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Editoriale 03

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Academic year: 2021

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DOI: 10.14601/RSF-18540 · ISSN: 2421-6429 (print) 2421-6941 (online) · www.fupress.com/rsf · © Firenze University Press

rsf rivista di studi di fotografia · n. 3, 2016 Molti dei saggi presentati in questo

numero suggeriscono una traccia per una lettura trasversale che potremmo definire come una domanda aperta sull’interpretazione. Non si tratta di una interpretazione prettamente storiografica (come si interpreta tal fatto storico), quanto piuttosto ci s’intende domandare come si scopre e come si spiega quell’autore responsabile della creazione di una imma-gine o di una serie: il fotografo (qualunque sia la sua postura e la sua ideologia figurativa) o colui che monta un album fotografico costruen-do, fotografia dopo fotografia, simbolo dopo simbolo, un senso.

Così la ripetizione del tema della maschera lungo l’arco di un’intera carriera artistica, nel caso di Paolo Gioli trattato da Roberta Valtorta, pone un interrogativo più ampio proprio a partire da una questione interpretativa. Reiterato dal fotografo nel contesto di un linguaggio fi-gurativo dichiaratamente sperimentale per la sua contaminazione con altri generi artistici, il tema della maschera implica di ‘de-scriverlo’ se-guendolo come un filo rosso. Il fine è anche di comprendere e restau-rare il senso intimo dell’autoritratto, che Gioli propone ricorrendo a un gesto antropologico che si moltiplica in un gioco di rimandi reciproci, potenzialmente senza fine, e che mette in discussione il volto e la que-stione dell’autenticità del soggetto.

Il caso di un album fotografico di fine Ottocento della contessa Luisa Scotto Corsini, proposto da Benedetta Cestelli Guidi, chiede di preoccu-parsene come ‘oggetto’ unico nella sua complessità, di descriverlo per la sua mira intenzionale nel contesto di un’analisi che è semplicemen-te fenomenologica. Ma questo oggetto come è stato reso implicito nei riti personali e poi in quelli familiari dell’asse ereditario? Il linguaggio figurativo complessivo, prodotto da fotografie con determinati conte-nuti montate in una determinata narrazione, si spiega con la ‘causa’, con la genesi e la funzione. Tuttavia la descrizione non si esaurisce in questa triade di articolazioni e mira a collocare l’oggetto oltre il piano ermeneutico. Ritorna, per certi versi, il tema della maschera, ma per via metaforica qualora intesa (come scriveva Paul Ricoeur parlando di simboli) come “interpretazione riduttiva dei travestimenti”.

Il caso di studio presentato da Monica Maffioli su Dominic Ellis Colnaghi, che presenta una notevole scoperta per gli studi di settore, è basato a sua volta su un album fotografico, ma interpretato secon-do un’altra chiave di lettura. Dall’album emergono infatti le tracce di un’autobiografia implicita che, intrecciate con un inedito epistolario, permettono di ricostruire l’apprendistato al nuovo mestiere di foto-grafo che Colnaghi intraprende a metà Ottocento fra Londra e Parigi,

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mettendo in luce anche le ambizioni che in quel passaggio epocale egli coltiva verso il mondo della stampa e del commercio d’arte. E tuttavia sono le singole stampe da negativi di carta salata che nella narrazione emergono dall’album stesso come i segni più autentici.

L’esperienza di Paolo Monti nel campo della fotografia ‘astratta’ è narrata da Diletta Zannelli attraverso la ricostruzione di un’ampia prospettiva figurativa, in particolar modo per quanto riguarda gli anni milanesi, durante i quali Monti entra in contatto con il mondo delle gal-lerie d’arte e con le avanguardie. Il caso solleva una questione d’inter-pretazione, per così dire, stilistica e culturale: la lezione dell’Informale, del Nouveau Réalisme e della Subjektive Fotografie (insieme alla sua ripresa di un tema modernista per eccellenza, quello della luce), collo-cano Monti in un ampio orizzonte di respiro europeo ed internazionale, che contribuisce a delineare nuovi spunti sugli sviluppi del pensiero fo-tografico italiano del secondo dopoguerra.

Analogamente, il contributo di Erica Bassignana su Italo Bertoglio – ingegnere per la SIP (tra l’altro importante committente di importan-ti libri fotografici) che dalla fine degli anni Venimportan-ti si concentra su “Studi di composizione” realizzati con oggetti contemporanei – propone una linea interpretativa che intende superare la contrapposizione pittoria-lismo/modernismo, a favore di un’analisi della fotografia pubblicita-ria e industpubblicita-riale informata dall’efficacia della comunicazione più che dall’estetica della forma, pur se a contatto con le istanze figurative del futurismo.

La sezione Fonti, dedicata in questo numero alle fonti contempo-ranee, è occupata da una lunga e densa intervista al filosofo francese Jacques Rancière, condotta da Diletta Mansella e Patrizia Atzei, sul rapporto fra politica e fotografia. Muovendo da una diversa inter-pretazione di quello che ormai appare un adagio che considera l’in-vadenza mass-mediatica delle fotografie (e delle immagini, per dirla con le sue parole) come il male odierno, Rancière propone di superare le “logiche contraddittorie che affiorano alla superficie di immagini fotografiche all’apparenza prive di mistero” e di considerare la pratica artistica del fotografo come una possibilità di “costruire materialmen-te la visibilità di un’idea”. La fotografia, ci ricorda, è oggetto di inmaterialmen-ter- inter-rogativi politici proprio in quanto immagine, che stabilisce relazioni là dove non erano visibili e provoca rotture di senso nel tessuto quoti-diano delle emozioni.

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