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La morale degli astri: la cosmologia teleologica di Bernardin de Saint-Pierre

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La morale degli astri: la cosmologia teleologica di Bernardin de Saint-Pierre

Toutes les lois qui gouvernent la terre ont leur origine dans les cieux

Bernardin de Saint-Pierre, Harmonies de la nature Nel presentare al lettore un ampio frammento postumo della Théorie de l’univers – opera scritta sotto forma di dialogo tra un giovane marinaio e un esperto timoniere che gli svela le leggi della natura conosciute durante i suoi avventurosi viaggi – Aimé-Martin, amico e segretario di Bernardin de Saint-Pierre, nonché curatore delle sue Œuvres complètes1, mette in luce la preminenza della

riflessione astronomica, e più in generale scientifica, all’interno della produzione del suo maestro. Se, infatti, il celebre romanzo Paul e Virginie non è stato altro che «uno svago dalle sue Études» e

La chaumière indienne «fu scritta in quindici giorni», così come i Vœux d’un solitaire, la volontà di

comprendere la meccanica celeste fu, al contrario, «un’idea costante per l’autore».

Se ne trovano tracce [della riflessione sulla teoria dell’universo] in tutti i suoi scritti: le sue letture, le sue ricerche e le sue osservazioni confluivano in questo pensiero dominante. Esso conferì fascino ai suoi giorni felici e lo consolò durante il declino della vita: con mano ormai morente radunò le ultime prove della sua teoria dell’universo. «Dedicandomi a questi studi – diceva – mi sottraggo ai dolori della vecchiaia; neppure la morte potrà distogliermi da loro, poiché non farò che passare dalla contemplazione della natura alla contemplazione del suo Autore»2.

Questa testimonianza, al di là dell’evidente intento agiografico da cui è animata, ha il merito di far emergere due questioni determinanti per comprendere il ruolo che la riflessione sul cielo riveste nell’economia del pensiero di Saint-Pierre: innanzitutto, essa mette in luce come l’interesse per l’astronomia, lungi dall’essere episodico o superficiale, sia costruito su una solida base di letture e conoscenze scientifiche. In secondo luogo, il brano suggerisce, attraverso le parole di un Bernardin ormai prossimo alla fine, il nesso tra riflessione astronomica e riflessione filosofica, giustificato sulla base di quel provvidenzialismo antropocentrico che Bernardin pose al centro della sua epistemologia.

Oltre che nel già menzionato Fragment sur la théorie de l’univers, le convinzioni astronomiche di Saint-Pierre trovano infatti espressione in entrambe le sue grandi opere teoriche: le Études de la

nature del 1784 e, soprattutto, le Harmonies de la nature, composte nell’ultimo ventennio di vita e

date alle stampe postume nell’ottobre del 1814, revisionate (e almeno in parte censurate e modificate3) dello stesso Aimé-Martin. Il nono e ultimo libro di quest’opera – ampiamente 1 Louis Aimé-Martin (1782-1847) fu letterato e archivista della biblioteca di Sainte-Genèvieve, nonché esecutore testamentario di Saint-Pierre, di cui sposò la vedova Desirée de Pelleporc. Sulla sua figura, oltre che all’inevitabilmente datato contributo di M. Souriau (Bernardin de Saint-Pierre d’après ses manuscrits, Paris, Société Française d’Imprimerie et de Librairie, 1905, pp. VII-XLVIII), si rimanda ad A. Ngendahimana, Les idées politiques et sociales de Bernardin de Saint-Pierre, Bern-Berlin, Peter Lang, 1996, pp. 42-46 e M. Cook, Bernardin de Saint-Pierre: A Life of Culture, Oxford, Legenda, 2006, p. 160 e ss. Quest’ultimo testo è, a nostra conoscenza, l’unica biografia moderna di Saint-Pierre.

2 L. Aimé-Martin, Avis de l’éditeur a B. de Saint-Pierre, Fragment sur la théorie de l’univers, in Œuvres complètes de Jacques-Henri-Bernardin de Saint-Pierre, mises en ordre et précédées de la vie de l’auteur, a cura di L. Aimé-Martin, Mequignon-Marvis, Paris, 1818, 12 voll., vol. XI, p. 329 [edizione indicata nel prosieguo con la sigla OC seguita dal numero romano del volume]. Dove non indicato diversamente, la traduzione è nostra.

3 Il dibattito filologico legato alla pubblicazione delle Harmonies è piuttosto complesso. Maurice Souriau, agli inizi del ventesimo secolo, aveva accusato Aimé-Martin di aver volontariamente falsificato gran parte dello scritto (Bernardin de Saint-Pierre d’après ses manuscrits, cit., pp. XXXIV-XLVIII) e aveva proposto addirittura una nuova versione del testo (Le texte authentique des “Harmonies de la nature”, Caen, Henri Delesques, 1904). Più di cinquant’anni dopo, gli studi del filologo italiano Silvio Baridon hanno riabilitato la buona fede di Aimé-Martin, evidenziando come Souriau si fosse basato su un manoscritto differente – e certamente anteriore – rispetto a quello utilizzato dal segretario di

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Saint-trascurata dalla critica persino negli anni più recenti, caratterizzati da un’indubbia rivalutazione della figura di Saint-Pierre4 – è dedicato in maniera significativa all’analisi della cosmologia, come si può intuire già dal suo titolo: Harmonies du Ciel, ou les mondes.

Un’analisi attenta di questo libro, che si sforzi cioè di non relegarlo sbrigativamente all’interno della categoria storiografica dei “deliri scientifici”, ma che ne ricostruisca per quanto possibile le fonti e le direttrici concettuali principali, può aiutare non solo a mettere in luce l’evoluzione del pensiero bernardiniano, ma anche a mostrare come il crescente interesse che egli andò maturando nei confronti dell’astronomia nasca da un serrato confronto con il profondo mutamento che stava interessando la scienza del cielo in quegli anni, con ripercussioni filosofiche e letterarie di notevole rilevanza.

1. Cielo meditato, cielo sognato

Se la prima parte del Settecento aveva sancito, grazie alla costituzione di una meccanica celeste analitica, il trionfo della concezione dell’universo di Newton su quella di Descartes5, la seconda metà del secolo – e in particolare gli ultimi decenni – furono segnati non solo da scoperte astronomiche fondamentali (basti pensare all’individuazione di Urano a opera di Frederick William Herschel nel 1781) e dalla nascita di nuove branche dell’astronomia, come l’astrometria e la geodesia, ma soprattutto dalla perentoria affermazione delle teorie di Pierre-Simon Laplace.

Pur muovendosi all’interno di un quadro teorico newtoniano, di cui si sforzò a lungo di mettere in luce la validità (esemplare, a tale proposito, è la dimostrazione offerta il 19 dicembre del 1787 di fronte all’Académie des sciences di come la relazione fra l’accelerazione lunare e i cambiamenti secolari nell’eccentricità dell’orbita della Terra sia riconducibile alle leggi della meccanica di Newton), Laplace finì con il delineare una metodologia e un’epistemologia che si opponevano radicalmente alla filosofia del suo maestro. Newton, partendo dalla constatazione delle numerose perturbazioni individuabili nello studio del movimento dei pianeti, era giunto ad ammettere – e addirittura a postulare nella Query 31 dell’Opticks – un intervento originario di Dio nell’economia di un cosmo diversamente sottoposto a una progressiva affermazione del disordine e del caos: «Tutte le cose materiali sembrano essere state […] variamente associate durante la prima creazione dalla volontà di un Agente dotato di intelligenza […]. Tale meravigliosa uniformità del sistema planetario deve essere considerata il risultato di una scelta»6. Laplace, al contrario, dichiara l’inutilità di qualsiasi ricorso a Dio nella descrizione della meccanica celeste poiché, secondo lui, le leggi che conservano l’ordine sono altresì capaci di crearlo. Partendo dalla verifica della stabilità dinamica del sistema solare, sotto l’ipotesi che esso consista in un insieme di corpi rigidi che si Pierre. Cfr. S.F. Baridon, Les Harmonies de la nature di Bernardin de Saint-Pierre: studi di filologia e di critica testuale, Milano, Istituto Editoriale Cisalpino, 1958, 2 voll.

4 Tra i contributi più recenti, accanto alle monografie di T. König, Naturwissen, Ästhetik und Religion in Bernardin de Saint-Pierres “Études de la nature”, Frankfurt am Main, Lang, 2010 e M. El Bejaoui, L’idée de nature au XVIIIème siècle. Le cas de Bernardin de Saint-Pierre, Saarbrücken, Éditions universitaires européennes, 2011, si segnalano altresì i volumi collettivi Autour de Bernardin de Saint-Pierre. Les écrits et les hommes des Lumières à l’Empire, a cura di C. Seth e E. Wauters, Mont-Aignan, Publications des Universités de Rouen et du Havre, 2010; Bernardin de Saint-Pierre et l’océan Indien, a cura di J.-M. Racault, C. Meure e A. Gigan, Paris, Garnier, 2011 e Bernardin de Saint-Saint-Pierre au Tournant des Lumières: Mélanges en l’honneur de Malcolm Cook, a cura di K. Astbury, Leuven, Peeters, 2012. 5 Cfr. P. Brunet, L’introduction des théories de Newton en France au XVIIIème siècle, Paris, 1931; ristampa anastatica Genève, Slatkine, 1970.

6 In particolar modo la teoria delle comete conferma la necessità dell’intervento divino: «Mentre le comete si muovono in orbite molto eccentriche in tutte le direzioni, il cieco fato non potrebbe mai far muovere tutti i pianeti nella stessa direzione in orbite concentriche […] che potrebbero derivare dalla mutua attrazione che le comete e i pianeti esercitano le une sugli altri, e che tenderanno ad aumentare finché questo sistema avrà bisogno di una riforma». I. Newton, Opticks or, a treatise of the reflexions, refractions, inflexions and colours of light: also two treatises of the species and magnitude of curvilinear figures (1704), Query 31, trad. it. in Scritti di ottica, a cura di A. Pala, Torino, Utet, 1978, p. 602. Sulla questione cfr. E.W. Strong, Newton and God, in «Journal of the History of Ideas», XIII, 1952, II, pp. 147-167.

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muovono nel vuoto, egli arrivò pertanto a integrare gli elementi di caos e disordine nel normale gioco di forze e masse che caratterizzano la gravitazione universale. Questi principi, prima ancora di trovare espressione nella monumentale Mécanique Céleste – i cui cinque volumi sarebbero stati pubblicati tra il 1799 e il 1825 – erano stati formulati da Laplace nell’Exposition du système du

monde del 1796, che si può considerare l’espressione più sintetica e compiuta – nonché più efficace

dal punto di vista divulgativo – del suo modello di creazione dei sistemi planetari. Nella breve premessa che apre lo scritto, l’autore individua come compito dell’astronomia quello di «elevarsi alle leggi dei movimenti planetari, e da queste leggi al principio della gravitazione universale, per ridiscendere infine da questo principio alla spiegazione completa di tutti i fenomeni celesti, sino nei minimi dettagli»7.

Questa nuova cosmologia completamente naturale, orientata risolutamente sulla via di un determinismo pragmatico e sullo studio analitico di verità matematiche dimostrate e in scrupoloso accordo con l’osservazione empirica, suscitò una violenta reazione che avrebbe condotto alla nuova visione romantica del cielo, costruita in aperta opposizione a quella dell’Illuminismo. Il cielo dei Lumi è infatti un cielo che deve essere primariamente studiato e descritto in quanto fenomeno naturale; il cielo del Romanticismo, al contrario, è innanzitutto un cielo sognato, che soddisfa un’esigenza – spirituale e interiore prima che scientifica – di trascendenza e di comprensione dell’invisibile. Esso, come ebbe modo di osservare acutamente Madame de Staël nel De

l’Allemagne (1810), può essere compreso con maggiore efficacia dall’immaginazione del poeta che

dai calcoli del matematico: «L’universo assomiglia più a un poema che a una macchina e se si dovesse scegliere, per concepirlo, tra l’immaginazione e lo spirito matematico, l’immaginazione si avvicinerebbe di più alla verità»8.

La conseguenza più manifesta di questa sostituzione di un cielo “meditato” con un cielo “sognato” fu la nascita di un nuovo immaginario astronomico, dominato da una descrizione letteraria del cosmo e, soprattutto, dalla preminenza di quell’elemento religioso e morale accantonato da Laplace: «Il cielo del Romanticismo è indissociabile dall’escatologia cristiana, dall’angelologia cattolica e dalla credenza negli spiriti maligni; improntato al genio del cristianesimo, diventa naturalmente il luogo, o almeno il supporto simbolico, della lotta manichea tra il Bene e il Male»9. Proprio Chateaubriand, nel capitolo del suo Génie du Christianisme (1802) dedicato alle prove dell’esistenza di Dio rintracciabili nelle meraviglie della natura, aveva sottolineato l’inscindibile legame tra la comprensione della divinità e quella dell’universo, interpretato alla stregua di una rappresentazione simbolica della stessa divinità: «Si potrebbe dire che l’uomo è il pensiero manifesto di Dio, e che l’universo è la sua immaginazione resa sensibile»10. In particolare, il corso del Sole racchiuderebbe in sé il mistero trinitario, che sarebbe in tal modo continuamente svelato all’essere umano: «Ad ogni momento del giorno il Sole si leva, brilla nel suo zenit, e si riposa nel mare […]. Questo triplice splendore è quanto forse la natura ha di più bello: poiché dandoci l’idea della perpetua magnificenza e dell’onnipotenza di Dio, essa ne fa concepire nel tempo stesso un’immagine della sua gloriosa Trinità»11.

Il cielo, in altre parole, nasconde in sé un messaggio dissimulato, la cui comprensione non può essere semplicisticamente ricondotta all’esperienza sensibile o alla descrizione scientifica della meccanica celeste. Il determinante elemento di normatività inscritto nel cosmo può essere colto soltanto attraverso una sua lettura più profonda e allegorica, in tutto e per tutto paragonabile – per

7 P.-S. Laplace, Exposition du Système du Monde. Quatrième édition revue et augmentée par l’Auteur, Paris, Courcier, 1813, p. 1.

8 A.-L. Germaine Necker, De l’Allemagne, in Œuvres complètes de Madame la baronne Staël-Holstein, Paris, Firmin Didot Frères, 1836, vol. II, p. 202.

9 C. Chelebourg, Avant-propos, in Le ciel du romantisme: cosmographies, rêveries, Caen, Lettres Modernes Minard, 2008, pp. 3-4. Sulla visione romantica del cielo cfr. inoltre G. Gusdorf, Le savoir romantique de la nature, Paris, Payot, 1985 e A. Vasak, Météorologies: Discours sur le ciel et le climat, des Lumières au Romantisme, Paris, Champion, 2007. 10 F.-R. de Chateaubriand, Le génie du christianisme, Paris, Garnier-Flammarion, 1966, vol. I, p. 152.

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riprendere un’immagine delle Harmonies poétiques et religieuses (1830) di Lamartine – alla decifrazione delle Sacre Scritture:

Les cieux pour les mortels sont un livre entrouvert, Ligne à ligne à leurs yeux par la nature offert; Chaque siècle avec peine en déchiffre une page, Et dit: Ici finit ce magnifique ouvrage:

Mais sans cesse le doigt du céleste écrivain Tourne un feuillet de plus de ce livre divin, Et l’œil voit, ébloui par ces brillants mystères, Etinceler sans fin de plus beaux caractères! Que dis-je ? À chaque veille, un sage audacieux Dans l’espace sans bords s’ouvre de nouveaux cieux12;

Questa visione mistica del cielo avrebbe profondamente colpito l’immaginario collettivo ottocentesco, sino a diventarne una vera e propria ossessione. L’idea di un cosmo forgiato a partire dalla fantasia – e popolato da angeli, mostri o demoni – si ritrova nella produzione di tutti i più importanti autori della prima metà del diciannovesimo secolo francese: dal Balzac di Séraphîta (1835) all’Hugo di Nomen, numen, lumen (1855), sino a giungere al Gautier di Spirite (1866).

All’interno di questo momento di passaggio dalla concezione illuministica dell’astronomia a quella romantica, che implica evidentemente un ripensamento qualitativo radicale della scienza del cielo e della sua relazione con gli altri ambiti del sapere, in particolare la morale e la religione, Bernardin de Saint-Pierre ricopre una posizione del tutto peculiare e non scevra di contraddizioni. Pur avversando con decisione il metodo analitico dell’astronomia a lui contemporanea – che conduce gli scienziati a individuare finte leggi generali trascurando l’unica vera legge che anima a parer suo la natura, cioè la Provvidenza – egli non giunse mai a contrapporre la scienza alla religione o alla morale, come invece faranno spesso i Romantici. La riflessione astronomica diviene per lui, al contrario, il punto d’incontro privilegiato tra scienza naturale e filosofia morale ed è pertanto un aspetto preponderante di quella “nuova” storia naturale che Bernardin, come un novello Plinio, si propose sempre di delineare. Il raggiungimento di questo ambizioso obiettivo, consciamente destinato a non poter essere mai realizzato del tutto in ragione della sua ampiezza13, richiede un profondo ripensamento sia metodologico sia epistemologico nello studio del cosmo. Tale rivoluzione è messa in pratica attraverso un sincretismo di suggestioni differenti tipico di Saint-Pierre; essa non è semplicisticamente riconducibile né al modello del cielo “meditato” dei Lumi né – per ragioni concettuali oltre che cronologiche – a quello del cielo “sognato” del Romanticismo, ma riprende semmai diverse istanze problematiche dibattute all’epoca, nel tentativo di trovarne una (forse impossibile) composizione.

La consapevolezza di Saint-Pierre nei confronti delle implicazioni via via più forti che la cosmologia stava esercitando sul pensiero filosofico, e sulla morale in particolare, trova una conferma decisiva, oltre che nella volontà dell’autore di farne l’oggetto del corso di studio di “morale républicaine” dispensato all’École Normale14, nella netta evoluzione del suo pensiero, per quel che concerne questo specifico punto, tra le Études e le Harmonies. Queste due opere, considerate nel complesso dallo stesso Bernardin come la continuazione del medesimo disegno – a tal punto che egli amava definire le Harmonies “secondes Études” – sono separate non a caso 12 A. de Lamartine, L’infini dans les cieux, in Harmonies poétiques et religieuses. Le chant du sacre. Epîtres et poésies, Paris, Librairie de Charles Gosselin, 1832, pp. 145-146.

13 Saint-Pierre paragona a più riprese la sua opera all’abbozzo di un quadro incompiuto: «Descrizioni, congetture, prospetti, vedute, obiezioni, dubbi e persino cose che ignoro: ho radunato tutto e ho dato a queste rovine il nome di Études, come un pittore agli studi di un grande quadro a cui non ha potuto dare gli ultimi ritocchi». Études de la nature, OC III, p. 39; nel caso delle Études indicheremo inoltre la pagina dell’edizione curata da Colas Duflo: B. de Saint-Pierre, Études de la nature, Publications de l’Université de Saint-Étienne, Saint-Étienne, 2007, qui p. 66.

14 Saint-Pierre ottenne la prima cattedra di filosofia morale nell’appena istituita École Normale (1794), per venire cooptato alcuni anni dopo all’Academie Française dove, in qualità di presidente, ebbe l’onore di pronunciare, nel 1807, l’elogio di Napoleone. Cfr. M. Cook, Bernardin de Saint-Pierre: A Life of Culture, cit., pp. 157-160.

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dall’affermazione del pensiero di Laplace e dai fondamentali risultati ottenuti da Herschel nell’ambito della galattografia. Proprio questi due autori rappresenteranno rispettivamente il principale (anche se spesso tacito) obiettivo polemico delle Harmonies du ciel e il modello positivo a esso opposto.

2. Dalla scienza della Terra alla scienza del cielo

I riferimenti all’astronomia rintracciabili nelle Études de la nature s’inseriscono all’interno di una generale critica della concezione contemporanea del sapere15. Il rimprovero che Saint-Pierre muove a tutti i filosofi e gli scienziati che si sono cimentati nello spiegare la natura prima di lui è infatti quello di avere trascurato le innumerevoli connessioni che racchiudono il mistero della vita. Costoro hanno preteso d’invertire il processo conoscitivo, sostituendo lo studio delle cause a quello degli effetti16 che, soli, riescono ad avere una qualche incidenza sui bisogni degli esseri umani: «La natura ci presenta ovunque armonie e affinità (convenances) con i nostri bisogni, mentre noi ci ostiniamo a risalire alle cause che essa impiega, come se volessimo sottrarle il segreto della sua potenza»17. La scienza ha insomma perso di vista il fatto che, essendo l’uomo il fine ultimo della natura, egli deve essere allo stesso modo il fine ultimo della scienza la quale, al contrario, «senza consultare il fine delle operazioni della natura, non ne studia che i mezzi»18.

Per questo motivo gli astronomi non riescono a cogliere l’importanza della legge della Provvidenza e, quando non negano del tutto l’esistenza divina, si limitano a considerare Dio «come un geometra o un macchinista che si diverte a costruire delle sfere celesti per il piacere di farle girare»19. Costoro, come viene sottolineato già nell’Avis de l’auteur che apre l’opera, sono vittime del peggiore dei pregiudizi, vale a dire il principio di autorità: «Sono stati i pregiudizi della nostra educazione che hanno fuorviato così i nostri astronomi; quei pregiudizi che, sin dall’infanzia, associamo senza riflettere agli errori accreditati che conducono alla fortuna e che ci fanno biasimare le verità non ammesse che da tale fortuna ci allontanano»20. Saint-Pierre si propone apertamente di sostituire a questa astronomia fallace e tracotante un’autentica “scienza”21 del cielo: «Ho opposto a un sistema astronomico spogliato di qualsiasi prova fisica fatti dimostrati, tratti da tutti i regni della natura»22.

Se un simile intento è chiaro in linea teorica, altrettanto non si può dire per la sua effettiva realizzazione. Nelle Études non è presente, in realtà, una riflessione cosmologica organica e le questioni astronomiche trattate sono estremamente specifiche e, a ben vedere, marginali. Esse sono infatti riconducibili con nettezza a due problematiche: il dibattito sull’appiattimento della Terra ai poli o sul suo allungamento (ipotesi per cui propende Bernardin23) e, in particolar modo, la teoria 15 Sulla critica di Saint-Pierre al sapere contemporaneo cfr. C. Duflo, Bernardin de Saint-Pierre, la scienza e i dotti, in SWIF, Sito Web Italiano per la Filosofia, anno I, n. 2, 1998 (http://lgxserver.uniba.it./lei/filmod/testi/bernardin.htm); Id., Le finalisme esthétisant des “Études de la nature” de Bernardin de Pierre, in Autour de Bernardin de Saint-Pierre. Les écrits et les hommes des Lumières à l’Empire, cit., pp. 157-163.

16 «Per quanto la natura si serva di un’infinità di mezzi, essa permette all’uomo di conoscere solamente il fine». Études de la nature, OC IV, p. 232; ed. Duflo p. 328.

17 Ibidem, pp. 28-29; ed. Duflo p. 253.

18 «L’astronomia considera solamente più il corso degli astri, senza fare attenzione ai rapporti che essi hanno con le stagioni». Ibidem, pp. 15-16; ed. Duflo p. 248.

19 Ibidem.

20 Ibidem, p. X; ed. Duflo p. 41.

21 La nozione di “scienza” di cui si serve Saint-Pierre è del tutto peculiare e basata su una componente sentimentalistica e non razionalistica: «Definisco pertanto la scienza come il sentimento delle leggi della natura in rapporto agli uomini […]. Quando non abbiamo il sentimento di una verità, non possiamo averne scienza e, d’altra parte, può esserci solo scienza di ciò di cui abbiamo sentimento». B de Saint-Pierre, Harmonies de la nature, OC X, p. 80.

22 Études de la nature, OC III, p. VII; ed. Duflo p. 39.

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delle maree. Per quel che concerne questo secondo aspetto, Saint-Pierre si rifiuta erroneamente di riconoscere il ruolo dell’attrazione gravitazionale esercitata dalla Luna, attribuendo il flusso e riflusso del mare «al calore alternato del Sole, sia diretto sia riflesso dalla Luna, sui ghiacci dei due poli»24.

Nelle Études de la nature, in definitiva, lo sguardo di Bernardin pare ancora rivolto, nonostante l’inesausta tensione alla totalità che lo anima, più verso la Terra che verso il cielo. Il vero ostacolo alla sua idea che l’universo sia un ordine stabile e dominato della legge dell’armonia25 non sembra infatti risiedere tanto nell’astronomia di Newton, quanto piuttosto nella geologia di Buffon. Se la meccanica celeste newtoniana, pur essendo errata e criticabile26, lascia aperta una possibile conciliazione con una visione provvidenzialistica – basti pensare alla linea argomentativa adottata dall’Abbé Pluche nel suo fortunato Spectacle de la nature, ben noto a Bernardin27 – le ipotesi geologiche della Théorie de la terre (1749) e, soprattutto, delle Époques de la nature (1778) mettevano in dubbio la possibilità stessa di concepire un mondo naturale regolato dalla più assoluta costanza e dalla conseguente negazione della dimensione storica che connota la forma mentis bernardiniana.

Saint-Pierre rimprovera in particolare a Buffon – di cui fu per altro il successore nel ruolo di direttore del Muséum d’Histoire Naturelle a partire dal 1792, a conferma del prestigio scientifico di cui godeva presso i contemporanei – la sua teoria del raffreddamento universale. Tale ipotesi viene ricostruita sommariamente, e a tratti caricaturalmente, nelle pagine della terza Étude dedicate alle

Objections contre la Providence. Buffon è qui accusato di presentare un mondo caotico e

disordinato, un «giardino male ordinato» paragonabile a un cumulo di rovine in cui è impossibile ritrovare qualsiasi traccia d’armonia: «Durante questo scontro tra gli elementi, questa massa incandescente si raffredda ogni giorno. I ghiacci dei poli e delle alte montagne avanzano nelle pianure ed estendono insensibilmente l’uniformità di un inverno eterno su questo globo formato da confusione, devastato dai venti, dal fuoco e dalle acque»28. Le conseguenze che una simile teoria avrebbe sull’economia generale del cosmo sono descritte, nel capitolo successivo, con toni apocalittici: «Se la Terra si raffreddasse, il Sole, dal quale la si fa derivare, dovrebbe raffreddarsi in modo proporzionale, e l’affievolimento reciproco di calore di questi due globi dovrebbe manifestarsi di secolo in secolo, almeno sulla superficie della terra, attraverso l’evaporazione delle piogge e, soprattutto, attraverso la distruzione progressiva di un gran numero di piante»29.

24 Ibidem, OC IV, p. VI; ed. Duflo, p. 39. Questa spiegazione delle maree suscitò aspre polemiche, riassunte dallo stesso Saint-Pierre nell’Avis sur cet ouvrage et sur ce quatrième volume che precede Paul et Virginie e l’Arcadie nell’edizione delle Éudes del 1788 (Paris, Didot le Jeune et Méquignon l’Aîné). Il testo non è riprodotto da Aimé-Martin. La polemica è ripresa in una lunga nota della Chaumière indienne (OC VI, pp. 386-392) e nella Lettre aux auteurs de La Décade Philosophique (OC XI, pp. 359-372).

25L’armonia si può definire secondo Saint-Pierre come l’arte della natura nel creare i contrasti. Cfr. B. Guy, Bernardin de Saint-Pierre and the idea of “Harmony”, in «Stanford French Review», XI, 1978, II pp. 209-222. Sulla centralità della nozione di armonia sul finire del Settecento si rimanda al volume speciale di «Romantisme» (1973, V) intitolato Théories de l’harmonie.

26 «Rispetto Newton per il suo genio e le sue virtù, ma rispetto molto di più la verità. L’autorità dei grandi nomi serve molto spesso come baluardo dell’errore». Études de la nature, OC III, p. VII; ed. Duflo, p. 39.

27 Cfr. Noël-Antoine Pluche, Spectacle de la nature, ou Entretiens sur les particularités de l’Histoire naturelle qui ont paru les plus propres à rendre les jeunes gens curieux et à leur former l’esprit, Paris, Veuve Estienne, 1732-1750, 9 voll. Sull’influenza dell’Abbé Pluche su Saint-Pierre cfr. G.-R. Thibault, Science de l’ingénieur et théologie naturelle dans l’oeuvre de Bernardin de Saint-Pierre, in Autour de Bernardin de Saint-Pierre. Les écrits et les hommes des Lumières à l’Empire, cit., pp. 141-156, in particolare p. 150 e ss.

28 Études de la nature, OC IV, p. 126; ed. Duflo, p. 101.

29 Ibidem, p. 239; ed. Duflo, pp. 147-148. Si ricorda che, nelle Époques de la nature, si ipotizzava che la Terra si fosse staccata dal Sole in seguito all’impatto con una cometa. Cfr. G.-L. Leclerc de Buffon, Les Époques de la nature, Paris Imprimerie Royale, 1790, pp. 76-119.

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Per ristabilire l’armonia perduta, Bernardin delinea un sistema geologico30 che – come ha mostrato un recente contributo di Jean-Michel Racault – «non è per nulla delirante come il lettore contemporaneo potrebbe credere con un po’ di superficialità, ma è dotato di una forte coerenza interna e, nonostante la sua originalità, è nell’insieme conforme ai dati della riflessione scientifica del tempo»31. Tutti i ragionamenti legati alle scienze della Terra, da quelli sulla vulcanologia a quelli sui fossili, sino a giungere a quelli sulla malacologia – a cui Saint-Pierre aveva avuto modo di appassionarsi sin dal giovanile soggiorno all’Île-de-France – vengono coerentemente ricondotti alla teoria del nettunismo. Secondo tale ipotesi, la formazione delle rocce sarebbe imputabile a processi di sedimentazione marina per via chimica o meccanica, in antitesi con le posizioni plutoniste che conferivano preminenza al processo eruttivo e al calore interno del globo32.

Nell’economia generale delle Études sono proprio queste ipotesi geologiche a consentire a Saint-Pierre di ricostruire una vicenda del mondo in accordo con la narrazione biblica (celebri sono le pagine in cui viene difesa la realtà storica del diluvio universale33), la quale diviene a sua volta premessa necessaria per l’esposizione delle “nuove” leggi di natura contenuta nella decima Étude, vero e proprio cuore epistemologico e filosofico dell’opera. Essa non solo fornisce una spiegazione della necessità della Provvidenza divina, oggetto dei primi nove “studi”, ma funge inoltre da giustificazione alla possibilità di estendere il criterio esplicativo del mondo fisico al mondo morale, oggetto degli ultimi tre “studi”. Le sei leggi di natura lungamente illustrate dall’autore – convenienza, ordine, armonia, consonanza, progressione e contrasto – trovano infatti la loro convergenza nello studio della figura umana, e in particolare del volto, interpretato come il punto d’incontro più elevato tra armonie differenti: «Tutte le espressioni armoniche sono riunite nella figura umana. Mi limiterò in questo capitolo a esaminarne qualcuna di quelle che compongono la testa dell’uomo»34.

Nelle Études, al di là di alcune affermazioni ardite ma isolate, l’analisi del cosmo è in definitiva subordinata a quella della Terra e l’astronomia appare più un obiettivo polemico per la riflessione filosofica e morale, che un suo alleato. Questi aspetti trovano probabilmente la loro conferma più netta nella volontà espressa da Saint-Pierre nel nono “studio” d’ignorare la via tracciata da Newton per dedicarsi, seguendo l’esempio di Candide, al proprio giardino: «Quanto a me, che non sono Newton, non abbandonerò le rive del mio rigagnolo. Resterò nella mia umile vallata, occupato a cogliere erbe e fiori, felice se potrò intrecciarne qualche ghirlanda per ornare la facciata del tempio rustico che le mie deboli mani hanno osato innalzare alla maestà della natura!»35.

3. Morale degli astri vs materialismo degli astri

30 Il progetto di costruire una scienza della Terra “sistematica” era stato già esposto in una Lettera a Hennin del 9 luglio 1767: «Ho raccolto sul movimento della Terra numerose osservazioni […] e ne ho tratto un sistema così ardito, così nuovo e così specioso che non ho avuto il coraggio di presentarlo a nessuno». Correspondance de J.-H. Bernardin de Saint-Pierre, précédée d’un supplément aux Mémoires de sa vie, a cura di L. Aimé-Martin, Paris, Ladvocat, 1826, 4 voll., vol. I, pp. 111-112 [edizione abbreviata nel prosieguo con la sigla CC seguita dal numero romano del volume]. 31 Jean-Michel Racault, Géologie, vulcanologie et imaginaire chez Bernardin de Saint-Pierre, in «Revue italienne d’études françaises», I, 2011, I, pp. 37-54, qui p. 39.

32 Sullo scontro tra teorie nettuniste e plutoniste cfr. G. Gohau, Les sciences de la Terre aux XVIIème et XVIIIème siècles. Naissance de la géologie, Paris, Albin-Michel, 1990, cap. VI, L’eau et le feu, pp. 161-193.

33 «Per quel che mi riguarda, se posso osare dirlo, attribuisco il diluvio universale allo scioglimento dei ghiacci polari». Études de la nature, OC IV, p. 188; ed. Duflo, p. 127. Sulla teoria del diluvio di Saint-Pierre si rimanda a M.S. Seguin, Science et religion dans la pensée française du XVIIIème siècle: le mythe du Déluge universel, Paris, Champion, 2001, pp. 119-120; El Bejaoui, L’idée de nature au XVIIIème siècle. Le cas de Bernardin de Saint-Pierre, cit., pp. 277-282. 34 Études de la nature, OC IV, p. 173; ed. Duflo, p. 306. Per un’analisi puntuale di tale aspetto, mi permetto di rimandare a M. Menin, Bernardin de Saint-Pierre. Una filosofia del corpo, in «Studii si cercetãri filologice. Seria limbi romanice», XII, 2012, I, pp. 79-106.

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Nella linea argomentativa delle Harmonies, il rapporto tra scienza della terra e scienza del cielo delineato nelle Études viene completamente ribaltato, sotto il forte influsso dei mutamenti che si erano andati affermando in quegli anni nell’ambito astronomico. Se nell’opera del 1784, lo studio del cosmo è subordinato a quello del globo terrestre, nello scritto postumo esso diventa una condizione necessaria per l’effettiva conoscenza della Terra, venendo altresì investito di una funzione morale determinante, come viene chiarito in apertura del settimo libro, che sancisce – analogamente a quanto avveniva nella decima Étude – il passaggio dalle armonie fisiche a quelle morali:

Abbiamo sin qui presentato le armonie che le potenze della natura instaurano tra di loro; ora descriveremo quelle che ognuna intrattiene con se stessa. Le prime sono semplici, le seconde sono composte. Le prime ci hanno offerto l’organizzazione elementare degli individui, le seconde ci offriranno quelle delle loro specie e dei loro generi. Le prime compongono il materiale primitivo dell’edificio della natura, mentre le seconde ne formano l’assemblaggio. Le une sono fisiche e le altre sono morali o sociali. Qui inizia un nuovo ordine di cose, di cui il Sole è sempre il primo motore: tutte le leggi che governano la Terra hanno la loro origine nei cieli36.

Si tratta di un mutamento di prospettiva che non è banalmente riconducibile all’ulteriore ampliamento di quel progetto tassonomico del mondo naturale che le Harmonies riprendono dalle

Études, ma che implica un consapevole confronto, e un aperto scontro, con le spiegazioni

meccanicistiche e materialistiche della realtà che – con Laplace – si erano estese dalla terra al cielo. Questa ambizione è posta in luce con chiarezza sin dalle pagine iniziali del primo libro, che sottolineano l’ineliminabile nesso tra astronomia e morale: «Il più insignificante muschio, attraverso le sue armonie, eleva la nostra intelligenza sino all’intelligenza che veglia sui destini di tutta la Terra, mentre l’astronomia fa discendere il materialismo degli astri sin nella nostra botanica, e l’apatia che essa presuppone in loro sin nella nostra morale»37. La stessa critica sarà più volte ribadita nel nono e conclusivo libro delle Harmonies, dove Saint-Pierre oppone apertamente l’idea di astronomia in quanto “morale degli astri” a quella di una scienza del cielo intesa come “materialismo degli astri”:

Mi appresto a trattare con grande superficialità un soggetto ben al di sopra delle mie forze; ma sono così rattristato dall’ingratitudine di qualche presunto sapiente, che ha utilizzato le scoperte fatte da uomini di genio per provare a instaurare il materialismo persino nel cielo, da voler mostrar loro com’è sufficiente il buon senso comune per scardinare tutti i loro sofismi38.

Per comprendere come sia possibile una simile operazione è necessario soffermarsi sull’impianto metodologico delle Harmonies in generale, e delle Harmonies du Ciel, ou les mondes in particolare. Esso risponde alla volontà di trovare una perfetta sinergia e fusione tra filosofia, scienza e letteratura nella delineazione di una storia naturale universale, sogno ormai quasi definitivamente infranto agli inizi dell’Ottocento39. In tale prospettiva, le Harmonies possono assumere un interesse storiografico ben più rilevante rispetto alle numerose opere pseudo-scientifiche – come la Philosophie de la nature di Delisle de Sales (1770) o la Théorie des quatre

mouvements (1808) di Fourier – a cui sono state spesso avvicinate, contribuendo inoltre a far luce

sul significato più profondo dell’incrollabile fiducia di Bernardin nel finalismo, che fa sì che egli possa essere a buon titolo considerato – come osservò Ferdinand Brunètiere in un pioneristico saggio del 1892 – «il sostenitore delle cause finali (le cause-finalier) più convinto, più sistematico, più intrepido che ci sia mai stato, nonché il più ingegnoso»40.

36 Harmonies de la nature, OC X, p. 157. 37 Ibidem, OC VIII, p. 7.

38 Ibidem, OC X, p. 431.

39 Cfr. W. Lepenies, Das Ende der Naturgeschichte: Wandel kultureller Selbstverständlichkeiten in den Wissenschaften des 18. Und 19. Jahrhunderts, München-Wien, C. Hanser, 1976; trad. it. La fine della storia naturale. La trasformazione di forme di cultura nelle scienze del XVIII e XIX secolo, Bologna, Il Mulino, 1991.

40 F. Brunètiere, Les amies de Bernardin de Saint-Pierre, in «Revue des deux mondes», CXIII, 1892, pp. 690-704 (qui p. 691). Sempre di Brunètiere si vedano inoltre le pagine dedicate a Saint-Pierre in L’évolution de la poésie lyrique en

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La riflessione cosmologica si rivela un filo conduttore privilegiato per ricostruire la formazione di questo ardito progetto, come si può intuire già dal fatto che a essa sono legati i due veri elementi di discontinuità rispetto alle Études: la teoria delle cinque tipologie d’anima e una descrizione della vicenda dell’universo non più in accordo con le Scritture. Queste due questioni racchiudono l’intera speculazione sul cielo di Saint-Pierre, in quanto la prima getta le basi della sua cosmologia – o, per essere più precisi, della sua cosmografia – mentre la seconda rappresenta il cuore del suo disegno escatologico.

Nel quinto libro delle Harmonies viene delineata un’elaborata teoria psicologica, secondo cui tutti gli esseri viventi sarebbero dotati di quattro tipologie di anima gerarchicamente organizzate tra di loro, mentre soltanto l’essere umano ne possiederebbe una quinta: «A partire dal lombrico o verme di terra, tutto nudo, che non ha la capacità di coprirsi con uno straccio, sino a giungere a Newton, che ha creato un sistema del mondo, distinguiamo cinque generi d’anima: l’elementare, la vegetale, l’animale, l’intelligente e la celeste. Le prime quattro appartengono anche al più piccolo insetto, la quinta solo all’uomo»41. La differenza specifica dell’essere umano risiede nel fatto di essere «il solo tra gli animali che possiede il sentimento della Divinità». Da questa peculiarità discende la possibilità stessa della moralità e della vita associata: «È a questo istinto della Divinità che si deve quello della virtù, che indirizza gli innumerevoli desideri [dell’uomo] verso la felicità dei suoi simili […]. Questo istinto celeste è il fondamento di ogni società umana»42.

Al di là delle non irrilevanti conseguenze filosofiche di una simile posizione (che, ad esempio, attribuisce l’intelligenza a tutti gli animali43), ciò che qui è significativo mettere in luce è come le forme d’anima, e in particolare quella celeste, vengano poste direttamente in relazione con il Sole e, conseguentemente, con l’intera meccanica del cosmo:

Ricapitoliamo ciò che abbiamo appena detto sulle differenti anime e sulle loro facoltà principali. L’anima elementare, che non è altro che il fuoco solare, produce l’elettricità, l’attrazione e il magnetismo; l’anima vegetale produce le forme, gli amori e le generazioni; quella animale l’istinto, la passione e l’azione; quella intellettuale, l’immaginazione, il giudizio e la memoria; quella celeste il sentimento della virtù, della gloria e dell’immortalità. Tutte queste anime sono in armonia con il Sole.44

Alla luce di queste premesse, è perfettamente comprensibile il fatto che l’analisi del cosmo rappresenti l’ultima e più elevata tappa del complesso processo di “ricostruzione” della manifestazione dell’armonia divina. Accanto alle cinque forme d’anima vengono infatti individuate sette potenze naturali (potenza solare, aerea, acquatica, terrestre, vegetale, animale e lunare) e dodici armonie fondamentali: sei armonie fisiche e sei armonie morali. Queste armonie sono rispettivamente divise in elementari e organizzate: le armonie fisiche elementari sono quella aerea, acquatica e terrestre, mentre quelle organizzate sono l’armonia vegetale, animale e umana; le armonie morali elementari sono invece l’armonia fraterna, coniugale e materna, mentre quelle organizzate (o sociali) sono l’armonia specifica, generica e sferica. Tutte queste manifestazioni armoniche, inoltre, possono intrecciarsi tra di loro positivamente o negativamente, dando origine a una serie pressoché infinita di combinazioni, che si traducono di fatto in un coacervo di armonie improbabili e bizzarre.

France au dix-neuvième siècle. Leçons professées à la Sorbonne (1895), Paris, Hachette, 1895, pp. 71-83. 41 Harmonies de la nature, OC X, p. 41.

42 Ibidem, pp. 59-60. Saint-Pierre è un sostenitore convinto dell’innatismo dell’idea di Dio. Su questo punto egli non esita a criticare apertamente Locke: «Se Locke fosse stato attento alle lezioni impartite dalla natura a tutti gli animali, si sarebbe reso conto che anche l’uomo […] ha delle idee innate». L’essere umano, infatti, «è il solo tra gli animali a possedere un’idea innata della divinità; questa idea si ritrova tra tutti i popoli della terra». Harmonies de la nature, OC X, pp. 17 e 20.

43 Per un’analisi puntuale di questa teoria si rimanda a Cfr. C. Duflo, La théorie des âmes dans la philosophie de Bernardin de Saint-Pierre, in Les Âmes, a cura di J. Robelin e C. Duflo, Besançon, Presses Universitaires Franc-Comtoises, 1999, pp. 119-136.

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Esiste tuttavia, accanto alle dodici armonie sin qui illustrate, una tredicesima armonia, che rappresenta la condizione di possibilità di tutte le altre. Questa «armonie première» è l’armonia soli-lunare: «Sono il Sole e la Luna […] che, dopo aver stabilito […] una serie di armonie fisiche, aeree, acquatiche, terrestri, vegetali, animali e umane, ne fanno nascere, per così dire, di morali tra di loro»45.

Da questo modello di armonia cosmica discende la peculiare visione bernardiniana delle leggi che regolano i moti del cielo. Tutti i grandi pensatori dell’Illuminismo, nell’affrontare la questione delle leggi di natura, avevano distinto più o meno apertamente una dimensione descrittiva, oggetto di studio della scienza, da una prescrittiva, di competenza della riflessione morale. Tali dimensioni – come mostra in maniera eclatante l’esempio di Newton o, per citare un altro autore ben presente a Saint-Pierre, quello di Maupertuis46 – non erano necessariamente opposte nella riflessione astronomica, ma potevano convergere e trovare un equilibrio. In Saint-Pierre questo accordo diviene impossibile, poiché egli condanna senza possibilità d’appello l’analisi causale alla base della descrizione scientifica tradizionale del cielo: «In verità, la filosofia ci ha ricondotto, in questi ultimi secoli, alla natura; ma è stato più per farne l’anatomia che per comporne dei quadri. Dalla botanica all’astronomia tutte le nostre scienze non ci presentano che tristi analisi»47. A causa di questa assurda pretesa di risalire alle leggi generali, la scienza del cielo si è ridotta a una «triste e arida nomenclatura», ricca di «divisioni senza intenzione e senza scopo»48.

Per comprendere il mondo naturale non bisogna scomporne artificialmente gli aspetti, ma studiarne al contrario le transizioni, le gradazioni e i passaggi. All’analisi causale e regressiva bisogna sostituire un’analisi teleologica e progressiva, sintetica e non analitica, indirizzata a cogliere l’unità sostanziale della natura e del suo fine generale: «Noi non conosciamo pertanto le qualità del Sole che combinandole sinteticamente (en les combinant synthétiquement) con le altre potenze della natura, mentre le facciamo scomparire separandole con l’analisi (par l’analyse)»49. La considerazione meccanicistica del cosmo è rimpiazzata così da una sua visione organicistica, non più incentrata sul modello epistemico dell’analisi logico-razionale, ma sull’intuizione sentimentale che, sola, è in grado di cogliere le leggi «incorruttibili ed eterne che legano tutte le parti dell’universo»50. Occorre precisare che la nozione di legge a cui si richiama Saint-Pierre ha un’accezione del tutto differente rispetto a quella newtoniana. Essa non dice nulla sul meccanismo che opera nella natura, a cui l’essere umano non ha accesso, ma enuncia i rapporti che lo stesso essere umano vi percepisce attraverso il sentimento:

Ho cercato […] una facoltà più capace di scoprire la verità rispetto alla nostra ragione […]. L’ho individuata in quell’istinto divino che chiamiamo sentimento, che è in noi espressione delle leggi naturali e che è immutabile in tutte le nazioni. Ho osservato, per suo mezzo, le leggi di natura, non rimontando ai loro principi, che possono essere conosciuti solo da Dio, ma discendendo ai loro risultati, che sono alla portata degli uomini.51

Una simile visione della conoscenza – in cui le cause finali sono le sole che l’uomo può studiare poiché è troppo limitato per comprendere gli strumenti di cui si serve Dio (le cause intermedie della tradizione tomista) – ben si riflette nella definizione dell’astronomia come «il sentimento delle leggi che esistono tra gli astri e gli uomini»52.

Queste premesse metodologiche non inducono banalmente Saint-Pierre, come è stato suggerito da alcuni interpreti, a rinunciare alla dimensione descrittiva del cosmo per abbandonarsi a «derive 45 Ibidem, pp. 446-447.

46 Cfr. Ibidem, OC IX, p. 239 e ss. Le riflessioni astronomiche di Maupertuis trovarono la loro massima espressione nell’Essai de Cosmologie del 1750.

47 Harmonies de la nature, OC VIII, pp. 290-291. 48 Ibidem, p. 7.

49 Ibidem, p. 214. 50 Ibidem, OC X, p. 421.

51 Ivi, Récapitulation, OC V, pp. 359-360; ed. Duflo, p. 575. 52 Ibidem, p. 80.

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poetiche»53. Egli tentò, al contrario, di dare una diversa formulazione ad alcune questioni che animavano il dibattito filosofico e scientifico del suo tempo, fornendo un’immagine indubbiamente prescrittiva del cosmo che tuttavia, nella sua prospettiva, è al contempo un’immagine descrittiva e autenticamente scientifica. In essa si fondono infatti un “cielo meditato”, che scaturisce dal confronto con le più recenti conquiste astronomiche, e un “cielo sognato”, ricco delle stesse suggestioni mistiche e poetiche che caratterizzeranno il pensiero Romantico.

Questa sinergia d’ispirazioni differenti, piuttosto originale e talvolta feconda, emerge soprattutto nella trattazione offerta da Saint-Pierre alla questione della pluralità dei mondi, che conferisce non a caso il titolo all’ultimo libro delle Harmonies: Harmonies du Ciel, ou les mondes.

4. Pluralità dei mondi e finalismo

L’affermazione della pluralità dei mondi abitati può essere considerata il punto d’incontro più significativo tra il modello epistemico delineato da Saint-Pierre e l’esigenza di finalità da cui la sua intera riflessione è animata. Si tratta di una teoria dalla lunga e nobile tradizione54, che Bernardin eredita sia dal Fontenelle degli Entretiens sur la pluralité des mondes (1686) sia, soprattutto, da Huygens e da Herschel, che rappresentano i due modelli positivi che egli oppone alle derive materialistiche dell’astronomia, propugnate da «uomini ignoranti, accecati dalla loro ambizione, i quali hanno provato a ricondurre tutte le opere della Divinità a qualche legge della materia»55.

Tuttavia, mentre il nome di William Herschel – sulla cui influenza ci soffermerà nel paragrafo successivo – compare spesso sotto la penna di Bernardin, che ne parla sempre con toni riverenti ed entusiastici, quello di Christiaan Huygens viene citato solo una volta in tutte le Harmonies, in un passo dove viene ricordato di sfuggita come a lui si debba, nel 1655, la scoperta che Saturno «ha attorno al suo equatore un anello sottile e piatto che si sostiene attorno al suo disco, come un ponte senza pilastri»56. Al di là dell’assenza di espliciti riferimenti testuali, è evidente come l’opera dell’astronomo olandese, e in particolare il Cosmotheoros, pubblicato postumo nel 169857, si possa considerare la principale fonte d’ispirazione del libro conclusivo delle Harmonies. Oltre che da una serie di riferimenti impliciti rintracciabili tra le righe dell’opera, questa ipotesi trova una conferma decisiva nella corrispondenza di Saint-Pierre. In una lettera all’amico Robin del 1799 egli afferma non solo di conoscere a fondo il trattato sulla pluralità dei mondi, che era stato tradotto da tempo in francese58, ma rivela addirittura di aver riscritto, in seguito alla sua lettura, una parte significativa del proprio lavoro:

I signori Callais e Vallée sono venuti a trovarmi; quest’ultimo mi ha portato La Pluralité des Mondes di Huygens, dove ho trovato diverse cose da spigolare. Ci sono alcuni errori fisici rispetto ai quali ero già stato messo in guardia […]; ma, d’altro canto, ci sono molte idee da cui trarrò partito. Me ne servirò per riscrivere interamente il preambolo e

53 C. Chelebourg, Prologue sur la terre. Le ciel du Romantisme, in Le ciel du romantisme: cosmographies, rêveries, cit., p. 7.

54 Sull’ipotesi della vita extra terreste nella modernità cfr. M.J. Crowe, The extraterrestrial life debate, 1750-1900, Cambridge, Cambridge University Press, 1986; poi Mineola (NY), Dover Publications, 1999; K.S. Guthke, The last frontier: imagining other worlds, from the Copernican revolution to modern science fiction, Ithaca (NY), Cornell University Press, 1990.

55 Harmonies de la nature, OC X, p. 312. 56 Ibidem, p. 377.

57 Il Cosmotheoros, sive de terris coelestibus, earumque ornatu, conjecturae (La Haye, Hagae-comitum, apud A. Moetjens, 1698) fu la prima opera interamente dedicata all’ipotesi della vita extraterrestre da uno scienziato di chiarissima fama, secondo probabilmente solo a Newton nella sua epoca. Nello stesso anno di pubblicazione lo scritto fu tradotto in inglese: The celestial worlds discover’d: or, Conjectures concerning the inhabitants, plants and productions of the worlds in the planets (London, T. Childe, 1698). Seguirono immediatamente traduzioni in olandese, francese, tedesco e russo.

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il primo libro delle mie Harmonies solaires, in cui ci sono d’altronde molte cose fuori posto: sarà la quinta volta che le ricopio59.

Dell’opera di Huygens Saint-Pierre ebbe modo di apprezzare sicuramente la fedeltà all’assunto aristotelico – vero e proprio Leitmotiv dell’opera bernardiniana – secondo cui «la natura non fa nulla invano»60. Tutte le prove addotte da Huygens a favore dell’esistenza della vita extraterrestre si basano infatti sull’idea che se soltanto la Terra fosse abitata, gli innumerevoli altri pianeti dispersi nelle profondità dello spazio sarebbero sterili e inutili, violando il principio di economia che regola il cosmo. Un secondo merito che il Cosmotheoros doveva presentare agli occhi di Saint-Pierre era inoltre quello di dedurre l’esistenza degli extraterrestri dalle analogie tra la Terra e gli altri pianeti, ricostruendo un curioso cammino che procedeva dal complesso al semplice, non dissimile dal metodo sintetico difeso dall’autore delle Harmonies61. Infine, sebbene in linea teorica Huygens

affermi – sulla scia della soluzione prospettata già da Campanella – che gli abitanti degli altri pianeti si differenziano al massimo grado dagli uomini, evitando così di porsi spinosi interrogativi in merito alla loro origine e alla loro eventuale salvezza, la loro effettiva descrizione è indiscutibilmente antropomorfa. Ciò vale sia per quel che concerne l’aspetto fisico (tali individui saranno dotati dei cinque sensi, avranno mani e piedi, ecc.) sia, soprattutto, per quel che concerne l’aspetto morale (ricercheranno inevitabilmente il vero, possiederanno l’idea di giusto, ecc.)62.

La distanza tra Huygens e Saint-Pierre, che si risolve in una sorta di ribaltamento dell’argomentazione del primo da parte del secondo, risiede tuttavia nel diverso valore attribuito all’ipotesi della pluralità dei mondi in rapporto al finalismo. L’astronomo olandese inserisce le sue ipotesi teleologiche all’interno di un’insistente polemica antiantropocentrica: per lui, in definitiva, è verosimile che gli altri pianeti siano abitati proprio perché l’Universo non è interamente finalizzato all’uomo, né la Terra è vista come un luogo privilegiato e singolare. In Saint-Pierre la questione si fa più complessa. Anch’egli, di primo acchito, sembra “depotenziare” il proprio antropocentrismo ammettendo manifestazioni di vita extraterrestre. Tuttavia, una simile ipotesi non indebolisce ai suoi occhi né un’immagine del cosmo gerarchicamente costruita attorno a un punto supremo, né fa perdere all’essere umano la sua centralità all’interno del disegno della Provvidenza. Per quel che concerne il primo problema (oggetto di studio del prossimo paragrafo), Saint-Pierre assegna una posizione privilegiata non più alla Terra ma al Sole, offrendone tuttavia una descrizione “terrestre”, che emerge a partire dall’affermazione della sua natura planetaria, e inserendo il suo studio all’interno di una coerente visione “antropocentrica” del cosmo, fondata su una peculiare escatologica planetaria.

Per quel che concerne il secondo aspetto, la posizione privilegiata dell’essere umano nell’economia del creato, messa in discussione in una prospettiva strettamente “geografica” e cosmografica, rimane intatta in una prospettiva epistemologica. L’universo deve infatti essere abitato proprio poiché l’essere umano è il fine ultimo di tutte le finalità che s’intrecciano nella natura e, pertanto, non è possibile ipotizzare – sulla base dello stesso principio di uniformità difeso da Huygens – l’esistenza di un mondo privo di esseri che ne possano consapevolmente trarre beneficio: «A cosa servirebbe l’insieme delle opere della divinità, se non ci fossero esseri che ne gioiscano? La loro principale bellezza andrebbe perduta. Il semplice muschio ha degli insetti che lo contemplano; anche il mondo deve pertanto avere i suoi spettatori»63.

59 Lettera a Robin del 2 Pratile dell’anno VIII (22 maggio 1799), CC III, pp. 138-139. 60 Études de la nature, OC IV, p. 270; ed. Duflo p. 346.

61 L’esistenza delle piante e dell’acqua, elemento indispensabile alla vita, è ad esempio dedotta da quella degli animali, senza i quali l’uniformità tra la Terra e gli altri pianeti sarebbe incompleta.

62 Sulla cosmologia di Huygens cfr. R. Bogazzi, II Kosmotheoros di Christiaan Huygens, in «Physis», XIX, 1977, pp. 87-109; J. Seidengart, Les théories cosmologiques de Cristiaan Huygens, in Huygens et la France, Paris, Vrin, 1981, pp. 209-222; P. Radelet-de Grave, L’univers selon Huygens, le connu et l’imaginé, in «Revue d’histoire des sciences», LVI, 2003, I, pp. 79-112.

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A partire da queste premesse, Bernardin si propone di fornire una descrizione dettagliata, al contempo fisiologica e morale, degli abitanti di tutti i pianeti del sistema solare, rivendicando inoltre la validità scientifica della sua operazione: «Questi quadri non sono prodotti dalla mia immaginazione, esaltata dal sentimento di una Provvidenza onnipotente: non ne offro qui che un miserabile schizzo, tracciato tuttavia con una precisione astronomica»64. Il risultato è indubbiamente ben inferiore alle ambizioni dell’autore e si riduce di fatto a una rappresentazione, a tratti stravagante, della vita extraterrestre, in cui confluiscono numerose suggestioni letterarie, che spaziano da Pindaro a Virgilio, da Plutarco a Fénélon. Il pianeta di Venere, ad esempio, è presentato – attraverso una fusione singolare di elementi derivanti dalla letteratura di viaggio con quelli dell’opera di Rousseau – come una sorta di Svizzera tropicale, il cui clima favorisce l’insorgere della passione amorosa: «I suoi abitanti, di una dimensione simile alla nostra, poiché abitano un pianeta dallo stesso diametro, ma in una zona celeste più fortunata, devono dedicare tutto il loro tempo agli amori»65. Gli abitanti di Giove, invece, a causa della diversa rivoluzione di questo pianeta rispetto alla Terra, che fa sì che cambino le armonie della luce con l’uomo, sono immersi in una dimensione temporale completamente differente: «La loro adolescenza comincia a un anno, la loro giovinezza a due, la loro virilità a quattro, la loro vecchiezza a sei e la decrepitezza a otto. Il termine degli anni della loro vita coincide con quello degli anni della nostra infanzia»66.

Al di là delle specifiche prerogative degli abitanti di ciascun pianeta, i quali presentano precisi caratteri e stili di vita analoghi a quelli di determinate popolazioni della Terra67, una siffatta teoria della pluralità dei mondi conferma la visione vitalistica e animistica dell’universo di Saint-Pierre, dominata da un vero e proprio orrore per il vuoto e dalla convinzione che «la vita è ovunque». In questa prospettiva, l’esistenza del globo terrestre, esattamente come quella del singolo individuo, assume significato soltanto se posta in relazione con il tutto:

Nel piccolo angolo che noi abitiamo non abbracciamo di più la sfera della vita che quella della Terra; non gioiamo d’altro che del giorno che ci illumina e dell’orizzonte che ci circonda […]. Piazzati su un punto della sua circonferenza, il mondo si mostra a noi come una figura dipinta in prospettiva su centri concentrici: in mezzo a qualche colore gradevole, esso non ci presenta che un insieme mostruoso: ma mettete al suo centro uno specchio cilindrico che ne ricomponga i tratti e invece di una furia vedrete una Venere.

Capita lo stesso alla Terra, se noi la consideriamo dal Sole: la vedremmo dall’astro che fa tutto vedere68.

Il cosmo bernardiniano, come conferma il brano appena citato, è un cosmo finito, rigorosamente incentrato sulla struttura organizzatrice del cerchio e della sfera, l’unica figura spontaneamente armonica69. Un simile modello cosmologico è ripreso – piuttosto liberamente70 – dall’Harmonices

Mundi (1619) di Keplero, «il restauratore dell’astronomia»71 moderna, ma risente con altrettanta forza della lezione di Leibniz, che rimane l’esempio filosofico imprescindibile di Bernardin, in quanto la sua teoria dell’armonia prestabilita avrebbe sconfitto una volta per tutte le spiegazioni del mondo naturale incentrate sul cieco caso72.

64 Ibidem, p. 388. 65 Ibidem, p. 350. 66 Ivi, p. 374.

67 Questo aspetto è stato minuziosamente approfondito da C. Duflo, Les habitants des autres planètes dans les “Harmonies de la nature” de Bernardin de Saint-Pierre, in «Archives de Philosophie», LX, 1997, I, pp. 47-57.

68 Harmonies de la nature, OC X, p. 333-334.

69 «Abbiamo visto che la sfera contiene virtualmente tutte le forme conosciute e da conoscere». Ibidem, pp. 328-329. Sull’importanza dell’immagine della sfera in Saint-Pierre cfr. G. Poulet, Les métamorphoses du cercle, Paris, Plon, 1961, pp. 85-87 (trad. it.Le metamorfosi del cerchio, Milano, Rizzoli, 1971).

70 In realtà la prima legge di Keplero, secondo cui i pianeti percorrono orbite ellittiche di cui il Sole occupa uno dei due fuochi, è incentrata sulla figura dell’ellissi e non del cerchio.

71 Harmonies de la nature, OC X, p. 424. Keplero si merita tale appellativo per la sua volontà d’individuare le analogie tra i tre corpi immobili dell’Universo (il Sole, le stelle fisse e lo spazio intermedio) e la Santa Trinità (Padre, Figlio e Spirito Santo).

72 Cfr. Études de la nature, OC III, p. 437; ed. Duflo, p. 226. Non esiste, a nostra conoscenza, nessuno studio specifico sul leibnizianismo di Saint-Pierre.

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Il modello cosmologico e quello epistemico possono e debbono pertanto coincidere, come dimostra lo schema della conoscenza tracciato dallo stesso Saint-Pierre: esso si compone – esattamente come il sistema solare – di sette centri concentrici, che rappresentano le potenze della natura, suddivisi in settori angolari corrispondenti alle varie armonie73. Questo modo di procedere multidirezionale, consapevolmente opposto alla logica lineare delle biforcazioni concettuali tipica dell’Illuminismo (si pensi all’“albero della conoscenza” dell’Éncyclopédie), non esclude tuttavia la possibilità di trovare un asse di convergenza dell’intero sistema, che ne è al tempo stesso l’origine.

Questo punto supremo, come rende consapevoli esplicitamente l’ultima parte del brano appena citato, è la «sfera vivente e vivificante» del Sole, «la più magnifica opera della Divinità»74. Il suo studio – che implica nuovamente la fusione di suggestioni mistico-letterarie e un serrato confronto con le teorie scientifiche contemporanee – rappresenta l’elemento di contatto tra riflessione cosmologica e riflessione escatologica.

5. Abitabilità del Sole ed escatologia planetaria

Il Sole non è semplicemente il centro del sistema che porta il suo nome, ma ne è la causa generatrice perpetua. Non riconoscendo la validità della legge d’inerzia newtoniana, Saint-Pierre è fermamente convinto che qualsiasi forma di movimento richieda una causa attuale, individuata proprio nel Sole e nella luce che esso spande come medium del suo dinamismo. Tale aspetto emerge con nettezza nella spiegazione offerta al fenomeno del movimento rotatorio del globo terrestre: «La Terra pare avere il suo principio di rotazione su se stessa nei fluidi che il Sole modifica in continuazione attraverso la dilatazione, l’evaporazione e la condensazione»75.

Per questo motivo, nell’ipotetica storia della genesi dei mondi, prima della comparsa del Sole «i pianeti gelidi e tenebrosi erano immobili in mezzo allo spazio e al silenzio»76. Il fatto che il movimento e la vita siano consustanziali al Sole spinge Bernardin a una vera e propria venerazione nei suoi confronti, la quale sembra talvolta sfociare in una forma di eliolatria religiosa, in contrasto con la visione puramente spirituale della divinità generalmente da lui sostenuta77: «Vieni a riscaldarmi con il tuo calore e a illuminarmi con la tua luce, cuore del mondo, occhio della natura, immagine vivente della Divinità! Vieni a insegnarmi l’ordine che imprimi alla materia, quando le comunichi i colori, la forma, il movimento e la vita!»78.

Per queste ragioni è necessario ricostruire la cosmografia adottando, leibnizianamente parlando, il punto di vista privilegiato sull’intero sistema. Bisognerà pertanto prendere le mosse da quella prospettiva “solare” che trasforma l’apparente disordine in ordine e armonia. La volontà di descrivere in tal modo l’universo – suggerita, tra gli altri, dal “maestro” Rousseau nel Traité de

sphère79 – è ribadita esplicitamente e a più riprese nel corso dell’ultimo libro delle Harmonies:

«Suppongo che noi possiamo gioire nel Sole di tutte le armonie del suo sistema»80. Questo esperimento mentale consente di cogliere il potente principio di compensazione che regola l’azione della Provvidenza divina. Se di primo acchito la facilità della vita e la felicità degli abitanti del 73 Questa tavola, contenuta in un manoscritto della Biblioteca di Le Havre (ms L.H. 25) è riprodotta da Baridon. Cfr. Les Harmonies de la nature di Bernardin de Saint-Pierre: studi di filologia e di critica testuale, cit., vol. I, tavola II. 74 Harmonies de la nature, OC X, pp. 329 e 321.

75 Ibidem, OC IX, p. 398. 76 Ibidem, p. 419.

77 «Mi sembra meno pericoloso che i bambini corrano il rischio d’adorare Dio nel Sole che in una statua, o in un’altra opera di mano dell’uomo». Ibidem, OC X, pp. 287-288. Sulla religiosità di Saint-Pierre cfr. K. Wiedemeier, La religion de Bernardin de Saint-Pierre, Fribourg, Éditions Universitaires Fribourg Suisse, 1986; C. Duflo, La religion dans la philosophie de Bernardin de Saint-Pierre, in «Cahiers de Fontenay», LXXI-LXXII, 1993, Lumières et religion, pp. 135-163.

78 Harmonies de la nature, OC IX, p. 419.

79 Cfr. J.-J. Rousseau, Traité de sphère, in Œuvres complètes, a cura di B. Gagnebin e M. Raymond, Paris, Gallimard, 1959-1995, 5 voll., vol. V, pp. 585-601.

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cosmo sembrano essere inversamente proporzionali alla loro lontananza dal Sole (ad esempio, «gli abitanti fortunati di Mercurio non hanno bisogno di mantenersi in vita uccidendo gli animali»81), un’analisi più attenta rivela come ogni pianeta rappresenti in realtà un punto di vista privilegiato sull’universo, che diviene tuttavia comprensibile solo all’interno di una visione complessiva. L’esempio più eclatante di tale spiegazione, nonché quello letterariamente più riuscito, è offerto dalla descrizione di Saturno, la cui distanza dal Sole sembrerebbe precludergli il godimento della sua vivificante presenza. Tuttavia, il gioco di rifrazione dei due anelli e delle sette lune che attorniano il pianeta riesce a ricostruire dinnanzi agli occhi dei suoi abitanti un maestoso diorama dell’universo stesso, che rende manifesta la presenza di un «pilota celeste»82:

Quando i raggi di un Sole lontano hanno acceso le atmosfere di questi magnifici riverberi, mille e mille quadri luminosi si dipingono contemporaneamente davanti agli occhi degli abitanti di Saturno […]. La loro gioia è mille volte più grande di quella di un uomo che, non essendo mai uscito dal suo villaggio, legga per la prima volta una relazione di viaggio dei mari del Sud […]. Se Dio ha donato agli abitanti di Saturno, abbandonati alle estremità del nostro universo, un’immagine del suo insieme dei pianeti secondari che li circondano, che cos’avrà fatto per gli abitanti immortali del Sole, collocato al centro dei nostri mondi e che possono percepire il sistema planetario nella sua interezza?83.

L’abitabilità del Sole è una delle questioni maggiormente dibattute nel corso dell’intero libro sulle Harmonies du ciel, in quanto dalla sua soluzione dipende non solo la validità “scientifica” della teoria della pluralità dei mondi, ma altresì quella delle sue implicazioni morali e religiose più estreme. Anche se agli occhi di un lettore contemporaneo il problema può apparire di primo acchito superficiale e stravagante, esso riflette in realtà un’accesa diatriba astronomica, inerente la natura planetaria del Sole, che si protrasse per tutta la prima metà dell’Ottocento84. I newtoniani, infatti, sostenendo che esso fosse esclusivamente una massa ignea, avevano negato che potesse ospitare qualsiasi forma di vita. A tale ipotesi si oppose una corrente di pensiero – che trovò i suoi rappresentanti più importanti in François Arago e in William Herschel – che ipotizzava al contrario la natura planetaria del Sole stesso, rendendone così pensabile l’abitabilità85. Questa ipotesi si basava soprattutto sui nuovi dati empirici ottenuti attraverso l’uso di telescopi a specchio, che lo stesso Herschel costruiva e che risultarono essere tra i più potenti dell’epoca. Nel suo trattato On

the Construction of the Heavens del 1785 – l’anno successivo alla pubblicazione delle Études di

Saint-Pierre – egli ridisegnò, sotto molti aspetti, l’immaginario astronomico contemporaneo. Attraverso i suoi studi di galattografia, Herschel offrì la prima descrizione della struttura tridimensionale della Via Lattea e stimò il numero complessivo delle stelle tramite un computo a campione, fornendo l’inventario di circa 2.500 nebulose, che vennero da lui presentate come i luoghi di nascita delle galassie86.

Non è difficile comprendere come simili acquisizioni dovettero colpire profondamente Saint-Pierre, la cui forma mentis è incentrata sull’idea di spettacolo naturale e su quella, speculare, dello sguardo di uno spettatore. In una lettera, indirizzata nuovamente all’amico Robin, egli sostiene di aver pianificato più volte un viaggio in Inghilterra solo per poter conoscere Herschel:

Se ne avessi i mezzi, farei un viaggio in Inghilterra unicamente per salutare questo grand’uomo, il Cristoforo Colombo dell’astronomia, e per vedere il Sole nel suo telescopio. Spero che un giorno penetreremo in questo incomprensibile pianeta, dove sono rinchiusi tutti i tesori che la paterna mano della Provvidenza dispensa, in mezzo ai mali, sulla nostra piccola e miserabile Terra87.

81 Ibidem, p. 343. 82 Ibidem, p. 399.

83 Ibidem, pp. 385-388, passim.

84 Per indicazioni bibliografiche dettagliate si rimanda a M.J. Crowe, The surprising history of claims for life on the Sun, in «Journal of Astronomical History and Heritage», XIV, 2011, III, pp. 169-179.

85 Cfr.S. Schaffer, The great laboratories of the Universe: William Herschel on matter theory and planetary life, in «Journal for the History of Astronomy», XI, 1980, pp. 81-111 e S. Kawaler e J. Veverka, The habitable Sun: one of William Herschel’s stranger ideas, in «Journal of the Royal Astronomical Society of Canada», LXXV, 1981, pp. 46-55. 86 Cfr. M.A. Hoskin, William Herschel and the construction of the heavens, New York, Norton, 1964.

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