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Impulsivita, Disturbi d'Ansia e Spettro Bipolare

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Academic year: 2021

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RIASSUNTO

L’impulsività è una componente del comportamento normale e patologico che caratterizza l’iniziativa all’azione. Nei Sistemi Diagnostici Internazionali, come il DSM IV e l’ICD10, è menzionata tra i criteri operativi di numerosi disturbi mentali e per alcuni di essi (disturbi del controllo degli impulsi, disturbi di personalità, abuso di sostanze, disturbi dell’umore) rappresenta un aspetto centrale.

La relazione tra ansia e impulsività è controversa e ha ricevuto scarsa attenzione nel dibattito scientifico. Storicamente, le due dimensioni sono state considerate ortogonali, sebbene esistano evidenze cliniche sulla loro possibile coesistenza in alcune condizioni psicopatologiche.

Scopo di questa ricerca è valutare l’impulsività, definita come la tendenza a mettere in atto una risposta rapida e non pianificata senza la necessaria valutazione delle conseguenze, in presenza, o meno, di un disturbo da panico ipotizzando che (a) l’impulsività, valutata a livello di specifiche tipologie di comportamento, sia maggiore nei pazienti con disturbo da panico rispetto ai controlli non psichiatrici, (b) l’impulsività non sia correlata alla diagnosi di disturbo da panico in sé, ma possa essere mediata dalla presenza di comorbidità con disturbi dell’umore attenuati, in particolare con la ciclotimia.

A questo scopo, un campione di 66 soggetti affetti da disturbo da panico e 44 soggetti di controllo appaiati per caratteristiche demografiche, scolarità e professione sono stati sottoposti ad una valutazione diagnostica mediante la Mini Neuropsychiary Interview; ad una valutazione sintomatologica mediante la Bach Raephelsen Depression and Mania Scale, la State-Trait Anxiety Inventory, la Hypomania Check List e il Clinical

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Global Impression; ad una valutazione temperamentale e dei tratti di personalità mediante il Questionatio per il temperamento Affettivo e Ansioso, la Separation Anxiety Sensitivity Index, la Interpersonal Sensitivity Symptoms Inventory e l’Anxiety Sensitivity Index; ed infine ad una valutazione psicometrica dell’impulsività mediante la Barratt Impulsiveness Scale ed a una valutazione neurocognitiva dell’impulsività, mediante il test computerizzato Immediate and Delayed Memory Task. Il campione iniziale di soggetti affetti da disturbo da panico è stato poi suddiviso in due sottogruppi (Ciclo+, n =22 e Ciclo-, n= 44) in base alla presenza di comorbidità, o meno, con il disturbo ciclotimico ed è stata effettata un’analisi di confronto tra i sottogruppi e i controlli. Per la diagnosi di disturbo ciclotimico abbiamo utilizzato sia i criteri diagnostici del DSM-IV-TR sia i criteri modificati per l’ipomania a due giorni secondo Akiskal. Abbiamo infine effettuato una analisi di correlazione tra le dimensioni di interesse in questa ricerca.

Il confronto caso controllo ha evidenziato come, nella nostra casistica, i soggetti affetti da disturbo da panico risultino più impulsivi rispetto ai controlli in tutte le misure esplorate e presentino punteggi più elevati alle scale sintomatologiche, temperamentali e personologiche. Il confronto Ciclo+, Ciclo- e controlli ha evidenziato come i soggetti Ciclo+ risultino, rispetto ai Ciclo– e ai controlli, più impulsivi in tutte le misure esplorate e caratterizzati da maggiore impegno sintomatologico, elevati punteggi alle scale per il temperamento, elevati livelli di sensibilità interpersonale e ansia di separazione.

In conclusione, come ipotizzato, l’impulsività sembra essere, almeno nella nostra casistica, più elevata nei soggetti affetti da disturbo da panico rispetto ai controlli in particolare se il disturbo da panico concomita con il

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disturbo ciclotimico o con tratti temperamentali di tipo ciclotimico-ansioso-depressivi, condizioni caratterizzate da instabilità timica, ansia di separazione e sensitività interpersonale. L’impulsività, pertanto, potrebbe essere correlata, almeno in un sottogruppo di pazienti, non direttamente alla presenza di un disturbo d’ansia, ma alla concomitanza di condizioni che afferiscono allo spettro bipolare attenuato.

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1. INTRODUZIONE

1.1 L’impulsività nella prospettiva psichiatrica

Di fronte a diverse tendenze tra loro contrapposte capaci di entrare in azione, l’uomo ha la possibilità di decidere quali ostacolare e quali lasciare che si realizzino, basandosi su valutazioni di ordine affettivo e cognitivo: questo atto decisionale si chiama volontà. L’atto volontario è sentito a livello cosciente come scelta consapevole in cui l’io si realizza in piena autonomia. Oltre ad una componente “materiale”, intesa come energia emergente dal fondo, ad una componente “efficiente”, che comporta l’atto decisionale (che lascia realizzare il comportamento volontario o impedisce l’attività), nell’agire vi rientra la componente espressiva o “formale” e la componente “finale”, che rappresenta la direzione e lo scopo verso cui è diretta l’azione (qualcuno o qualcosa) (1).

L’impulsività è una componente del comportamento normale e patologico che caratterizza il passaggio dall’intenzione all’azione (2-3) ed è stata definita in diversi modi: come passaggio all’atto non premeditato o senza giudizio consapevole (4), come adozione di un comportamento senza una adeguata riflessione (5), o come una tendenza ad agire con minor premeditazione rispetto alla maggior parte dei soggetti di estrazione culturale analoga (6).

Nei sistemi diagnostici internazionali, il DSM-IV e l’ICD-10, l’impulsività è spesso menzionata e talora inclusa nei criteri operativi di numerosi disturbi mentali. Entrambi i sistemi diagnostici, tuttavia, non ne forniscono una definizione esplicita, pur riportando diversi esempi di comportamento impulsivo. L’impulsività rappresenta infatti un elemento

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centrale di numerosi disturbi di Asse I e II: i disturbi dell’umore (7), i disturbi della condotta (8), i disturbi di personalità (9), i disturbi da uso di sostanze (10) e l’interesse per il ruolo dell’impulsività nella patologia psichiatrica è alimentato, oltre che dalla rilevanza epidemiologica, dalle conseguenze di questi fenomeni sul piano sociale ed assistenziale. La disponibilità di classi di farmacologiche (antidepressivi serotoninergici selettivi, antiepilettici con proprietà di stabilizzazione dell’umore, nuovi antipsicotici ad azione combinata dopaminergica e serotoninergica) per cui si accumulano evidenze cliniche di una efficace azione regolatoria sulle condotte impulsive e aggressive stimola infine i ricercatori a una migliore definizione delle indicazioni e dello spettro di azione di questi strumenti.

Secondo una prospettiva dimensionale l’impulsività è stata studiata in senso neurofisiologico, neurochimico, psicopatologico. In prospettiva più strettamente neurofisiologica, per identificare le aree cerebrali associate a comportamenti impulsivi, sono stati utilizzati i potenziali evento correlati (11-12) e indagini di neuroimaging. Diversi studi PET (13-14) hanno confermato il ruolo delle aree prefrontali nell’impulsività. Per quanto riguarda i correlati neurochimici del comportamento impulsivo alcuni studi hanno evidenziato un coinvolgimento del sistema serotoninergico. Una particolare attenzione è stata dedicata al ruolo dei sottotipi recettoriali (15-16), suggerendo che la variabilità nell’espressione genetica nel sistema serotoninergico possa essere strettamente correlata a comportamenti impulsivi inappropriati.

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1.2 Definizione di impulsività

Se l’impulsività è una componente del comportamento normale e patologico che caratterizza il passaggio dall’intenzione all’azione (2-3) in letteratura, per anni, è mancata una sua definizione operativa per la difficoltà ad identificarne in modo univoco gli elementi essenziali (17).

L’impulsività sottende infatti un complesso di eventi biologici e ambientali che si estrinsecano in una dimensione psicologica e psicopatologica che è stata studiata sotto molte prospettive (18). Secondo la prospettiva personologica Eysenck fu il primo ad interessarsi all’impulsività collegandola al risk taking e concettualizzandola come mancanza di pianificazione e tendenza a decidere precipitosamente. Nell’ambito delle teorie comportamentali, l’impulsività è definita sia come «una vasta gamma di azioni che sono scarsamente progettate, prematuramente espresse, troppo rischiose oppure inappropriate alle situazioni e che, spesso, sfociano in risultati indesiderati (19). Più semplicemente, Monterosso e Ainslie, la descrivono come un’incapacità a posticipare la gratificazione oppure come mancanza di autocontrollo (20). Ho et al. (21) hanno integrato la precedente concettualizzazione dando risalto alla scarsa sensibilità alla punizione definendo l’impulsività come «la tendenza a scegliere piccole gratificazioni immediate piuttosto che gratificazioni più grandi successive, oppure la tendenza ad evitare piccole punizioni immediate anche a costo di subire più grandi punizioni in seguito”.

Secondo una prospettiva bio-psico-sociale, e nel tentativo di combinare, almeno in parte, le precedenti definizioni Moeller, Barratt, Dougherty, Schmitz e Swann (16) ipotizzano che per poter riunire i diversi

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modelli proposti, una definizione di impulsività debba includere almeno i seguenti elementi: a) reazioni rapide e non pianificate agli stimoli prima di una elaborazione completa dell’informazione; b) scarsa capacità di previsione rispetto alle conseguenze negative di un comportamento; c) mancanza di considerazione per le conseguenze a lungo termine in ambito decisionale. Secondo questa prospettiva hanno definito l’impulsività come "una predisposizione a reagire in modo repentino e non pianificato a stimoli interni o esterni senza considerazione per le possibili conseguenze negative di queste nei confronti di se stessi o di altri" (16). L’impulsività sarebbe pertanto una predisposizione, facente parte di un modello comportamentale e comprenderebbe azioni rapide e non pianificate che avvengono prima di aver considerato adeguatamente le conseguenze di un atto.

1.3 Gli strumenti per la valutazione

In accordo con la tendenza diffusa a concettualizzare l’impulsività come costrutto multidimensionale, si riconosce la validità e la necessità di un approccio che la esplori secondo diverse prospettive. Attualmente gli strumenti per la valutazione dell’impulsività appartengono a tre ampie categorie: le scale cliniche, i test comportamentali e le indagini neurofisiologiche.

1.3.1 Strumenti psicometrici

Strumenti come la Barrat Impulsiveness Scale (BIS) (22) e la Eysenck Impulsiveness Questionnaire (23) hanno il vantaggio di permettere ai ricercatori di ottenere informazioni su di una ampia gamma di azioni e sulla possibilità che esse costituiscano, sul lungo periodo, organizzazioni stabili

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del comportamento. “Agisco d’impulso” oppure “Organizzo con attenzione i compiti attribuitemi” sono alcuni esempi di items utilizzati. Uno svantaggio è rappresentato dalla necessità di sincerarsi della affidabilità delle risposte fornite nel questionario. Questi strumenti sono poi poco adatti ad essere somministrati più volte e ciò ne limita la possibilità di utilizzo nell’ambito di studi sui trattamenti terapeutici.

1.3.2 Test comportamentali

L’impiego di test computerizzati per misurare l’impulsività deriva da una prospettiva di tipo comportamentale. Questi strumenti offrono, rispetto ai precedenti, alcuni vantaggi: innanzitutto la ripetibilità, caratteristica che li rende adeguati ad esser utilizzati quando sono necessarie somministrazioni ripetute, come ad esempio negli studi di valutazione degli esiti dei trattamenti. Essi derivano inoltre da modelli animali: è pertanto possibile, attraverso il continuo sviluppo di questi ultimi, selezionare endofenotipi specifici sui quali perfezionare i task comportamentali. Lo studio delle multiformi espressioni del comportamento impulsivo infatti necessita, come per altro accade per ogni manifestazione comportamentale, di un puntuale aggancio alle basi biologiche di tali comportamenti. In quest’ottica studi su animali in cui si utilizzavano test di questo tipo hanno evidenziato la presenza di una correlazione inversa tra impulsività e livelli di funzionamento del sistema serotoninergico (24-25). Infine, poiché questi test si sono rivelati sensibili a variazioni transitorie dei livelli di impulsività (quali quelle che possono essere determinate dalla somministrazione in acuto di diversi agenti farmacologici) essi paiono fornire informazioni che potremmo definire “stato dipendenti”(26). Essi sono pertanto correntemente considerati misure della cosiddetta “impulsività di stato”, in grado di

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valutare aspetti parzialmente indipendenti da quelli esplorati dalle scale, quindi utili supporti da aggiungere alle batterie diagnostiche e alle valutazioni sull’efficacia dei trattamenti.

Sono stati sviluppati diversi test comportamentali in grado di indagare componenti diverse del costrutto dell’impulsività. Nella pratica possono essere raggruppati in base ai diversi paradigmi cui fanno riferimento che, in ultima analisi, ricadono in due ampie categorie: i Rapid Decision o Rapid Response paradigms (27-29) da una parte e i Reward-direct paradigms (20) dall’altra.

I Rapid Decision o Rapid Response paradigms sono stati sviluppati in base a un modello che definisce l’impulsività come una incapacità a conformare la risposta comportamentale al contesto ambientale, inducendo la comparsa di errori (‘commission errors’) nell’esecuzione di quei compiti che richiedano una accurata elaborazione dello stimolo e/o una accurata valutazione del contesto (30). Questi rappresentano probabilmente i test più frequentemente utilizzati in letteratura. Secondo questa prospettiva, una risposta comportamentale può essere considerata ‘’impulsiva’’ quando presenti almeno una delle seguenti caratteristiche:

a) deve risultare frettolosa, verosimilmente indotta dall’incapacità del soggetto a frenarsi nel fornirla, senza aver

valutato adeguatamente lo stimolo (response

disinhibition/attentional paradigms) (28-29);

b) una volta intrapresa, deve essere perpetrata e non interrotta in seguito alla modificazione del contesto ambientale, in modo da risultare inadeguata al nuovo contesto e quindi punita o, quantomeno, non gratificata (punished and/or extinction paradigms) (27).

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Esempi di test sviluppati secondo questi due paradigmi sono

l’Immediate and Delayed Memory Task (31-34) per quanto riguarda i response

disinhibition/attentional paradigms, e il Go Stop Task (33, 35) per quanto riguarda i punished and/or extinction paradigms.

L’Immediate and Delayed Memory Task (IMT/DMT), in particolare, è probabilmente il test più utilizzato nei trials clinici per misurare i correlati comportamentali dell’impulsività. Si tratta di una versione modificata del Continuous Performance Test (36), un test utilizzato per la valutazione dell’attenzione e della memoria di lavoro, di cui rappresenta una versione più impegnativa. Nell’IMT stringhe di cinque numeri appaiono in successione sullo schermo di un computer con un intervallo di 0.5 sec: il soggetto viene istruito a confrontare le stringhe tra loro e a rispondere, con un clic del proprio mouse, soltanto quando la stringa di numeri visualizzata è esattamente identica alla precedente. Tra diverse le risposte ottenibili in un task di questo tipo tre appaiono particolarmente significative: le risposte corrette (correct detection, hit) se il soggetto clicca sul mouse dopo aver individuato una serie che corrisponde alla precedente; le risposte non corrette (random error) se il soggetto risponde ad una serie non identica a quella che l’ha preceduta e i cosiddetti falsi allarmi (commission error) in cui il soggetto risponde cliccando ad una serie che assomiglia, ma non è identica, alla precedente, avendo in comune quattro dei cinque numeri. Sono questi ultimi che vengono considerati errori di tipo impulsivo, indotti dalla tendenza del soggetto a rispondere, in presenza di uno stimolo simile al target, in modo rapido ma scorretto prima, cioè, di averne valutato l’effettiva differenza.

Tutti i test presi in rassegna sono stati validati su popolazioni di soggetti affetti, o meno, da disturbi psichiatrici. Sfortunatamente, soltanto

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pochi studi, e per lo più limitati a popolazioni poco numerose, hanno utilizzato contemporaneamente i diversi paradigmi. E’ sembrato quindi necessario confrontare i diversi test per determinarne validità e sensibilità relativa. Dougherty et al (31) in particolare, ipotizzando che i rapid response task fossero in grado di discriminare meglio le differenze nei livelli di impulsività tra gruppi rispetto ai reward direct, si sono proposti di somministrare ad un campione numeroso di volontari sani e ad un gruppo ampio di soggetti affetti da disturbo della condotta, dall’altra, i diversi paradigmi: IMT/DMT e Go Stop Task, per quanto riguarda i rapid response, SKIP e Two Choice per quanto riguarda i reward direct. Gli autori avrebbero confermato quanto ipotizzato: alla capacità dei rapid response task di discriminare tra gruppi (in particolare l’IMT/DMT è risultato ancora migliore del Go Stop) si contrapporrebbe quindi una marcata suscettibilità dei reward direct alla variabilità interindividuale (31).

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2. IL RUOLO DELL’IMPULSIVITA’ NEI DISTURBI

DELL’UMORE E D’ANSIA

Sebbene l’impulsività possa essere presente in tutti gli esseri umani è sicuramente riscontrabile più facilmente in individui affetti da alcuni disturbi mentali, quali la dipendenza da sostanze, i disturbi di personalità, gli episodi maniacali. Almeno in parte, l’associazione tra questi disturbi e l’impulsività è dovuta anche al modo in cui essi sono definiti nei sistemi diagnostici, che spesso include, tra i loro criteri, diverse forme di deficit nelle capacità di inibizione comportamentale (16).

Analisi fattoriali degli items della BIS suggeriscono per l’impulsività un modello a tre dimensioni, nel quale una marcata attivazione motoria insieme ad un decremento delle capacità attentive e di quelle progettuali rappresenterebbero gli aspetti chiave (22). Dal momento che tutte queste componenti si considerano implicate simultaneamente nei disturbi del controllo degli impulsi (37) è possibile che altri disturbi mentali siano associati all’impulsività attraverso combinazioni differenti di questi meccanismi. Ad esempio, lesioni localizzate al lobo frontale possono alterare le capacità attentive e progettuali (38) e possono determinare la comparsa di disturbi di personalità caratterizzati da impulsività e perdita di controllo (39). In questo caso l’impulsività sarebbe legata ad un deficit della capacita di inibizione comportamentale (40). L’uso di alcune sostanze ad azione disinibente come l’alcol potrebbe agire in maniera analoga attraverso un deficit transitorio delle funzioni frontali. Negli episodi maniacali, d’altro lato, è presente caratteristicamente una marcata attivazione motoria (41) come pure, più in generale, la tendenza al comportamento impulsivo (42). In questo caso l’impulsività sarebbe determinata dalla forte spinta all’azione.

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In realtà disturbi del controllo degli impulsi, disturbi dell’umore di tipo bipolare, uso di sostanze e, anche se più raramente, lesioni frontali, tendono a coesistere nello stesso individuo; pertanto nella pratica clinica la distinzione tra aumento della spinta e perdita dell’inibizione non è agevole. Questa ambiguità si riflette in maniera indiretta anche sul piano nosografico dove, infatti, la categoria specifica dei “Disturbi del controllo degli impulsi non altrove classificati” sembra rappresentare una categoria “residua”, che accoglie condizioni di difficile sistematizzazione non associate ad altre sindromi cliniche. La maggior parte degli autori che si sono occupati dell’argomento, sulla base di dati epidemiologici e clinici, ne dibattono la reale validità nosografica e tendono a considerare i disturbi in essa afferenti come parte di altri raggruppamenti sindromici quali: lo “spettro affettivo” per McElroy (43), il “continuum compulsivo-impulsivo” per Hollander et al. (44-45), una “convergenza di disturbi dell’umore, impulsivi e compulsivi” per Kafka e Coleman (46). Comunque, nonostante l’impulsività sembri rappresentare un aspetto clinico centrale per diversi disturbi mentali, condizionandone probabilmente anche la risposta ai trattamenti, i sistemi diagnostici attuali non permettono, all’interno dei diversi raggruppamenti sindromici, di focalizzare l’attenzione su questa dimensione e, in ultima analisi, di differenziare gli individui impulsivi da quelli che non lo sono.

2.1 Il ruolo dell’impulsività nei disturbi dell’umore

È praticamente impossibile soddisfare i criteri del DSM IV per l’episodio maniacale in assenza di comportamenti impulsivi (12). Recentemente, Swann et al. (42) hanno evidenziato che negli episodi maniacali, mentre le altre caratteristiche sintomatologiche variano ampiamente, l’impulsività, rappresenta una caratteristica costante tanto da

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essere considerata una dimensione fondamentale nel quadro clinico. Quest’ultima può essere presente anche negli episodi depressivi, ed in questo caso tende ad associarsi ad un aumento delle condotte autoaggressive (47). L’impulsività è stata correlata in vario modo con i disturbi dell’umore ed a seconda del tipo di relazione è stata posta di volta in volta in rapporto:

a) alla predisposizione (gli adolescenti a rischio per episodi maniacali sono stati descritti in una intervista semistrutturata come più impulsivi dei loro pari)

b) agli episodi di malattia o ai sintomi prodromici (un aumento dell’impulsività può accompagnare gli episodi di malattia o comparire più precocemente nel corso di un singolo episodio rispetto ad altri sintomi affettivi) o alle loro conseguenze

c) al rischio di complicanze quali suicidio (48) o abuso di sostanze (22)

d) alla risposta a trattamenti specifici o al trattamento in generale

e) alla fisiopatologia della malattia (l’impulsività potrebbe essere la risultante di una combinazione di livelli elevati di noradrenalina (40, 49), di livelli ridotti di serotonina (50) o di compromissione funzionale nella corteccia prefrontale (51).

Nell’ambito del disturbo bipolare è comunque ampiamente accettata l’idea che gli episodi di malattia siano associati ad impulsività, mentre meno studiate sono le fasi intervallari ed i periodi di remissione. Swann et al. (52) hanno rinvenuto un grado più elevato di impulsività, misurata attraverso la Barratt Impulsiveness Scale, in pazienti con disturbo bipolare rispetto a soggetti di controllo, anche quando i pazienti si trovavano in fase di remissione sintomatologica. Nello stesso studio le misure di impulsività

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ottenute attraverso test sperimentali (IMT/DMT) correlavano con la gravità dei sintomi maniacali, ma, durante le fasi di remissione, non differivano significativamente da quelle riscontrate nei soggetti di controllo. Inoltre, non erano presenti correlazioni con i sintomi depressivi. Questi dati sufficientemente replicati anche da altri gruppi di ricerca (53-54) suggeriscono come nei soggetti affetti da disturbo bipolare l’impulsività “di tratto” tenda, pertanto, a rimanere stabilmente elevata indipendentemente dalle fasi di malattia mentre l’impulsività “di stato” misurata attraverso i task neuro cognitivi risulti elevata durante gi episodi affettivi, in particolare se maniacali o misti oppure in caso di depressione se concomita suicidalità, mentre tenda a normalizzarsi rispetto ai gruppi di controllo durante le fasi interepisodiche.

L’impulsività nel disturbo bipolare sarebbe quindi legata sia alla fase affettiva che a tratti stabili di funzionamento dell’individuo. La componente tratto-dipendente, evidenziata mediante la BIS, potrebbe essere correlata con misure biologiche dell’impulsività relativamente stabili, quali ad esempio il livello della funzione serotoninergica (54). La componente stato-dipendente, evidenziata da un aumento del numero degli errori nell’IMT-DMT e correlata con la gravità dei sintomi maniacali (52), potrebbe essere in relazione ad alterazioni della funzione noradrenergica, presenti durante gli episodi espansivi o misti del disturbo bipolare (55).

Interessantemente in uno studio recente Taylor e collaboratori (56) hanno valutato l’impatto della comorbidità ansiosa sui livelli di impulsività, misurata attraverso la Barratt Impulsiveness Scale, in una casistica di 114 pazienti ambulatoriali affetti da disturbo bipolare. Contrariamente all’atteso la presenza di un disturbo d’ansia in comorbidità si associava a più elevati livelli di impulsività di tratto, così come evidenziato dal riscontro di

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punteggi alla BIS significativamente più elevati nei soggetti affetti da entrambe le condizioni se confrontati coi soggetti affetti dal solo disturbo bipolare.

In conclusione sembra esistere un’associazione tra disturbo bipolare ed impulsività che, almeno per alcuni aspetti, va oltre gli episodi di malattia e che non viene neutralizzata dalla presenza di un concomitante disturbo d’ansia in comorbidità. Rimane da chiarire se l’impulsività interepisodica sia un fattore di rischio per il disturbo o la conseguenza di episodi pregressi o sia associata a specifici sottotipi clinici.

2.2 Il ruolo dell’impulsività nei disturbi d’ansia

La relazione tra ansia e impulsività è controversa. Tradizionalmente ansia e impulsività siano state considerate dimensioni ortogonali (57-58). Sebbene diversi studi abbiano valutato simultaneamente i rapporti tra dimensioni psicopatologiche diverse come ansia, rabbia e impulsività allo lo scopo di prevedere il rischio di suicidio e/o di comportamenti violenti (59-61) pochissimi si sono focalizzati esclusivamente sulle dimensioni di interesse di questa ricerca ovvero ansia ed impulsività. In uno studio che metteva in correlazione alcune variabili cliniche con il rischio di suicidio in pazienti psichiatrici violenti e non, Apter et al. (60) hanno riportato che l‘ansia, valutata attraverso la Spielberg State-Trait anxiety scale (62), tende a far diminuire il rischio di comportamenti violenti. Alcuni studi su gruppi di adolescenti violenti e con elevati livelli di impulsività (63) riferiscono una mancanza di correlazione tra ansia, valutata attraverso la Hamilton Anxiety Rating Scale (HARS) (64), ed impulsività, valutata attraverso la Impulsivity Rating Scale (IRS) (65). Parimenti, una assenza di correlazione tra ansia ed impulsività è stata riportata in adolescenti sani (66). D‘altro lato la

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presenza di una correlazione positiva è stata riscontrata in una popolazione di soggetti ansiosi affetti da disturbi della condotta alimentare, caratterizzati da comportamenti impulsivi ma non da comportamenti violenti (67). Esiste inoltre un’ampia letteratura clinica che documenta un’associazione stretta tra queste due dimensioni in alcuni disturbi specifici. Si pensi alla relazione tra ansia e impulsività in disturbi caratterizzati da discontrollo comportamentale come il gioco d’azzardo patologico (68), i disturbi della condotta alimentare (69), i disturbi di personalità caratterizzati da self injuring (70). Diversi inoltre sono ormai i lavori che documentano la comorbidità tra disturbi d’ansia e condizioni caratterizzate da elevati livelli di impulsività come il disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività (71) e i disturbi della condotta in adolescenti e giovani adulti (72). Allo scopo di esplorare la relazione tra ansia, impulsività, comportamenti a rischio e disturbi psichiatrici, Askenazy et al. (73) hanno effettuato una valutazione psicometrica dei livelli di ansia e di impulsività in un campione di adolescenti ospedalizzati per un ampio spettro di alterazioni comportamentali (tentativi di suicidio, aggressività, atti delinquenziali, intossicazione da sostanze, disturbi della condotta alimentare). La casistica era poi suddivisa in quattro sottogruppi in accordo con queste due dimensioni: impulsivi e ansiosi (IA), impulsivi e non ansiosi (Ia), non impulsivi e ansiosi (iA), non impulsivi e non ansiosi (ia). Per ogni adolescente, è stata poi accertata la presenza di disturbi del comportamento (tentato suicidio, autolesionismo, violenza, delinquenza, abuso di sostanze, disturbi della condotta alimentare), e quella di disturbi di Asse I in comorbidità.

Nel gruppo IA, il 62% dei soggetti presentava positività in anamnesi per episodi ipomaniacali, l’87% per episodi ricorrenti di tentato suicidio, il

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67% faceva uso di cannabis. La quasi totalità dei soggetti (93%) del gruppo Ia, era rappresentata da ragazzi (tutti gli altri gruppi erano composti in prevalenza da ragazze). Di questi, praticamente tutti avevano positività anamnestica per disturbi della condotta e per comportamenti violenti eterodiretti. L’80% presentava inoltre positività per episodi delinquenziali. Frequente, anche in questo gruppo, l’uso di cannabinoidi (67% dei soggetti, come per il gruppo IA). Nel gruppo iA, una percentuale elevata di soggetti (73%) aveva positività per anoressia nervosa. Un solo soggetto aveva in anamnesi un episodio depressivo maggiore. Il gruppo ia, infine, non presentava positività anamnestica per comportamenti di tipo violento, risultando globalmente a rischio ridotto di condotte suicidarie.

Questi dati suggericono, da una parte, come l’impulsività ed l’ansia, quando associate a disturbi dell’umore, risultino essere altamente predittive di tentativi di suicidio. In altre parole, la concomitanza di ansia in una popolazione impulsiva non sembra proteggere dalla tendenza al discontrollo comportamentale ma, in qualche modo, sembra indirizzare l’aggressività in senso autodiretto. Il sottogruppo Impulsivo-Ansioso (IA) appare inoltre presentare una ampia sovrapposizione con lo spettro bipolare attenuato. D’altro lato la presenza di impulsività si correla a comportamenti di tipo antisociale, disturbi della condotta, nonché a comportamenti violenti eterodiretti (Ia). E’ interessante notare come l’abuso di sostanze sembri associarsi all’impulsività indipendentemente dai livelli di ansia.

In una recente ricerca, un sottotipo di pazienti affetti da ansia sociale, estrapolati dal database del NCS in base alla presenza di elevati livelli di novelty seeking, ha mostrato una correlazione positiva con una specifica predisposizione verso comportamenti a rischio, impulsività, instabilità relazionale, affettiva e interpersonale (74-75), evidenziando come

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sottopopolazioni di pazienti affetti da disturbi d’ansia possano non essere invariabilmente caratterizzati da inibizione comportamentale e evitamento del danno ma anche da discontrollo comportamentale e impulsività. In effetti in uno studio condotto da Summerfeldt et al. (76) su un’ampia casistica di pazienti affetti da disturbo d'ansia, questi presentavano punteggi alla Barratt Impulsiveness Scale più elevati rispetto ai soggetti di controllo. Il nostro gruppo (77) ha recentemente replicato i risultati di Summerfield e collaboratori evidenziando in una casistica di soggetti affetti da disturbi d’ansia livelli di impulsività di tratto superiori rispetto al gruppo di controllo. Il nostro protocollo prevedeva inoltre la valutazione dei livelli di impulsività di stato utilizzando un task neuro-cognitivo facente riferimento ad un paradigma di impulsività di tipo disinibitional/disattentional (IMT/DMT). I soggetti affetti da disturbo d’ansia sono risultati più impulsivi rispetto ai controlli anche nel task neuro-cognitivo, in particolare se il disturbo d’ansia concomitava con forme attenuate dello spettro bipolare (disturbo ciclotimico). La numerosità del campione tuttavia non era tale da poter permettere il confronto tra sottotipi diagnostici.

2.2.1 Impulsività e disturbo da panico

La relazione tra disturbo da panico e impulsività ha ricevuto scarsa attenzione in letteratura. Alcuni autori (78-79-80) hanno documentato una maggiore incidenza di ideazione suicidaria e di tentativi di suicidio in soggetti con attacchi di panico. Secondo altri autori tuttavia (81) una storia lifetime di PD non sembra essere correlata ad un aumento del rischio di tentativi di suicidio e, analogamente, i soggetti affetti da disturbo da panico che presentano un rischio più elevato di tentativi di suicidio sarebbero quelli caratterizzati dalla presenza di una qualche comorbidità (82). Tuttavia un

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recente studio sull’associazione tra disturbo da panico e ideazione suicidaria (83) ha evidenziato come il 31,7% dei pazienti ambulatoriali con disturbo da panico avesse esperito ideazione suicidaria nelle precedenti 2 settimane. La giovane età, l’insorgenza precoce dei sintomi, il consumo di alcol, una maggiore gravità sintomatologica, il ridotto sostegno sociale, la sensibilità agli effetti collaterali dei farmaci rappresentavano elementi associati all’ideazione suicidaria. Alla luce di questi dati, contrastanti, la relazione tra suicidalità e panico appare pertanto controversa. Allo stesso modo, sebbene sia possibile che comportamenti di tipo aggressivo si manifestino in soggetti con attacchi di panico, il rapporto tra aggressività e panico ha ricevuto scarsa attenzione.

Alcuni autori hanno evidenziato come in una casistica di soggetti affetti da disturbo da panico fossero elevati i tassi di ideazione e comportamento suicidario e aggressivo durante l’attacco di panico (un paziente su dieci con disturbo da panico aveva presentato fenomeni di aggressività autodiretta durante lo stato di panico, mentre il tasso di aggressività risultava la metà). La presenza di depressione in comorbidità raddoppiava la percentuale di associazione tra panico e ideazione suicidaria, distruzione di proprietà e aggressioni, e un aumento di cinque volte del tasso di ideazione omicida. I soggetti che cronicamente manifestavano forme di discontrollo comportamentale con maggiore probabilità presentavano tali comportamenti durante lo stato di panico. In effetti tassi più elevati di ideazione e di comportamento suicidario erano evidenziabili nei pazienti con attacchi di panico qualora questi si associassero all’abuso di sostanze o al disturbo borderline di personalità (84).

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2.2.2 Disturbo da panico, impulsività e disturbo bipolare

La presenza del disturbo da panico in comorbidità nei soggetti affetti da disturbo bipolare può conferire un aumentato rischio di suicidio. Un recente lavoro di revisione appare a sostegno di un aumentato rischio di suicidio nei pazienti con disturbo bipolare in comorbidità con disturbi d'ansia. Secondo questa revisione (85), il suicidio nelle persone con disturbo bipolare è associato con uno stato civile single, familiarità per suicidio e per disturbi affettivi, abusi fisici o sessuali in età infantile, insorgenza precoce di malattia psichiatrica, alcol e altre sostanze, vissuti di disperazione, e comorbidità con il disturbo da panico.

Specifiche relazioni tra variabili cliniche del panico (in particolare l’esordio precoce) e dei sintomi affettivi (stato misto) possono aumentare il rischio di suicidio. Un recente studio (86) ha rilevato che l’ansia associata ai disturbi di personalità di cluster B aumenta il rischio di suicidio in pazienti bipolari (87).

2.3. Spettro bipolare , Impulsività e disturbo da panico

2.3.1 Cenni sul concetto di spettro bipolare

Negli ultimi decenni, la dicotomia tra forme unipolari e bipolari (88-89), all’interno della malattia maniaco-depressiva, è stata messa in discussione non consentendo l’inquadramento di molte condizioni affettive che si trovano all’interfaccia tra disturbo unipolare, caratterizzato dalla presenza di sole fasi depressive, e disturbo bipolare, nel quale sono presenti fasi maniacali o miste. Inizialmente una particolare attenzione è stata posta alle (90-91) forme bipolari II, caratterizzate da episodi depressivi maggiori alternati a periodi espansivi attenuati che non richiedevano

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ospedalizzazione. Successivamente Klerman (92) ha esteso la concettualizzazione per includere tra le forme bipolari II, quelle caratterizzate da episodi maniacali e ipomaniacali insorti a seguito di un trattamento farmacologico, specialmente con antidepressivi (forme frequentemente identificate come disturbo bipolare III). Altri termini utilizzati per indicare le forme bipolari con fasi espansive attenuate o subcliniche sono stati ”Dm”, a indicare disturbo bipolare con manifestazioni principalmente depressive (93), e Unipolar-L (94) o depressione pseudo-unipolare (95), che propongono provocatoriamente la possibilità che alcuni pazienti unipolari potrebbero essere considerati bipolari sulla base della risposta al trattamento farmacologico con sali di litio(96) e, forse, con altri stabilizzanti dell’umore. Più recentemente Akiskal ha proposto una concettualizzazione più estesa di “spettro bipolare attenuato” (97-98), includendo depressioni con episodi ipomaniacali sia di breve che di lunga durata, tratti temperamentali di ipertimia e ciclotimia e soggetti con familiarità per disturbo bipolare. In una rielaborazione schematica delle varie forme dello spettro bipolare, Akiskal e Pinto(99) hanno evidenziato almeno sette differenti sottotipi clinici (Tabella I). Con l’eccezione dei tipi 1/2 e 1, tutti gli altri sottotipi proposti nello schema di Akiskal e Pinto(99) possono essere opportunamente raggruppati nei disturbi dello spettro bipolare II. In essi la gravità delle fasi di eccitamento non raggiunge mai l’intensità della mania o dello stato misto, ma, pur variando come durata ed espressione sintomatologica, rimane sempre ad un livello ipomaniacale o sublinico.

In questo spettro di sindromi cliniche, correlate fra loro e caratterizzate da una combinazione complessa di disturbi dell’umore, d’ansia e del controllo degli impulsi, si suppone che l’instabilità temperamentale di tipo ciclotimico possa rappresentare il fattore comune

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sottostante. In effetti attraverso i recenti studi epidemiologici di Angst e collaboratori (100) è stato possibile dimostrare una prevalenza elevata (circa il 5%) di episodi ipomaniacali di brevissima durata nella popolazione generale, quasi sempre associati ad oscillazioni rapide contropolari di tipo depressivo suggerendo come le forme ciclotimiche rappresentino il fenotipo più comune di disturbo dell’umore nella popolazione generale. Nel DSM IV il disturbo ciclotimico viene classificato in asse I insieme al disturbo bipolare, senza che sia sottolineato alcun nesso tra le due condizioni e senza che vengano definiti sintomi specifici ad eccezione dell’intensità ridotta delle oscillazioni dell’umore e della durata protratta, superiore ai 2 anni.

Secondo la prospettiva temperamentale della ciclotimia sviluppata da Akiskal, riprendendo la concezione Kraepeliniana degli “stati di base” come espressione costituzionale della malattia maniaco depressiva, il "temperamento ciclotimico" rappresenterebbe un costrutto di tipo dimensionale che, soltanto nelle espressioni estreme, potrebbe venir considerato “a-normale” in senso statistico e clinico. I criteri per il temperamento ciclotimico, così come operazionalizzati da Akiskal (101) e accettati dalla letteratura psichiatrica attuale, ricalcano le descrizioni classiche e richiedono la presenza, durante gran parte della vita dell’individuo a partire dall’infanzia-adolescenza, di un repentino alternarsi di umori e condizioni opposte quali: 1) l’ipersonnia versus il ridotto bisogno di sonno 2) l’ntroversione alternata alla ricerca disinibita di compagnia; 3) l’essere a periodi taciturno e a tratti eccessivamente loquace; 4) mostrare un’inspiegata tendenza al pianto che si alterna repentinamente a giocosità; 5) l’inerzia psicomotoria versus una ricerca frenetica di attività; 6) la letargia o altri disturbi somatici alternati a eufonia e ridotto bisogno di sonno; 7) l’ottundimento delle sensazioni alternato a percezioni chiare; 8) un

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certo grado di rallentamento cognitivo alternato a ideazione perspicace; 9) un’autostima variabile tra la bassa e l’eccessiva fiducia in sé stessi; 10) una certa tendenza alla rimuginazione pessimistica alternata a ottimismo e spensieratezza. La natura essenzialmente bipolare del temperamento ciclotimico così definito è supportata da una serie di ricerche che hanno evidenziato la spiccata propensione di questi soggetti a virare verso l’ipomania e/o la mania quando trattati con antidepressivi ed inoltre la storia familiare positiva per disturbo bipolare (102-103).

2.3.2 Spettro bipolare, impulsività e comorbidità ansiosa

La ciclotimia presenta un quadro clinico complesso e ricco di manifestazioni psicopatologiche.

Nei pazienti ciclotimici la comorbidità lifetime con altri disturbi mentali di asse I e II non rappresenta l’eccezione, bensì la regola. Molto comuni sono le associazioni con i disturbi d’ansia, in particolare il disturbo da panico-agorafobia, la bulimia nervosa, il disturbo da dimorfismo corporeo, l’abuso di alcol e sostanze e i disturbi di personalità sia del cluster B “drammatico” che C “ansioso”. I disturbi in comorbidità sono molto importanti, in quanto spesso costituiscono il motivo per il quale questi soggetti si presentano in ambito psichiatrico. I ciclotimici infatti spesso richiedono aiuto più che per le oscillazioni dell’umore, in molti casi egosintoniche, per le manifestazioni ansiose, le crisi bulimiche, l’impulsività, l’uso di sostanze o altri problemi comportamentali.

La questione della comorbidità tra spettro bipolare, disturbi d’ansia, del controllo degli impulsi, da uso di sostanze e di personalità é sicuramente molto complessa e suscettibile d’interpretazioni patogenetiche disparate. Verosimilmente, la patologia affettiva collegata al disturbo bipolare II, si

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estende oltre le dimensioni dell’euforia e della depressione, e sembra includere, fra gli altri, stati di arousal affettivo negativo come l’ansia, il panico, l’irritabilità e l’instabilità affettiva. Questa commistione sindromica, unitamente all’età di esordio precoce, in genere durante l’adolescenza, alla ricorrenza elevata degli episodi depressivi ed alla frequenza elevata di divorzi e/o separazioni, difficoltà scolastiche e/o lavorative, atti “antisociali” isolati ed abuso di sostanze tende a produrre una vita instabile, tempestosa e ricca di cambiamenti (104). Nella biografia di questi pazienti si ritrova spesso una triade caratteristica con instabilità sentimentale, geografica e lavorativa.

McElroy e coll. (105) hanno rivolto la loro attenzione alla possibile natura bipolare di alcuni comportamenti impulsivi come quelli relativi al controllo dell’aggressività e degli istinti sessuali, le parafilie e il gioco d’azzardo patologico. I disturbi del controllo degli impulsi hanno molte affinità con il disturbo Bipolare, e sono stati correlati ad esso sulla base della fenomenologia, della comorbidità, delle alterazioni della trasmissione serotoninergica e della risposta agli agenti timolettici ed agli stabilizzanti dell’umore (106-107). Entrambi sono caratterizzati da comportamenti egosintonici dannosi, pericolosi o gratificanti, impulsività, scarso insight e instabilità affettiva.

Nel modello di spettro bipolare da noi accettato l’instabilità e la reattività dell’umore e l’impulsività potrebbero essere correlati. Entrambi possono essere indotti da stimolazioni ambientali e caratterizzano i periodi di disinibizione comportamentale, con accelerazione ideativa, egosintonicità, scarso insight e variazioni affettive marcate tra tensione, disforia e soddisfazione.

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Per quanto riguarda l’associazione con i sintomi fobico-ansiosi nei pazienti ciclotimici possono frequentemente concomitare manifestazioni di ansia critiche, fino a configurare un disturbo da attacchi di panico, oppure manifestazioni fobiche di vario grado, fino all'evitamento agorafobico esteso. Gli attacchi di panico possono scatenarsi in occasione di eventi di separazione o sotto la spinta di alcune sostanze come stimolanti o cannabinoidi, ma in molti casi iniziano al culmine di periodi di iperattività o di sub-eccitazione e talora segnano il viraggio da una fase espansiva ad una depressiva.

La relazione tra ciclotimia e disturbo da panico probabilmente va al di là della semplice associazione causale tra due disturbi di per sé separati. Recentemente MacKinnon e coll. (108) hanno effettuato una serie di studi clinici e familiari su soggetti bipolari con viraggi dell’umore rapidi, che per molti versi sono assimilabili ai soggetti affetti da ciclotimia. Dopo aver selezionato 1.143 probandi con diagnosi di disturbo bipolare e le 533 famiglie corrispondenti a tutti i soggetti in grado di soddisfare i criteri lifetime per disturbo bipolare è stato chiesto se avessero mai esperito switch rapidi dell’umore. Quasi la metà dei soggetti con diagnosi di disturbo bipolare aveva presentato switch rapidi e questo sottogruppo era costituito maggiormente da donne single di giovane età con un livello di istruzione più basso. I soggetti con rapida ciclicità presentavano una maggiore probabilità di avere un parente anch’esso affetto da rapida ciclicità (62% vs 49%) che si associava ad un carico familiare elevato di disturbi dell’umore e d’ansia. Inoltre i soggetti con switch rapidi dell’umore presentavano significativamente un’età precoce di insorgenza (18 vs 21 anni, p <0,00001) e quindi un’età media inferiore delle prime cure ambulatoriali (22,4 vs 23.5), una maggiore comorbidità con i disturbi d’ansia (47% versus 26%, p

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<0,00001), in particolare con il disturbo da panico, oltre che con i disturbi da uso di sostanze (52% versus 42%, p = 0,0006), una più elevata incidenza di comportamenti violenti (6% rispetto al 3%, p <0,004), suicidari (46% versus 31%, p <0,00001) che risultavano maggiori nel sesso femminile e in coloro che presentavano ciclicità ultradiana, e self injury (13% contro 6%, p <0,0002), un rischio quasi tre volte maggiore di ADHD (11% vs 4%) e due volte maggiore di swich con antidepressivi (36% vs 18%).

I risultati suggeriscono l’esistenza di un sottoinsieme distinto di malattia bipolare con una specifica età di esordio e una specifica comorbidità sia psichiatrica che non psichiatrica. Studi precedenti dello stesso gruppo avevano già sostenuto l'associazione tra il disturbo da panico e la rapida ciclicità che in alcune famiglie si ritrovano associati.

Questi dati sono confortati, indirettamente, dai risultati di altri studi sulle caratteristiche del disturbo bipolare in bambini ed adolescenti, che spesso è familiare, si presenta con disturbi d’ansia multipli ed è soggetto a switches rapidi circadiani. Per quanto riguarda le relazioni fra oscillazioni rapide e comorbidità con il panico, le osservazioni di di MacKinnon e coll. sono coerenti con quelle di altri autori che avevano riscontrato tassi elevati di abuso di sostanze/dipendenza e disturbi d’ansia in comorbidità con ciclotimia. Dunque, il panico e le oscillazioni dell’umore rapide potrebbero definire, nel loro insieme, un particolare sottotipo familiare di bipolarità. In effetti l’instabilità affettiva con oscillazioni contropolari rapide dell’umore, spesso reattive ad eventi esterni è una caratteristica essenziale della ciclotimia la quale rappresenta sottotipo di disturbo bipolare caratterizzato da l'instabilità affettiva, l'età precoce di insorgenza del disturbo bipolare, un maggiore abuso di sostanze, la comorbilità con l’ansia, un rischio maggiore

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di comportamento suicidario, comportamenti impulsivi e violenti e self injury rispetto al disturbo bipolare episodico (108- 109).

Nella letteratura sulla rapida ciclicità inoltre viene riportata l’esistenza di un sottogruppo di pazienti con oscillazioni giornaliere frequenti, dell’umore e dell’attività. E’ ipotizzabile che tali soggetti, descritti come ultra-ultra rapidi ciclici (UURC), rappresentino un sottotipo a parte nell’ambito del disturbo bipolare, vicino alla ciclotimia. In alcuni studi sui disturbi psichiatrici in soggetti con sindrome velo-cardio-faciale (VSFS) è stata messa in evidenza l’esistenza di un’associazione fra forme bipolari con UURC ad esordio nell’infanzia e l’allele catecol-O-metil-transferarsi-L (COMT-LL). Lo stato di omozigosi per l’allele a bassa attività COMT-LL si associa ad una riduzione di 3-4 volte dell’attività enzimatica a paragone dei soggetti omozigoti per l’enzima ad attività alta (COMT-HH). E’ dunque ipotizzabile che nei soggetti con COMT-LL ci sia una maggior disponibilità sinaptica di catecolamine, quest’ultima conseguente alla ridotta degradazione di dopamina e norepinefrina; è ipotizzabile che una maggior disponibilità sinaptica di catecolamine possa associarsi ad una maggior propensione a rapidi “switches” dell’umore e, quindi, ad una maggior vulnerabilità per lo sviluppo di un disturbo dell’umore particolarmente “instabile”. Queste osservazioni sarebbero dunque indicative del fatto che un gene modificato (COMT-L) potrebbe predisporre ad un decorso di tipo UURC in pazienti affetti da disturbo bipolare.

Per quanto riguarda invece l’aggregazione tra forme bipolari caratterizzate da viraggi rapidi dell’umore e comorbidità con disturbo da panico, Mackinnon et al.(109) e più recentemente Logue et al. (110) hanno individuato, quali possibili geni candidati, geni comuni sul braccio lungo del cromosoma 18 e sul cromosoma 2 e 12 fornendo un’ ulteriore prova di un

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possibile collegamento tra disturbo bipolare e comorbidità familiare per disturbo da panico.

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3. OBIETTIVI DELLA RICERCA

La nostra ricerca si propone di valutare la presenza e la gravità dell’impulsività e dei comportamenti impulsivi in pazienti con Disturbo da Panico mediante strumenti di indagine che riflettono diversi modelli interpretativi. Si propone, inoltre, di valutare eventuali differenze con un gruppo di controllo appaiato per caratteristiche demografiche e di studiare il ruolo svolto dalla comorbidità con il disturbo ciclotimico ed i rapporti con i temperamenti affettivi.

Le ipotesi in studio sono le seguenti:

1) che l’impulsività lifetime valutata a livello di specifiche tipologie di comportamento possa essere maggiore nei pazienti con Disturbo da Panico rispetto ai controlli.

2) che l’impulsività non sia correlata alla diagnosi di Disturbo da Panico, in sé, ma sia essere mediata dalla presenza di comorbidità con disturbi dell’umore attenuati, in particolare con la presenza di ciclotimia.

3) che possa esistere una variabilità dei livelli di impulsività, sia lifetime che al momento della valutazione, correlata a tratti temperamentali affettivi specifici, a tratti di ansia da separazione o di sensitività interpersonale.

4. METODO

4.1 Casistica e gruppo di controllo

Per la ricerca è stato reclutato un campione di 66 pazienti afferenti ai servizi ambulatoriali della Unità Operativa di Psichiatria 1 e della Unità

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Operativa di Psicologia Clinica dell´Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana in un periodo di circa 2 anni. Il campione comprende 39 (60%) soggetti di sesso femminile e 26 (40%) soggetti di sesso maschile con età media di 36.5 anni (sd=12.1) che soddisfano i criteri DSM-IV-TR per Disturbo da Attacchi di Panico. Sono stati esclusi dallo studio i pazienti che presentassero comorbidità per schizofrenia lifetime o altri disturbi psicotici, sindromi psichiatriche organiche e disturbi somatici gravi.

I 66 soggetti del campione iniziale sono stati successivamente divisi in due sottogruppi in base alla presenza, o meno, di comorbidità per il disturbo ciclotimico. Il primo sottogruppo Ciclo + (casi ciclotimici) è risultato composto da un totale di 22 pazienti, 7 in grado di soddisfare anche i criteri per il disturbo ciclotimico secondo il DSM-IV TR e 15 dei quali in grado di soddisfare i criteri per il disturbo ciclotimico modificati secondo Akiskal et al. (74). Il secondo sottogruppo Ciclo – (casi non ciclotimici) è risultato costituito dai restanti 44 pazienti affetti da disturbo da panico che non soddisfacevano nè i criteri per il disturbo ciclotimico secondo il DSM-IV-TR, nè quelli modificati da Akiskal et al. (101).

Abbiamo inoltre reclutato un gruppo di 44 soggetti di controllo appaiati per età, sesso, scolarità e attività lavorativa comprendente 26 (59.1%) soggetti di sesso femminile e 18 (40.9%) maschile con età media di 34.82 anni (sd=10.3) nei quali non fosse presente alcuna patologia di carattere psichiatrico e nei quali fosse esclusa qualunque condizione medica generale avente rilevanza psichiatrica.

La totalità dei soggetti (n=110) ha fornito il consenso informato scritto a partecipare allo studio.

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Tutti i soggetti che hanno fornito il loro consenso informato a prendere parte allo studio hanno partecipato a una sessione di valutazione, effettuata da medici specializzandi in psichiatria supervisionati da specialisti in psichiatria appartenenti al gruppo di ricerca in cui si è proceduto all’inquadramento diagnostico e alla valutazione nelle specifiche aree di interesse di questa ricerca comprendenti la sintomatologia specifica, i temperamenti affettivi e gli aspetti di personalità, come pure l’impulsività.

La valutazione diagnostica è stata effettuata utilizzando la Mini Neuropsychiatric Interview (MINI) un’intervista breve strutturata utilizzata per formulare la diagnosi delle principali sindromi cliniche di Asse I, sulla base dei criteri previsti dal DSM-III-R per le specifiche entità nosografiche.

La diagnosi di disturbo ciclotimico è stata effettuata considerando due livelli: sulla base dei criteri diagnostici del DSM-III R che permettono di fare diagnosi di disturbo ciclotimico in presenza, per almeno 2 anni, di numerosi episodi ipomaniacali aventi una durata di almeno 4 o più giorni (soglia ritenuta da alcuni autori eccessivamente restrittiva) associata a numerosi periodi con sintomi depressivi che non soddisfano i criteri per un Episodio Depressivo Maggiore ma anche sulla base di un approccio più estensivo che consideri soddisfatti i criteri per l’ipomania in presenza di sintomi presenti per almeno due giorni. Più specificamente, i criteri utilizzati per l’ipomania, basati su Akiskal et al. (101) vengono di seguito riportati: i pazienti devono soddisfare almeno tre dei criteri di Feighner et al. (111) per la mania, ma al di sotto del livello sindromico, per un periodo di non più di due giorni, non avere caratteri psicotici e non presentare una significativa compromissione del funzionamento sociale o lavorativo durante il periodo di elevazione dell’umore. In particolare devono essere assenti: difficoltà a mantenere nel tempo una conversazione adeguata; umore euforico che si

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trasforma in ostilità rivendicativa; allucinazioni o franchi deliri su capacità o identità, deliri di persecuzione, deliri di riferimento, deliri erotomanici; mancanza di insight e di critica a tal punto che l’attività frenetica su più fronti conduce ad una compromissione sociale importante. La validità della soglia dei 2 giorni per l’ipomania è stata confermata in alcuni studi che esaminavano la storia familiare ed il decorso prospettico di un’ampia popolazione clinica e di controllo come mostrato nell’International Exchange on Bipolar Disorders (112).

La valutazione sintomatologica è stata effettuata mediante:

• la Bach-Raphaelsen Depression and Mania Scale (BRMS) (113-114), un questionario in eterosomministrazione che valuta la presenza di sintomi depressivi e maniacali, esplorando 11 aree di indagine con risposta a punteggio (da 0 a 4);

• la State Trait Anxiety Inventory (STAI) (62), un questionario in autosomministrazione composto da due sottoscale volte ad esplorare sintomi d’ansia di stato e di tratto. Ogni sottoscala è formata da venti items con risposta a punteggio (da 1 a 4).

• la Hypomania Check List (HCL-32) (115), un questionario in autosomministrazione, tradotto in diverse lingue, che comprende una lista di sintomi di tipo maniacale che il soggetto deve contrassegnare come “presenti” (o tipici) oppure “assenti“ (o non tipici). Il questionario comprende inoltre altri otto items che valutano la gravità e l’impatto dei sintomi di tipo eccitativo su diverse aree del funzionamento. Il punteggio totale viene ottenuto sommando i sintomi contrassegnati. Il questionario è stato sviluppato nell’ambito

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della ricerca di strumenti psicometrici per lo screening delle condizioni cliniche appartenenti allo spettro bipolare (116). In particolare, il questionario è stato sviluppato come strumento di screening per l’ipomania, particolarmente cruciale per la distinzione tra disturbo depressivo maggiore ricorrente e disturbo bipolare di tipo II. In quest’ottica, un punteggio superiore a 14 è risultato avere una buona sensibilità (0.8) e una discreta specificità (0.51) per differenziare i soggetti risultati affetti, una volta sottoposti a valutazione diagnostica standardizzata, da disturbi dell’umore di tipo unipolare o bipolare. Il questionario non appare in grado di differenziare tra sottotipi clinici (disturbo bipolare di tipo I o II) (117), tuttavia presenta un’interessante indipendenza dalla fase affettiva del soggetto al momento della valutazione, rendendolo uno strumento utilizzabile anche in pazienti sintomatici (115).

• il Clinical Global Impression Severity and Improvement (CGI) (118) è, probabilmente, la scala più frequentemente utilizzata per la valutazione globale della psicopatologia che consente la formulazione di un giudizio in 3 aree: la gravità della malattia, il miglioramento globale e l’indice di efficacia terapeutica. Alla valutazione basale abbiamo compilato il primo item (CGI-Severity), che esplora, attraverso una scala a 7 punti, la gravità della sintomatologia globale.

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La valutazione temperamentale e dei tratti di personalità è stata effettuata utilizzando:

• Il questionario di rilevazione per il temperamento affettivo e ansioso (TEMPS-M) (119) una scheda di autovalutazione composta da 35 items che permette l’inquadramento delle caratteristiche temperamentali affettive ed ansiose secondo i criteri di Akiskal e Mallya (120). Il questionario è composto di cinque sottoscale ciascuna delle quali stima, in modo quantitativo, la presenza di elementi temperamentali di tipo depressivo, ciclotimico, ipertimico, irritabile o ansioso.

• la Separation Anxiety Symptoms Inventory (SASI) (121) una scheda di autovalutazione composta da 15 items che esplora i sintomi di ansia di separazione presenti nei primi diciotto anni di età;

• la Interpersonal Sensitivity Symptoms Inventory (ISSI) (122) una scheda di autovalutazione composta da 36 items che indaga la sensibilità al giudizio e alla critica del soggetto e il modo di relazionarsi con gli altri;

• la Anxiety Sensitivity Index (ASI)(123) è una scheda in autovalutazione composta da 16 items che valuta la misura in cui il soggetto giudica i sintomi ansiosi come minaccianti

La valutazione dell’impulsività è stata effettuata attraverso:

• La Barratt Impulsiveness Scale (BIS) (22), un questionario in autosomministrazione composto da 30 domande

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con risposte a scelta tra quattro possibilità in scala crescente che valuta il grado e il tipo di impulsività di un soggetto. Il punteggio totale varia da 30 a 120 ed offre una stima quantitativa dell’impulsività che deriva dalla somma di tre fattori: l’impulsività cognitiva (inattention and cognitive instability con punteggio minimo: 8; massimo: 32), l’impulsività motoria (motor impulsiveness and lack of perseverance con punteggio minimo: 11; massimo: 44) e l’impulsività non pianificativa (lack of self control and intolerance of cognitive complexity con punteggio minimo: 11; massimo: 44).

• l'Immediate And Delayed Memory Task (IMT\DMT) (124) un test computerizzato, tra i più utilizzati nei trials clinici per misurare i correlati comportamentali dell’impulsività, che è composto da quattro prove di riconoscimento di stimoli numerici che compaiono sullo schermo a tempi prefissati. Si tratta di una versione modificata del Continuous Performance Test (36), un test utilizzato per la valutazione dell’attenzione e della memoria di lavoro, di cui rappresenta una versione più impegnativa. Nel primo task l’IMT stringhe di cinque numeri appaiono in successione sullo schermo di un computer con un intervallo di 0.5 sec: il soggetto viene istruito a confrontare le stringhe tra loro e a rispondere, con un clic del proprio mouse, soltanto quando la stringa di numeri visualizzata è esattamente identica alla precedente. Tra diverse le risposte ottenibili in un task di questo tipo tre appaiono particolarmente significative: le risposte corrette (correct detection, hit) se il soggetto clicca sul mouse dopo aver individuato una serie che corrisponde alla precedente; le risposte non corrette (random error) se il soggetto

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risponde ad una serie non identica a quella che l’ha preceduta e i cosiddetti falsi allarmi (commission error) in cui il soggetto risponde cliccando ad una serie che somiglia, ma non è identica, alla precedente, avendo in comune quattro dei cinque numeri. Sono questi ultimi che vengono considerati errori di tipo impulsivo, indotti dalla tendenza del soggetto a rispondere, in presenza di uno stimolo simile al target in modo rapido ma scorretto, prima cioè di averne valutato l’effettiva differenza.

4.3 Analisi statistica

L’analisi comparata per le caratteristiche familiari, epidemiologiche, cliniche e di decorso dei diversi sottogruppi, è stata condotta utilizzando il t-test di Student per le variabili dimensionali (Mann-Withney U-test, quando appropriato) e il chi-quadro per le variabili categoriali (Fisher exact-test, quando appropriato). I confronti a tre gruppi sono stati condotti mediante analisi di varianza (ANOVA) ad una via per le variabili dimensionali e le tavole di contingenza per quelle categoriali. Abbiamo inoltre utilizzato per le analisi di correlazione il metodo di Pearson. In considerazione del numero di soggetti e della natura confirmatoria del nostro lavoro abbiamo considerato in maniera conservativa livelli di significatività a doppia coda con soglia a p < 0.05.

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5. RISULTATI

5.1 Confronto tra soggetti con disturbo da panico e controlli

5.1.1 Caratteristiche demografiche

In tabella 1. sono mostrate le caratteristiche demografiche dei soggetti affetti da disturbo da panico (n=66) e dei controlli (n=44). Dal confronto tra i due gruppi non si evidenziano differenze significative per quanto riguarda la distribuzione di genere, l’età media, la scolarità, l’attività lavorativa e lo stato civile. Occorre sottolineare che il gruppo di ricerca ha posto particolare attenzione nel selezionare il gruppo di soggetti di controllo appaiato età, scolarità ed estrazione sociale (32).

5.1.2 Distribuzione diagnostica, comorbidità e trattamento in atto

Il profilo diagnostico al momento dell’osservazione del gruppo di soggetti affetti da disturbo da panico (n=66) è mostrato in tabella 2.: in particolare 41 soggetti (62.1%) soddisfacevano i criteri diagnostici per disturbo da panico con agorafobia, 24 soggetti (36.4%) per disturbo da panico senza agorafobia e un solo soggetto soddisfaceva i criteri per agorafobia in apparente assenza di disturbo da panico. Per quanto riguarda la comorbidità per gli altri disturbi d’ansia, 8 soggetti (12.1%) soddisfacevano i criteri per la diagnosi di disturbo ossessivo - compulsivo,

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19 soggetti (28.8%) soddisfacevano i criteri per la diagnosi di disturbo d’ansia generalizzata e 8 (12.1%) per disturbo da ansia sociale.

In alcuni casi era possibile che i soggetti soddisfacessero i criteri diagnostici per più di un disturbo d’ansia.

In tabella 3 viene mostrata la distribuzione delle condizioni psichiatriche in comorbidità. Nel campione di soggetti affetti da disturbo di panico, 12 (18.2%) avevano presentato un episodio ipomaniacale, in 7 soggetti (10.6%) è stato possibile effettuare diagnosi di disturbo ciclotimico secondo i criteri DSM, mentre in un numero decisamente maggiore, 15 soggetti (22.7%), è stato possibile effettuare diagnosi di disturbo ciclotimico utilizzando i criteri modificati per l’ipomania a 2 giorni basati su Akiskal et al. (74).

I soggetti di controllo (n=44) non soddisfacevano i criteri diagnostici per alcun disturbo di rilevanza psichiatrica, fatta eccezione per 2 (4.5%) che soddisfacevano i criteri modificati per disturbo ciclotimico.

5.1.3 Valutazione sintomatologica, temperamentale e dei tratti di personalità

La tabella 4 mostra i punteggi ottenuti alle scale cliniche dai soggetti affetti da disturbo da panico e dai controlli. Per quanto riguarda gli aspetti sintomatologici i soggetti affetti da disturbo da panico differivano dai controlli mostrando punteggi più elevati nella Bach-Raphaelsen mania scale (BRMS) (p= .167), nella Bach-Raphaelsen depression scale (BRDS) (p= .000), nella State-trait anxiety inventory, sia per quanto riguarda la

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componente di stato S) sia per quanto riguarda quella di tratto (STAI-S) (per entrambe p< .001) nonchè nella Hypomania check list (HCL32) (p< .001).

I soggetti affetti da disturbo da panico ottenevano un punteggio medio al Clinical Global Impression severity (CGI-S) di 3.5 (sd = 1.0), indicativi di una gravità globale della malattia tra lieve e moderata. Per quanto riguarda la valutazione delle caratteristiche temperamentali i soggetti affetti da disturbo da panico presentavano punteggi significativamente più elevati in quattro, su cinque, sottoscale del Questionario per la rilevazione del temperamento affettivo e ansioso (TEMPS-M) (temperamento depressivo, ciclotimico e ansioso, p < .001, temperamento irritabile, p = .004). Non si evidenziavano invece differenze significative tra i due gruppi per quanto riguarda la sottoscala del temperamento ipertimico; in quest’ultimo caso, inoltre, i punteggi medi erano leggermente più elevati nei controlli (t = -1.674; p = .097). Come atteso i soggetti affetti da disturbo da panico presentavano punteggi significativamente più elevati rispetto ai controlli alla Separation Anxiety Sensitivity Index (SASI) (p= .001), scala per la valutazione dell’ansia di separazione. Per quanto riguarda la Interpersonal Sensitivity Symptoms Inventory (ISSI), nella quale punteggi elevati sono indicativi di scarsa sensibilità al giudizio e alla critica, i punteggi medi erano significativamente più bassi nei pazienti rispetto ai controlli (p< .001). Come atteso i punteggi ottenuti alla ASI risultavano significativamente maggiori nei casi rispetto ai controlli (p< .001).

Figura

Tabella 1. Caratteristiche demografiche dei soggetti con DAP e dei controlli Casi (n=66) Controlli  (n=44) t o χ2 p Età, media (ds) 36.5 ± 12.1 34.8 ± 10.3 0.769 0.444 Sesso femminile, n (%) 39 (%) 26 (%) 0.009 0.924 Scolarità, n (%) 1.82 0.400 ≤ 8 anni 18
Tabella  7.  Caratteristiche  demografiche:  DAP  ciclotimici  vs  DAP  non  ciclotimici vs controlli  Casi  Ciclo+ (n=22)  Casi Ciclo- (n=44) Controlli  (n=44) F p Età, media (ds) 35.6 ± 11.7 33.1 ± 8.5 34.8 ± 10.2 0.434 0.649 Sesso femminile,  n (%) 14 (
Tabella  9.    Punteggi  alla  BIS-11  (punteggio  medio  ±  ds)  dei  soggetti  con  DAP  non  ciclotimici vs DAP  ciclotimici vs controlli

Riferimenti

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