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Analisi biomeccanica del femore e del coxale per comprendere l'economia di sussistenza e il comportamento occupazionale legato all'uso del cavallo nella popolazione della necropoli di Olmo di Nogara (Bronzo Medio, Verona)

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Corso di Laurea magistrale in Archeologia

Tesi di laurea

ANALISI BIOMECCANICA DEL FEMORE E DEL COXALE

PER COMPRENDERE L'ECONOMIA DI SUSSISTENZA E

IL COMPORTAMENTO OCCUPAZIONALE LEGATO ALL'USO

DEL CAVALLO NELLA POPOLAZIONE DELLA NECROPOLI DI

OLMO DI NOGARA (BRONZO MEDIO, VERONA)

Relatore

Laureanda

Prof. Damiano Marchi

Valeria Ciurletti

Correlatore

Dott. Alessandro Canci

Anno Accademico 2016-2017

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere

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Sommario

1. INTRODUZIONE ... 7 1.1 L’approccio biomeccanico ... 7 1.2 La pratica equestre ... 11 1.2.1 La domesticazione e l’allevamento ... 12

1.2.2 Dati archeozoologici relativi al cavallo in Italia ... 12

1.2.2.1 Recenti dati archeozoologici relativi al cavallo del basso veronese ... 14

1.2.3 Indicatori di stress occupazionale (MOS) ... 15

1.2.3.1 La muscolatura utilizzata nell’equitazione ... 19

1.2.3.2 Ferite e traumi riconducibili alla caduta da cavallo ... 20

1.3 Scopo della ricerca ... 21

2. INQUADRAMENTO STORICO E ARCHEOLOGICO ... 23

2.1 Età del Bronzo Antico (2200 – 1650 a.C.) ... 26

2.1.1 Eneolitico ... 26

2.1.2 La nuova metallurgia e le trasformazioni sociali ... 27

2.1.3 La cultura palafitticola di Polada ... 28

2.1.4 L’Italia peninsulare Protoappenninica ... 29

2.2 Età del Bronzo Medio (1650 – 1350 a.C.) ... 29

2.2.1 Hügelgräberzeit ... 29

2.2.2 La Civiltà Terramaricola ... 30

2.2.3 La cultura Protoappenninica e Appenninica ... 32

2.3 Età del Bronzo Recente (1350 – 1200 a.C.) ... 33

2.3.1 Urnenfelderkultur... 33

2.3.2 Koinè metallurgica ... 33

2.3.3 L’Italia settentrionale... 34

2.3.4 Il Subappenninico o Appenninico Tardo ... 34

2.4 Età del Bronzo Finale (1200 – 900 a.C.) ... 34

2.4.1 La crisi ... 34

2.4.2 La fine della cultura terramaricola ... 35

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3

2.4.4 Frattesina ... 36

2.4.5 La fine del Bronzo Finale ... 36

2.5 Stili di vita dell’età del Bronzo ... 37

2.5.1 Agricoltura e Allevamento ... 37

2.5.2 Industrie ... 38

2.5.3 Struttura sociale, gerarchia e warfare ... 39

2.5.4 Mobilità ed economia ... 41

2.5.5 Sepolture ... 42

2.6 L’areale veronese ... 44

2.6.1 Ambiente ... 45

2.7 La necropoli di Olmo di Nogara ... 46

2.7.1 Storia dello scavo ... 47

2.7.2 Localizzazione e geomorfologia ... 47

2.7.2.1 Il biritualismo funebre ... 50

2.7.2.2 L’estensione e la struttura della necropoli ... 51

2.7.2.3 Elementi di corredo ... 52

2.7.2.4 L’analisi antropologica ... 59

2.7.3 Età del Bronzo Finale ... 61

2.7.4 Altre fasi della necropoli ... 62

3. MATERIALI E METODI ... 63

3.1 Materiali ... 63

3.1.1 Il femore ... 68

3.1.2 L’osso iliaco ... 70

3.2 Metodi ... 72

3.2.1 Tomografia Assiale Computerizzata (TAC) ... 72

3.2.2 Avizo ... 73

3.2.2.1 La segmentazione... 74

3.2.2.2 Il posizionamento ... 75

3.2.2.3 La determinazione delle sezioni trasversali ... 76

3.2.3 Photoshop ... 78

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4

3.2.5 Variabili CSG ... 80

3.2.5.1 Area Corticale (CA) ... 80

3.2.5.2 Momenti di inerzia della superficie (SMAs) ... 80

3.2.5.3 Stress e Formula di Flessione ... 81

3.2.5.4 Modulo di resistenza (Zp) ... 82

3.2.5.5 Polar Second Moment of Area (J) ... 82

3.2.6 Studio degli indicatori di stress occupazionale ... 82

3.2.6.1 Femore ... 82 3.2.6.2 Coxale ... 87 3.2.7 Ovalizzazione acetabolo ... 89 3.2.7.1 Fotografie acetaboli... 89 3.2.7.2 Photoshop ... 89 3.2.7.3 ImageJ ... 90 3.3 Analisi Statistica ... 91 4. RISULTATI... 92 4.1 Analisi CSG ... 92

4.2 Analisi indicatori di stress occupazionale ... 99

4.2.1 Femore ... 99

4.2.2 Coxale ... 102

4.3 Analisi Ovalizzazione Acetaboli ... 104

4.3.1 Feret ... 104

4.3.2 Shape Descriptors ... 106

5. DISCUSSIONE ... 108

5.1 Dimorfismo sessuale ... 108

5.2 Differenze di stratificazione sociale ... 110

5.3 Utilizzo del cavallo ... 111

6. CONCLUSIONI ... 114

APPENDICE ... 115

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5

2. Muscoli utilizzati nelle cosce del cavaliere (Moore & Dalley, 1999) ... 115

3. Muscoli utilizzati nella gamba del cavaliere (Moore & Dalley, 1999) ... 116

4. Muscoli dell'addome del cavaliere (Moore & Dalley, 1999) ... 116

5. Muscoli della schiena usati dal cavaliere (Moore & Dalley, 1999) ... 117

6. Calcolo BM e lunghezze meccaniche per analisi CSG ... 118

7. Analisi CSG (50 e 80%) ... 119

8. Indicatori di stress occupazionale rilevati sul femore ... 123

9. Indicatori di stress occupazionale rilevati sui coxali ... 124

10. Analisi Ovalizzazione Acetaboli ... 125

FIGURE ... 126

TABELLE ... 128

BIBLIOGRAFIA ... 129

CATALOGO MATERIALI ... 149

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1. INTRODUZIONE

1.1 L’approccio biomeccanico

La forma delle ossa di un individuo riflette la storia dei carichi meccanici subiti durante la sua vita (Evans, 1953; Fresia, et al., 1990; Lieberman, et al., 2004; Marchi, 2004). L’osso ha capacità di ricrearsi e rimodellarsi in base ai fattori che si verificano durante la vita. I fattori che influenzano le proprietà ossee possono essere l'età, il genere, la dieta, la salute e gli ormoni, che condizionano la vita dell’individuo. L’osso umano può inoltre essere modificato in maniera soggettiva in base al livello di attività fisica e allo stile di vita (Carlson & Marchi, 2014). La robustezza e la rigidità dell’osso sono le conseguenze di un ripetitivo caricamento quotidiano sullo scheletro (Marchi & Shaw, 2011). Dallo studio del materiale osseo si può quindi rilevare se l’individuo ha esercitato attività fisica e studiare a quale intensità è stato caricato l’osso e si possono localizzare i distretti che sono stati maggiormente sottoposti a impegno fisico. Si possono individuare inoltre gli arti dominanti utilizzati, specialmente negli arti superiori e il tipo di movimento svolto o il carico subito (Sladek, et al., 2007).

Nelle popolazioni del passato le attività abituali più impegnative erano generalmente quelle legate a strategie di sussistenza (Ibanez-Gimeno, et al., 2013; Sparacello, et al., 2014).

I risultati di queste ricerche mostrano che i cambiamenti nelle tecniche di sussistenza e di attività comportamentali hanno portato al rimodellamento osseo, perché lo scheletro potesse adattarsi meglio ai cambiamenti e alle esigenze fisiche a cui lo scheletro era sottoposto (Lovejoy, et al., 1976; Ruff & Hayes, 1983; Ruff, et al., 2006; Marchi, et al., 2006; Marchi & Sparacello, 2006; Marchi, 2007; Sparacello & Marchi, 2008; Sparacello, et al., 2011; Ogilvie & Hilton, 2011; Marchi & Shaw, 2011)

Negli ultimi trent’anni ci sono stati molti studi che hanno documentato le proprietà geometriche diafisarie delle ossa lunghe. La cross-sectional geometry (CSG) costituisce uno dei modi migliori per la ricostruzione dei modelli comportamentali, della stratificazione sociale e dell’economia di sussistenza di popolazioni del passato (Lovejoy, et al., 1976). Ogni epoca è caratterizzata da una situazione economica e sociale specifica. Anche le differenze tra i vari periodi storici possono

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essere evidenziate attraverso il confronto delle proprietà CSG. Inoltre, anche le differenze interne di una singola popolazione possono essere chiarite, in quanto osservabili nella variazione delle caratteristiche scheletriche come il grado di robustezza, il dimorfismo sessuale, l'asimmetria bilaterale. Inoltre le sezioni sottili possono analizzare la mobilità e il livello di impegno fisico quotidiano, ossia lo stile di vita di determinati individui rispetto ad una popolazione (Marchi, 2008); inoltre possono fornire interpretazioni riguardanti la stratificazione sociale e la suddivisione del lavoro in una comunità (Sparacello, et al., 2011).

Studiando i cambiamenti morfologici non bisogna dimenticare che una singola attività fisica predominante può aver coperto le tracce di altre attività meno invasive e che lo svolgimento abituale di più comportamenti meno dominanti, senza un’attività dominante specifica, può provocare un cambiamento morfologico dell’osso (Sparacello, et al., 2014).

L’osso è costituito da un tessuto connettivo di sostegno mineralizzato e ha come principali funzioni quella di sostenere i tessuti molli e garantire il movimento mediante le giunzioni articolari (White, et al., 2012). Le ossa sono formate principalmente da cristalli d’idrossiapatite che hanno proprietà meccaniche come la durezza e la resistenza a forze di compressione, trazione e torsione. Dati statistici riportano che i limiti di sforzo, deformazione e rottura, in prove con forze di compressione, sono maggiori rispetto ai corrispondenti valori nelle prove di trazione. Le ossa, quindi, reagiscono in modo differente a seconda del tipo di forza che sono costrette a subire (Burstein, 1976). Tali disuguaglianze sono dovute alla natura anisotropa e non omogenea dell’osso, infatti la sua struttura è costituita da parti formate non da materiale compatto e omogeneo ma da materiale composto da un certo numero di strutture riunite (più osteomi compongono un osso). Possiamo capire come le caratteristiche meccaniche dipendano quindi dalla specifica composizione spaziale delle superfici resistenti. Il diverso comportamento dell’osso in trazione e in compressione è dunque riferibile a una diversa risposta delle strutture fondamentali della matrice ossea rispetto al carico: vi è quindi una maggior capacità dell’osso di assorbire energia quando sottoposto a forze di compressione (ovvero maggior resistenza ad

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assorbire urti) rispetto alla resistenza che oppone nei confronti delle forze in trazione (Grimal, et al., 2009).

Il tessuto osseo è formato da una matrice di tipo organico (collagene), una componente minerale (cristalli di idrossiapatite) e acqua. Il collagene, a livello morfofunzionale, comprime e unisce i cristalli di apatite garantendo resistenza intrinseca e tolleranza all’elasticità. I micro spostamenti dei singoli cristalli all’interno della matrice, per ammortizzare gli urti, ottimizzano la distribuzione delle forze di carico (Ritchie, et al., 2009).

Il tessuto osseo è molto dinamico e i processi di riassorbimento e di deposito, per adeguare la struttura alle diverse variabili meccaniche, sono sempre attivi. L’evoluzione filogenetica delle strutture ossee lo ha portato a ottimizzare forma e dimensione delle stesse per poter così minimizzare gli sforzi interni, distribuendo il materiale in modo tale da ottenere un peso minimo strutturale e un minimo ingombro di volume.

Questi concetti sulla geometria della struttura ossea sono stati formulati per la prima volta dal chirurgo e anatomista tedesco Julius Wolff (1836-1902) nel 1892 e sono noti come “Leggi di Wolff” (Wolff, 1986) ossia:

• Legge generale della trasformazione ossea. Ogni variazione funzionale corrisponde a una variazione architetturale del tessuto;

• Legge traiettoriale dell’osso trabecolare. La distribuzione e l’orientamento delle trabecole ossee dell’osso spongioso si alterano dinamicamente al variare della storia di carico esterna e, in condizioni di equilibrio, l’organizzazione delle trabecole riflette precisamente la storia media di carico a cui quel volume di tessuto è stato sottoposto. Wilhelm Roux nel 1895 riesaminò le leggi di Wolff (Roux, 1885) ponendo la sua attenzione al ruolo attivo che l’osso è in grado di svolgere ed in seguito introdusse il concetto di “rimodellamento osseo” secondo i due seguenti principi:

• Principio dell’adattamento funzionale. L’adattamento di un organo alla sua funzione specifica avviene attraverso l’adattamento nell’eseguire la funzione stessa e nel modificare la sua conformazione e la sua struttura;

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• Principio del progetto mini-max. Assicurazione della massima resistenza con l’uso di minimo materiale.

Le leggi di Wolff hanno avuto un’importante rilevanza per lo studio della materia ma oramai non sono più utilizzate per descrivere la variazione dell’osso al carico; sono state infatti sottoposte a molte critiche basate sui nuovi studi sullo sviluppo scheletrico che hanno preso in considerazione l’influenza della genetica e hanno analizzato la biologia dello sviluppo a livello biomeccanico (Lieberman, et al., 2004).

Il carico meccanico è la principale causa di deformazione delle ossa. Le trasformazioni si determinano in rapporto all’attività fisica svolta dall’organismo ossia all’ “adattamento funzionale dell’osso” agli stimoli meccanici durante il corso della vita (“bone functional adaptation”). Lo studio dell’osso, quindi, può aiutare a ricostruire i comportamenti individuali e i comportamenti tipici di determinate popolazioni. La dimensione del corpo e la forma dello scheletro dipendono dalla relazione tra il carico meccanico e la morfologia dell’osso, che si adatta all’ambiente e allo stile di vita dell’individuo. La morfologia scheletrica dell’osso, quindi, è determinata in egual misura dalla genetica dell’individuo e dall’ambiente in cui l’individuo vive e si relaziona (Ruff, et al., 2006).

La biomeccanica si occupa dello studio scientifico dei contesti biologici, applicando analisi e tecniche tipiche dell’ambito ingegneristico o meccanico. Il contesto biologico in questo caso è lo scheletro umano. Gran parte dello sviluppo della biomeccanica scheletrica è stata effettuata dagli anatomisti e ortopedici nel XIX secolo. Gli antropologi studiarono l'interpretazione biomeccanica della morfologia delle ossa. La maggior parte dei primi lavori sull'argomento è stato focalizzato sull'interpretazione del significato funzionale dell'orientamento delle trabecole mentre solo più recentemente sono state analizzate le forze applicate al tessuto osseo e le deformazioni dovute alle forze applicate (Evans, 1953). In termini ingegneristici l’osso lungo è considerato come una trave cava, a cui si applica la teoria standard delle travi (Elementary Beam Theory) per dedurne lo stress, la resistenza e la rigidità durante particolari tipi di carico. La teoria delle travi cave, applicata alle ossa, fornisce informazioni sulle caratteristiche geometriche delle sezioni trasversali

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e, di conseguenza, sulle modalità di utilizzo degli arti nella vita dell’individuo. L’osso si modifica in relazione all’ambiente meccanico ma il rapporto tra il carico meccanico subito e la morfologia dell’osso può, in alcuni casi, non risultare di facile comprensione. La genetica dell’osso determina la natura stessa dell’osso ossia la sua capacità di crearsi e rimodellarsi e il suo comportamento di risposta al carico meccanico. Non è possibile ricavare dall’osso il periodo preciso del sovraccarico ossia se le sollecitazioni meccaniche hanno avuto luogo quando l’individuo era giovane o se sono avvenute in età adulta. Nello studio di individui che provengono dallo stesso contesto storico culturale si possono individuare le varie tipologie di carico. La trasformazione della morfologia dell’osso di un particolare individuo o di uno specifico gruppo di individui è rilevante solo se confrontata con il resto della popolazione (Ruff, et al., 2006).

Un esempio di ottimizzazione della struttura dell’osso si può vedere nell’organizzazione delle trabecole nella testa femorale. La testa del femore deve sostenere il peso del corpo durante la deambulazione e allo stesso tempo deve scaricare il peso dell’individuo, attraverso il femore, alle altre strutture della coscia e della gamba, il tutto secondo linee di forza ben definite. Le trabecole ossee si dispongono quindi in semi archi concentrici e intersecati, in modo da usare meno materiale possibile per il massimo del rendimento nel supporto del peso. Le strutture ad arco permettono di scaricare il peso in punti differenti della testa femorale e contemporaneamente garantiscono la leggerezza, grazie allo spazio vuoto tra le trabecole, essenziale per non sovraccaricare l’uomo durante la locomozione. La disposizione delle trabecole ossee è quindi influenzata da processi di deposizione, riassorbimento e carichi a cui è sottoposto l’osso. Questo è il motivo per cui ogni analisi biomeccanica deve essere supportata da un’accurata conoscenza del contesto archeologico.

1.2 La pratica equestre

Gli animali, con totale o parziale dipendenza dall’uomo per il nutrimento, sono diventati specie domestiche con caratteristiche biologiche diverse dallo stato selvatico. L’allevamento del bestiame, per l’uomo, è stata una rivoluzione nella sfera economica, sociale e alimentare. Rivoluzionò infatti i trasporti, le comunicazioni e il modo di fare la guerra. (Outram, et al., 2009).

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1.2.1 La domesticazione e l’allevamento

L’allevamento del bestiame è cominciato nel neolitico, quando erano state già avviate la coltivazione e quindi la sedentarizzazione delle società. Il cavallo è stata una delle ultime specie addomesticate. La domesticazione ha avuto origine dalla fine del V millennio a.C. nelle regioni steppiche orientali, tra Turkmenistan e Kazakistan, culla di pastori nomadi, diffondendosi precocemente verso gli altopiani iranici, la valle dell’Indo e le steppe russe. In Ucraina ci sono culture in cui il cavallo è la specie domestica predominante. Nelle regioni dell’Asia occidentale e dell’Europa non è attestato prima del III millennio a.C. (Levine, 2005). La domesticazione del cavallo non è avvenuta in maniera intensiva, fu fin da subito ritenuto una specie destinata all’élite, usata verosimilmente come cavalcatura dai soggetti o nuclei familiari di rango sociale elevato. L’uso del cavallo come animale da traino risale al III millennio a.C., quando apparirono i primi veicoli con ruote raggiate, poi si diffuse per la trazione di carri da guerra anche in Europa dai regni babilonese, assiro, egiziano (Kelenka, 2009).

Lo stimolo alla domesticazione di una specie animale può essere dovuta a motivi economici, alimentali o religiosi. Sono note in letteratura gare ippiche a carattere rituale, sacrifici, offerte di simulacri di cavalli e sepolture rituali con o senza i cavalieri. Oltre alla letteratura sono presenti delle evidenze dirette della presenza del cavallo come la deposizione rituale del cranio di un cavallo in un tumulo funerario a Mereto, Udine (Simeoni & Corazza, 2011) o statuette raffigurative e manifestazioni artistiche. Secondo Marsha Levine delle evidenze indirette di uso e di presenza del cavallo possono essere riscontrate nello scheletro di chi cavalcava con approfondita analisi paleopatologica. Un recente studio su quattro Sciti dell’età del Ferro trovati sepolti, nei dintorni dell’Altai, con un morso fra i loro denti, ha suggerito l’uso del cavallo sulla base delle modificazioni patologiche alla colonna vertebrale a seguito di stress biomeccanico al disco intervertebrale nel corso della cavalcata (Levine, 1999).

1.2.2 Dati archeozoologici relativi al cavallo in Italia

Nella penisola italiana il cavallo scompare alla fine del Pleistocene e non c’è nessuna evidenza della sua presenza nella prima fase dell’Olocene (De Grossi Mazzorin, et al., 1996). I resti ossei

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precedenti all’età del Bronzo sono riferibili all’Eneolitico italiano e sono stati rinvenuti in Lombardia (Remedello, Brescia; Cantalupo, Milano), Marche (Conelle d’Arcevia e Sassoferrato, Ancona), Lazio (Querciola, Maccarese), Puglia (Tana, Barletta), Piemonte (Segrino, Como) e si può affermare con certezza che il cavallo, quindi, era conosciuto e utilizzato. L’utilizzo del cavallo, tuttavia, non era legato al consumo alimentare come il resto della fauna ritrovata, quindi si può ricavare da questo dato che l’animale era utilizzato per altri scopi.

Nell’età del Bronzo importanti rinvenimenti di ossa di cavallo sono state scoperti in Lombardia (Barche di Solferino, Mantova, Valle del Po), Friuli Venezia Giulia (Mereto, Udine), Trentino Alto Adige (Brennero, Altino, Dobbiaco, Bolzano; Valle dell’Adige, Trento) Emilia Romagna (Poviglio, Reggio Emilia; Tabina di Magreta, Modena), Abruzzo (Celano, L’aquila), Marche (S. Mauro, Macerata), Lazio (Vicarello, Roma), Campania (Tufariello di Buccino, Salerno) e in Veneto (Nogarole Rocca e Oppeano, Verona; Povengo, Padova). I siti sopra elencati non sono tutti quelli dove sono rinvenuti resti equestri ma solo quelli più indicativi (De Grossi Mazzorin, et al., 1996).

La morfologia dei resti ossei di cavallo relativi all’età del Bronzo ci indicano che gli animali erano individui di piccola e media statura. De Grossi Mazzorin, Riedel e Tagliacozzo, applicando il coefficiente di May alle ossa hanno calcolato la variabilità del garrese, ossia la parte più alta della schiena di un cavallo, che sta alla base del collo sopra le spalle. La statura di un cavallo quindi misurata al garrese in questo periodo varia da cm 112 a cm 142,2 con un valore medio di cm 128,5 (De Grossi Mazzorin, et al., 1996).

Nell’Europa dell’età del Bronzo erano presenti due specie di cavalli contemporaneamente: una specie più grande “orientale” e una specie più piccola “occidentale”.

Nella pianura del nord Italia viveva la sottospecie equestre “Veneta” che faceva parte del gruppo “orientale”, un contesto rappresentativo è il sito archeologico di Altino (Bolzano) dove sono stati ritrovate 27 sepolture di cavallo (De Grossi Mazzorin, et al., 1996). Cavalli che facevano parte del gruppo “occidentale” sono stati trovati alla Grotta delle Ossa, vicino a Trieste, in Slovenia e a Pozzuolo del Friuli. A nord della pianura del Po, i cavalli provenienti dai siti bolzanini di

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Castelrotto, Vadena, Bressanone e veronesi, fanno tutti parte di una specie intermedia fra quella orientale e quella occidentale con una statura intermedia tra le due varietà (De Grossi Mazzorin, et al., 1996).

1.2.2.1 Recenti dati archeozoologici relativi al cavallo del basso veronese

Nel 2015 è stato fatto un aggiornamento dei dati archeozoologici editi attraverso l’analisi dei resti faunistici provenienti da nuovi contesti archeozoologici del basso veronese e basso polesine. Questo studio ha riscontrato la presenza di due aree con differenza strategia di sussistenza e gestione degli animali sia nel Bronzo Antico che nel Bronzo Recente come conseguenza di fattori ambientali e in minima parte culturali (Bertolini, et al., 2015).

Alfredo Riedel studiò l’evoluzione dell’allevamento e delle strategie di sussistenza della pianura occidentale del Veneto in relazione ai gruppi umani stanziati non solo in quest’area ma in tutta l’Italia settentrionale. Data la scoperta di nuovi nuclei abitativi (Povegliano, Vallette a Tombola, Bovolone) e quindi con nuovi dati di popolamento, Marco Bertolini et al. hanno quindi aggiornato il lavoro del Riedel definendo la quantità di fauna ritrovata e la tipologia. L’allevamento in questo contesto sembra essere finalizzato solo ai bovini (50% dei resti) per il recupero della carne, avendo trovato solo individui bovini giovani, al contrario delle pecore mantenute in vita oltre i 4 anni per la produzione di lana. La presenza del cavallo in questo contesto è molto importante perché costituisce una delle testimonianze più antiche della sua domesticazione.

La presenza del cavallo è attestata, come si può vedere nella Tabella 1, in numerosi siti nell’areale veronese (Bertolini, et al., 2015).

Tabella 1. La presenza del cavallo nell’areale veronese (Bertolini, Et Al.,2015)

Sito NR1 %2 Povegliano 6 1,7 Vallette 9 2,9 Tombola 53 4,5 Bovolone 189 6,8 Larda I 0 0 Larda II 3 0,6 Campestrin 2 0,2 Amolara 6 0,5

1)Numero frammenti rinvenuti

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Il caso di Bovolone è sicuramente importante. L’abbondante presenza del cavallo indica che la tecnica di allevamento e la domesticazione è sicuramente praticata (Bertolini, et al., 2015). L’abitato di Bovolone si trova a 12 km in linea d’aria dalla necropoli di Olmo di Nogara.

1.2.3 Indicatori di stress occupazionale (MOS)

Gli indicatori di stress occupazionale (markers of occupational stress, MOS) sono delle modifiche univoche da stress fisico associato ad un’attività particolare, come l’uso del cavallo. Per visualizzare il marker non è necessario un alto livello di stress ma un ripetitivo sovraccarico biomeccanico necessario per la produzione di rimodellamento osseo.

La pratica equestre, oltre ad aver cambiato lo stile di vita delle popolazioni, ha apportato delle modifiche fisiche morfologiche visibili nello scheletro umano di chi ne praticava l’uso (Andelinovic, et al., 2015). Se la pratica di cavalcare era attuata fin dall’infanzia quando il sistema scheletrico era in pieno sviluppo, ossia più conforme all’adattamento morfologico, lo scheletro mostrerà modifiche ancor più caratteristiche (Pàlfi & Dutour, 1996).

Reinhard et al. nel 1994 hanno studiato 40 scheletri di nativi americani Omaha e Ponca (1780-1820) che cavalcavano abitualmente per delineare i caratteri scheletrici e muscolari specifici dovuti alla pratica equestre. In primis hanno descritto una forma “allungata” dell’acetabolo negli individui ma non sono riusciti, nel loro studio, a quantificare il valore dell’allungamento. Inoltre hanno notato un’estensione della superficie articolare della testa del femore sul collo, un attaccamento muscolare più evidente per i muscoli glutei medio e minimo, l’adduttore magno e breve, il vasto laterale e la testa mediale del gastrocnemio. Inoltre hanno notato una maggiore degenerazione delle articolazioni rispetto ai non cavalcanti, specialmente nella colonna vertebrale, nelle ginocchia, nel coxale, nei piedi e nei gomiti (Reinhard, et al., 1994).

Pàlfi e Dutour nel 1996 hanno pubblicato uno studio sugli indicatori di stress occupazionale scheletrici dovuti alle attività umane. Studiando il cimitero di Sàrrètudvari (Ungheria) hanno descritto 14 scheletri di uomini robusti (40-60 anni) con inserzioni muscolari ben marcate che avevano il doppio (e in alcuni casi il triplo) di fratture, distorsioni, spondilosi, entesopatie meccaniche e malattie articolari spinali e extra-spinali, rispetto agli altri scheletri trovati nel

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cimitero. Questi 14 individui avevano in comune trasformazioni scheletriche del femore e del coxale. Nel femore prossimale erano evidenti le inserzioni muscolari ipertrofiche del piccolo e medio gluteo, dell’adduttore magno e breve, del quadricipite e del pettineo. La testa del femore era spesso estesa sul collo con una marcata impressione iliaca. Nel femore distale, invece, erano ben marcate ed evidenti le inserzioni muscolari della testa laterale e mediale del gastrocnemio e dell’adduttore magno. Nel coxale era visibile invece l’ovalizzazione della cavità acetabolare del femore e all’estensione del bordo superiore dell’acetabolo, erano visibili varie inserzioni a carattere ipertrofico: il gluteo medio e massimo, l’adduttore magno, il bicipite femorale e i muscoli semimembranoso e semitendinoso (Pàlfi & Dutour, 1996). In base alla letteratura precedente, queste modifiche scheletriche sono state associate ad un uso repentino della postura da cavalcata che nella letteratura paleopatologica è chiamata “sindrome del cavaliere” (Miller & Reinhard, 1991; Miller, 1992).

Nel 2000, Erickson et al. hanno provato a quantificare l’allungamento dell’acetabolo dovuto allo stress meccanico della cavalcata applicando l’analisi di Fourier. In questo studio è stata studiata la popolazione nativa americana Arikara prima e dopo l’arrivo degli europei (1715). Sono stati presi in considerazione solo maschi adulti con più di 18 anni. Il cimitero di Larson (1679-1733) e quello di Leavenworth (1803-1832) si trovano entrambi nella Missouri River Valley in North Dakota. Applicando la trasformata di Fourier alla morfologia del margine acetabolare si è potuto notare che la popolazione che utilizzava il cavallo presentava delle differenze significative nella forma acetabolare ossia che i margini acetabolari di Leavenworth erano più estesi nell’aspetto anterosuperiore (Erickson, et al., 2000) confermando lo studio di Reinhard et al. e dando dei parametri quantitativi sull’estensione.

Nel 2007 Theya Molleson pubblicò uno studio della morfologia scheletrica in correlazione all’attività fisica e agli stili di vita, fra cui l’uso del cavallo (Molleson, 2007). Grazie allo studio precedente con Joel Blondiaux dei femori di Kish (Iraq) (Molleson & Blondiaux, 1994) Molleson ha delineato i tratti scheletrici e muscolari comuni di chi praticava la cavalcatura abituale in correlazione con i movimenti svolti. La presenza di una linea aspra marcata e ben sviluppata

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indica la presenza di forti muscoli adduttori. L’area pronunciata delle inserzioni delle tre linee dei muscoli glutei (specialmente gluteo minimo e medio) sul grande trocantere e le spicule nella fossa trocanterica, entesi dell’inserzione dell’aspetto mediale del grande trocantere dell’otturatore interno, indicano un forte utilizzo del muscolo, importante per la rotazione laterale della coscia, posizione mantenuta per lungo tempo durante la cavalcata. L’otturatore interno e i muscoli gemelli sono posti sotto sforzo quando la coscia è flessa e ruotata lateralmente. Il muscolo adduttore lungo, che ha l’inserzione alla metà della linea aspra, adduce la coscia al bacino e assicura la posizione stabile sul cavallo, infatti spesso chi va a cavallo mostra delle lesioni all’adduttore lungo (in letteratura paleopatologica “riders strain”) dovute al fatto che quando il cavallo rifiuta di saltare, inciampa o fa movimenti bruschi, le cosce del cavaliere, di riflesso, si contraggono per fare più presa e gli adduttori sono posti sotto carico supplementare. A questo seguono tre conseguenze: periostite traumatica, principalmente all’attacco del tendine dell’adduttore lungo al ramo ischiatico; deformazione del tendine o del muscolo adduttore lungo; rottura del ventre muscolare dell’adduttore lungo. Queste conseguenze sono accentuate se il cavaliere cavalca senza staffe. Altre caratteristiche del frequente uso del cavallo sono: la faccetta di Poirier nell’aspetto anteriore del collo del femore, che si sviluppa dove il femore si appoggia al margine acetabolare (impressione iliaca); lo sviluppo del tubercolo adduttore per l’inserzione del tendine del muscolo dell’adduttore magno, importante per la rotazione della coscia; il pronunciamento dell’area dell’attacco muscolare della testa mediale del gastrocnemio sulla superficie poplitea, muscolo che flette il ginocchio (Molleson, 2007).

In un articolo del 2011 di Üstündağ e Deveci viene associata alla pratica equestre iniziata in giovane età, anche la malattia di Schuermann, ossia lo schiacciamento di due o tre corpi vertebrali consecutivi del tratto toracico della colonna vertebrale a cui spesso si associano le ernie di Schmörl. La cuneizzazione dei corpi vertebrali a seguito della compressione è il risultato del tipico aspetto ipercifotico che caratterizza la colonna vertebrale in questa malattia (Üstündağ & Deveci, 2011). La comparsa delle ernie di Schmörl può essere un primo richiamo all’attenzione dei cambiamenti della spina lombare dovuti all’atto del cavalcare. Uno studio archeologico

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sull’evidenza dell’ernia di Schmörl è quello di Glen H. Doran sulla popolazione arcaica di Windover, del V millennio a.C. (Doran, 2002). Il 52% delle persone in questo sito (38 individui) presenta i noduli di Schmörl, che sono stati associati all’uso del cavallo, presente nell’area dal VIII millennio a.C. (Kooyman, et al., 2001).

Andelinovic et al. nel 2015 hanno pubblicato un articolo sui cambiamenti scheletrici indotti dalla pratica equestre principalmente sul femore e sul coxale. In questo studio sono stati analizzati 35 scheletri provenienti da Kamel Most-Kaldrma (Croazia) e 8 di questi sono risultati essere abituali della pratica equestre in base alle caratteristiche scheletriche elencate successivamente. Prendendo spunto dall’articolo di Pàlfi e Dutour, sono state analizzate delle caratteristiche scheletriche (acetabolo, incisura ischiatica, concavità sotto-pubica e la presenza di tagli longitudinali nell’articolazione tra il sacro e l’ileo) e muscolari (gluteo medio e minimo, otturatore interno, adduttore magno e breve, vasto laterale, testa mediale del gastrocnemio, grande trocantere, linea aspra e fossa poplitea) (Pàlfi & Dutour, 1996; Andelinovic, et al., 2015). Inoltre, basandosi sullo studio di Molleson e Blondiaux, gli autori hanno preso in considerazione anche i tratti non metrici come le piccole spicole ossee sotto il grande trocantere, la faccetta di Poirier e la fossa di Allen (Molleson & Blondiaux, 1994). Infine, basandosi sullo studio di Wentz e De Grummond sono stati annotati i cambiamenti scheletrici negli arti superiori (attacchi muscolari pronunciati e la presenta di osteoartrite, specialmente nelle spalle e nei gomiti) nella colonna vertebrale (ernie di Schmörl, l’artrosi articolare e la presenza di spicule con osteofitosi) e nel cranio (iperostosi porotica nel sopraorbitale del frontale e un’osteoartrite alla base del cranio) (Wentz & De Grummond, 2009).

In uno studio di Radi et al. è stata presa in considerazione solo la variazione dell’aspetto anteriore della testa e del collo del femore poiché il femore nella regione prossimale mostra grande variabilità morfologica in base all’attività fisica svolta dall’individuo. Le tre caratteristiche studiate sono state la fossa di Allen, la faccetta di Poirier e la placca ossea. L’interpretazione di questi tratti specifici in letteratura è stata associata a varie attività, compresa la pratica equestre,

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quindi l’interpretazione deve essere correlata con contesto archeologico, storico e antropologico (Radi, et al., 2013).

1.2.3.1 La muscolatura utilizzata nell’equitazione

Uno studio svedese del 1997 ha analizzato due gruppi di ragazze adolescenti: un gruppo di 20 ragazze che cavalcavano in media 7 ore a settimana, dall’altra un gruppo di 20 ragazze che non praticavano nessuno sport. Lo studio comparativo di peso, altezza e muscolatura ha dimostrato che la pratica equestre è associata a una forza muscolare elevata nella coscia ma non a una maggiore massa ossea (Alfredson, et al., 1998).

L’atto frequente di cavalcare a pelo impegna vari muscoli allo scopo di assicurare una salda postura del cavaliere sul dorso dell’animale. L’esercizio intenso dei muscoli delle natiche e dell’inguine può portare a modificazioni ossee a carico delle ossa coxali e femorali.

Gli attacchi muscolari alle ossa vengono ricostruiti e rinforzati durante tutta la vita e sono formati da un’estensione dell’osso nel tessuto tendinoso del muscolo. Nei giovani le creste, o entesi ossee, sono meno cospicue e possono anche essere rappresentate da una depressione o da una scanalatura (Lovejoy, et al., 1976). Con attività muscolare le entesi diventano più marcate e rugose in risposta alla forza dell’azione del muscolo. Distorsioni traumatiche possono essere il risultato della lacerazione o dello strappo dell’attacco del muscolo (Weiss, 2003). Gli effetti del carico meccanico sulle ossa sono state discusse da Pearson e Lieberman studiando gli effetti scheletrici di determinati esercizi fisici in individui di età diverse mostrando che esiste una correlazione tra gli effetti dell’esercizio fisico e maturità scheletrica (Pearson & Lieberman, 2004).

Secondo lo studio di Pàlfi e Dutour anche il piccolo trocantere può essere interessato da modificazioni poiché su di esso si ha l’inserzione dell’ileopsoas, muscolo che assicura la flessione e l’extra-rotazione dell’articolazione dell’anca necessaria al mantenimento dell’equilibrio. Sollecitazioni intense e ripetute al muscolo causano la rotazione mediale del piccolo trocantere con formazione di piccole spicole ossee (Pàlfi & Dutour, 1996).

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I muscoli utilizzati nella seduta a cavallo (Appendice 1) sono il grande, medio e piccolo gluteo, importanti per la postura e il mantenimento della posizione mantenuta a cavallo poiché supportano la coscia nei suoi movimenti. Il grande gluteo ruota la coscia verso l’esterno mentre il piccolo e il medio gluteo verso l’interno. Quando il grande gluteo è flesso impedisce al bacino di ribaltarsi in avanti, il che è importante per mantenere la postura sul dorso del cavallo. Nella coscia (Appendice 2), invece, il sartorio, il semitendinoso, il semimembranoso e i bicipiti sono necessari al fine di mantenere una posizione statica. Essi flettono contro la coscia e la gamba e sono utili per flettere il cingolo pelvico all'indietro (agiscono come una puleggia). La funzione adduttoria all'interno della coscia è quella di esercitare una forte forza di compressione per la montatura a pelo, stabilizzando anche il bacino. Nella gamba (Appendice 3), i muscoli estensori che si trovano nella parte anteriore servono a sollevare il piede, e poi successivamente ad abbassare il tallone, che produce la posizione del piede desiderata nella guida del cavallo. Flettendo il ginocchio e quindi tendendo i muscoli del polpaccio (gastrocnemio e soleo) si riesce a mantenere una posizione statica sul cavallo. Nell’addome (Appendice 4) i muscoli obliquo esterno e interno e il retto addominale sono al centro della muscolatura della parete anteriore. La loro funzione principale è quella di comprimere la parete addominale e di chiudere la cavità addominale. Questo pannello muscolare è disposto in uno schema particolare, importante per i movimenti compresi tra il cingolo pelvico e il bordo inferiore della gabbia toracica. I muscoli della schiena (Appendice 5) sono molto importanti perché gestiscono il movimento e la stabilizzazione della colonna vertebrale, della gabbia toracica e del bacino (Schusdziarra & Schusdziarra, 2004).

1.2.3.2 Ferite e traumi riconducibili alla caduta da cavallo

Le ossa maggiormente influenzate dal rimodellamento osseo dovuto alla pratica equestre sono il femore e il coxale mentre quelle più esposte a fratture dovute alla caduta dal cavallo sono la clavicola, le ossa lunghe, i piedi e la testa (Wentz & De Grummond, 2009).

John Lawrence Angel associò ai cavalieri un alto numero di fratture del calcagno dovute alla repentina dismonta da esso (Angel, 1982).

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Uno studio del 2007 di Ball e al. ha analizzato le lesioni ossee dovute a cadute da cavallo in un campione di 150 individui. In questo lavoro 47 soggetti sono stati sbalzati a terra dal cavallo, 12 sono stati schiacciati dal cavallo stesso, 6 sono stati calciati, 3 calpestati e 10 hanno subito traumi con modalità diverse dalle precedenti. Le lesioni hanno interessato la gabbia toracica (54%), la testa (48%), l’addome (22%) e gli arti (17%). Solo il 9% degli individui indossava qualche protezione sulla testa e il 2% degli individui è morto sul colpo (Ball, et al., 2007). Ovviamente, riportando il dato in termini archeologici, è quindi difficile differenziare le lesioni dovute alla caduta dal cavallo.

1.3 Scopo della ricerca

In questo lavoro l'approccio CSG è stato associato allo studio del femore e del coxale con una particolare attenzione all’acetabolo. Le ossa studiate provengono della necropoli di Olmo di Nogara (VR) dell’età del Bronzo Medio-Recente e Finale.

Lo studio è stato eseguito innanzitutto per cercare di descrivere l’economia di sussistenza della popolazione e le principali attività abituali. Nel corso dell'età del Bronzo hanno avuto luogo una serie di importanti cambiamenti in ambito economico e sociale (Coles & Harding, 1979). La transizione da un’economia paleolitica, fondata su caccia e raccolta, a un’economia basata su agricoltura e pastorizia ha portato a delle grandi trasformazioni nelle attività fisiche e motorie, riscontrabili su individui sia maschili che femminili (Gilman, 1981; Kristiansen, 2014). La nuova economia e il nuovo stile di vita portarono ad un aumento delle attività svolte con entrambi gli arti (es. arare) rispetto a quelle legate all’uso di un singolo arto (es. caccia) e all’introduzione di animali domestici per il sostentamento e per la forza lavoro come nel caso del cavallo (Gilman, 1981; Levine, 1999; Mercuri, et al., 2006). Le attività fisiche e comportamentali che hanno caratterizzato la popolazione dell’età del Bronzo dovrebbero emergere dallo studio condotto in questa ricerca. La morfologia e la forma degli arti inferiori, unita all’approccio CSG potrebbe consentire di delineare il contesto sociale ed economico della popolazione in esame e a rinforzare i risultati di precedenti analisi (Salzani, 2005; Pulcini, 2014).

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La scelta del femore come oggetto di studio per la CSG è dovuta alla grande quantità di informazioni che può essere estrapolata dall'analisi di questo osso. Molti ricercatori negli ultimi anni hanno dimostrato come la morfologia del femore è strettamente correlata al comportamento e l'organizzazione sociale di una popolazione, nonché all'economia di sussistenza (Trinkaus, 1980; Marchi, et al., 2006; Marchi & Sparacello, 2006; Sparacello, et al., 2011).

Lo studio dettagliato della morfologia del femore e l’analisi del margine acetabolare sono stati eseguiti per comprendere se era d’uso, in quella popolazione specifica, la pratica equestre. Si hanno informazioni sull’utilizzo del cavallo nell’età del Bronzo in Italia ma nel sito studiato non sono state trovate ossa equine in quanto si tratta di una necropoli e non di un insediamento. Gli obiettivi di questa ricerca, quindi, sono:

• Scoprire eventuali differenze morfologiche tra gli individui deposti con e senza corredo; • Confermare o meno l’uso del cavallo come cavalcatura da parte di entrambi i sessi; • Analizzare il livello di stress biomeccanico in entrambi i sessi.

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2.

INQUADRAMENTO STORICO E ARCHEOLOGICO

Stabilire la data di inizio dell’Età del Bronzo è difficile perché lo sviluppo dell’arte della lavorazione del metallo nelle varie civiltà ha luogo in periodi cronologicamente differenti ed in aree diverse (Childe, 1963).

Gli archeologi ritengono che l’inizio dell’età dei metalli sia attestato intorno al 5000-4000 a.C. circa, in concomitanza ai dati relativi all’estrazione e alla lavorazione del rame, metallo morbido e poco resistente impiegato per la fabbricazione di pugnali e oggetti di ornamento. Fra il 4000 e il 3000 a.C., in Mesopotamia si scoprì che l’aggiunta di una certa quantità di rame garantiva all’oggetto una resistenza migliore; nacque in questo modo la prima lega metallica: il bronzo. La diffusione avvenne in Europa, Asia e Africa nei successivi 2000 anni. Durante l’età del Bronzo il commercio ebbe un notevole sviluppo anche per quanto riguarda la larga scala e alcune civiltà divennero ricche e potenti grazie all’intensificazione di questi scambi commerciali che portò loro a voler espandere il proprio dominio e quindi a fare guerre (Walsh & Mocci, 2011).

Sorsero così i primi insediamenti fortificati in punti strategici o alture. L’economia era basata sull’agricoltura e sull’allevamento. A questo periodo sono associate l’invenzione dell’aratro, della rotazione delle colture, e della tessitura (Peroni, 1997).

La cronologia dell’età del Bronzo è stata costruita grazie allo studio della stratigrafia dei siti e alla tipologia dei manufatti in essi ritrovati. In base al materiale rinvenuto sono state fatte varie divisioni e suddivisioni nel corso del tempo del periodo storico in questione. Nella maggior parte delle aree europee l’Età del Bronzo si può dividere in Iniziale, Media e Finale ma ogni stato e ogni areale ha una sua nomenclatura specifica (Harding, 2002).

Il sistema cronologico ordinario per il Bronzo italiano è stato definito da Renato Peroni (Peroni, 1989) e prevede la suddivisione dell’età del Bronzo (2200 – 900 a.C.) in quattro periodi:

• Antico (2200 – 1650 a.C.); • Medio (1650 – 1350 a.C.); • Recente (1350 – 1200 a.C.); • Finale (1200 – 900 a.C.).

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L’Età del Bronzo terminò quando il ferro divenne il metallo più utilizzato nella vita quotidiana. Anche in questo caso, il passaggio da un’età all’altra è determinata dall’areale geografico (Bernabò Brea & Cremaschi, 2009).

Per comprendere la cronologia dell’età del Bronzo nell’areale europeo è importante conoscere le principali seriazioni in utilizzo nella letteratura attuale. La nomenclatura standard centroeuropea prevede la divisione dell’Età del Bronzo in frühe, mittlere e späte Bronzezeit.

L’archeologo tedesco Paul Reinecke (1872-1958) ha messo a punto una cronologia, con intervalli temporali più corti rispetto alla nomenclatura standard, basandosi sullo studio dei reperti archeologici trovati nell'area europea dell'età del Bronzo (Bronzenzeit) e sui materiali trovati nella grande necropoli di Hallstatt in Austria, che racchiude materiali fino alla fase iniziale dell’Età del Ferro (Reinecke, 1965). La periodizzazione di Reinecke è usata in tutta l’Europa Centrale ed è spesso un punto di riferimento per le altre cronologie.

Un’altra classificazione usata nell’areale centro europeo è quella basata sulle tipologie di sepoltura. La modalità di sepoltura nello studio delle necropoli è molto importante perché può definire, in assenza di corredi o di datazioni assolute, un’attribuzione cronologica ben delineata. Nell’età del Bronzo si trovano due grandi tipologie di sepoltura:

Hügelgräberzeit - Cultura delle tombe a tumulo o Tumulus Culture; Urnenfelderzeit - Cultura dei campi di urne o Urnfield Period.

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Tabella 2. Cronologia dell'età del Bronzo in Italia e in Centro Europa

ITALIA EUROPA CENTRALE

ANNI Classificazione Peroni1 Nomenclatura Standard2 Classificazione Reinecke3 Classificazione in base alla sepoltura4 2200-1650 a.C. Età del Bronzo

Antico

frühe Bronzezeit Bronzezeit A 1650-1350 a.C. Età del Bronzo

Medio mittlere Bronzezeit Bronzezeit B1 ältere Hügelgräberzeit Bronzezeit B2 mittlere Hügelgräberzeit Bronzezeit C jüngere Hügelgräberzeit 1350-1200 a.C. Età del Bronzo

Recente

späte Bronzezeit Bronzezeit D e Hallstatt A1

frühe

Urnenfelderzeit 1200-900 a.C. Età del Bronzo

Finale Hallstatt A1 ältere Urnenfelderzeit Hallstatt A2 mittlere Urnenfeldzeit Hallstatt B1 jüngere Urnenfelderzeit 900-700 a.C. Età del Ferro

antica

Hallstatt B2/3 jüngere

Urnenfelderzeit frühe Eisenzeit Hallstatt C1a

Hallstatt C1b/2 Hallstatt D 1)sistema cronologico ordinario per il Bronzo italiano (Peroni, 1989)

2) utilizzata in ambito europeo

3) cronologia basata sullo studio dei reperti archeologici della necropoli di Hallstatt in Austria (Reinecke, 1965)

4) in letteratura anche come Cultura delle tombe a tumulo (Tumulus Culture) o Cultura dei campi di urne (Urnfield Period)

Da non dimenticare, inoltre, la cronologia fatta da Oscar Montelius (1843-1921), archeologo svedese, per il periodo del Bronzo in Nord Europa. Montelius riconobbe sei periodi (Montelius, 1895):

• I: corrisponde al periodo più antico o Bronzenzeit A;

• II-III: corrisponde alla fase di sepolture relative alla Hügelgräberzeit; • IV-V: corrisponde alla fase di sepolture relative alla Urnenfelderzeit; • VI: corrisponde al periodo di passaggio all’Età del Ferro.

La periodizzazione di Montelius è ancora in uso nei paesi scandinavi, nella Germania del nord, in Polonia e nei Paesi Bassi.

In un recente studio, Maurizio Cattani e Monica Miari hanno definito la cronologia dell’età del Bronzo per la zona romagnola e padana. Questa suddivisione è molto utile per lo studio della

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necropoli di Olmo di Nogara che si trova nella Pianura Padana a sud di Verona. Nella Tabella 3 sono osservabili le varie suddivisioni dei periodi (Cattani & Miari, 2010).

Tabella 3. Cronologia dell'età del bronzo (Cattani e Miari, 2010).

Periodo Sigla Cronologia1

Età del Bronzo Antico BA1 2300 - 1900 a.C. ca

BA2 1900 - 1650 a.C. ca.

Età del Bronzo Media BM1 1650 - 1550 a.C. ca.

BM2 1550 - 1450 a.C. ca.

BM3 1450 - 1340 a.C. ca.

Età del Bronzo Recente BR1 1340 - 1250 a.C. ca.

BR2 1250 - 1170 a.C. ca.

BR3 1170 - 900 a.C. ca.

Età del Bronzo Finale BF1 1170 - 1100 a.C. ca.

BF2 1100 - 950 a.C. ca.

1) riferita all’areale padano e romagnolo (Cattani & Miari, 2010)

2.1 Età del Bronzo Antico (2200 – 1650 a.C.)

2.1.1 Eneolitico

Il periodo precedente all’età del Bronzo è l’“età del rame” o Eneolitico. In Italia si estende dal 3500 al 2300-2200 a.C. ca. In Italia settentrionale la documentazione maggiore proviene dalle tombe, nelle zone di altura gli individui vengono deposti in sepolture collettive in ripari rocciosi o grotticelle, mentre in pianura gli individui vengono deposti in fosse singole semplici. Un cambiamento sostanziale della società fu causato dall’introduzione della metallurgia che portò modificazioni all’organizzazione sociale con l’inizio di formazione di élite, gerarchie e conflittualità, ovvero alla realizzazione di una società guerriera. Le facies eneolitiche più significative sono quelle rappresentate dalla necropoli di Remedello (Brescia) e quella di Spilamberto (Bologna). Un contributo notevole allo studio di questo periodo è dato dal ritrovamento e dallo studio di Ötzi, trovato mummificato sul monte Simillaun (Bolzano). Una caratteristica di questo periodo in ambito continentale e in alcuni casi anche mediterraneo è il megalitismo ossia la costruzione di grandi strutture, di carattere funerario e rituale, con ciottoli e materiale litico. In Italia possiamo trovare le attestazioni in Veneto, Val d’Aosta, Puglia e Sardegna. L’ultima fase dell’età del Rame è caratterizzata dalla diffusione sul territorio italico del

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bicchiere campaniforme dal grande valore simbolico, presente in varie tombe come corredo. La sua diffusione va dal Portogallo a Polonia, Gran Bretagna e Sicilia. Per spiegare questa grande diffusione si è ipotizzato a una migrazione di genti che oltre al bicchiere campaniforme avrebbero diffuso anche le tecniche di lavorazione dei metalli.

2.1.2 La nuova metallurgia e le trasformazioni sociali

Con la fine della diffusione del bicchiere campaniforme (attorno al III millennio a.C.) si diffonde ampiamente l’uso di manufatti in bronzo, lega resistente di rame e stagno.

In questo periodo avvengono trasformazioni di carattere sociale ed economico, incominciate nell’Eneolitico, che porteranno alla formazione di società e gerarchie complesse ossia a:

• Stabilizzazione degli insediamenti, che diverranno più duraturi rispetto ai precedenti • Sedentarietà della popolazione;

• Stratificazione sociale delle comunità, divisioni in classi gerarchiche e, quindi, complessità nell’organizzazione sociale;

• Sfruttamento sistematico del territorio per dare sostentamento alle comunità; • Elevata pressione demografica delle comunità.

L’utilizzo intensivo dell’aratro e dell’allevamento consentirono di sfruttare al meglio le risorse dei territori e quindi di creare un accumulo di beni, essenziale per la formazione di una società articolata e gerarchizzata.

La presenza di metallurghi, ossia artigiani specializzati nelle tecniche di estrazione e lavorazione dei metalli, è attestata in questo periodo, grazie alla presenza di manufatti, pochi ma non rari, classificati come beni di prestigio, ossia armi da offesa (pugnali, asce, alabarde), da difesa (gorgiere) e gioielli (braccialetti, spilloni) realizzati, quindi, per la classe “guerriera” che si distingueva dentro queste comunità.

In questo periodo nacquero quindi le grandi civiltà complesse come quella Minoica a Creta e soprattutto quella Micenea in Grecia, che attraverso i traffici marittimi saranno protagoniste di un’importante diffusione culturale presso le culture protostoriche del Mediterraneo centro-occidentale. La complessa articolazione delle società può essere desunta dall’organizzazione

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territoriale dove si trovano reti di insediamenti con un abitato centrale posto in posizione strategica e spesso fortificato.

In Italia disponiamo di varie fonti archeologiche relative a questo periodo: abitati, necropoli, aree artigianali e produttive, luoghi rituali e ripostigli. I ripostigli sono depositi di manufatti che per vari motivi sono sepolti intenzionalmente, dipendono dal luogo o dal periodo di seppellimento, possono essere considerati dei tesoretti, ossia depositi votivi, oppure degli accumuli di manufatti destinati allo scambio (Simeoni & Corazza, 2011).

In Italia settentrionale, le analisi radiometriche e dendrocronologiche condotte da Raffaele Carlo De Marinis su campioni provenienti dal sito di Lavagnone (Brescia) hanno portato alla suddivisione dell’antica età del Bronzo dell’area a nord del Po in due fasi (De Marinis, 2007):

• Bronzo Antico I (2300/2200 – 2000/1900 a.C. ca); • Bronzo Antico II (2000/1900 – 1700/1600 a.C. ca).

2.1.3 La cultura palafitticola di Polada

La maggior parte degli insediamenti in questa zona sorge in prossimità di zone lacustri o paludose. Lombardia, Trentino e Veneto sono densi di abitati di questo periodo.

L’abitato tipico della regione alpina lacustre o paludosa è la palafitta. Le palafitte potevano esser edificate o nella zona vicina al bacino idrico oppure proprio all’interno del lago. Gli edifici sorgono su un piano pavimentale di legno appoggiato al suolo o su una piattaforma rialzata posta su pali. Il vantaggio di questa scelta insediativa si trova nella vicinanza dei terreni fertili utili per scopi agricoli e soprattutto rappresentavano un’efficiente struttura difensiva nei confronti di episodi di razzia da parte di altre comunità. Gli abitati potevano raggiungere notevoli dimensioni. (Hochuli, et al., 1998). Un tipico insediamento lacustre appartenente dell’inizio del Bronzo Medio è quello di Fiavè in Trentino (Perini, 1975).

La cultura palafitticola di Polada raffigura l’antica età del Bronzo in Italia settentrionale. Polada è un insediamento su palafitta posto tra Desenzano e Peschiera che venne scoperto nell’800 durante lavori per l’estrazione della torba. Insediamenti simili sono stati ritrovati in Trentino, in Veneto, nella zona dei bacini inframorenici gardesani (Bande di Cavriana, Barche di Solferino,

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Cattaragna), lungo le sponde meridionali del Garda (Gabbiano di Manerba, Bor di Pacengo, Moniga), del lago d’Iseo e di Bosisio. Le sepolture di questo periodo sono inumazioni con il corpo rannicchiato sul fianco destro o sinistro. Alcuni materiali della cultura di Polada ci manifestano il contatto con una popolazione del Centro Europa, con la cultura di Únětice (Repubblica Ceca) e con il bacino carpatico. Nella fase finale di questo periodo c’è un incremento di colonizzazione delle aree di pianura in particolar modo nella zona delle sorgenti (Bietti Sestieri, 2010). Il passaggio da Bronzo Antico a Bronzo Medio a nord del Po è continuo e la cultura di Polada appare ininterrotta.

2.1.4 L’Italia peninsulare Protoappenninica

Nell’Italia Centrale e Meridionale, invece, in questo periodo si ritrovano aspetti locali legati a tradizioni eneolitiche come Gaudo (Salerno) o Laterza (Taranto). All’inizio del II millennio a.C. si distinguono le prime facies culturali note come “preappenniniche” o “protoappenniniche”, anticipatrici delle comunità della cultura “appenninica” dell’Italia peninsulare del Bronzo Medio.

2.2 Età del Bronzo Medio (1650 – 1350 a.C.)

2.2.1 Hügelgräberzeit

Il territorio centroeuropeo in questo periodo è caratterizzato da grandi cambiamenti. Nell’areale danubiano-carpatico e a nord delle Alpi i grandi insediamenti fortificati vengono abbandonati a favore di insediamenti sparsi e indifesi. Contemporaneamente in tutta l’Europa si diffonde la tipologia di sepoltura a Tumulo (Hügelgräberzeit), già praticata in ambito balcanico dall’Eneolitico/Bronzo Antico.In questo periodo sorsero le prime vie di commercio che misero in contatto l’Europa settentrionale con quella meridionale. La produzione metallurgica si arricchisce di una nuova classe di oggetti (lancia, spada) in concomitanza alle classi già affermate (asce, pugnali, spilloni). Il fenomeno dei ripostigli in questo periodo è meno frequente ma si ritrovano delle armi da offesa nelle zone fluviali, paludose e anche nelle aree montane. Questo fenomeno è stato interpretato come deposizione rituale ed è ben documentato in Veneto e Friuli.

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Le popolazioni autoctone (pre-indoeuropee) presenti sul territorio italico prima delle grandi migrazioni indoeuropee del 2000-1500 a.C. sono i Liguri, i Sardi (Civiltà Nuralgica) e Sicani ed Elimi. Nel 1600 circa a.C. sorsero le prime culture italiche: la cultura di Polada a nord, quella Appenninica lungo la catena omonima e la civiltà terramaricola nell’areale centro padano.

In questo periodo nell’Italia settentrionale sono riconoscibili quattro aree:

• L’areale gardesano (Lombardia orientale, Veneto, Trentino) dove gli abitati palafitticoli e quelli di pianura continuano senza interruzioni;

• L’areale occidentale (Piemonte, Liguria e Lombardia occidentale) dove si hanno legami con la cultura transalpina centro-occidentale;

• L’areale padano (Emilia, Veneto occidentale) dove sorse la civiltà terramaricola;

• L’areale orientale (Veneto orientale, Fiuli e Venezia Giulia) dove si caratterizzano gli abitati “castellieri”.

2.2.2 La Civiltà Terramaricola

L’area meridionale al Po venne occupata intensamente solo con la media età del Bronzo (Bietti Sestieri, 2010). La cultura preistorica “terramaricola” (“terra marna” era il termine con cui, nell'800, si indicava il terreno usato come concime) si diffonde durante l'età del Bronzo Media e Recente (1600-1150 a.C.) nell'area centro-padana fra l'Arda e il Reno e fra l’areale mantovano e gli Appennini (Bernabò Brea & Mutti, 1994). Il popolamento della pianura padana inizia verso la fine del Bronzo Antico in maniera lenta, con un graduale disboscamento e un progressivo utilizzo degli spazi in un periodo compreso dal Bronzo Medio e quello Finale (XVI-IX secolo a.C.) fino all’effettuazione del utilizzo dell’area in maniera consistente tanto da diventare uno dei luoghi più densamente popolati nell’Europa protostorica con una densità abitativa pari di un sito ogni 9-10 km2 (Cremaschi, 1997). Inizialmente le popolazioni si insediarono con piccole palafitte costruite presso le risorgive e poi, già dalla metà del XIV sec. a.C. comparve una fitta rete di villaggi caratterizzati da un’omogeneità a livello di cultura materiale (Bernabò Brea & Cremaschi, 2009). L’espansione demografica è stata possibile grazie all’arrivo di genti dal nord Italia sull’onda di un fenomeno di colonizzazione della pianura. La pianura permetteva una produzione agricola con

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una resa elevata grazie al controllo della rete idrica con opere di canalizzazione ed a grandi opere di deforestazione. Gli abitati potevano essere di grandi o piccole dimensioni ed erano disposti capillarmente nel territorio per poter sfruttare maggiormente il suolo agricolo. (Cardarelli, 1997). Le terramari hanno aiutato lo sviluppo culturale dell’organizzazione politica. La gestione del territorio e la produzione artigianale sono state gestite in maniera ottimale per fornire materiale da costruzione necessario e intense e sistematiche comunicazioni fra le genti (Bietti Sestieri, 2010). Il terramara era un abitato di forma quadrilatera o circolare circondato da un terrapieno sormontato da una palizzata e da un fossato, talvolta colmato deviando un vicino corso d’acqua (Bernabò Brea & Cremaschi, 1997). Esse potevano sorgere sia in zone acquitrinose che in zone collinari. All’interno della cinta le case sorgevano su pali. Un tipico insediamento è quello di S. Rosa (Poviglio) in Emilia (Mele, et al., 2013).

Le terramari erano quindi dei villaggi interamente costruiti in legno, spesso fortificati con argini e fossati, strutturati su palafitte, simili a quelle dei laghi del nord Italia, impiantati su terreni asciutti o, in alcuni casi, umidi, costruiti su impalcati lignei sui quali venivano poi fabbricate le capanne (Bernabò Brea & Cremaschi, 2009). Si possono distinguere quattro tipologie di insediamenti:

• Siti molto grandi, che possono superare i 10 ettari di estensione; • Siti medi, fra i 9 e i 4 ettari di estensione;

• Siti piccoli, estesi circa 2 o 3 ettari;

• Abitati molto piccoli, di un ettaro o meno, raramente dotati di strutture perimetrali. Costituiscono gruppo a parte i siti collinari e d’altura, sorti come punti di controllo per gli accessi alle valli appenniniche, proprio in ragione della loro localizzazione. Gli insediamenti di piccole dimensioni sono peculiari del Bronzo Medio; a partire dal Bronzo Recente avviene l’espansione della superficie abitativa di alcuni siti maggiormente strategici e, quindi, il potenziamento delle strutture difensive (Cremaschi 1997. L'economia terramaricola è basata sull'agricoltura di grano, orzo, miglio, fave, ortaggi e vite e sulla raccolta di frutti selvatici come nocciole, cornioli, mele e more (Bandini Mazzanti & Tarsoni, 1993). L'allevamento era costituito nel 95% dei casi da

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bovini, suini e ovini e in alcuni casi si trovano resti faunistici di cani e cavalli (De Grossi Mazzorin, 1988).

La produzione di oggetti metallici è ben rappresentata e maggiormente diffusa che nelle epoche precedenti. Gli oggetti tipici in bronzo ritrovati in questo periodo sono le armi (pugnali, spade), oggetti di ornamento (spilloni, pendagli), attrezzi agricoli e da carpenteria (lesine, falcetti, asce). Frequentemente sono stati trovati scarti di fusione, soffiatoi e crogioli, che testimoniano i vari processi di lavorazione. Tipica della cultura terramaricola è la produzione di manufatti in osso e in corno di cervo. Le forme trovate in questo periodo sono punteruoli, spatole, aghi, punte di freccia, montanti di morsi per cavallo, manici di lesina, pettini, teste di spilloni a rotelle e alamari decorati a incisioni e a cerchielli (Bernabò Brea & ali, 1992). Il rito funebre, nella civiltà terramaricola, presenta due tipologie diverse in base alla posizione del villaggio rispetto al fiume Po. A sud del Po prevale la cremazione con deposizione delle ceneri in urne prive di corredo, talora coperte da una ciotola rovesciata e accumulate fittamente, a volte sovrapposte. A nord del Po le necropoli sono miste, a cremazione e a inumazione. L’alta percentuale di villaggi terramaricoli indica un'organizzazione politica del territorio anche se non esiste al giorno d’oggi la sicurezza di una gerarchia fra gli stessi siti, mentre è testimoniata solo la presenza di figure imminenti o leaders all’interno dei villaggi. Il cimitero terramaricolo di Olmo di Nogara (Verona) è un ottimo esempio di necropoli del periodo con riti funerari a inumazione e a cremazione.

2.2.3 La cultura Protoappenninica e Appenninica

Nell’Italia Peninsulare questo periodo è caratterizzato dall’aspetto culturale “Protoappenninico” (1750-1500 a.C. ca) e poi dall’ “Appenninico” (1500-1350 a.C. ca). Il periodo Protoappenninico è ben attestato in Basilicata e Puglia. Le tombe sono a inumazione e collettive in grotte naturali o artificiali, ambienti sotterranei, dolmen o tumuli. A differenza del periodo precedente, che vedeva sepolture di centinaia di individui insieme, in questo periodo i raggruppamenti sono per lo più parentali e quindi i numeri per sepoltura sono meno elevati. L’influenza Micenea è ben visibile dai ritrovamenti ceramici protomicenei riscontrati nell’areale ionico.

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Nell’Appenninico si fanno più intensi i contatti con l’areale adriatico e ionico e la ceramica micenea cresce quanto la protomicenea, indice di frequenti contatti o di maestranze sul posto.

2.3 Età del Bronzo Recente (1350 – 1200 a.C.)

2.3.1 Urnenfelderkultur

Il Bronzo Recente è caratterizzato dal ritorno del rito funerario crematorio, già in uso in Ungheria dal Bronzo Antico, Austria e Slovacchia e in Italia (Emilia, Piemonte, Lombardia, Puglia) dal Bronzo Medio. Ma in questo periodo diventa dominante ed esclusivo specialmente nell’ambito danubiano dove i campi di urne (vasi-ossario) con i resti cremati hanno delineato anche il nome stesso della cultura ossia Urnenfelderkultur. Nella necropoli di Olmo di Nogara (Verona) si possono vedere i riti misti di inumazione e cremazione. L’individuo cremato ha talora pochi elementi di corredo, nella maggior parte pertinenti all’abbigliamento.

Il cambiamento della modalità di sepoltura è così netto che gli studiosi ipotizzarono l’arrivo di genti nuove con credenze e rituali nuovi. Recentemente si è confermato che in effetti non arrivarono nuove genti ma cambiarono le ideologie e le concezioni religiose. Nelle credenze sociali la cremazione era il metodo più veloce, ad esempio, per raggiungere il cielo (Simeoni & Corazza, 2011).

2.3.2 Koinè metallurgica

Un altro fenomeno di rilevanza in questo periodo è connesso con la produzione metallurgica e con la circolazione di morfologie specifiche di oggetti in bronzo. Questa koinè metallurgica di uniformazione di manufatti metallici avviene a livello Europeo pur mantenendo in alcune zone delle caratteristiche peculiari. L’Italia risulta pienamente inserita in questo traffico e nella produzione di oggetti. L’origine del fenomeno è forse attribuibile all’aumento della richiesta di metalli dai livelli sociali più abbienti e quindi dalla creazione di vie di commercio dove circolavano uomini e modelli bronzei come armi (spade, elmi, corazze), oggetti per l’abbigliamento (fibule, situle) e vasi a secchia per liquidi.

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2.3.3 L’Italia settentrionale

Nell’Italia settentrionale sono stati riconosciuti alcuni fenomeni comuni a varie facies archeologiche come l’incremento demografico, l’intenso sfruttamento delle risorse, l’estensione dei villaggi e delle strutture difensive. In questo periodo il sistema terramaricolo raggiunge il massimo del suo sviluppo e le necropoli di questo periodo sono quasi esclusivamente con tombe a cremazione con elementi di corredo solo relativi all’abbigliamento, come possiamo vedere nelle necropoli di Casinalbo (Modena) e Copezzato (Parma).

2.3.4 Il Subappenninico o Appenninico Tardo

Nell’Italia peninsulare con la cultura “subappenninica” o “appenninica tarda” si può parlare di unificazione culturale del meridione anche se con caratteristiche peculiari in ogni area. I contatti con la cultura micenea sono accertati dalla stessa presenza di gruppo micenei sul territorio italico nei contesti archeologici di Roca Vecchia (Lecce) e Broglio di Trebisacce (Cosenza).

2.4 Età del Bronzo Finale (1200 – 900 a.C.)

2.4.1 La crisi

All’incirca nel 1200 i territori dell’Europa orientale e meridionale furono colpiti da eventi traumatici come eventi catastrofici naturali (zona Egea), un’accentuata conflittualità interna dovuta a crisi economiche e rivolte sociali, la migrazione dei “Popoli del Mare” che contribuì alla caduta di vari regni nel corso del II millennio a.C., tutti questi eventi provocarono la rottura di quelle organizzazioni sociali che si erano create nelle fasi precedenti.

In questo periodo avvenne anche la famosa guerra di Troia (2200-1180/70 a.C. circa); dai racconti di Omero riconosciamo la società guerriera e l’importanza della conquista di una città chiave per le rotte commerciali e di approvvigionamento. Anche la civiltà Micenea è sconvolta da una serie di distruzioni dell’organizzazione politico-economica e nel IX secolo si giunse alla cultura “Protogeometrica” ossia la cultura delle Grecia dell’Età del Ferro. In Italia si spopolarono l’area terramaricola e quella benacense molto attive dal Bronzo Antico.

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