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Territori, margini e infanzie di periferia. La lezione del XX secolo nel Marcovaldo di Italo Calvino

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Pedagogia militante

Diritti, culture, territori

Atti del 29° convegno nazionale

SIPED

Catania 6-7-8 novembre 2014

a cura di

Maria Tomarchio, Simonetta Ulivieri

con la collaborazione di

Gabriella D’Aprile

Edizioni ETS

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© Copyright 2015 Edizioni ETS

Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa info@edizioniets.com www.edizioniets.com

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Messaggerie Libri SPA

Sede legale: via G. Verdi 8 - 20090 Assago (MI)

Promozione

PDE PROMOZIONE SRL

via Zago 2/2 - 40128 Bologna

ISBN 978-884674372-5 ISSN 1973-1817

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Territori, margini e infanzie di periferia.

La lezione del XX secolo nel Marcovaldo di Italo Calvino

Leonardo Acone

La marginalità intesa come disagio sociale, come “perifericità” esistenziale rispetto ad una “centralità” del vivere, come distanza consolidata da benessere e “circostanze” favorevoli di varia natura, trova testimo-nianza di sé in gran parte della letteratura italiana del ventesimo secolo. In questa sede ci preme, in particolar modo, rimarcare i possibili punti di contatto tra una panoramica riferibile a tale – ancor presente – margi-nalità, il recupero di un tracciato narrativo capace di coglierne i tratti salienti e raccontarli, e un rimando es-senziale alla dimensione riferibile all’infanzia; all’educazione delle generazioni che verranno e che, ereditate le informazioni (e le relative, consequenziali responsabilità) sul grande racconto del vivere adulto, dovranno sforzarsi di “centrare” un orizzonte autobiografico e sociale attento alle derive di tanti, troppi territori mar-ginali (metaforici e reali).

In tale prospettiva ci pare ineludibile un riferimento diretto a quello che, a modesto avviso di chi scrive, si configura quale il più importante e significativo “interprete letterario della marginalità”: Italo Calvino.

Il grande scrittore percorre un tragitto narrativo che, attraverso le tematiche relative a Neorealismo ed avanguardie, coniugate in modalità assolutamente originali ed innovative, giunge ad un primo punto di svolta che evidenzia una “felice deviazione” verso un registro comico-surreale che, di fatto, supera la già consi-stente esplicazione del sociale e dei suoi risvolti marginali, per arrivare ad un dato sorprendente a livello contenutistico. Da un lato, infatti, egli consolida alcuni topoi letterari che, partendo dai primi scritti, trovano compimento in personaggi stralunati, assurdi e latori di declinazioni ulteriori della marginalità di cui sopra (dimidiamento, straniamento, smarrimento...); dall’altro il “bagno di fiaba” cui Calvino sottopone la propria scrittura e cui, tutto sommato, “si” sottopone in prima persona riconoscendone l’assoluta indispensabilità in termini di realtà sostitutiva (e migliore) del reale stesso, risulta essere il forte legame che lo scrittore instaura con una visione “fanciulla” della società e che genera, in sostanza, i suddetti personaggi, riposizionando la propria narrazione su un registro incantato e disincantato al contempo. Tale svolta si verifica durante gli anni Cinquanta, e cioè nel periodo in cui prendono vita i sorprendenti protagonisti della trilogia calviniana de I nostri antenati. Dal 1952 al 1959 Calvino riconfigura in chiave umoristica, comica e surreale tutte le istanze ideologiche e letterarie di cui si era fatto interprete e latore e che, in una ‘nuova’ chiave di lettura, danno vita ad alcuni dei personaggi più originali della storia della letteratura italiana. Non a caso, durante gli stessi anni Cinquanta, Calvino è al lavoro sulla più importante raccolta di fiabe italiane che si ricordi, e questa completa “immersione” nel registro del fiabesco (già caro al Calvino critico, e di cui dice che «non ammette d’essere situato nel tempo e nello spazio»49), diviene un nuovo status artistico dello scrittore, all’interno del quale le

tematiche principali della sua poetica trovano confortevole svolgimento ed evoluzione, fino a compiersi nella elegante leggerezza delle pagine di Marcovaldo, del 1963.

Del resto, il fatto che il “bagno di fiaba” condizioni, dalla metà degli anni Cinquanta in poi, la visione letteraria di Calvino, è testimoniato dalle sue stesse parole: «Ora, il viaggio tra le fiabe è fatto, scrivo questa prefazione e ne sono fuori: riuscirò a rimettere i piedi sulla terra? [...] Ogni poco mi pareva che dalla scatola magica che avevo aperto, la perduta logica che governa il mondo delle fiabe si fosse scatenata, ritornando a dominare sulla terra»50. Così come è sempre lo scrittore a ricordarci quanto la stessa ‘lettura’ della realtà non

possa, da quel momento in poi, prescindere da un rapporto diretto con la fantasia generatrice di racconto, e di vissuto: «io credo questo: le fiabe sono vere. Sono, prese tutte insieme, nella loro sempre ripetuta e sempre varia casistica di vicende umane, una spiegazione generale della vita, nata in tempi remoti e serbata nel lento ruminio delle coscienze contadine fino a noi; sono il catalogo dei destini che possono darsi a un uomo e a una

49 I. Calvino, Sulla Fiaba, Einaudi, Torino 1988, p. 109.

50 I. Calvino, Introduzione a Id., Fiabe italiane, Bruno Mondadori, Milano 2002, p. 12.

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donna, soprattutto per la parte di vita che appunto è il farsi di un destino: la giovinezza»51.

Ecco che la giovinezza, la fiaba, i destini da ripercorrere e da farsi, permeano la scrittura dell’autore e, sotto un certo punto di vista, la “completano” come se, da anni, Calvino non aspettasse altro che tale ricol-locazione ‘fanciulla’ della sua narrazione. L’impegno, il sociale, la narrazione sentita di uomini e cose, che prendono vita fin dai primordi della scrittura calviniana, si “condensano”, surreali, evanescenti e tanto più efficaci (letterariamente parlando), in Medardo di Terralba, protagonista de Il visconte dimezzato, metafora dello sdoppiamento, del dimidiamento dell’uomo lacerato tra positività e negatività, bontà e cattiveria; o in Cosimo Piovasco di Rondò, che ne Il barone rampante opera un rinnegamento esistenziale della terra, marginalizzandosi fisicamente rispetto ad essa, e arrivando a vivere sugli alberi; o, ancora, in Agilulfo, quel Cavaliere inesistente cui la “marginalità esistenziale” si rivela quasi quale peculiarità ontologica, visto che, rispetto alla stessa esistenza, il cavaliere esiste soltanto in ‘funzione’ dell’impresa cavalleresca da compiere52.

L’armatura, di per sé vuota, trova senso nell’avventura che dovrà compiere, di fatto anticipando il tema dello straniamento di cui rimangono vittima i poveri diavoli come Marcovaldo, funzionali come ingranaggi di un meccanismo sociale che ne consuma speranze ed entusiasmi.

Marcovaldo ovvero Le stagioni in città, pubblicato nel 1963, di fatto chiude la prima, importante fase della produzione calviniana, che è quella che ci interessa particolarmente riguardo alla possibilità di intercettare una visione della realtà che faccia i conti – letterariamente e non – con la marginalità del vivere; con le figure e le sagome di persone e personaggi (tra vita reale e “fictio” narrativa) alle prese con lo smarrimento derivante da una mancata possibilità di aderire a ritmi e sistemi del convulso congegno sociale; dei territori distanti e mai del tutto raggiunti (quand’anche percorsi); del “centro” del benessere che trattiene ai margini senza concedere possibilità di reale condivisione e partecipazione.

Il tutto, nelle pagine di Calvino, viene rimescolato e ripresentato con le tinte fiabesche e delicate che, pro-prio in seguito a quella felice “immersione” di cui sopra, partendo dalle fiabe e dai magnifici personaggi della trilogia, arriva al manovale Marcovaldo costruendo un capolavoro di efficacia ritrattistica53. Nella raccolta di

venti novelle lo scrittore mette in scena il racconto di un continuo e reiterato scacco; di una disillusa speranza di potercela fare; di una utopistica ricerca della perduta natura incontaminata. Il fanciullo cresciuto Marcovaldo vive ai margini della grigia realtà cui oppone tutta la propria ingenua, strenua resistenza; per poi soccombere si-stematicamente; o quasi. E proprio sul “quasi” appena riportato si struttura la presente riflessione, tendente ad evidenziare la possibilità di cogliere, nelle intenzioni di Calvino, una sorta di “via d’uscita fanciulla” rispetto al grigiore marginale del vivere adulto. Risulta essenziale, a tal proposito, ripercorrere la struttura del Marcovaldo al fine di evidenziare una stratificazione di livelli nei quali, di volta in volta, margini, confini, periferie e centro si scambiano ed intersecano arricchendo ed avvalorando il senso del messaggio dello scrittore.

Marcovaldo, sempliciotto ed ingenuo, giunge in città, guarda caso, da ragazzo; la vena malinconica e la frattura rispetto ad un’origine di ‘natura’ non vengono, però, ostentate né rimarcate. Rimangono latenti du-rante tutto il percorso della narrazione, e Calvino ce ne dà una delicata allusione soltanto nella nona novella, L’aria buona, quando glielo permette un cambio netto di prospettiva e di punto d’osservazione: salire in col-lina, fuori città, significa ricollocarsi per un attimo in una posizione dalla quale osservare il centro nevralgico delle speranze, quella città desiderata e maledetta, quel nucleo di grigiore spento che offusca giorni presenti e speranze passate:

Marcovaldo risentì un’ondata del sentimento di quand’era arrivato giovane alla città, e da quelle vie, da quelle luci era attratto come se ne aspettasse chissà cosa. Le rondini si gettavano nell’aria a capofitto sulla città. Allora lo prese la tristezza di dover tornare laggiù, e decifrò nell’aggrumato paesaggio l’ombra del suo quartiere: e gli parve una landa plumbea, sta-gnante, ricoperta dalle fitte scaglie dei tetti e dai brandelli di fumo sventolanti sugli stecchi dei fumaioli54.

51 Ivi, p. 13.

52 Cfr. S. Perrella, Calvino, Laterza, Roma-Bari 1999; C. Benussi, Introduzione a Calvino, Laterza, Roma-Bari 2002; F. Serra, Calvino, Salerno Edizioni, Roma 2006; A. Casadei e M. Santagata, Manuale di letteratura italiana contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2007.

53 A tal proposito Mario Lavagetto, nella celeberrima Prefazione alle Fiabe italiane di Calvino scrive: «Né, una volta girata la boa delle Fiabe, quell’oroscopo tramonta e smette di orientare l’itinerario creativo di Calvino, anche se non man-cano episodi (La speculazione edilizia, La nuvola di smog, o La giornata di uno scrutatore) che sembrano iscriversi sotto diverse costellazioni. [...] E, nello stesso periodo, sotto la costellazione del fiabesco, nascono Il barone rampante (1957) e

Il cavaliere inesistente (1959), mentre Marcovaldo (nel 1963) si colloca sulla linea di confine». In M. Lavagetto, Prefazione

a I. Calvino, Fiabe italiane, cit., p. XXIX.

54 I. Calvino, Marcovaldo ovvero Le stagioni in città, RCS Editori, Milano 2003, p. 57.

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689 Gruppi di lavoro In un rapido sguardo all’orizzonte, il protagonista sintetizza la storia di una “marginalità”; la storia di una speranza tradita come poteva essere la speranza di tanti ragazzi attratti dal sogno delle luci scintillanti; dal benessere del boom economico, dalle illusioni di un tessuto sociale accogliente e non sfibrato dal grigiore della estraneità.

Da questo posizionamento quasi “geografico” – quanto mai attuale, in chiave di interpretazione di di-stanze ed estraneità tra civiltà – possiamo individuare un primo, sostanziale livello di “marginalità” e “cen-tralità” che prende vita tra le pagine dell’autore. Egli ce ne rende testimonianza nella novella numero nove, ma la storia di Marcovaldo comincia “prima della prima novella”; in una sorta di “fuori campo” narrativo che si rivela come coordinata spaziale di imprescindibile significato, partendo da una periferia marginale (la campagna, la provincia, un “fuori”, comunque) ed arrivando a un “centro” cittadino che, in questo primo livello di spazialità metaforica, dovrebbe rappresentare il luogo della speranza e della possibilità.

Il giovane, illuso Marcovaldo, giunge nella “metropoli”, nell’insidioso nugolo di strade e palazzi, di ru-mori ed illusioni. Già dall’inizio questo posizionamento in un nuovo, auspicato “centro” si rivela deludente, tanto da collocare il protagonista in uno stato di latente, costante indigenza, di avvertita mancanza: Mar-covaldo inizia la sua surreale, commovente, affannata e vana ricerca della natura incontaminata nella città d’asfalto e cemento, pur sapendo di non poterne recuperare che fragili brandelli inconsistenti, come i funghi tossici cresciuti spontaneamente nelle aiuole spartitraffico della città, oggetto delle brame dei poveracci che li immaginano succulenti e che, come Marcovaldo, si ritrovano la sera all’ospedale, per la lavanda gastrica.

Le novelle iniziano, così, con una inversione direzionale già compiuta tra marginalità e centralità di vita e bisogni, poiché la città, raggiunta, si rivela subito avara di speranze e possibilità; e la natura, la campagna e l’origine “periferica” del protagonista, assumono già le tinte del rimpianto, presentandosi, di fatto, quali co-ordinate di una “centralità affettiva” cui Marcovaldo non rinuncerà lungo tutto il corso delle sue avventure, presentandosi, già dalla prima novella, come il “povero diavolo”, ingenuo e smarrito, nel reticolato elefan-tiaco della grande città. Un “uomo di natura”, o un “buon selvaggio”, per dirla con Giuseppe Bonura55, cui

Calvino dona lo sguardo innocente e disincantato del bambinone cresciuto, ma che come uomo di natura si ritrova, alla Rousseau, a fare i conti con una evoluzione personale e sociale di cui non riesce a gestire (e a volte neanche a conoscere) gli essenziali orizzonti.

Di tale inversione, dal centro ambito al margine rimpianto, c’è una magistrale testimonianza che l’arte narrativa di Calvino ci dona con una prosa delicata ed intensa al contempo; quella prosa con «più chiavi d’ac-cesso. Una è quella immediata, che ti fa entrare e scivolare via di racconto in racconto come se scorressi gli oc-chi sulle tavole a fumetti [...] L’altra oc-chiave di lettura è più profonda. Quella che ti fa riflettere, sorridendo, su tante piccole e grandi cose che Calvino ti fa intravedere stando ben alla larga dal rischio di appesantire tutto con una sola parola moralisteggiante»56. Nella seconda novella il povero Marcovaldo sogna di riposare su una

panchina pubblica, negli spelacchiati giardinetti del centro città, ignaro di quanto possa rivelarsi frustrante, ancora una volta, la sua ricerca di uno status prossimo alla natura, quand’anche riferibile al solo sonno not-turno. E nell’attesa dell’allontanamento dei due innamorati che litigano sulla “sua” panchina, e prima che l’avvicendamento di pratiche metropolitane notturne – ben poco riposanti e quanto mai chiassose – potesse ostacolare l’agognato riposo, Marcovaldo «tornò a guardare la luna, poi andò a guardare un semaforo che c’era un po’ più in là. Il semaforo segnava giallo, giallo, giallo, continuando ad accendersi e riaccendersi. Mar-covaldo confrontò la luna e il semaforo»57. È in questo confronto, improvviso e spontaneo, affidato agli occhi

ingenui e al cuore semplice di Marcovaldo, che Calvino opera una configurazione dimensionale che allarga semanticamente il senso profondo di ciò che resta centrale, da sempre, e di ciò che inganna, illudendo con la propria nuova, falsa ed illusoria centralità. Il confronto tra l’astro antico del cielo – perduta natura degli uomini – e l’astro “ridotto” e seriale del semaforo, struttura una sorta di “marginalità cromatica”, nella quale centro e periferia si scambiano di ruolo; per un ritorno interiore ad altri orizzonti, malinconici e lontani: «La luna col suo pallore misterioso, giallo anch’esso, ma in fondo verde e anche azzurro, e il semaforo con quel suo gialletto volgare. E la luna tutta calma, irradiante la sua luce senza fretta, venata ogni tanto di sottili resti di nubi, che lei con maestà si lasciava cadere alle spalle; e il semaforo intanto sempre lì accendi e spegni, accendi e spegni, affannoso, falsamente vivace, stanco e schiavo»58.

55 G. Bonura, Invito alla lettura di Calvino, Mursia, Milano 1972, pp. 77-79. 56 G.A. Stella, Il Ghiacciolo e la marmellata, prefazione a I. Calvino, op. cit., p. 8. 57 I. Calvino, op. cit., p. 21.

58 Ibidem.

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Questa prima inversione tra marginalità e centro, affidata al registro del rimpianto e del contrasto cro-matico tra sfere celesti e luci artificiali, trova conferma nella quattordicesima novella, Luna e Gnac, laddove il conflitto, serrato e luminoso, tra natura e metropoli, passa attraverso il conto alla rovescia che Marcovaldo e i suoi bambini scandiscono, scrutando – finalmente – costellazioni ed astri, prima che i neon implacabili dello Gnac oscurino stelle e galassie accecando sogni, pupille e racconti con la prepotenza di watt ed elettricità.

Ancora una volta nel racconto, il tentativo di rivalsa di Marcovaldo, che passa attraverso la fionda di Mi-chelino, che infrange l’insegna invadente e nemica, viene infranto a sua volta dalla nuova insegna, metafora di smacco ed inganno perpetrati ai danni dell’ingenuo Marcovaldo, cui vengono sottratti anche i venti, so-spirati secondi di astri notturni, per un’implacabile intermittenza più spietata, che acceca, questa volta, ogni due secondi, privando del tutto i poveri osservatori delle romantiche e sognanti atmosfere notturne: «e non c’erano più luna né firmamento né cielo né notte, soltanto COGNAC TOMAWAK [ ... ] che s’accendeva e si spegneva ogni due secondi. Il più colpito di tutti fu Fiordaligi: l’abbaino della ragazza lunare era sparito dietro a un’enorme, impenetrabile vu doppia»59.

Si consolida, così, seguendo le vicende di Marcovaldo di novella in novella, una immagine del “centro” agognato, della città raggiunta, che si rivela, a sua volta, sede di una centralità e di una marginalità ben più “severa”: marginalità sociale, marginalità funzionale, spazio degli ultimi in una città che ingloba ed inghiotte, e che relega ai margini del sistema tutti i poveri piccoli ingranaggi di un meccanismo nel quale tanti – troppi – non hanno voce in capitolo. Si tratta di un secondo livello di spazialità, stavolta esistenziale, nel quale lo scavo profondo del “sistema” umano e relazionale rivela una ben più desolante marginalità, che Calvino osserva e racconta con gli occhi attenti e lo sguardo lucido di un’anima semplice.

Siamo così ad una ricostruzione del reale in cui, nel primo livello, Marcovaldo si muove da una dimen-sione periferica di povertà ad un centro che dovrebbe essere custode di progresso e benessere. Ben presto la delusione prende forma nel rimpianto affettivo delle periferiche origini a fronte di una centralità metropoli-tana convulsiva e desolata, sede di un ulteriore livello di contrasto – il secondo – tra una centralità dei pochi, fatta di agiatezza, comodità, sicurezza economica, ed una marginalità dei molti, stretti nella desertificazione urbanistica dell’agglomerato cittadino, grigio e smorto come la coltre nebulosa che ricopre sogni e speranze di tanti poveracci.

Questa, in sostanza, la sintesi di Calvino, che però non rivela, fortunatamente, una sua “definitività” ineluttabile; ma concede speranze, e le affida ad occhi, intenzioni ed incanti fanciulli.

L’avvicendarsi delle novelle ci rimanda un latente contrasto sia riferibile al primo livello (natura-città), che al secondo (benessere-alienazione); la natura, nella quarta novella, attutisce, per un attimo, tutti gli inva-denti e seriali rumori cittadini, spegnendoli sotto un manto di neve: «la neve era caduta sui rumori, anzi sulla possibilità stessa di far rumore; i suoni, in uno spazio imbottito, non vibravano»60. Nelle successive (quinta e

sesta), il tentativo di “addomesticare” le vespe rivela l’impossibilità di relazionarsi con la natura, e la distesa di persone a riempire l’intero specchio d’acqua del fiume consegna, con l’amara ironia di Calvino, la rivincita della città affollata sulla frustrata ed inesausta ricerca di Marcovaldo.

Al secondo livello, registriamo la possibilità di una inversione, la speranza di una piccola – e importante – rivalsa. Ne La pietanziera, la marginalità più dura cui è condannato Marcovaldo (quella sociale) viene tem-poraneamente interrotta, guarda caso, da un bambino che, vedendo Marcovaldo sulla panchina, in procinto di mangiare il suo povero pasto, opta per un “democratico” e livellante scambio di pietanze. Dura poco, ma l’immagine è suggestiva e letterariamente magistrale: «Il bambino era tutto contento. Porse all’uomo il suo piatto di maiolica con una forchetta d’argento tutta ornata, e l’uomo gli diede la pietanziera colla forchetta di stagno. Così si misero a mangiare tutti e due: il bambino al davanzale e Marcovaldo seduto su una panchina lì di fronte»61. Una immagine che prepara la novella che, forse, tra tutte, alla luce di questa modalità d’analisi si

rivela la più significativa; un racconto in cui primo e secondo livello si intersecano, e la “via d’uscita fanciulla” dimostra una sorta di possibilità; una speranza, per una volta, di “potercela fare”. Forse, in questa novella, c’è tutto Calvino: c’è la fiaba, c’è l’incanto, c’è la speranza.

Marcovaldo, messo alle strette da quella marginalità più feroce, che si chiama povertà, vede consumarsi, nella stufa, le “braci” degli ultimi “stecchi” di legno. Decide di sfidare il freddo in una inutile ricerca, nella città cementificata, di un po’ di legna da ardere. Ovviamente il bottino sarà magro, ma intanto i suoi figlioli,

59 Ivi, p. 93. 60 Ivi, p. 30. 61 Ivi, p. 49.

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691 Gruppi di lavoro alle prese con un libro che parla di taglialegna, di alberi e di boschi (una fiaba!), decidono di andare a cercare il bosco più vicino, con il candore dell’infanzia e la beata ignoranza di chi, la natura, non sa neanche cosa sia; e che lo dimostra ogni volta che si imbatte in qualcosa che la rappresenti: mucche, prati, stelle, luna, aria (buona, da mangiare?); «– Evviva! – disse Michelino, – questo è il bosco! [...] Marcovaldo tornava col suo magro carico di rami umidi, e trovò la stufa accesa. – Dove l’avete preso? – esclamò indicando i resti del cartello pubblicitario che, essendo di legno compensato, era bruciato molto in fretta. – Nel bosco! – fecero i bambini. – E che bosco? – Quello dell’autostrada. Ce n’è pieno!»62.

I bambini intervengono nella dura lotta di Marcovaldo, in una marginalizzazione sociale che relega il po-vero manovale all’indigenza più assoluta, e lo fanno “recuperando”, di fatto, il primo livello, in un riposizio-namento e in una quasi magica “reinterpretazione” della natura, laddove il bosco, se serve per sopravvivere, forse può anche essere quello dei cartelloni pubblicitari.

E allora Calvino consegna al suo protagonista una via d’uscita, che è quella di rinunciare al ruolo di adul-to, e di osservare il mondo con gli stessi – salvifici – occhi dei suoi splendidi bambini: «tanto valeva seguire l’esempio dei bambini. Marcovaldo tornò a uscire con la sua sega, e andò sull’autostrada»63. La

“misericor-diosa” dabbenaggine dell’agente Astolfo che, pur avendo avvistato, dopo un paio di cantonate, il povero Marcovaldo, lo scambia per una immagine facente parte del cartellone, arriva quale agognato premio in una notte fredda e lontana, lungo un orizzonte di periferia; dove, per una volta, non c’è punizione né castigo, e dove i cartelli del bosco metropolitano riscalderanno Marcovaldo e la sua povera famiglia.

Il tema della povertà che diviene alienazione, straniamento, in una società che negli anni del boom eco-nomico vedeva l’espansione consumistica più galoppante, torna a relegare i personaggi ai margini in novelle come Marcovaldo al supermarket, laddove il mostro meccanico della gru inghiotte il carrello imprudente-mente riempito; ma soprattutto inghiotte la speranza e l’illusione di aver partecipato, per una volta, al rito collettivo dell’acquisto, dell’abbondanza, del benessere.

Tale dialettico conflitto tra marginalità sociale ed “antidoto fanciullo” trova compimento e “pareggio” nell’ultima novella, dove il sorriso amaro e disincantato di Calvino mette in scena tutta la distanza tra la ricchezza e la povertà; tutta l’ipocrisia di festività natalizie in cui il consumo prende il posto della spiritualità e dei sentimenti. Ma Calvino regala ancora un sussulto, e i figli di Marcovaldo, al cospetto di un bambino ricchissimo e annoiato, lo inquadrano come il “vero” povero: povero di felicità: «– Quello che se ne stava così triste... quello della villa con l’albero di Natale... – A lui? Ma che regali potevi fargli, tu a lui?»64.

Potevano regalargli un po’ di allegria; un po’ di vivacità che, sembrano insegnarci Michelino e fratelli, non si acquista da contratto, né si scarta con gli innumerevoli regali. E sebbene la lezione di Calvino sul consumismo resti viva – nella occasione che le aziende non si lasciano sfuggire di poter accelerare il mer-cato e il consumo grazie alla geniale idea del “regalo distruttivo” che elimina tutti gli altri – a noi rimane la “soddisfazione”, appunto, di un “pareggio”, nella affermazione di una felicità “gratuita” che i poveri figli di Marcovaldo portano, in dono, ad illuminare il grigiore della ricchezza, ultima periferia valoriale e di senso; spesso lontana da margini e centro; spesso distante dai sorrisi di fanciulli e di adulti mai cresciuti, che ancora amano smarrirsi dietro l’ombra del leprotto che salta, invisibile, dalla neve all’evanescenza cartacea, candida e surreale, dell’ultima, bellissima pagina di Calvino.

Riferimenti bibliografici

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62 Ivi, p. 53. 63 Ibidem. 64 Ivi, p. 137.

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Perrella, S. (1999), Calvino, Laterza, Roma-Bari. Serra, F. (2006), Calvino, Salerno Edizioni, Roma.

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Indice

Frontiere culturali e terreno d’impegno di una pedagogia militante

Maria Tomarchio, Simonetta Ulivieri 7

Introduzione ai lavori

La pedagogia militante, una sfida per la società contemporanea

Santo Di Nuovo 11

Per una pedagogia militante

Massimo Baldacci 13

Il futuro necessario

Michele Corsi 15

Educazione, marginalità e differenze. La Pedagogia come progetto di cambiamento nella libertà

Simonetta Ulivieri 17

Parte Prima

Diritti, culture, soggettività: frontiere pedagogiche e responsabilità educative

Coltivare l’essere che trasforma le cose. Pedagogia militante e progettualità educativa

Maria Tomarchio 25

Educazione e competenze interculturali nella società neoliberale

Agostino Portera 37

Le due responsabilità della pedagogia

Enza Colicchi 49

Cura educativa, “tensione morale”, etica pubblica

Maurizio Fabbri 65

Le nuove famiglie come emergenza educativa

Antonio Bellingreri 73

Scuola e società di fronte alle migrazioni e alle diversità: educazione e mediazione interculturale in Italia

Massimiliano Fiorucci 84

Vivaio, formazione e competenze: l’eredità di un’esposizione universale Green and food education Expo 2015

Pierluigi Malavasi 101

I volti della diversità e i diritti mancati

Stefano Salmeri 111

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Parte Seconda

Culture, marginalità, processi formativi

L’appello al margine. Formare oltre i silenzi e le emergenze

Giuseppe Annacontini 125

I rom a scuola. Educazione formale e bisogni formativi

Giuseppe Burgio 134

Pedagogia militante, diritto all’apprendimento permanente e integrazione dei rifugiati

Marco Catarci 147

Cultura dell’infanzia e diritti dei bambini. Le contraddizioni del mondo globale

Emiliano Macinai 157

Costruire il proprio posto nel mondo. L’educazione tra senso dell’impegno ed etica della situazione

Elena Madrussan 166

Tracce, pratiche e politiche per l’educazione alla differenza

Raffaele Mantegazza 179

Educazione, convivenza e cittadinanza nella prima infanzia

Elena Mignosi 189

Minori stranieri non accompagnati e diritto all’istruzione visti da una terra di frontiera. Il caso Sicilia

Marinella Muscarà 204

Scuola e democrazia. Per una educazione alla cittadinanza

Anna Maria Passaseo 211

Learning city: la sfida dell’inclusione sociale

Roberta Piazza 221

Il disagio “invisibile” dei bambini a scuola

Valeria Rossini 234

Universalismo, diritti e politiche della formazione. Per una pedagogia della decrescita

Fabrizio Manuel Sirignano 249

L’invisibilità delle coppie omosessuali. L’esigenza etica di diritti civili

Massimiliano Stramaglia 261

Intercultura: una necessità pedagogica

Giovanbattista Trebisacce 269

Diritti culturali e dignità umana: per una pedagogia militante “in tempo di pace”

Letterio Todaro 276

Pedagogia e poverty studies: alla ricerca di direzioni razionali tra i paradossi

Alessandro Tolomelli 288

Bambini e ragazzi con background migratorio a scuola. Per una pedagogia dell’ospitalità

Davide Zoletto 300

(11)

1049 Indice

Parte Terza

Gruppi di lavoro

Sessione Prima

Minori invisibili e infanzie migranti: i nuovi drammi contemporanei

Un “caleidoscopio in movimento” e la responsabilità del sistema educativo

Francesca Pulvirenti 311

Due volte invisibili.

Minori stranieri lavoratori e vittime di tratta e diritto all’educazione

Lorena Milani 314

Choc culturale e disagio sociale nei minori stranieri non accompagnati

Raffaella Biagioli 323

Educare alla resilienza/Educare alla resistenza: per una pedagogia del corpo nelle situazioni di postcatastrofe

Alessandro Vaccarelli 332

Gli extraterrestri interrogano l’umanità. Oltre la frontiera dei MSNARA

Luca Agostinetto 339

I diritti inavvertiti: i minori e la pratica sportiva

Antonio Borgogni 347

Tra origini e nuove appartenenze: identità plurali nell’adozione internazionale? Spunti di riflessione da una ricerca qualitativa, in prospettiva interculturale

Stefania Lorenzini 355

Includere diversità per arricchire le differenze. Prospettive e proposte pedagogiche

della ricerca Isfol: “Analisi delle misure di accompagnamento per la transizione scuola-lavoro dei giovani con disagio psichico”

Angela Muschitiello 361

Minori stranieri e famiglie transnazionali. Il significato di una relazione a distanza

Maria Vinciguerra 370

Sessione Seconda

Soggetti di cura, soggetti di diritto. Un impegno civile per la marginalità

Narrare e Agire la Responsabilità

Laura Clarizia 379

“Vecchi” e “nuovi” diritti. La pedagogia e lo spazio autonomo dell’educativo

Riccardo Pagano 382

I nuovi modi e i nuovi mondi del disagio giovanile: quale pedagogia inclusiva?

Silvana Calaprice 385

Ricostruire il senso di comunità nella “terra dei fuochi”: il manager educativo nello sviluppo territoriale integrato

Maria Luisa Iavarone, Paolo Orefice 393

Pedagogia e valorizzazione di un patrimonio invisibile: una ricerca sugli anziani

Gabriella Aleandri 399

(12)

L’inattuale approssimarsi al volto dell’Altro, tra vincoli e diritti

Manuela Gallerani 406

Garantire l’esigibilità dei diritti. Un monitoraggio dei diritti dell’infanzia nella regione Marche

Berta Martini, Rossella D’Ugo 416

I diritti delle donne e le sfide del multiculturalismo

Clara Silva 425

Inclusività e cittadinanza partecipata. Riflessioni pedagogiche

Lucia Ariemma 431

Educare alla “giustizia”: fondamenti pedagogici dell’educazione alla legalità

Michele Caputo 437

Pedagogia militante e pedagogia narrativa: quale possibile incontro?

Micaela Castiglioni 442

Diritti, cura ed educazione. In dialogo con J. Hersch e J. Tronto

Giuseppina D’Addelfio 447

Pedagogia del lavoro “militante” tra ricerca, didattica, engagement

Daniela Dato 455

Strategie del sapere e del conoscere in una società del cambiamento. Processi formativi ed esercizio dei diritti

Viviana La Rosa 461

Ali per volare: studio su Exaptation come funzione pedagogica

Elvira Lozupone 466

Parola e immagine per una pedagogia militante. Imparare il tempo del limite, tra dire e guardare

Emanuela Mancino 472

Educare alla cittadinanza terrestre: per una com-presenza ecologica

Alba G.A. Naccari 480

Cittadinanza e impegno civile. Una ricerca sulle pratiche educative

Pascal Perillo 490

L’educazione e l’impegno, tra critical pedagogy e pedagogia critica

Claudia Secci 498

L’immaginazione dialogica e nuove opportunità di apprendimento. Analisi di situazioni educative in un servizio territoriale per minori

Paolo Sorzio 505

Donne recluse: tornare bambine, diventare madri. Un’analisi pedagogica

Elena Zizioli 511

Dare rilevanza alle relazioni nonno-nipote per (ri)dare un senso alla vecchiaia

Manuela Ladogana 517

Responsabilità educativa, ricerca pedagogica e tutela dei diritti umani

Maria Grazia Lombardi 523

Con-vivere intercultural-mente

Fabiana Quatrano 527

Nuovi bisogni di cura per “vecchi” diritti di cittadinanza.

Un progetto/intervento pedagogico di contrasto alla marginalità dei NEET

Adriana Schiedi 534

(13)

1051 Indice

Sessione Terza

Soggetti di cura, soggetti di diritto. Un impegno civile per la marginalità

Il diritto alla cura dell’inconscio

Gaetano Bonetta, Maria Grazia Riva 545

La scuola quale luogo di cura e di relazioni responsabili: per una riproblematizzazione del nesso autorità/libertà

Marinella Attinà 548

Educare nei diritti e alla comunicazione violenta attraverso l’uso del PAS Basic di Feuerstein

Silvia Guetta 553

Storie di “bevitori passivi”: un progetto di formazione dei medici per favorire l’inclusione e la tutela del diritto alla salute

Lucia Zannini, Maria Benedetta Gambacorti-Passerini, Pier Maria Battezzati 561 La pedagogia dell’emancipazione di Danilo Dolci

Caterina Benelli 567

L’educazione attraverso il gesto: l’autoformazione come capacità di sentirsi, conoscersi, trasformarsi

Rita Casadei 573

Capacitare all’imprenditorialità come leva per una migrazione inclusiva

Massimiliano Costa 578

Vivere la circum-stantia, costruire la progettualità esistenziale. Processi formativi e Orientamento in contesti multiculturali

Gabriella D’Aprile 590

Costellazioni intergenerazionali: accompagnare forme di partecipazione sociale

Rosita Deluigi 597

I servizi educativi per l’infanzia: tra diritti delle donne e diritti dei bambini. Un’esperienza di conciliazione vita e lavoro all’università

Anna Grazia Lopez 602

Gramsci e i gruppi «ai margini della storia»

Pietro Maltese 607

Fragilità e solitudini contemporanee: riflessione e impegno pedagogico

Marisa Musaio 614

Pedagogia e soggettivazione: compiti antichi e urgenze moderne

Jole Orsenigo 622

Educare alla salute mentale: responsabilità pedagogica e condizioni di esercizio

Cristina Palmieri 628

Pedagogia del benessere: spunti di riflessione

Monica Parricchi 634

Per una “Psicopedagogia del soggetto” di indirizzo lacaniano

Mimmo Pesare 639

“Valutare per chi?”

Pratiche di valutazione nei servizi di educazione degli adulti e sostegno dei diritti dei soggetti in condizione di fragilità

Stefania Ulivieri Stiozzi 647

(14)

La valorizzazione del care e del capitale intellettuale per una gestione umanistica delle organizzazioni

Severo Cardone 652

La segregazione occupazionale nella società della conoscenza. Educare alla cura per promuovere lo sviluppo sociale

Valentina Guerrini 659

Sessione Quarta

Cultura dei diritti, minoranze e impegno educativo. La lezione del XX secolo

I diritti dei bambini e degli adolescenti nella storia dell’educazione

Simonetta Polenghi 669

La storia siamo noi, o, della funzione sociale della storia (e della ricerca)

Antonia Criscenti 673

Per una storia dei diritti dell’infanzia. Le scuole all’aperto nel primo Novecento in Italia

Mirella D’Ascenzo 675

I sordomuti e la società italiana: i primi passi del lungo e difficile cammino verso il diritto di cittadinanza

Maria Cristina Morandini 682

Territori, margini e infanzie di periferia. La lezione del XX secolo nel Marcovaldo di Italo Calvino

Leonardo Acone 687

La pedagogia dei valori nel XX secolo: breve riflessione

Gabriella Armenise 693

Albi illustrati e educazione ai diritti umani: l’esperienza di Amnesty International Italia

Susanna Barsotti 699

Donne ed educazione in terre di mafia

Francesca Borruso 707

I diritti dell’infanzia per un impegno educativo alla cittadinanza. Un percorso

Vittoria Bosna 712

La letteratura per bambini e ragazzi fra pedagogia militante e prosocialità

Lorenzo Cantatore 716

Luigi Capuana e il romanzo di formazione per ragazzi fra Otto e Novecento

Alberto Carli 728

Padre Arturo D’Onofrio: impegno e riflessione educativa

Paola Dal Toso 733

Marxismo aperto e pedagogia. La lezione di Lucio Lombardo Radice

Dario De Salvo 739

Una vita per l’infanzia. La pedagogia del limite di Janusz Korczak

Barbara De Serio 744

L’esperienza culturale dell’estraneità nel Novecento:

rappresentazioni sociali, modelli educativi e processi migratori

Maura Di Giacinto 752

(15)

1053 Indice “Genitori e figli senza sbarre”. La letteratura per l’infanzia nei contesti di marginalità

Ilaria Filograsso 762

Profili storici dell’educatore penitenziario. “Ombre evolutive” di un modello pedagogico

Stefano Lentini 770

L’educazione alla libertà nella prospettiva esistenzialistica

Franca Pesare 779

L’impegno educativo della fabbrica Olivetti nell’Italia del secondo dopoguerra Storia di una comunità responsabile

Livia Romano 787

Si lasci fare e passare tutto, tranne che l’ignoranza.

I maestri e la scuola nell’impegno politico-civile di Nunzio Nasi

Caterina Sindoni 793

L’emergere della sensibilità ecologica nelle narrazioni per l’infanzia tra scienza e immaginario. Tracce storiche e riflessioni pedagogiche

William Grandi 799

«Il fulcro è l’amore».

Valori educativi e formativi dell’opera di don Giuseppe Vavassori (1888-1975)

Elisa Mazzella 804

Sessione Quinta

Didattica, didattiche e impegno nella scuola e sul territorio

L’orizzonte del lavoro notevole per i ricercatori di Didattica

Loredana Perla 819

La ricerca educativa in ambito didattico

Maurizio Sibilio 822

Intenzionalità, concettualizzazione e mediazione didattica

Marco Piccinno, Emanuela Fiorentino 824

Il Museo del Giocattolo di Napoli. Un progetto di didattica museale “aumentata”

Fernando Sarracino 832

Acquisizione e sviluppo delle competenze dell’istruttore e del personal fitness trainer

Ferdinando Cereda 838

NE.FO.DO.: un progetto di ricerca neurodidattica

Giuseppa Compagno 845

Student Voice: nuove traiettorie della ricerca educativa

Valentina Grion, Filippo Dettori 851

Genitori, figli e videogiochi: nuovi territori di incontro nella cultura digitale

Rosy Nardone 860

Didattica inclusiva e bullismo: la scrittura autobiografica sui social network

Stefania Massaro 868

Educare alla sicurezza stradale tra scuola e territorio: un progetto di cittadinanza attiva nella provincia di Bologna

Elena Pacetti 874

Orizzonti enattivi dell’agire didattico. La classe come spazio eterotopico, evolutivo e inclusivo

Alessandra Tigano 881

(16)

La gestione dell’emergenza nei servizi educativi per i minori

Andrea Traverso 890

Interconnettere e solidarizzare conoscenze e umanità. Il caso emblematico della ricerca in Didattica

Ines Giunta 897

Sessione Sesta

Qualità dei processi formativi e strategie di inclusione

Prospettive e modelli di ricerca sull’inclusione

Giombattista Amenta 905

La Pedagogia Speciale come Pedagogia militante

Roberta Caldin 907

Una ricerca sulla condizione di devianza delle ragazze Romanì che accedono

ai Centri di Giustizia Minorile nella Regione Lazio. Problemi emergenti e prospettive inclusive

Barbara De Angelis 910

Resilienze, vulnerabilità e processi di resilienza assistita: un’indagine esplorativa

Elena Malaguti 918

Pedagogia speciale, ICT e invecchiamento attivo. Un’indagine esplorativa della prospettiva degli stakeholders – Progetto Active Ageing at Home

Stefania Pinnelli 922

Per una scuola di «qualità» inclusiva: riflessioni sulla formazione dei docenti

Patrizia Sandri 932

L’accessibilità culturale come diritto di cittadinanza.

Percorsi tra cultura ed educazione come possibilità di prevenzione, trasformazione, innovazione sociale

Federica Zanetti 939

Indagine esplorativa sull’utilizzo dei Piani Didattici Personalizzati per gli alunni e gli studenti con disturbi specifici di apprendimento.

Le percezioni dei genitori

Roberto Dainese 947

“Resistere per non soccombere”. La funzione della “resilienza” nella progettualità educativa

Simona Gatto 952

Dislessia e diritto allo studio universitario. Un progetto interdisciplinare per la fruibilità della didattica

Tamara Zappaterra 958

Integrazione: equilibrio e sfida tra diritto e responsabilità etica

Luana Collacchioni 966

Nessuno escluso. L’azione educativa in contesti di rischio e marginalità

Fausta Sabatano 971

Dispositivi metacognitivi per la formazione inclusiva

Viviana Vinci 976

Videogame, didattica e dislessia

Stefano Di Tore 984

(17)

1055 Indice

Sessione Settima

Diversità a scuola e insuccesso scolastico. Possibili criteri di valutazione

Contrastare l’insuccesso scolastico con il potenziamento cognitivo e motivazionale

Roberto Trinchero 991

Bambini rom e successo scolastico: quando la scuola da sola non basta. Uno studio di caso

Alberto Fornasari, Luisa Santelli Beccegato 993

Dropout: i motivi dell’abbandono in prospettiva student voice

Federico Batini 1003

Come cambia la scuola primaria con il maestro unico-prevalente: un’indagine longitudinale sulle trasformazioni dell’organizzazione del lavoro degli insegnanti durante il primo quinquennio di attuazione della riforma

Davide Capperucci 1011

L’Activation du Développement Vocationnel et Personnel per un’educazione inclusiva

Giuseppa Cappuccio 1020

Diversità a scuola e insuccesso scolastico. Possibili criteri di valutazione

Rosanna Tammaro 1026

Sistemi di valutazione degli apprendimenti: tra standardizzazione e autonomia

Giuliano Vivanet 1035

Guardando al futuro

Maria Tomarchio 1045

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Caspar David Friedrich, Veduta di un porto, 1815-16 in Staatliche Schlosser und Garten, Potsdam

Edizioni ETS

Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa info@edizioniets.com - www.edizioniets.com Finito di stampare nel mese di novembre 2015

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