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Riflessioni sul recupero del percorso sulle mura della Fortezza da Basso di Firenze

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Academic year: 2021

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Conoscenza, conservazione e valorizzazione del patrimonio architettonico

Rivista del Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze

Knowledge, preservation and enhancement of architectural heritage

Journal of the Department of Architecture University of Florence

restauro archeologico

Po st e I tali an e s pa - T as sa p ag at a - Pi eg o di lib ro A ut . n . 0 72/D CB/FI1/VF d el 3 1.0 3.2 00 5

2019

2

FIRENZE UNIVERSITY

PRESS

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Conoscenza, conservazione e valorizzazione del patrimonio architettonico

Rivista del Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze Knowledge, preservation and enhancement of architectural heritage

Journal of the Department of Architecture University of Florence

restauro archeologico

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graphic design

DIDA Dipartimento di Architettura

Università degli Studi di Firenze via della Mattonaia, 8 50121 Firenze, Italy

Copyright: © The Author(s) 2019

This is an open access journal distribuited under the Creative Commons Attri-bution-ShareAlike 4.0 International License

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Università degli Studi di Firenze Firenze University Press

Via Cittadella, 7 - 50144 Firenze, Italy www.fupress.com

Anno XXVII numero 2/2019 Registrazione Tribunale di Firenze n. 5313 del 15.12.2003

ISSN 1724-9686 (print) ISSN 2465-2377 (online)

Editors in Chief

Susanna Caccia Gherardini, Maurizio De Vita

(Università degli Studi di Firenze)

Director

Saverio Mecca

(Università degli Studi di Firenze)

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Francesco Pisani Margherita Vicario

Layout Editor e DTP

Elia Menicagli

(Università degli Studi di Firenze)

Gli autori sono a disposizione di quanti, non rintracciati, avessero legalmente diritto alla corresponsione di eventuali diritti di pubblicazione, facendo salvo il carattere unicamente scientifico di questo studio e la sua destinazione non a fine di lucro.

RA | restauro archeologico

Conoscenza, conservazione e valorizzazione del patrimonio architettonico

Rivista del Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze

Knowledge, preservation and enhancement of architectural heritage

Journal of the Department of Architecture University of Florence

Cover photo

Hippolyte Bayard, Façade sud. Portail Saint-Étienne, «7bre 1847», épreuve sur papier salé, 22,9 x 17,5,

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Indice

Le nuove metamorfosi ovidiane del restauro

Susanna Caccia Gherardini

Verso una Carta Internazionale del Rural Heritage

Maurizio De Vita

Nuove identità dinamiche per la ricostruzione post-sisma. Finale Emilia: il ruolo del restauro monumentale per il recupero del centro storico

Francesco Alberti

Veritas e Imagines. Piranesi e la natura ambigua del triglifo nella logica funzionale della

trabeazione dorica

Paolo Bertoncini Sabatini

La fabbrica nova de Lodovico Carli. Analisi storico-critica di Palazzo Carli a L’Aquila

Stefano Brusaporci, Mario Centofanti,Luca Vespasiano

Valorizzazione del patrimonio industriale del XX secolo: esperienze di riuso nella città di Valencia

Pierluigi De Berardinis,Mariangela De Vita, Luis Palmero Iglesias, Ilaria Trizio

Una rovina ad alta quota. Il Werk Verena

Sara Isgrò

Daguerréotype et calotype : la restauration de Notre-Dame de Paris

Barbara Mazza

Note costruttive intorno alla organizzazione della carpenteria lignea dei tetti etruschi nell’antichità

Nicola Ruggieri

Riflessioni sul recupero del percorso sulle mura della Fortezza da Basso di Firenze

Antonella Valentini 4 12 22 28 50 70 92 108 136 156

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Riflessioni sul recupero del percorso sulle mura

della Fortezza da Basso di Firenze

Antonella Valentini

Università degli Studi di Firenze

La Fortezza da Basso di Firenze non è solo un monumento di interesse storico e ar-cheologico, ma è un vero e proprio ‘frammento di città’ in cui l’avvicendarsi del tem-po ha lasciato tracce riconoscibili e sedimentate negli spazi vissuti e tracce impercet-tibili che risiedono nella memoria profonda dei luoghi, segni che si sono giustapposti e sovrapposti in un dialogo ininterrotto tra visibile e invisibile che da sempre caratte-rizza il paesaggio, anche quello urbano. Sulla architettura militare cinquecentesca la Storia ha infatti continuato a scrivere, trovando spesso in qualche parte preesistente l’elemento generatore del rinnovamento in atto e rivelando la persistenza dei

caratte-ri identitacaratte-ri. Il complesso è oggi un bene tutelato1, con un’area di scavo archeologico al

suo interno, e rappresenta un vero e proprio museo all’aperto costituito dalle struttu-re dell’antica architettura militastruttu-re, ma anche un pstruttu-rezioso ‘contenitostruttu-re’ di biodiversità che può contribuire notevolmente ad innalzare la qualità dell’ambiente urbano. Quella fiorentina è la prima fortezza rinascimentale toscana ‘alla moderna’ concepita per rispondere alle nuove tecniche belliche legate all’introduzione dell’artiglieria pe-sante. Fu ideata da Antonio da Sangallo il Giovane, architetto al servizio di papa

Cle-mente VII, che aveva già sperimentato in alcune fortificazioni2 i principi della nuova

arte edificatoria militare e fu costruita nel 1534 per Alessandro de’ Medici innestan-dola nelle mura arnolfiane trecentesche, inglobando così la Porta a Faenza che fece da corpo centrale al mastio.

Abstract

The essay deals with a particular topic within the broader theme concerning the resto-ration of the Fortezza da Basso in Florence: the recovery of the walk on the walls of the fortified complex. It is a place so central but almost unknown because it is not accessi-ble, in which forgetfulness has created a singular vegetable microcosm inside the city, that it will be given to tourists and Florentines for a renewed use. This walk on the top of the Fortress is an interesting field of design experimentation that combines archeology, landscape and architecture. The article reflects on the transformation and intervention options in multiple stratigraphic places, between preservation of persistent historical values and renewal of using forms.

Parole chiave

Fortezza da Basso, ‘tamed wild’, walking on the ramparts, landscape and archaeology

R A 2 | 2 019 , pag g. 156 | 1 71 - ISSN 1 72 4-96 86 (print ) | ISSN 2 46 5-23 77 ( online )

© The Author(s) 2019. This is an open access article distribuited under the terms of the Creative Commons License CC BY-SA 4.0 Firenze University Press. 10.13128/RAR-8862 • https://oaj.fupress.net/index.php/ra

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A pianta pentagonale, la cittadella ha cinque baluardi d’angolo3 con cortine murarie a scarpa in cotto, angolate e cornice marcapiano in pietraforte, mentre il mastio è tutto in pietraforte con bugne alternate a punta di diamante ed emisferiche.

La Fortezza di San Giovanni Battista, detta da Basso per distinguerla dal Forte Belve-dere edificato alla fine dello stesso secolo, non ha oggi un aspetto incupente anche per

la sua riduzione in altezza a seguito della sistemazione ottrocentesca dei viali4. In

re-altà non fu mai posta sotto assedio, né mai esercitò la sua funzione militare. Fin dalla sua fondazione era caratterizzata dalla compresenza di usi e funzioni diverse: già nel ‘500 artisti e scultori avevano qui i loro laboratori, la fonderia produceva anche ogget-ti d’arte e l’armeria ospitava una collezione d’armi. Questa doppia anima, militare e ci-vile, fu mantenuta anche sotto i Lorena che la trasformarono in una casa di correzione per uomini e donne con botteghe e abitazioni, e si è conservata anche nel ‘900 quan-do, diventata caserma, ospitava le famiglie dei membri dell’esercito. Sebbene quindi la funzione residenziale sia sempre stata presente, tuttavia non c’è mai stata una vera integrazione tra la cittadella e la città, neppure quando furono aperte le attuali porte di collegamento al nuovo livello stradale, dopo che le antiche erano state nascoste dal progressivo interramento dei terrapieni causato dai sedimenti trasportati dalle piene del Mugnone e poi definitivamente coperte con i lavori realizzati dal Poggi nel 1867 per Firenze Capitale. Proprio con la creazione dei viali di circonvallazione il complesso ha assunto un po’ l’aspetto di grande nodo spartitraffico e la Fortezza è diventata qualco-sa di separato dalla vita urbana, perlomeno quella della quotidianità.

Vista della Fortezza da est verso il mastio. Si noti la dif-ferenza tra il livello originario dove si intravvede la porta del mastio e quello attuale su cui si apre Porta Faenza.. Foto: G. Caselli, 2015.

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tini Decisivo è stato il passaggio alla gestione dell’Ente Mostra dell’Artigianato: dal 1967 l’area è diventata il principale polo espositivo fiorentino e, per ospitare mostre, fiere e

congressi, sono stati realizzati vari edifici come il Padiglione Spadolini, che in realtà sa-rebbe dovuto essere temporaneo, e il Padiglione Cavaniglia, costruito appoggiandosi su parte del muro perimetrale di cinta. La funzione espositiva ha inciso profondamen-te sulla percezione del complesso, scarsamenprofondamen-te avvertito come luogo di valore stori-co-monumentale, come rivela la poca attenzione alla integrazione delle nuove

archi-tetture che si è spesso mostrata5. L’alta frequentazione della struttura, anche con

pic-chi di 150.000 visitatori durante i giorni delle manifestazioni più importanti, ma la li-mitazione alla fruizione di abitanti e turisti contribuisce ad escludere la Fortezza dalla vita quotidiana della città.

A partire dal concorso d’idee bandito nel ’67 per farne un centro nazionale dell’artigia-nato, il complesso è stato oggetto di molte proposte e progetti, mai realizzati a parte gli importanti lavori di ristrutturazione che sono stati eseguiti dalla Soprintendenza negli anni Ottanta durante i quali sono state anche riportate alla luce le antiche porte.

Oggi però la situazione sembra in evoluzione. Nel 2015 il Comune di Firenze6 ha

adot-tato un piano di recupero per il restauro e la valorizzazione del complesso che prevede di ripristinare la leggibilità del monumento e, soprattutto, pur potenziando la funzio-ne espositiva aumentandofunzio-ne la superficie, incrementare gli spazi di uso pubblico per favorire l’utilizzazione da parte di cittadini e visitatori. In particolare il piano

immagi-na la realizzazione di nuovi edifici7 in corrispondenza dei tre baluardi Imperiale,

Stroz-zi e Cavaniglia, demolendo le strutture incongrue, la sistemaStroz-zione degli altri due ba-stioni Rastriglia e Bellavista e la riattivazione del camminamento di ronda che li uni-va con un percorso che si articola sui terrapieni esistenti e sui tetti giardino dei nuovi spazi espositivi.

Ad oggi questa passeggiata sulle mura non è liberamente accessibile e comunque non consente una percorrenza continua ma solo per alcuni tratti del circuito, la cui porzio-ne più integra è quella che collega i due bastioni superstiti: da Porta S.M. Novella, tra-mite un cancello posto sul retro della garitta d’ingresso, un percorso in ghiaia, fian-cheggiato su un lato da un filare un po’ malmesso di ligustri e dall’altro da un boschet-to spontaneo, risale il terrapieno e conduce sopra il bastione Rastriglia; da qui un per-corso di circa un metro e mezzo, pavimentato con piastrelle in cotto, corre in quota lungo la cortina muraria sud-ovest collegandosi al bastione Bellavista. Vi sono poi al-tri tratti, anche se ora difficilmente praticabili come quello che dal Bellavista arriva al

padiglione Imperiale o quello che collega il bastione Cavaniglia al mastio8, entrambi

stretti passaggi in quota poiché non esistono più gli antichi terrapieni.

Dei cinque bastioni, infatti, solo il Rastriglia e il Bellavista conservano ancora il terra-pieno. Alla fine dell’800 il Cavaniglia fu svuotato e occupato da edifici poi demoliti ne-gli anni ’70 del secolo scorso. Sempre tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 si data lo sterramento anche dei bastioni Imperiale e Strozzi, al posto dei quali furono costruiti capannoni ed edifici di servizio addossati alle mura, incuranti del loro valore storico. Si-gnificativo, anche per la tesi che si sosterrà dopo, è il confronto tra due vedute prospet-tiche del Cavaniglia realizzate pressoché dalla stessa angolazione da ovest verso il ma-stio. La prima, di Giuseppe Zocchi (XVIII sec.), mostra nello sfondo il baluardo coronato da alberature, nella seconda, di Emilio Burci (sec XIX), non svetta più nessuna chioma, presumibilmente proprio per l’eliminazione del terrapieno. I bastioni Rastriglia e Bel-lavista sono gli unici a presentarsi quindi nella loro sezione sostanzialmente originale.

pagina a fronte

Inquadramento urbano della Fortezza da Basso compresa all’interno dei viali di circon-vallazione con l’indicazione dei bastioni e delle porte aperte nella cortina muraria. E. Menicagli, elaborazione da Google Earth.

a Giuseppe Zocchi, veduta della Fortezza da Basso, XVIII sec. Sono ritratte le alberature sui bastioni Rastriglia e Cavaniglia e il livello originario fuori le mura appare come uno ‘spiazzo verde’.

In Gurrieri e Mazzoni, 1990, p. 130.

b Emilio Burci, veduta della Fortezza da Basso, XIX sec. Il punto di vista è lo stesso dell’immagine settecentesca: ancora non è avvenuta la trasformazione dell’area all’esterno, ma sui bastioni non si vedono alberature. In Gurrieri e Mazzoni, 1990, p. 134.

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BASTIONE

I

MPERIALE PORTA SOCCORSO ALLA CAMPAGNA PORTA MUGNONE PORTA ALLE CARRA PORTA SANTA MARIA NOVELLA PORTA DEL MASTIO PORTA FAENZA BASTIONE

S

TROZZI BASTIONE

C

AVANIGLIA BASTIONE

B

ELLAVISTA BASTIONE

R

ASTRIGLIA

M

ASTIO a b

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tini Sul bastione Rastriglia si possono osservare le tracce dell’antica fortezza: i resti dell’ele-mento circolare dentato posto in corrispondenza dell’angolo del terrapieno che aveva

funzione di pozzo di ventilazione o di sistema di risalita delle artiglierie9, ma

soprat-tutto una delle due aperture delle troniere di cui ogni baluardo era dotato che, sebbe-ne ricostruita, ci mostra il funzionamento dell’apparato militare cinquecentesco. Per esigenze di organizzazione degli spazi interni le cannoniere nel tempo sono state tut-te tamponatut-te eccetto questa e, in partut-te, una nell’altro bastione superstitut-te. Sul prato del terrapieno spuntano anche gli sfiati della troniera, di forma quadrangolare con bas-si muretti coperti da grate, e resta una delle due casematte, di realizzazione più tarda, forse di inizio ‘900, come pure il camminamento in trincea che le collegava, permet-tendo ai soldati di spostarsi lungo le mura. Appartiene invece alla fortificazione origi-nale il ‘camminamento delle troniere’: un lunghissimo corridoio ricavato nello spes-sore del muro perimetrale che collega i bastioni Rastriglia e Bellavista e dalle cui feri-toie si faceva fuoco sui fossati. Altri piccoli manufatti, di datazione incerta, ma fram-menti significativi per immaginare la nuova fruizione, caratterizzano il bastione Ra-striglia: una scala in pietra che dalla base del terrapieno porta al livello più alto; un per-corso lungo il lato sud-est delle mura, largo circa un metro e mezzo, con pavimentazio-ne in mattoni posti a lisca di pesce; una rampa con pedate in ciottoli di diversa

granu-lometria e bordature in pietra e mattoni10.

Sul Bellavista il ricordo della funzione militare è meno evidente; vi emergono di cir-ca mezzo metro da terra i tre cir-camini di areazione di una troniera completamente rico-perta dal terreno fino quasi al livello del parapetto e i tre sfiati in corrispondenza della troniera ancora visibile, attualmente recintata per le condizioni di degrado in cui ver-sa, ma che probabilmente è più fedele al progetto sangallesco. Qui non restano le case-matte né la trincea, anzi il livello di calpestio è talmente rialzato che per qualche trat-to non esiste alcuna protezione verso l’esterno, contrariamente a quantrat-to è statrat-to fat-to sul Rastriglia dove, per lo sbassamenfat-to di un tratfat-to di mura, è stafat-to realizzafat-to negli anni Ottanta un parapetto di protezione che corre seguendone il perimetro. L’accesso al Bellavista avviene attraverso una rampa in cemento di recente costruzione, chiusa da un cancello, accanto al quale si trova purtroppo un’isola ecologica di Firenze Fiera.

Bastione Rastriglia a Scala elicoidale che dalla base del terrapieno conduce in quota.

b Pavimentazione a spina di pesce rinvenuta sul terrapieno.

c Rampa.

Foto: M. Grimaldi, L. Marcac-cini, 2017.

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Elementi della fortezza cin-quecentesca.

In Martina Grimaldi, Lorenzo Marcaccini, La passeggiata

dei ritorni. Giardini pensili per la Fortezza da Basso a Firenze, Università degli studi

di Firenze, tesi di laurea a.a. 2017/2018. Dettagli della ri-costruzione storica elaborata dalla dott.essa Deborah Cito per il Comune di Firenze. a Il Bastione Bellavista, con la troniera ancora visibile. Foto: A. Valentini, 2017. b Bastione Imperiale. Si noti il tamponamento della troniera.

Foto: A. Valentini, 2017.

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In origine i bastioni della fortezza fiorentina erano tutti terrapienati11 e

probabilmen-te fin dall’inizio alberati alla stregua di analoghe fortificazioni coeve. Alcuni studio-si, infatti, sostengono che la vegetazione sopra le mura delle città fosse presente anche quando queste svolgevano la funzione difensiva, non solamente quindi nel momento in cui le strutture vengono convertite in vere e proprie passeggiate alberate. “Nei pe-riodi di pace la cinta bastionata è un passeggio verdeggiante, nei tempi di guerra gli al-beri si abbattono e i tronchi tornano utili alle opere difensive. Con il progressivo deca-dere della funzione militare poi, in epoca diversa secondo l’importanza strategica del-le singodel-le città, i terrapieni ospiteranno veri e propri giardini, sempre più organizzati, con un processo ininterrotto di fantasiosa corrosione dello spazio militare” (Panzini, 1993, p. 81). Anversa, probabilmente il primo esempio in Europa, o Lucca, forse il caso nazionale più noto, pur mantenendo intatta la loro funzione militare, ospitavano fin dal Cinquecento piantagioni sui bastioni, come dimostrano le rappresentazioni pro-spettiche delle due città contenute nel celebre Civitates Orbis Terrarum stampato a

Co-lonia da Braun e Hogenberg tra il 1572 e il 161812.

La presenza di vegetazione, sebbene non generalmente rappresentata nei disegni di fortezze degli ingegneri, è però avvalorata dalla parole di alcuni trattatisti quali Giro-lamo Maggi e Jacomo Fusto Castriotto (1564, citato in Pirinu 2010, p. 66) nel cui Della Fortificatione delle città leggiamo: “Alle muraglie […] dove s’haverà a dare il terrapieno, […] vi si pianteranno sopra due ò tre file d’arbori, quali con le radici habbiano a mante-nerlo più unito”.

Le alberature avevano infatti una funzione tecnica. Vi era una simbiosi strutturale tra le fortificazioni e la vegetazione che era utile schermatura degli apparati militari, ma anche opera di ingegneria naturalistica ante-litteram, cioè “di regimazione idraulica, raggiunta tramite i meccanismi di traspirazione che mirano a smaltire l’acqua in ec-cesso che la struttura pensile sovrastante il terrapieno comporta, e di consolidamento del terrapieno grazie all’attività degli apparati radicali” (Salbitano, 2005, p. 63). La pre-senza delle piante, inoltre, è legata a una progressiva ‘appropriazione’ degli spazi attor-no e sopra le fortificazioni da parte della popolazione. A Lucca molti documenti stori-ci stori-ci raccontano l’uso domestico delle mura, mettendo a macerare il lino lungo i fossi, piantando alberi da frutto, pioppi e saliconi nella zona della ‘tagliata’, coltivando le

ver-Casematte, cannoni e albe-rature segnano il circuito murario della Fortezza nella

Nova pulcherrimae civitatis Florentiae tophographia ac-curatissime delineata, (part.).

Stefano Bonsignori, 1594. Autorizzazione Musei Civici Fiorentini.

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dure sui torrioni e baluardi o facendo pascolare le bestie sugli spazi erbosi (Martinelli, 2005, p. 350-351). Anche a Firenze, sebbene le testimonianze siano scarse, abbiamo co-munque notizia che gli spazi aperti della Fortezza, anche quelli sopra i terrapieni, fos-sero usati dai civili. Sappiamo infatti che nel periodo mediceo “si affittavano i fossi a vigna e a grano” (Gurrieri e Mazzoni, 1990, p. 137) e che nel ‘700 furono piantati gelsi

per la produzione della foglia anche sui bastioni13 in quel processo di appigionamento

che caratterizzava tutta la cinta muraria della città (Rinaldi, 1997, pp. 93-112).

Le alberature sulle mura possedevano però anche una significativa funzione seman-tica. A Lucca la prima piantata di pioppi risale al 1546, accolta subito dalla

popolazio-ne con entusiasmo14; tre secoli più tardi vengono messi a dimora i platani, disposte le

panchine e sbassati i parapetti per godere della vista delle colline, sancendo definitiva-mente con il Piano per il passeggio delle mura (1822) la funzione di pubblica passeggia-ta del percorso in quopasseggia-ta. A Firenze non abbiamo tutpasseggia-tavia notizie storiche di impianti a fini estetici sui terrapieni della Fortezza e la foresta pensile oggi esistente è il risultato dell’abbandono gestionale dell’uomo e delle dinamiche vegetali spontanee.

Sui due bastioni superstiti la vegetazione si è imposta esuberante fino a formare un ve-ro e pve-roprio bosco che è stato tagliato un paio di anni fa con gli interventi di ripulitura dell’area per la rimozione della vegetazione infestante, che hanno conservato i grandi alberi isolati ma eliminato totalmente piante erbacee e arbustive, a parte il ‘boschet-to’ sul tratto di terrapieno lungo le mura che conduce alla sommità del Rastriglia. Un

sommario censimento della vegetazione condotto nel 201715 aveva rilevato sul

bastio-ne Rastriglia la presenza di esemplari di bagolaro, olmo, alloro, tiglio, spino di giuda e robinia, con un filare di ligustri lungo la rampa che conduce in sommità e due cipressi ai lati del ponte che collega il secondo piano dell’Opificio delle Pietre Dure, gli unici im-pianti evidenti fatti dalla mano dell’uomo; sul bastione Bellavista, esemplari di olmo e

Il bastione Bellavista fotogra-fato da via Spadolini, con la rigogliosa vegetazione cre-sciuta sul terrapieno prima della ripulitura.

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tini bagolaro ed un unico pioppo bianco. Prima della ‘rasatura’ la percezione era quella di un ambiente ‘incolto’, pieno di erbe spontanee, tipico di una condizione di abbandono

ma con una atmosfera molto suggestiva.

Questa singolare condizione fa della Fortezza un luogo di grandi potenzialità, non sol-tanto per la ricchezza degli elementi storici e testimoniali ma anche per l’esistenza di preziosi spazi infra-urbani di naturalità, di cui finalmente ci si è resi conto ponendola al centro di strategie di riqualificazione che ne prevedono la re-integrazione nel tessu-to cittadino consegnandola alla fruizione pubblica. La sua particolarità, che condivi-de con altre aree di interesse archeologico inserite in contesti urbani, è data dall’essere un paesaggio ‘ordinario’, cioè che fa parte dell’orizzonte quotidiano degli abitanti del-la città, reso però ‘extra-ordinario’ dall’addensarsi deldel-la stratificazione del tempo e che quindi può funzionare da ‘dispositivo’ di sensibilizzazione ed educazione alla storia e alla bellezza. Sensibilizzare è in un certo senso rivelare una realtà prima non percepita ed è un processo indispensabile per favorire la conoscenza del patrimonio storico-ar-cheologico, consolidare la consapevolezza del valore dei beni culturali e sostenere il ra-dicarsi del senso di identità e di appartenenza ai luoghi che custodiscono tali beni. At-traverso il progetto di restauro e di fruizione del complesso monumentale è possibile reintrodurre questo paesaggio fatto di “temporalità diverse”, per usare una definizio-ne di Marc Augè (2006), definizio-nel flusso della storia attuale. Il progetto di restituziodefinizio-ne alla vi-ta della quotidianità, infatti, ci consegna un insieme “inedito” di edifici e di aree, “[…] ‘scolpito’ nella massa composita della storia e posto in contiguità, come in un’immen-sa installazione, con alcune parti più recenti della città” (Augè, 2006, p. 103). La riconfi-gurazione di siti storici stratificati, allora, si presenta come una opportunità per (ri)da-re alla collettività superfici per un uso pubblico e condiviso e (ri)costrui(ri)da-re legami fisici e simbolici con la città. È nel disegno di un nuovo, globale, paesaggio urbano che trova senso e significato, anche etico e sociale, la riqualificazione di complessi architettonici come la Fortezza, da attuarsi non solo per il valore ‘specifico’ dell’architettura, ma an-che per quello ‘collettivo’ dello spazio. È però importante an-che tra il progetto aran-cheolo- archeolo-gico e quello urbano esista continuità e contaminazione, che significa “lavorare sulle connessioni, sul sistema delle relazioni ritenute le più idonee a trovare un senso urba-no a ciò che è emerso dalla esplorazione [archeologica]” (Panella, 2014, p. 66).

Il bastione Rastriglia, prima della ripulitura dalla vegeta-zione.

Foto: M. Grimaldi, L. Marcac-cini, 2017.

Il Bastione Bellavista, foto-grafato dopo la rimozione della vegetazione infestante nel 2017. Il livello del terreno è molto rialzato, pertanto le mura risultano prive di protezione.

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All’interno del quadro più generale relativo al recupero della Fortezza, ripristinare la passeggiata sulle mura, da cui si aprono impensate viste sulla città che ammiccano a prospettive di uso turistico-culturale del complesso, nel rispetto del suo significa-to patrimoniale, vuole dire intervenire in un ambisignifica-to che, per la densità dei valori per-cettibili e imperper-cettibili, appare forte e fragile allo stesso tempo. L’operazione di ren-dere fruibile il percorso in quota è alquanto complessa e la creazione di uno spazio pubblico pone alcune questioni che riguardano il delicato equilibrio tra nuove fun-zioni e antichi contesti. Si presenta prioritariamente il tema più prettamente riguar-dante il monumento e il suo restauro che, come atto necessariamente creativo (Bo-nelli, 1963), deve definire in termini dialogici la relazione tra architettura antica e in-tervento odierno. Analogamente si pone il problema di come relazionarsi nei con-fronti dei luoghi archeologici o comunque di tutti quegli spazi “ad alta diversità tem-porale” (Matteini, 2011, p. 168) in cui è necessario operare per ripristinare la leggibili-tà dei diversi strati lasciati dal tempo e contemporaneamente aggiungere un nuovo livello, che è quello attuale, creando un insieme organico e credibile. Su questo argo-mento negli ultimi anni si sono delineate prospettive di ricerca e di azione interes-santi come quella di “archeologia poetica” di Bernard Lassus, cioè “operazione pro-gettuale di decodificazione e trasmissione delle informazioni attraverso gli strumen-ti combinastrumen-ti della scienza e della evocazione poestrumen-tica” (Matteini, 2009, p. 130), oppure quella di “conservazione inventiva” di Pierre Donadieu “che si basa sulla storia e la ge-ografia dei luoghi per immaginare il divenire sociale ed economico di un territorio in trasformazione” (Matteini, 2013, p. 24).

Vista dal bastione Imperiale. Foto: Comune di Firenze, 2015.

Tracce del camminamento di ronda tra i bastioni Bellavista e Imperiale.

Foto: Comune di Firenze, 2015.

Il tratto di percorso sulle mura che collega il mastio al bastione Cavaniglia. Foto: G. Caselli, 2015.

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tini Occuparsi della cinquecentesca fortezza fiorentina significa abbinare la sensibilità del restauratore a quella del paesaggista in un complesso progetto di interpretazione dei

contenuti storici ed ecologici e la loro traduzione, intesa come ‘trasferimento di un messaggio’, in un racconto coerente. Una narrazione quindi, che si confronti continua-mente con la memoria e con il tempo attraverso una operazione di ri-significazione. Il progetto di re-invenzione della passeggiata sulle mura dovrà misurarsi con la tra-scrizione operativa dell’ideazione poetica affrontando in particolare problematiche relative all’accessibilità e alla sicurezza della fruizione. La messa in sicurezza dei cam-minamenti è indubbiamente un intervento impegnativo per la necessità di garantire standard di sicurezza elevati in un contesto sensibile e complesso, soprattutto dove il percorso è stato ridotto a uno stretto passaggio in quota, ponendo attenzione sia alla

compatibilità storica16 che a quella visiva per l’introduzione di pavimentazioni e

para-petti. Nella ricostruzione in contiguità con i paramenti murari e sui terrapieni, la col-locazione di elementi di protezione anti-caduta è una azione molto delicata che esige di adottare modalità di integrazione paesaggistica delle recinzioni in grado di mini-mizzarne l’impatto con l’utilizzo di fasce di vegetazione arbustiva. Un’altra questio-ne da affrontare è l’eliminazioquestio-ne delle situazioni di criticità visuale, non solo dell’isola ecologica che andrà rimossa od opportunatamente schermata, ma soprattutto degli spazi intermedi tra gli edifici e le mura o i terrapieni, considerati come retri e di conse-guenza occupati con volumi tecnici o lasciati in abbandono, che ora la nuova prospet-tiva dall’alto dei camminamenti mette in evidenza. La rimozione delle criticità visive

deve riguardare anche la tettoia sopra la troniera del bastione Rastriglia17, la cui

impor-tanza e unicità richiede un linguaggio contemporaneo adeguato al manufatto stori-co per scelte cromatiche e materiche, approccio da stori-condividere in generale per tutte le componenti e finiture in aggiunta o a completamento dell’esistente, come ad esempio per le opere necessarie a garantire la continuità della percorrenza orizzontale e

verti-cale finalizzata alla piena fruibilità degli spazi18. Lo stesso deve dirsi dell’apparato

in-formativo e comunicativo, strumento essenziale del progetto educativo alla lettura e interpretazione del luogo, la cui realizzazione, attraverso un allestimento attraente ma minimale, esige sensibilità nell’inserimento e abilità evocative e immaginifiche. Infine si pone il tema della vegetazione. Nei siti storici e archeologici quella vegetale è una componente estetica importante per la percezione dei luoghi e parte integrante

del loro ‘valore d’immagine’19, addirittura svolgendo talvolta funzione protettiva nei

confronti dei manufatti e contribuendo a ridurne il degrado. Dunque, sebbene si deb-ba necessariamente intervenire sulla presenza della vegetazione, eliminando cioè le specie non idonee o dannose per l’integrità delle architetture al fine di garantirne la conservazione e la leggibilità, questa operazione non deve avvenire in modo acriti-co poiché, acriti-come abbiamo visto, le piante hanno avuto un ruolo importante nella

‘fi-gurabilità’20 della fortezza fiorentina. Non solo fattori che possiamo definire estetici,

ma anche motivazioni ecologiche si pongono alla base di questa riflessione. La Fortez-za è un luogo in cui l’oblio ha creato dentro la città un microcosmo del tutto peculia-re che, gestito attraverso il progetto, può diventapeculia-re una occasione ppeculia-reziosa sia per of-frire nuovi spazi alla fruizione pubblica che per incrementare la biodiversità urbana. Nel progetto paesaggistico di sistemazione della passeggiata sulle mura la vegetazione è uno strumento potente, attraverso cui definire una nuova configurazione spaziale e semantica, consapevole della dimensione storica e sensibile alle interazioni e alle com-patibilità, anche nella scelta delle nuove specie (Matteini, 2009).

pagina a fronte Suggestioni

a Berlino, Zitadelle Spandau. La fortezza rinascimentale, costruita da ingeneri italiani sul punto d’incontro dei fiumi Havel e Spree, è accessibile al pubblico dal 1989 e viene utilizzata per manifestazioni culturali. Mentre l’Arsenale ospita un museo storico, altri spazi del complesso celebrano la biodiversità, essendo il rifugio invernale di migliaia di pipistrelli. Una passeggiata in quota percorre due dei quattro bastioni angolari in terra.

Foto: A. Valentini, 2019. b Marsiglia, Fort Saint Jean. Lo storico presidio militare sul porto di Marsiglia, il cui restauro è contraddistinto da un raffinato abbinamento tra architettura moderna e storica, ospita oggi il MuCEM, il museo delle Civiltà d’Europa e del Mediterraneo realizzato nel 2001-2013. Gli spazi esterni del forte accolgono il Jardin des Migrations, una passeggiata botanica in quota dedicata alle specie mediterranee a cui ci guida un elegante apparato didattico-informativo. Foto: A. Valentini, 2017.

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tini In particolare sui bastioni e sui tetti verdi dei nuovi edifici possono trovare rifugio specie botaniche spontanee e ‘vagabonde’, specie nomadi che viaggiando di luogo in

luogo, di stagione in stagione e auto-seminandosi, ci mostrano il “valore progettuale dell’imprevisto” (Di Salvo, postfazione a Clément, 2015). Gli spazi aperti dimenticati, le zone di margine, ma anche le aree dove si conserva la stratificazione della storia, infat-ti, rivelano una elevata biodiversità che, nei paesaggi antropici, ha un significato quan-to mai rilevante poiché la varietà e ricchezza biologica presente in città è in grado di in-cidere direttamente sulla sua qualità ecologica. Agli spazi della Fortezza, dunque, ap-pare particolarmente seducente applicare la poetica progettuale di Gilles Clément, pa-esaggista francese che ha rivoluzionato l’idea classica di giardino ponendo

l’attenzio-ne sui territori trascurati, residuali o di transiziol’attenzio-ne e sull’incolto21. Le superfici dei

ba-stioni e dei terrapieni, già adesso popolati di erbe spontanee, a ‘distanza prossima’ dal-la nostra quotidianità, sembrano il luogo più adatto al giardiniere (pdal-lanetario) per in-serirsi nel flusso di energia che si sprigiona dall’ “incolto addomesticato” dove “le spe-cie possono darsi all’invenzione” (Clément, 2015, p. 22). Possiamo dunque immaginare per le mura della Fortezza un giardino-passeggiata botanica in quota, in cui la vegeta-zione, saggiamente guidata dalla mano del progettista, colonizza gli spazi individuan-do suggestivi scenari. I terrapieni, quindi, potrebbero essere impiantati con prati di miscele diversificate di specie erbacee spontanee mediterranee (wildflowers) che non soltanto aggiungono, rispetto ai tappeti erbosi tradizionali, una policromia spaziale e stagionale che li rende di particolare interesse dal punto di vista estetico, ma contribu-iscono a incrementare la biodiversità per la capacità di attirare uccelli ed anche insetti impollinatori e lepidotteri, spesso poco presenti, ma preziosi per la qualità dell’ambi-ente urbano. Ai benefici ambientali si aggiungono quelli economici dati da costi di ges-tione e manutenzione ridotti poiché alcune specie si prestano alla coltivazione su suo-li di scarsa quasuo-lità e in assenza di apporti nutritivi e/o idrici. Si potrebbe così sperimen-tare anche a Firenze un giardino che accolga le piante vagabonde portate dal vento, da-gli uccelli, dada-gli insetti ed anche dal calpestio dei visitatori, insomma un giardino di resistenza o del “Terzo Paesaggio” (Clément, 2005).

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1 Sulla Fortezza c’è un vincolo monumentale ex L. 1089/39, l’area è inoltre sottoposta a vincolo

pae-saggistico che riguarda tutta la zona dei viali di circonvallazione della città (D.M. 25.5.1955); entrambi i vincoli sono confluiti nel D.Lgs.42/2004 e succ. mod.

2 A Civita Castellana, Civitavecchia, Caprarola e alla cittadella di Ancona, realizzazioni che saranno

segui-te da altri complessi fortificati come la Forsegui-tezza di Arezzo o la Rocca Paolina di Perugia.

3 Denominati partendo dall’angolo sud-ovest: Rastriglia, Bellavista, Imperiale, Strozzi, Cavaniglia.

4 Le mura in origine erano alte 20 braccia e spesse 3 e mezzo, cioè alte oltre 11 metri e larghe 2, visto che

il braccio fiorentino corrisponde a 58,4 cm.

5 Non essendo completata secondo i disegni originari, la Fortezza fu ingombrata sin dal ‘600 di

magaz-zini, rimesse, alloggi, costruiti senza un piano unitario. Oggi vi convivono edifici settecenteschi, come la Palazzina Lorenese, il Teatrino Lorenese, l’Arsenale e il Padiglione Polveriera; altri datati tra la seconda metà dell’800 e l’inizio del ‘900, come l’ex liceo Machiavelli, l’immobile ad uso dell’Opificio delle Pie-tre Dure e il padiglione Sala della Ronda; altri ancora della seconda metà del ‘900 come il Padiglione Spadolini (1974) e quelli realizzati in forza di autorizzazioni temporanee come i padiglioni Ghiaie e Rondino, la Reception (oggi demoliti), il Padiglione Rastriglia e il Padiglione Cavaniglia.

6 Dal 2007 il complesso è proprietà degli enti locali (Comune e Provincia di Firenze, Regione Toscana) e

tutti gli spazi sono in concessione a Firenze Fiera, eccetto l’edificio che ospita l’Opificio delle Pietre Dure.

7 È recente la gara bandita dal Comune per la progettazione definitiva-esecutiva e direzione lavori del

primo dei nuovi edifici previsti, nominato Padiglione Bellavista.

8 Il primo, che passa sopra Porta alla Campagna, è molto stretto, con una pavimentazione antica a spina

pesce e senza protezione verso l’interno, mentre il secondo ha pavimentazione in cotto e parapetti in ferro moderni. Il circuito si chiude con il collegamento tra il mastio e il bastione Rastriglia.

9 Ipotesi formulata dallo studio condotto dal Comune di Firenze per la predisposizione del piano di

recupero. Questa struttura è visibile in forma ruderale anche a terra dello svuotato bastione Cavaniglia dove è stata delimitata una area archeologica.

10 Tra i manufatti presenti sul bastione, anche una colonna in pietra con la raffigurazione della

protet-trice dei depositi di armi e munizioni, Santa Barbara.

11 È datata 1535, quindi a poco più che un anno dall’inizio, una nota di lavoro riportata da Gurrieri e

Mazzoni (1990, p. 125) che fissa l’inizio della costruzione dei terrapieni: “[…] e così abbiamo cominciato a fare i bastioni, e il sodo di dentro nella terra alla misura che si era cominciata quando voi ripartiste [...]”.

12 Sopra i bastioni di Anversa, Panzini (1993, p. 80) riferisce che fin dalla seconda metà del ‘500 è

presen-te un duplice filare alberato, ritratto anche in una veduta della città disegnata da Hogenberg e pubbli-cata sul volume II del Civitates Orbis Terrarum 1572-1618; sul I volume del Civitates è contenuta anche la prima pianta prospettica di Lucca, disegnata nel 1568, sopra i cui bastioni è ritratto un filare alberato.

13 Gurrieri e Mazzoni (1990, p. 167) trascrivono da una nota storica: “6 sul Bellavista, 13 sull’Imperiale, 15

sulla cortina dall’Imperiale a tutto il Bastione Strozzi”.

14 Martinelli (2005, p. 350) riporta che Francesco Bandinelli, riferendo gli avvenimenti più rimarchevoli

dell’anno 1546, scriveva: “[…] la prima piantata fece in breve una grandissima impressione a segno che il popolo tutto ne restò satisfatto, per la comodità dello spazzo che ne prendeva per passeggiarla come se fosse sua propria Villa”.

15 Un rilievo sommario delle alberature è stato effettuato all’interno di una convenzione di ricerca tra

l’Università di Firenze ed il Comune di Firenze negli anni 2017-2018. Cfr. M. Grimaldi, L. Marcaccini, La passeggiata dei ritorni. Giardini pensili per la Fortezza da Basso a Firenze, rel. prof. G. Paolinelli, corr. prof. F. Ferrini, prof. A. Valentini, arch. C. Mezzapesa, a.a. 2017-2018.

16 Ad esempio con il ripristino della sezione originale delle mura sui bastioni o la rimozione del

con-tro-muro realizzato sul Rastriglia.

17 Sulla troniera negli anni Ottanta sono stati effettuati dalla Sovrintendenza alcuni restauri e da allora è

rimasta una rudimentale tettoia di lamiera e tubi innocenti, ormai arrugginiti, a copertura dello spazio sottostante usato come magazzino da parte dell’Opificio.

18 Il piano di recupero del Comune di Firenze prevede infatti anche strutture di collegamento verticale

(blocchi ascensore per l’accesso disabili e per le emergenze).

19 A partire dalla fine del ‘700 e gli inizi dell’800 la flora ruderale ha assunto progressivamente il ruolo

di complemento di frammenti e rovine (M. Benente e M. Mattone, 2005).

20 Il termine è preso in prestito da Kevin Lynch (1964) che con Imageability intendeva la capacità della

città di radicarsi nella memoria dello spettatore.

21 L’incolto è per Clément “[…] un’incoerenza estetica simile alla scintilla: un incontro fugace che

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