – rispetto ai concorrenti – l’accesso al porto di una propria controllata che effettuava servizi traghetto per passeggeri ed auto su una rotta da e per l’Irlanda. Tuttavia, il diritto comunitario consente che l’Autorità portuale, a cui è fatto divieto di erogare direttamente operazioni portuali, servizi accessori alle stesse e/o attività commerciali in senso lato, possa esercitare servizi di. 42. Si ritiene opportuno accennare, in estrema sintesi, al fondamento del fenomeno della regolazione e a quali sono, in particolare, i livelli gerarchici che lo costituiscono. Un nucleo della regolazione è quello che si svolge con l’adozione dei provvedimenti dell’Autorità preposta, quanto all’accesso al mercato e alle relative condizioni di funzionamento. Ciò è quanto avviene, ad esempio, nel caso in cui l’accesso al sistema portuale per l’esercizio dell’attività di carico e scarico viene subordinato a tariffe predeterminate. Ma la regolazione si esplica altresì attraverso misure che incidono sulla disciplina dei contratti in essere – integrando o limitando l’ambito dell’autonomia privata – e/o svolgono una funzione di garanzia, anche nei confronti dei poteri statali. Cfr. P. COSTA, M. MARESCA, Il futuro europeo della portualità italiana, cit.. 31.

(32) interesse generale, in deroga al più volte richiamato principio di separazione43. Infine, nei casi residuali in cui il diritto comunitario autorizza l’ “Ente Portuale” ad erogare servizi portuali, non di interesse generale, il gestore sarà automaticamente assoggettato all’obbligo di osservare le norme comunitarie a tutela della concorrenza44. Ora, è evidente che la separazione tra l’attività di regolazione e quella economica appare idonea a promuovere lo sviluppo della concorrenza e della competitività – introducendo i principi di indipendenza e non discriminazione – nonché la realizzazione di mercati più efficaci, con offerta di servizi orientati al cliente, e di dimensioni maggiori. Viene poi stimolata la crescita degli investimenti. Ancora, la separazione comporta la privatizzazione delle attività economiche e, di conseguenza, l’introduzione di una disciplina finanziaria e commerciale di più ampio respiro. Tuttavia, bisogna anche dire che, oltre ai vantaggi appena descritti, la separazione tra l’attività di regolazione e quella di impresa presenta anche alcuni aspetti critici. In primo luogo, si osserva che gli effetti positivi sono apprezzabili dopo un periodo abbastanza lungo e presuppongono un contesto ragionevolmente stabile sotto il profilo legislativo ed economico. Può inoltre verificarsi un aumento dei costi settoriali, dettato dalla necessità sia di un forte sistema regolamentare per sostenere il mercato e prevenire abusi di monopolio sia di un complesso quadro contrattuale. I gestori delle infrastrutture, poi, possono incontrare delle difficoltà a recuperare i costi degli investimenti intrapresi e a conseguire un adeguato 43. Sul tema, cfr.: S. ZUNARELLI, I servizi portuali di interesse generale nella disciplina della legge 28 gennaio 1994, n. 84, in Dir. Trasp., 1995, pp. 441 ss.; M. MARESCA, La regolazione dei porti tra diritto interno e diritto comunitario, Torino, 2001, Giappicchelli Editore, p. 45 e ss. 44 C.f.r. Corte di Giustizia, 17 luglio 1997, causa C_242/95, GT Link A/S c. De Danese Statbaner (DSB), in Raccolta, 1997, p. I-4449 ss.). Sulla natura giuridica delle Autorità portuali, v. A.M. CITRIGNO, Autorità portuale, profili organizzativi e gestionali, Milano 2003; A. M. CITRIGNO, Autorità portuale: Authority o ente pubblico economico? Nota a Cass. Sez. un. Civ. 28 ottobre 1998, n. 10729, in Nuove Autonomie, 2000, fasc. 1.. 32.

(33) profitto: da questo punto di vista, è fondamentale la struttura dei diritti di accesso e il quadro regolamentare associato45.. 45. Sul punto, cfr ex multis: S. CASSESE, Le privatizzazioni arretramento o riorganizzazione dello Stato?, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 1996, p. 579 ss.; M. THATCHER, Institution, Regulation and Change: New Regulatory Agencies in the British privatized utilities, in Britain in the 1990’s, 1998; M. LOPEZ DE GONZALO, La “regola della separazione” nella disciplina dei servizi portuali ed aeroportuali, in Dir. mar., 2005, p. 670 ss.; R. COSTI – M. MESSORI (a cura di), Per lo sviluppo. Un capitalismo senza rendite e con capitale, Bologna, 2005, p. 145 ss.; S. CASSESE, La nuova costituzione economica, Roma-Bari, 2007, p. 219 ss.; F. CAFAGGIO, Il diritto dei contratti nei mercati regolati: ripensare il rapporto tra parte generale e parte speciale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2008, p. 96 ss.. 33.

(34) 3.2 Il modello europeo di Ente portuale. Il panorama europeo dei modelli di gestione dei porti si presenta particolarmente variegato, con un differente grado di incidenza dei poteri amministrativi delle autorità pubbliche preposte, che talora varia persino all’interno del singolo Stato, a seconda della tipologia di struttura portuale presa in considerazione. Tuttavia, sebbene, come si è visto, i tentativi di armonizzazione delle normative nazionali in materia portuale, da parte del legislatore comunitario, non hanno avuto l’esito auspicato, è comunque possibile abbozzare un modello di “Port Authority”, definita,. nella seconda proposta direttiva. presentata dalla Commissione Europea, “l’organismo al quale la normativa nazionale affida, insieme ad altre attività o in via esclusiva, il compito di amministrare e gestire infrastrutture portuali e coordinare e controllare le attività degli operatori presenti nel porto o nel sistema portuale considerato”. Ci si trova dunque al cospetto di un ente istituzionale preposto alla gestione del porto e connotato da carattere di neutralità, ma che amministra le infrastrutture portuali e provvede a rilasciare concessioni ed autorizzazioni, mediante procedure ad evidenza pubblica (in ossequio al principio comunitario che opera laddove il soggetto è finanziato tramite risorse pubbliche), fornendo anche servizi portuali. Sembra quindi affermarsi il modello della Landlord Port Authority, ovvero, come si è visto, un organismo competente per quanto attiene alla valorizzazione del territorio e delle infrastrutture, mentre l’attività di gestione delle operazioni e dei servizi portuali è lasciata ai privati. Appare tuttavia ammessa, quale eccezione rispetto al principio di separazione tra attività di regolazione ed attività di impresa, l’erogazione. 34.

(35) diretta, da parte dell’ente di gestione portuale, di servizi economici di interesse generale46. Laddove l’Autorità portuale fosse ammessa ad erogare direttamente servizi portuali, le richiamate proposte di direttiva prevedevano l’istituzione di un organismo nazionale indipendente, con il compito di sovrintendere alle procedure di gara per l’affidamento dei medesimi servizi. L’Autorità portuale italiana, come si vedrà meglio nel prosieguo, sembra non soltanto incarnare il modello prospettato ma addirittura, per certi versi, superarlo. Ad ogni modo, qualsiasi realtà portuale si prenda in considerazione, emerge un dato a valenza economica che non può essere sottovalutato neanche da un approccio investigativo a carattere giuridico: la concorrenza tra i porti costituisce un fattore di primaria importanza per l’immane dimensione assunta dai traffici marittimi internazionali e ciò tanto in una prospettiva interna ai singoli Stati, quanto in una dimensione internazionale. Le condizioni economiche e logistiche, unitamente alla capacità di offerta al mercato marittimo internazionale di servizi efficienti e competitivi, sono fattori in grado di determinare la forza o il fallimento non solo di singole realtà portuali, quanto di ben più ampie politiche nazionali e persino internazionali in tema di trasporti, infrastrutture e sviluppo47. Tanto più che la possente forza economica conseguita da taluni operatori di mercato, grandi compagnie di navigazione, fa sì che le loro scelte strategiche aziendali siano in grado tanto di condizionare le opzioni politiche in tema di portualità e di trasporti di singoli Stati, quanto persino di incidere in misura determinante sulle stesse opportunità di sviluppo di vastissime aree del mondo.. 46. A titolo di esempio, la Commissione europea, nel citato caso del porto di Rødby, con la decisione n. 94/119/CE, aveva, infatti, ribadito la compatibilità con il diritto comunitario dell’esercizio dei servizi ferroviari in ambito portuale da parte dell’ente di gestione, sulla base dell’assunto che tali servizi rivestano natura di attività economica di interesse generale. 47 In termini, v. E. MUSSO , C. FERRARI, C. BENACCHIO, M. BACCI ELICE, Porti, lavoro, economia - Le regioni portuali di fronte alla rivoluzione logistica, Cedam, Padova, 2004, p. 216.. 35.

(36) In tale contesto, i modelli organizzativi di gestione dei porti in Europa, come si è rilevato, si presentano differenziati e, soprattutto, in rapido e continuo cambiamento, per far fronte alla costante evoluzione dei mercati che, in definitiva, rappresenta la principale ragione dell’incapacità, da parte dell’Unione europea, di munirsi di una disciplina unitaria, contrariamente a quanto accade in altri pur rilevantissimi ambiti economici48.. 48. Cfr. M.R. SPASIANO, Spunti di riflessione in ordine alla natura giuridica e all’autonomia dell’Autorità portuale, Foro Amministrativo – TAR (II), fasc. 9, 2007, pag. 2965.. 36.

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