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I Gruppi parlamentari alla prova delle (auto)riforme regolamentari

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RIVISTA N°: 2/2012 DATA PUBBLICAZIONE:

Daniele Piccione

Consigliere parlamentare del Senato della Repubblica

I Gruppi parlamentari alla prova delle (auto)riforme regolamentari

Sommario: 1. - Prospettive attuali di riforma della disciplina sui Gruppi parlamentari. 2. - Valore odierno e problemi tradizionali delle direttive costituzionali in materia di Gruppi parlamentari. 3. - Ragioni e scetticismi alla base dell’inserimento del principio di corrispondenza tra competitori elettorali e Gruppi parlamentari. 4. - Segue: modelli di codificazione del principio di corrispondenza. 5. - Ragioni ed effetti del silenzio e la stasi sulla legislazione di contorno. 6. - La riflessione sui Gruppi come paradigma dei paradossi riformatori nell’attuale fase del parlamentarismo italiano.

1. Prospettive attuali di riforma della disciplina sui Gruppi parlamentari.

La più tipica delle riforme che retroagiscono sui loro autori, quella dei regolamenti parlamentari, sembra essere avvertita come impellente e indifferibile in questo scorcio finale di XVI legislatura. La Giunta per il Regolamento del Senato della Repubblica è impegnata nel sofferto avvio della riforma organica del Regolamento di quell'Assemblea sulla base di una proposta di modifica avanzata da due Senatori appartenenti ai Gruppi più consistenti(1), mentre, alla Camera dei deputati, le direttrici di intervento per novellare il Regolamento paiono ancora in gestazione ma, comunque, sembrano delineare uno scenario riformatore a più velocità(2).

Nel quadro di questo attivismo riformista la modifica dei criteri di costituzione, scioglimento e funzionamento dei Gruppi parlamentari costituisce un nucleo sensibile contenuto nel più ampio involucro delle novelle regolamentari, ma rispetto ad esse si pone in certa misura come preliminare. E proprio per questo non se ne può sminuire l'importanza attuale, se non altro per due ragioni. In primo luogo, i Gruppi parlamentari sono investiti dall'ondata di discredito che in genere si ricollega all'incalzare delle forze della c.d. "antipolitica". Peraltro, la perdita di consenso e legittimazione generalizzata va da ultimo traducendosi in una pressione crescente, sempre più percepita dai Gruppi parlamentari, per via di alcune clamorose vicende che attengono alle condotte, anche penalmente rilevanti, di parlamentari con responsabilità di gestione all'interno delle formazioni politiche corrispondenti a Gruppi dal ruolo decisivo nella storia recente del Parlamento.

In secondo luogo, sembrano brillare di una luce nuova alcuni interrogativi che, ormai da decenni, sono stati individuati come il sostrato teorico e politico connesso al funzionamento degli stessi Gruppi parlamentari: la diatriba mai sopita sulla natura stessa dei Gruppi: organi delle Camere, o dei partiti politici(3),

                                                                                                                       

(1) Cfr. i lavori della Giunta per il Regolamento del Senato della Repubblica, Resoconti delle sedute del 16 febbraio 2012, e del 7 e del 15 marzo 2012.  

(2) V. Giunta per il Regolamento della Camera dei deputati, Resoconto della seduta del 29 marzo 2012, in cui sin dall'introduzione dei lavori da parte del Presidente della Camera, si profila la scelta di metodo di diversi piani di intervento sul tessuto regolamentare: un primo livello di manutenzione e adeguamento delle regole che si ritiene opportuno in base all'esperienza recente della vita parlamentare in quell'Assemblea; una seconda prospettiva di intervento concerne, invece, "norme e istituti che, senza collegarsi direttamente con la forma di governo e con la sua

possibile evoluzione, incidono sull'efficacia dell'azione del Parlamento sia nell'esercizio della funzione legislativa, sia nello svolgimento delle funzioni di indirizzo e controllo"; infine, un terzo livello di novelle regolamentari avrebbe riguardo

"ad una ridefinizione della posizione del Governo in Parlamento. All'evoluzione del rapporto tra Esecutivo e Camere ed

all'uso delle diverse fonti normative in relazione alle procedure parlamentari".  

(3)  In favore di questa ultima tesi, v. di recente, le serrate argomentazioni di A.M

ANNINO, Diritto parlamentare,

Milano, 2010, 67, ed ivi i termini attuali di un dibattito ancora aperto e gravido di conseguenze applicative. Tuttavia, forte è l’impressione, a riguardare a distanza gli approdi della dottrina su questo problema, che i Gruppi parlamentari o sono stati studiati per il loro inquadramento giuridico, scartando per definizione l’analisi delle proposte di autoriforma, verso il cui significato politico, caduco e tattico, lo studioso di diritto ha una naturale (e in parte giustificata) ritrosia; oppure, dei

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una questione che poi è stata a lungo ridimensionata come mero problema di metodi complementari di analisi; ancora, la difficoltà posta da ogni ipotesi di innovazione della materia, giacché, appunto, la disciplina dei Gruppi parlamentari si atteggia come retroagente rispetto a molteplici variabili quali la legge elettorale, il funzionamento del sistema di Governo e la composizione delle Commissioni parlamentari; in fine, la questione dei rapporti tra singoli parlamentari e Gruppi di appartenenza con riferimento al divieto di mandato imperativo.

A questi problemi, antichi ma certo avvolti in una complessità nuova e attuale, si aggiungono urgenti dubbi quali, su tutti: l'opportunità di valorizzare, in questa incerta fase di evoluzione del quadro politico, il principio di corrispondenza tra Gruppi e liste elettorali; il già citato rapporto tra esigenza di riforma dei partiti politici – che ancora non ha preso forma definitiva – e nuovo statuto, anche per parziale via legislativa, degli stessi Gruppi.

Su ciascuna delle questioni citate, ci si soffermerà nelle pagine che seguono al fine di descrivere sommariamente quale sia l'attuale stato dei lavori e quali le prospettive di riforma sulla specifica materia. Si illustrerà infine come il tema delle proposte di modifica dei criteri di composizione dei Gruppi parlamentari costituisca l'esempio mirabile di alcuni equivoci alla base dei processi riformisti avviati di recente. Su questi ultimi si tornerà in chiusura di queste note di cronaca.

2. Valore odierno e problemi tradizionali delle direttive costituzionali in materia di Gruppi parlamentari. Per quanto ci si accinga a poco più di uno sforzo ricognitivo, non è superfluo, in un momento così delicato della vita delle assemblee parlamentari, svolgere rilievi di metodo che si riassumono in ciò che le indicazioni provenienti dalla Costituzione sui Gruppi parlamentari devono comunque rappresentare il pilastro da cui muovere per modificarne, se del caso, lo statuto regolamentare. Dalla logica delle disposizioni costituzionali, infatti, si inferiscono, se non altro, "deduzioni aventi la forza e il significato di massime"(4).

Vi è innanzitutto il riferimento del Costituente a quel principio di proporzionalità dei rapporti di consistenza tra i Gruppi parlamentari cui improntare la formazione delle Commissioni permanenti e delle Commissioni di inchiesta (artt. 72 e 82 Cost.). Non sembri pleonastico questo richiamo, poiché si è ormai al termine di una legislatura lungo il cui arco il principio di proporzionale rappresentanza in seno ai collegi parlamentari è stato interpretato in una duplice direzione. Da un lato, come tradizionale rapporto di proporzione nella consistenza dei Gruppi costituitisi in Assemblea, dall'altro come enfatizzazione in chiave polarizzata della differenza numerica tra Senatori e Deputati appartenenti ai Gruppi di maggioranza che sostengono il Governo e quelli iscritti ai Gruppi di opposizione.

In realtà, questa duplicità esegetica del principio di proporzionalità nella composizione degli organi, e nell'individuazione dei rappresentanti spettanti a ciascun Gruppo al loro interno, si era fatta largo, gradatamente e in silenzio, per quasi cinque legislature. Poi, la lettura in prospettiva di equilibrio maggioritario tra Gruppi fedeli e ostili al Governo, ha raggiunto il massimo impulso negli ultimi tre anni di recente vita parlamentare.

Un primo elemento contraddittorio consiste nel fatto che proprio ora che quest'ambivalenza è affiorata con maggiore nitore, quasi fosse pronta per un'esplicita codificazione nei Regolamenti, non può non prendersi atto, magari anche con un qualche sconcerto, dell'appannamento degli schemi maggioritari e un rallentamento della corsa verso il perfezionamento del bipolarismo. Infatti, se si guarda a una recente

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                         

Gruppi si è studiata l’evoluzione per cercare di vederne l’influsso sul funzionamento e le prerogative delle assemblee parlamentari, ma anche in questo caso, gli intenti di autoriforma sono stati descritti più per il loro possibile influsso verso un modello o l’altro di Parlamento, che per le concrete possibilità di rinvenire spazi per una riforma condivisa. In definitiva, sembra che, come spesso accade per le iniziative di innovazione e cambiamento che ridondano sui loro stessi autori, non si sia approfondito del tutto “la ricerca delle cause che definiscono la possibilità della riforma”. Così G. ZAGREBELSKY, Intorno alla legge, Torino, 2009, 240.  

(4) E' l'illuminante espressione impiegata da C.E

SPOSITO, Le pene fisse e i principi costituzionali di eguaglianza, personalità e rieducatività della pena, in Giur. cost. 1963, 661 ss, ora ripubblicato in ID, Scritti giuridici scelti, Camerino, 1999, IV, 234.  

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decisione della Giunta per il regolamento del Senato(5), si comprende come ormai il principio di proporzionalità tra i Gruppi per la costituzione delle Commissioni parlamentari sia oggetto di una vera e propria dissociazione interpretativa. Da un lato, i tradizionalisti si richiamano a una stretta applicazione delle norme regolamentari per come redatte e interpretate a partire dal 1971. Per altro verso, il principio di proporzionalità di cui all'articolo 72 della Costituzione, al di là di come sistematicamente tradotto nei Regolamenti e nelle prassi applicative, fino alle ultime settimane di tenuta del centrodestra al Senato nell'autunno 2011, è stato eretto a puntello del necessario predominio numerico delle maggioranze di governo nel controllo di ciascuna Commissione parlamentare. Si è cercato di trovarvi cioè uno di quegli istituti di garanzia della stabilizzazione governativa in grado di assicurare la solidità dell'azione degli Esecutivi in Parlamento.

In definitiva, l'interpretazione del principio di proporzionale rappresentanza dei Gruppi negli organi parlamentari, per quanto quiescente dall'entrata in carica del Governo Monti, costituisce tuttora uno dei campi di contesa, in cui si gioca la battaglia sotterranea tra il realismo pragmatico dei proporzionalisti e i fautori di un ideale suggello maggioritario a governi di legislatura.

Non da meno, del resto, è la complessa vicenda dell'altro parametro costituzionale cui per molto tempo – e forse non sempre a ragione – si sono riferite le vicende dei Gruppi, cioè a dire il principio del libero mandato parlamentare. Come il criterio di rappresentanza proporzionale alla consistenza è assurto a terreno di confronto tra le visioni di un parlamentarismo a due schieramenti e uno, invece, abitato dal pluripartitismo, così il divieto di mandato imperativo di cui all'art. 67 Cost. è stato sovente invocato per dirimere ogni tipo di controversia circa il rapporto tra singolo parlamentare e Gruppo (6), specialmente quando si viene a rompere il vincolo di appartenenza del primo con il secondo. Ora, dall’articolo 67 Cost. discende il divieto, tra gli altri, di imporre alcun vincolo o conseguenza giuridica in capo al singolo parlamentare, per effetto di determinazioni assunte dalla propria forza politica di appartenenza(7). I problemi di diritto parlamentare, posti

dalle relazioni tra Gruppi e singoli, sarebbero tuttavia tanti e tali da indurre a distinguere tra la compressione dei diritti dei parlamentari da una parte, e l’applicazione delle norme indispensabili all’organizzazione e al funzionamento di ciascuna Camera, dall’altra(8).

Così, in particolare, se non è certo costituzionalmente dovuto (né probabilmente opportuno) vietare con espresse norme regolamentari che un Senatore o Deputato cambino il proprio Gruppo di appartenenza nel

                                                                                                                       

(5) V. Senato della Repubblica, Giunta per il Regolamento, 12° seduta dell'11 ottobre 2011, Resoconto sommario, in cui si legge il seguente parere votato all'unanimità: 1) L'articolo 21, comma 3, del Regolamento, ai sensi del quale, la distribuzione dei "Senatori eccedentari" in ciascuna Commissione permanente deve essere effettuata in modo tale da rispecchiare la proporzione esistente in Assemblea tra tutti i Gruppi parlamentari, si interpreta anche alla luce del necessario rispetto dei rapporti di consistenza tra i Gruppi di maggioranza e opposizione; 2) Con riferimento al Gruppo Misto e agli altri Gruppi dei quali facciano parte Senatori sia di maggioranza che di opposizione, le proposte di designazione devono garantire l'equilibrata distribuzione dei componenti di ciascun Gruppo in Commissione, nel rispetto del criterio interpretativo di cui al punto 1 del presente parere; 3) Il Presidente, in conformità del potere attribuitogli dall'articolo 21, comma 3, del Regolamento, valuta che le proposte dei Gruppi siano rispondenti al principio stabilito al punto 1 del presente parere. Il Presidente distribuisce conseguentemente i "Senatori eccedentari" nelle Commissioni dandone avviso anche per le vie brevi ai Presidenti dei Gruppi e delle Commissioni interessati prima di ogni altra comunicazione. I Presidenti dei Gruppi hanno facoltà di formulare proposte alternative, nel rispetto dei criteri di cui al punto 1 del presente parere, entro la successiva riunione della Commissione, ai fini della definitiva pronuncia della Presidenza; 4) Il Presidente può esercitare il potere derivante dall'articolo 21, comma 3, del Regolamento, con le modalità di cui al punto 3 del presente parere, ogni qualvolta modificazioni intervenute nel numero e nella composizione dei Gruppi parlamentari alterino, attraverso la distribuzione dei "Senatori eccedentari" in ciascuna Commissione, la proporzione esistente in Assemblea tra i Gruppi parlamentari con riferimento alla loro consistenza e ai rapporti tra maggioranza e opposizione.

 

(6) Già C.MORTATI, Articolo 67, in Commentario della Costituzione, Bologna - Roma, 1986, 179 ss., mostrava

quanto complessa fosse l’impostazione del problema del rapporto tra l’art. 67 Cost. e i profili applicativi del diritto parlamentare italiano. Due sono le intuizioni del Mortati ancora da tenere in particolare rilievo sul tema che ci occupa. La prima consisteva nel muovere dal profilo opposto rispetto a quello esposto nel testo e cioè dall’esigenza di verificare “se

il legame che si è venuto ad instaurare fra i membri del parlamento e i partiti (e i Gruppi, n.d.r.), abbia esercitato influenza sul principio del divieto di mandato imperativo sancito dall’art. 67 Cost.”. La seconda è quella di rinvenire nel

divieto di mandato “la finalità più ampia di garantire l’indipendenza parlamentare da ogni influenza, da qualunque parte

provenga”, delineando così la funzione applicativa dell’art. 67 Cost., come norma garantista che protegge l’autonomia di

voto, operato e parola del Parlamentare verso ogni altro soggetto dell’ordinamento, così come da ciascun corpo intermedio (Gruppo, partito, sindacato, componente partitica).  

(7) L.P

ALADIN, Lezioni di diritto costituzionale, Genova, 1988, 94.  

(8) Tuttavia, per una condivisibile ricostruzione del problema, ma pervenendo poi a conclusioni del tutto opposte a quelle sostenute nel testo, v., ancora oggi, S.TOSI -A.MANNINO, Diritto parlamentare, Milano, 1999, 162 e 165, in cui si

arriva ad affermare che l'auspicio di una codificazione di un esplicito divieto a mutare partito (e Gruppo) "dovrebbe

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corso della legislatura, in realtà le disposizioni che hanno riguardo ai criteri di composizione dei Gruppi parlamentari non hanno rapporto alcuno (né di dialettica, né di complementarità) con il divieto di mandato imperativo. E questa distinzione, che solo a un primo sguardo, potrebbe dirsi ovvia, dovrebbe informare ogni linea di intervento sulla disciplina regolamentare dei Gruppi parlamentari.

Le due conseguenze che si evincono dalla distinzione che precede, possono in definitiva riassumersi come segue. Ciascun componente della Camera, in base alla pura disciplina costituzionale, è libero di richiedere l’adesione ad ogni Gruppo parlamentare già costituito nell’Assemblea. Del pari, è sempre libero di uscirne senza che ne discendano obblighi inerenti la carica parlamentare (l'esempio del recall di matrice anglosassone) o oneri giuridicamente coercibili quali il versamento di contributi economici, la restituzione di somme di denaro a qualunque titolo percepite. Quando però l’appartenenza a un certo Gruppo estrinseca conseguenze sull’organizzazione degli organi camerali (Commissioni permanenti; organismi bicamerali; Uffici di presidenza), la vicenda porta alla luce problematiche, la cui analisi non può risolversi muovendo dall’articolo 67 Cost.

In favore di queste conclusioni militano, ancora oggi, i seguenti argomenti. In primo luogo, la Costituzione implica quantomeno la funzione di parametro organizzatorio dei Gruppi parlamentari rispetto agli organi camerali, il che esclude che si possa considerare garantito dall’articolo 67 Cost. il diritto a fondare Gruppi come espressione di una prerogativa del singolo parlamentare. Il discorso non è diverso per vicende in apparenza meno nette quali – le si cita a titolo esemplificativo – l’esclusione da una Commissione in seguito al cambio di Gruppo di appartenenza, per la necessità di riequilibrare la consistenza del collegio in base alla nuova proporzione venutasi a determinare; l’estensione di tale conclusione anche alla circostanza in cui il Senatore o il Deputato rivestano una carica elettiva all’interno dell’organo cui non abbiano più titolo ad appartenere. Si tratta di conseguenze contro le quali a nulla vale invocare la malintesa forza dell'articolo 67 Cost.

Allo stesso modo, l’articolo 67 Cost. non ha nessuna rilievo, né positivo, né negativo, rispetto ad eventuali norme che si intenda introdurre nei Regolamenti, al solo fine di arginare la costituzione di Gruppi non corrispondenti ai competitori elettorali. Quest’ultima decisione – quella di rafforzare il principio di corrispondenza tra Gruppi e liste nei due Regolamenti - va assunta con piena libertà di azione in sede di revisione della disciplina degli articoli 14 e 15 R.S e 14 e 15 R.C.

Queste premesse consentono di precisare che mentre la facoltà giuridica – beninteso fatto salvo ogni profilo di responsabilità politica – di mutare Gruppo è tollerata per statuto costituzionale (e non si limita alla sola possibilità di iscrizione nel Gruppo Misto), i criteri di composizione e formazione dei Gruppi medesimi, ruotando nell’orbita applicativa dell’articolo 72 Cost., possono essere stabiliti in piena autonomia da ciascuna Camera, senza che, ove ne vengano imposti di restrittivi, se ne possa sostenere alcuna lesione dei diritti dei singoli parlamentari.

3. Ragioni e scetticismi alla base dell’inserimento del principio di corrispondenza tra competitori elettorali e Gruppi parlamentari.

Distinto metodologicamente il criterio di analisi del problema del transfughismo e della mobilità parlamentare da quello inerente i requisiti di composizione dei Gruppi(9), va ora considerato che sotto la definizione di norme antiframmentazione, si suole indicare tutte le proposte, anche tra loro divergenti, volte a modificare i requisiti di formazione delle compagini di Senatori e Deputati in modo da rendere più impervio il sentiero che ha sempre portato, fino ad ora, a conclusioni di legislature caratterizzate da un numero di Gruppi maggiore e di consistenza più esigua, rispetto al panorama costituitosi all’indomani delle elezioni.

I fautori delle riforme, invece, muovono in genere dall’intento pratico di porre rimedio a due

fenomeni che considerano patologici e che non sempre distinguono: il transfughismo da un

Gruppo all’altro; e la nascita spontanea di Gruppi parlamentari non corrispondenti a liste o

coalizioni elettorali di alcun tipo.

                                                                                                                       

(9) Il che in certo qual modo già faceva, nell’ambito di una prima disamina delle proposte di modifica regolamentare in materia, avanzate nel corso della XVI legislatura, M.RUBECHI, Dai partiti ai Gruppi: le proposte di modificazione dei

regolamenti parlamentari, in E. GIANFRANCESCO –N.LUPO, La riforma dei regolamenti parlamentari al banco di prova della XVI legislatura, Roma, 2009, 32. Si tratta comunque di un’impostazione differente da quella qui illustrata, perché l’A.

muove dall’assunto teorico che l’inserimento di un requisito di formazione fondato sulla corrispondenza politica sia funzionale alla tutela del principio di rappresentatività; mentre il requisito numerico (già presente) sarebbe servente del principio di buon andamento dei lavori parlamentari.  

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Prescindendo ancora per un momento dalle tecniche di intervento prefigurate in ciascuna proposta di modifica regolamentare, di comune a tutti i propositi antifrazionistici, vi è senz'altro l'intento di evitare che i Gruppi parlamentari, venutisi a costituire originariamente, si parcellizzino in tanti piccoli soggetti attraverso processi di scomposizione e ricomposizione variabili e successivi all'avvio della legislatura. Dunque, l’introduzione del principio di corrispondenza tra competitori elettorali e Gruppi delle Assemblee non equivale all’introduzione di norme antiframmentazione. Infatti, si può subito notare che questa finalità, per quanto astrattamente condivisibile, non è perfettamente sovrapponibile con le altre due che pure vengono spesso evocate dai propugnatori della riforma degli articoli 14 e 15 del Regolamento del Senato e 14, 15 e 15-bis, del Regolamento della Camera. In altre parole, un conto è voler evitare la possibilità di frammentazioni dei Gruppi, altro è voler tutelare il principio di corrispondenza tra liste elettorali e Gruppi stessi; un terzo obiettivo, ancora diverso, è, infine, quello di coagulare il quadro politico generale favorendo un quadro parlamentare addensato intorno a due forze, se non dominanti ed esclusive, quantomeno a vocazione aggregativa e maggioritaria.

Ciascuno di questi tre filoni di intervento sorge da culture diverse, adempie a finalità dissimili e, del pari, impone di fronteggiare difficoltà e questioni almeno in parte difformi. Supporta questa distinzione di metodo, il rilievo per cui tre diverse ideologie regolamentari(10) alimentano ognuna delle finalità esposte e, durante la legislatura che va spirando, ciascuna di esse si è manifestata chiaramente. E anzi la storia del XVI Parlamento repubblicano potrebbe definirsi come la rincorsa, l’assorbimento e lo sgretolarsi, di questi intenti riformatori così diversi e solo illusoriamente sovrapponibili. Prova ne è che nessuna delle forze parlamentari del Senato e della Camera ha mancato di avanzare proposte circa le regole che prima presiedono alla nascita e poi disciplinano le trasformazioni dei Gruppi in corso di legislatura. Eppure, nonostante questo vero e proprio accanimento di ingegneria regolamentare, talvolta inserito nel più ampio quadro di proposte di revisione organica dei Regolamenti, talaltra avanzato in forma di modifica puntuale, i margini per un accordo sembrano ancora fuori portata.

Infatti, lo scenario tendenziale delle proposte presentate in materia di requisiti di costituzione dei Gruppi presso i due rami del Parlamento induce a definire le seguenti visioni di riforma.

Le forze politiche a forte connotazione identitaria, solido radicamento territoriale e relativamente poco consistenti in termini di numeri parlamentari, tendono a stigmatizzare la creazione di Gruppi che non corrispondono a competitori elettorali, criticandone la composizione e la nascita artificiale, cioè scollata dal partito o movimento che ha preso parte alla competizione elettorale.

Le presidenze di Assemblea, attente alla tutela del buon andamento dei lavori parlamentari, guardano con favore alle norme antiframmentazione che salvaguardano i poteri presidenziali di gestione dei collegi minori (Uffici di presidenza, Conferenza dei Presidenti dei Gruppi, Commissioni permanenti e speciali) ed evitano la surrettizia sovrarappresentazione dei Gruppi numericamente meno ingenti, con tutti gli effetti distorsivi e di ingovernabilità che il fenomeno può determinare.

Infine, le compagini parlamentari più numerose, siano esse di opposizione o di maggioranza, nell’intravedere gli spazi di monopolio del rispettivo settore politico – sia esso di sostegno o di contrasto al Governo in carica – si rivelano periodicamente attratte dalla prospettiva di una riforma dei requisiti di composizione dei Gruppi capace di contrapporre blocchi unici, potenzialmente anche più monolitici di quelli presentatisi agli elettori sotto forma di liste plurime, ma coalizzate.

Non mancano poi originali soluzioni che ricalcano precipuamente la condizione in cui si è venuto occasionalmente a trovare il singolo Gruppo parlamentare proponente in un determinato momento della XVI legislatura(11).

Solo una volta che si è posto in discussione il mito dell'unitarietà del principio di corrispondenza tra Gruppi e competitori elettorali, in quanto insidiato da valori in apparenza simili ma non coincidenti, può aggiungersi che l'accoglimento del principio stesso porta in virtù la continua visibilità, dopo l'elezione, dell'azione in Parlamento dei vari soggetti politici. Inoltre, rafforza il legame tra partiti e Gruppi, rinsaldando l'identificazione degli uni negli altri(12).

                                                                                                                       

(10) E’la terminologia in parte ripresa da P.PETTA, Ideologie costituzionali della sinistra italiana (1892-1974), Roma,

1975.  

(11) Paradigmatico esempio delle c.d. proposte di modifica regolamentare - fotografia, è quella avanzata dal Presidente del Gruppo Udc-Aut-Svp del Senato (Doc. II, n. 14), a mente della quale, la costituzione di un autonomo Gruppo in deroga ai vigenti criteri (già molto elastici), e ob relationem, sarebbe ammessa quando un identico Gruppo si sia costituito presso la Camera dei deputati.  

(12) V. già S.C

URRERI, Democrazia e rappresentanza politica, Firenze, 2004, nonché, ID, I Gruppi parlamentari nella XV legislatura in Quad. Cost. n. 3 del 2006, che considera un valore mantenere una continua coerenza tra dettato

regolamentare e vicende elettorali, sostenendo dunque l'opportunità di modifiche regolamentari volte a irrigidire i requisiti di formazione dei Gruppi. Tutto ciò, peraltro, viene sostenuto dall'A. sia dall'angolazione della condizione giuridica del singolo parlamentare di fronte alla norma posta dall'art. 67 Cost., sia da quello del sistema di funzionamento dei Gruppi

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D’altro lato, lo svantaggio dell'introduzione nei Regolamenti del criterio di corrispondenza è posto in evidenza da quella parte della dottrina sensibile alle evoluzioni del panorama dei Gruppi parlamentari, nel corso di ciascuna legislatura. Questi studiosi(13) sottolineano come non sia comunque auspicabile un limite

alla creazione di Gruppi non coincidenti con liste che abbiano preso parte al confronto elettorale, se non altro perché si apporrebbero divieti incongrui alla fluidità del quadro parlamentare che faccia seguito a vicende politiche, e peraltro non solo a quelle direttamente coinvolte nel circuito fiduciario. In caso di scissioni partitiche, fusioni tra partiti, emersione di movimenti che trovino adesione tra i componenti di Gruppi parlamentari già costituitisi, le Camere sarebbero impossibilitate a riflettere evoluzioni e mutamenti del contesto politico.

In particolare, tale eccessiva rigidità nei requisiti di costituzione dei Gruppi - per adeguarsi all'evoluzione del quadro politico che, per ipotesi, venga a mutare – potrebbe paradossalmente accrescere il deficit di rappresentatività delle Camere dal quale promana l'attuale clima di disaffezione per le istituzioni parlamentari.

Ulteriori controindicazioni potrebbero scorgersi nel sovraccarico di funzioni e di capienza dei Gruppi misti di Montecitorio e Palazzo Madama che si determinerebbe qualora venisse accolta l'introduzione in forma rigida del criterio del principio. Dal momento che questo postula che ciascun parlamentare possa far parte del Gruppo corrispondente al partito di provenienza elettorale o ai Gruppi Misti, questi ultimi finirebbero, quasi in esclusiva, per accogliere i singoli parlamentari in uscita dalle compagini di prima appartenenza, con il che non solo la gestione dei Gruppi Misti si rivelerebbe ardua, ma lo stesso ruolo di Gruppo necessitato a composizione variegata e complessa, assumerebbe valenze nuove e non del tutto prevedibili quanto ai riflessi sugli istituti regolamentari.

4. Segue: modelli di codificazione del principio di corrispondenza.

Le possibilità di pervenire ad una revisione consensuale dei criteri di composizione dei Gruppi soffrono di ulteriori incertezze proprio se le si rapporta alla vigente legge elettorale e se si tiene conto del fatto che, anche qualora si concordasse sull'opportunità di rinsaldare il legame di corrispondenza tra Gruppi e soggetti elettorali, le soluzioni normative proposte sarebbero comunque molte e dagli effetti non del tutto prevedibili.

In primo luogo, vi sarebbe da assumere un presupposto di fondo per sgomberare il campo da equivoci paralizzanti. Si tratta cioè di decidere se introdurre nei due Regolamenti un principio di corrispondenza modellato sulla legge elettorale vigente, oppure cercare la via per approvare una norma regolamentare di capacità adattiva e che cioè resista agli eventuali mutamenti delle norme per l'elezione della Camera e del Senato.

Conviene brevemente ricordare che, a seguito dell'entrata in vigore della legge 21 dicembre 2005, n. 270, l'introduzione dell'articolo 14-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, postula la possibilità, per i partiti o i Gruppi politici organizzati, di determinare un legame di coalizione tra le liste rispettivamente presentate, mediante una dichiarazione di collegamento reciproca, effettuata al momento del deposito del contrassegno e che dispiega effetti per tutte le liste ad esso corrispondenti. Contestualmente, i partiti o i Gruppi politici organizzati, che si candidano a governare, depositano un unico programma elettorale, nel quale dichiarano la persona individuata come capo della coalizione. Dunque gli elementi caratterizzanti il citato articolo 14-bis sono individuabili nella presenza di liste diffuse sul territorio, in diverse circoscrizioni, nonché di più partiti (o Gruppi politici) regolarmente organizzati con un programma elettorale e propri contrassegni.

Lo studio delle proposte di riforma presentate nella XVI Legislatura mostra come la strada più battuta sia quella della riforma regolarmente adagiata in modo speculare sulla legge elettorale vigente(14), ma poi va tenuto in considerazione che anche il dibattito dottrinario testimonia divisioni su molti aspetti, compreso

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                         

nell'attività delle Camere. Si potrebbe dire, dunque, che tanto l'obiettivo di evitare la frammentazione, quanto quello di fronteggiare il transfughismo, possano trovare una soluzione univoca e opportuna, in quanto, in definitiva, si tratterebbe di problemi speculari e in certa misura complementari.  

(13) V. da ultimo,D.NOCILLA, Relazione al Seminario Astrid (di prossima pubblicazione), tenutosi a Roma il 15 marzo 2012.  

(14)  Alla categoria di proposte di modifica di adeguamento contingente (o comunque del tutto esposte all'eventualità che novelle in materia di legislazione elettorale trovino a breve spazio di approvazione) va per esempio ascritta quella presentata dai deputati Milo e altri (Doc. II, n. 6), volta ad adeguare l'articolo 14, comma 2, Reg. Camera, in materia di Gruppi in deroga, alla legge elettorale vigente. Nel cancellare il riferimento ai collegi, la disposizione che si vorrebbe introdurre tenta peraltro di svolgere una codificazione espressa di un indirizzo giurisprudenziale in parte già adottato dalla Giunta per il Regolamento della Camera, il 16 maggio 2006  

(7)

quello inerente l'opportunità e la logica sistematica di far convivere il criterio del numero minimo di costituzione dei Gruppi, con l'innesto del legame di corrispondenza con le liste e i contrassegni(15).

La vigente disciplina recata dagli articoli 14 e 15 del Regolamento del Senato e dalle omologhe norme della Camera, nel prevedere il solo limite numerico per la costituzione di un Gruppo ordinario (dieci Senatori), ha almeno la virtù di essere estremamente elastica. Con il termine si intende dire che la disposizione si adegua ad ogni legislazione elettorale in vigore in un dato momento storico.

Al contrario, la scelta di introdurre una disciplina più rigida, perché plasmata a immagine e somiglianza del "c.d. Porcellum", può aprire contraddizioni e limiti nel rapporto tra compagini parlamentari e un contesto partitico che appare fluido. In questa constatazione risiede, probabilmente, l'unica effettiva conferma alla teoria della pregiudizialità delle riforme elettorali rispetto a quelle regolamentari. Si è provato a dimostrare in altra sede(16) – e vi si tornerà in conclusione – che, dietro all'ipotesi per cui non si potrebbero approvare

modifiche regolamentari senza prima raggiungere un accordo sulla nuova legge elettorale e quest'ultimo, a sua volta, non potrebbe trovarsi senza prima procedere alla revisione costituzionale che tutti proclamano di volere, si annida il mancato approfondimento dei necessari presupposti di consenso politico alla base delle riforme.

Tuttavia, per chi mostra di credere a questa ipotesi di pregiudizialità tra procedimenti riformatori, rendere più stringenti i requisiti di composizione dei Gruppi parlamentari potrebbe fa sorgere dubbi in relazione alla riforma della legge elettorale tante volte preannunciata e anche questa, almeno a parole, da molti auspicata(17).

Si tratta allora di comprendere sino in fondo le plurime declinazioni del principio di corrispondenza cui si richiamano i riformatori.

Un primo modello di riferimento è previsto dalla proposta di modifica del Regolamento del Senato redatta dai Vicepresidenti Quagliariello e Zanda(18).

Innanzitutto, il progetto si distanzia notevolmente da quelli presentati dai due Gruppi più numerosi nel corso della prima parte della legislatura(19). Se ne potrebbe trarre la conclusione che il testo sia già il frutto di una prima mediazione politica, ma anche l'avviso che, forse, la comunanza di visione nell'avvio del XVI Parlamento repubblicano (che a prima lettura sembrava quasi assoluta) era minore di quel che potesse

                                                                                                                       

(15) V., infatti, i riferimenti sul punto in A.MANNINO, Diritto parlamentare, cit., 74 e gli spunti di diritto comparato offerti

da F. MARCELLI (cur.), Dossier del Servizio studi del Senato della Repubblica, Dai competitori elettorali ai Gruppi

parlamentari, XV legislatura, gennaio 2008, in specie, 4.  

(16) Sia concesso rinviare a D.PICCIONE, Un istante rivelatore nella XVI legislatura: miti e paradossi delle riforme

istituzionali, in Rass. Parl., 2/2012, di prossima pubblicazione.  

(17) Sui termini di questo autentico "paradosso della presupposizione tra percorsi riformatori", si tornerà infra, par. 6. In verità come oltre si dirà, proposte riformatrici volte ad integrare nei regolamenti la vigente legge elettorale, si espongono all'argomento logico-politico, per cui sarebbe un controsenso introdurre una disciplina fondata su un sistema elettorale che le forze politiche dichiarano ripetutamente di voler modificare.  

(18) Vi si legge sotto la significativa rubrica del Capo II della proposta di riforma: "Norme anti-frammentazione Art. 5. (Composizione dei Gruppi parlamentari)”

1. All’articolo 14, i commi 4 e 5 sono sostituiti dai seguenti: «4. Ciascun Gruppo parlamentare deve essere composto da almeno dieci Senatori e deve rappresentare un partito o movimento politico, anche risultante dall’aggregazione di più partiti, che abbia presentato alle elezioni del Senato della Repubblica propri candidati con lo stesso contrassegno, conseguendovi l’elezione di Senatori. Ove più partiti o movimenti politici abbiano presentato alle elezioni congiuntamente liste di candidati col medesimo contrassegno, può essere costituito, con riferimento a tali liste, comunque un solo Gruppo, che rappresenta complessivamente tutti i suddetti partiti o movimenti politici. E`ammessa la costituzione di un Gruppo risultante dall’aggregazione di partiti o movimenti che si siano presentati alle elezioni con diversi contrassegni, tra loro apparentati. I Senatori che non abbiano dichiarato di voler appartenere ad un Gruppo, formano il Gruppo misto. 5. In carenza dei requisiti di cui al comma 4, il Consiglio di Presidenza può autorizzare la costituzione di Gruppi, purchè composti da Senatori, in numero non inferiore a cinque, appartenenti a minoranze linguistiche tutelate dalla Costituzione e individuate dalla legge, i quali siano stati eletti, sulla base o in collegamento con liste che di esse siano espressione, nelle zone in cui tali minoranze sono tutelate». Art. 6.(Convocazione e costituzione dei Gruppi parlamentari). 1. All’articolo 15 sono apportate le seguenti modificazioni: a) il comma 3 e` sostituito dal seguente; «3. Possono essere costituiti nuovi Gruppi parlamentari nel corso della legislatura solo se risultanti dalla fusione di Gruppi preesistenti»;

b) la rubrica e` sostituita dalla seguente: «Convocazione e costituzione dei Gruppi parlamentari»".

 

(19) Non a caso nel Doc. II, n. 6, l'iniziativa di bandiera del Gruppo del PDL al Senato, all'inizio della legislatura, l'impianto di revisione dell'articolo 14 R.S. si basava sul tentativo, assai più rigido di quello delineato nella proposta n. 29, di far valere, salvo deroghe piuttosto rigorose, il principio per cui a ciascun contrassegno elettorale, anche ove fossero state presentate più liste congiunte, dovesse corrispondere un unico Gruppo. Di pari rigore era, del resto, la proposta contenuta nel Doc. n. 13, sottoscritta da autorevoli Senatori del Gruppo PD in Senato. Essa mirava a stabilire il pieno parallelismo tra contrassegni elettorali e Gruppi, consentendo tuttavia la formazione di un Gruppo autonomo, per le liste presentatesi con contrassegni apparentati.  

(8)

apparire. Di più, dal confronto tra questo testo e i precedenti proposti dai Gruppi PDL e PD, si ottiene conferma di quanto le ideologie regolamentari dei Gruppi siano influenzate dagli episodi, di più o meno vasta risonanza, che si succedono nel corso di ciascuna legislatura, di tal che può essere ingannevole rinvenire solide convergenze ove invece si è in presenza di transeunti accordi tattici, frutti della contingenza o di meri episodi.

L'impianto di regole per la composizione dei Gruppi, nella proposta sottoscritta da Quagliariello e Zanda, è il seguente. Si distinguono due momenti: la fase della genesi fondativa all'inizio della legislatura; le vicende che riguardano la composizione delle compagini parlamentari nel suo prosieguo. Muovendo da quest'ultimo profilo, esso verrebbe regolato in un modo apparentemente semplice e cioè ammettendo la costituzione di nuovi Gruppi nel corso dello svolgimento della legislatura, soltanto mediante fusione o aggregazione di compagini già esistenti.

Il tema dei requisiti di costituzione iniziale tende invece al rispetto fedele del principio di corrispondenza tra Gruppi e competitori elettorali. Si consente, infatti, la costituzione di Gruppi che riflettano "un partito o movimento politico, anche risultante dall’aggregazione di più partiti, che abbia presentato alle elezioni del Senato della Repubblica propri candidati con lo stesso contrassegno, conseguendovi l’elezione di Senatori".

Nell'ipotesi dell'unicità di contrassegno e quindi nel caso di più competitori elettorali congiunti tra loro con un simbolo identificativo elettorale comune, potrà "essere costituito, con riferimento a tali liste, comunque un solo Gruppo, che rappresenta complessivamente tutti i suddetti partiti o movimenti politici".Nel caso di pluralità di Gruppi con contrassegni variegati, ma tra loro apparentati, è ammessa la costituzione di un Gruppo risultante dall’aggregazione. Si stabilisce la sopravvivenza, infine, della facoltà di costituzione di Gruppi parlamentari in deroga ai requisiti ordinari, in favore dei Senatori rappresentativi di minoranze linguistiche, espressione di territori in cui esse sono tutelate.

Ora, che persistano margini di equivoco circa i due profili di analisi esposti in precedenza, lo dimostra il fatto che la nuova formulazione dell'articolo 14 sarebbe anch'essa caratterizzata da una norma che, discostandosi dall'ottica generale dei requisiti di formazione dei Gruppi, si occupa del caso – che invece concerne i singoli Senatori e quindi, come si è visto, tutt'altra problematica – in cui, in assenza di iscrizione a un Gruppo, si entra a far parte, per presunzione, del Misto.

Tale ultima disposizione è già vigente nell'art. 14 R.S. e nell'art. 14 R.C., ma sarebbe utile che essa fosse posta in disparte, anche topograficamente, rispetto alla disciplina generale delle compagini parlamentari, giacché essa contribuisce a quella confusione di fondo tra la sistematica dei diritti dei singoli parlamentari in riferimento ai Gruppi di appartenenza, e i requisiti di formazione di questi ultimi come unità organizzative determinanti per la vita delle Camere. E' anche di qui, come si è visto, che passa la separazione tra la sfera di influenza dell'art. 67 Cost. e il significato cogente dell'art. 72 Cost.

Al di là di questa notazione che, come detto, vale anche con riferimento al testo vigente dei regolamenti di Camera e Senato, la proposta avanzata dai Senatori Quagliariello e Zanda si caratterizza per due nitide caratteristiche. In primo luogo, cerca di determinare una certa continuità di panorama dei Gruppi lungo tutto l’arco della legislatura, mostrando di guardare con sospetto alla nascita di compagini parlamentari non immediatamente conseguenti le elezioni.

La seconda caratteristica di fondo attiene, invece, alla tonalità bipolare che trasuda dalla logica per cui, nel corso della legislatura, l'unica variazione strutturale ammessa rispetto al panorama dei Gruppi di inizio legislatura, è quella dell'aggregazione di due o più compagini parlamentari in una sola. Ora, se quest'ultima finalità appare per un verso fuori tempo, cioè frutto di un'ideologia di parlamentarismo che in questa temperie sembra in crisi, potrà confermarsi solo dalla direzione in cui, ancora una volta, si muoverà la modifica della legislazione elettorale.

Va però chiarito, nelle more, che a circondare questa proposta, ve ne sono altre che si muovono in direzioni diverse o anche contrapposte. E ciò sia al Senato che alla Camera dei deputati. Del resto, che la proposta sottoscritta dai Senatori Quagliariello e Zanda possa essere considerata come un tentativo di "taglio delle ali", appare con sufficiente nitore sol che si guardi all'atteggiamento, assai guardingo, tenuto dai Gruppi dell'Italia dei Valori e della Lega Nord Padania, nel corso dei lavori della Giunta per il Regolamento del Senato(20).

In particolare, il Gruppo dell'Italia dei Valori sostiene una proposta di modifica(21) orientata al rispetto assoluto del principio di corrispondenza tra Gruppi costituitisi all'inizio della legislatura e liste di partiti o coalizioni di partiti.

                                                                                                                       

(20) V. ancora Giunta per il Regolamento del Senato, sedute nn. 14 e 15 del 7 e del 15 marzo 2012.  

(21) V. Senato della Repubblica, Doc. II, n. 12, Proposta di modificazione del Regolamento del Senato, sottoscritta da tutti i Senatori appartenenti al Gruppo dell'Italia dei Valori.  

(9)

In coerenza con tale obiettivo ci si spinge a proporre una variante per cui: "i Senatori eletti in rappresentanza di uno stesso partito o della stessa coalizione di partiti non possono contribuire alla formazione di Gruppi diversi ..[...]".

Correttamente, alcuni commentatori(22) hanno posto in risalto la portata stringente e, al contempo, innovativa di questa proposta, dato che essa non solo declina il principio di corrispondenza in modo fermo, ma sviluppa anche clausole inibitorie che precludono direttamente la piena facoltà del singolo parlamentare di domandare l'iscrizione a qualunque Gruppo che non sia quello coincidente con il partito o la coalizione nelle cui liste è stato eletto; il che, tuttavia, riconduce alle perplessità di metodo e di praticabilità politica che si sono esposte in precedenza (V. supra, par. 2)(23).

Del pari, il criterio di appartenenza alla medesima formazione partitica o alla stessa coalizione, finisce per non ammettere deroghe, così che si cerca di imprigionare il transfughismo parlamentare codificando il principio per cui al singolo Senatore residuerebbe solo l'alternativa netta tra il proprio Gruppo di estrazione coincidente con il competitore elettorale e l'iscrizione al Misto. Corredano l'impianto di questa proposta l'abrogazione dell'ipotesi di costituire Gruppi in deroga e il divieto di istituire componenti all'interno delle formazioni parlamentari.

Infine, l'impostazione più aderente al criterio metodologico di separare (ma contemperare) i diritti alla mutazione di appartenenza dei singoli parlamentari e di razionalizzare la formazione dei Gruppi medesimi, imponendone l'unità politica di provenienza dei componenti, si rinviene nelle proposte con cui si introducono norme per cui i parlamentari che aderiscono "ad un Gruppo non corrispondente al contrassegno con riferimento al quale sono stati eletti, non sono computati ai fini del numero minimo richiesto per la costituzione del Gruppo e per la sua permanenza"(24).

Inoltre, il panorama delle proposte di modifica della disciplina per la costituzione dei Gruppi parlamentari, depositate presso i due rami, è ricco di iniziative volte a rafforzare il principio di corrispondenza in modo più o meno rigoroso, a sopprimere o restringere la facoltà di costituire Gruppi in deroga e, talvolta - ma si tratta di proposte che risentono di un clima di inizio legislatura ormai superato -, vietano espressamente che liste accomunate dal medesimo contrassegno, formino più di un Gruppo parlamentare(25).

5. Ragioni ed effetti del silenzio e della stasi sulla legislazione di contorno.

Flebili cenni si avvertono, invece, circa le istanze di ripensamento delle forme di organizzazione dei Gruppi parlamentari nelle due Assemblee e cioè a dire della disciplina concernente le strutture, il finanziamento e le risorse amministrative. In proposito, conviene solo accennare le questioni che rimangono ancora aperte, sul piano teorico e applicativo, e registrare le molte difficoltà nell'intravederne la soluzione.

E' noto che entrambi i Regolamenti disciplinano la struttura dei Gruppi all'insegna di un minimalismo che tradisce la prudenza, del tutto comprensibile negli estensori dei regolamenti parlamentari, nel non affrontare e magari contribuire a decidere la secolare querelle circa la loro natura di organi dei Partiti o di organi delle Camere(26). Attualmente, il Regolamento del Senato prevede laconiche norme concernenti la struttura dei Gruppi parlamentari, prevedendo che essi si dotino di un Presidente, di uno più Vice Presidenti ed uno o più

                                                                                                                       

(22) A.P

ERTICI, Semplificazione e razionalizzazione dell'organizzazione e del funzionamento delle Camere nelle proposte di riforma dei Regolamenti parlamentari della XVI legislatura, in E. GIANFRANCESCO,N.LUPO, La riforma dei regolamenti parlamentari al banco di prova della XVI legislatura, cit., 278.  

(23) Ai rilievi esposti nel testo va aggiunto, comunque, che al Senato ogni disposizione che apponesse espliciti divieti di iscrizione ai Senatori, anche se volti a manutenere la corrispondenza tra liste/coalizioni e Gruppi, dovrebbe tenere conto anche dell'istituto dei Senatori di diritto e a vita, la cui posizione, rispetto a quella degli eletti, verrebbe ad essere significativamente sperequata.  

(24) Così alla Camera dei deputati, il Doc. II, n. 9, a firma dell'on. Bressa e altri Deputati del Gruppo del Partito democratico, in cui, coerentemente, anche le componenti del Gruppo Misto vengono sottoposte a requisiti di costituzione numericamente più selettivi e, comunque, improntati al principio di corrispondenza.  

(25) Ci si riferisce principalmente a Camera dei deputati, Doc. II, n. 1, Proposta di modificazione dell'articolo 14 del

Regolamento della Camera, d'iniziativa dei deputati Veltroni ed altri, presentato il 20 maggio 2008. Ne appare evidente la

natura reattiva di fronte alle vicende che portarono l'Italia dei Valori a costituire, all'avvio della XVI legislatura, Gruppi autonomi presso le due Assemblee e a non aderire alle richieste di dare vita a soggetti unitari con i Parlamentari del Partito Democratico, secondo l'impostazione di un fronte di opposizione con al centro un partito "a vocazione maggioritaria". Coerentemente, la proposta innesta(va) nel tessuto regolamentare della Camera dei deputati chiari limiti anche nella possibile costituzione dei correnti nel Gruppo Misto, condizionandone l'esistenza al doppio requisito - numerico e identitario - di dieci deputati uniti sotto il medesimo contrassegno e tutti iscritti, appunto, al Misto.  

(26) Riassunto sul punto, in A.CIANCIO, I Gruppi parlamentari, (Studio intorno a una manifestazione del pluralismo politico), Milano 2008, 30 e 31.  

(10)

Segretari (art. 15 R.S.). Delle nomine (rectius: elezioni) di questi soggetti, si impone la comunicazione pubblica all'Assemblea.

L'art. 15 R.C., invece, delinea meglio il nucleo organizzativo dei Gruppi, se non altro perché accanto al Presidente, impone che vi siano vicepresidenti e un comitato direttivo, per poi occuparsi dell'individuazione dei deputati vicari del Capogruppo, che ne svolgano le funzioni e ne esercitino i poteri in sua assenza. Inoltre, in logica coerenza con la rilevanza delle componenti del Gruppo Misto, l'art. 15-bis ne regola dettagliatamente l'organizzazione fondata sulla rappresentatività e la proporzionale valorizzazione di ciascuna componente in base alla consistenza numerica.

D'altra parte l'art. 53, comma 7, R.S. - che non trova contraltare nella disciplina del Regolamento della Camera - svolge un'incursione nell'autonomia disciplinare delle compagini dei Senatori, imponendo che i Regolamenti interni dei Gruppi "stabiliscano procedure e forme di partecipazione che consentano ai singoli di esprimere i loro orientamenti e presentare proposte sulle materie comprese nel programma dei lavori o comunque all'ordine del giorno".

Rispetto a questi impianti di disciplina, la XVI Legislatura ha fatto registrare modeste spinte da parte di Senatori e Deputati ad assecondare alcune istanze che si ritiene avvertite dall'opinione pubblica. Di qui le proposte, avanzate da taluni "backbenchers" del Senato e della Camera, da un lato per rendere ostensibili i bilanci e i regolamenti interni di ciascun Gruppo(27); dall'altra per disciplinare la corresponsione dei contributi economici in favore dei Gruppi medesimi unicamente "in proporzione alla consistenza all'inizio della legislatura"(28).

E però se non vi è da dubitare che queste microproposte non troveranno spazi di esame e meno che mai di approvazione, vi è comunque da dire che il tema dei contributi ai Gruppi parlamentari meriterebbe di essere attentamente esaminato, a cominciare dal sistema delle fonti che presiede al suo funzionamento.

L'unica traccia che si scorge nel vigente Regolamento del Senato, risiede nell'articolo 16, secondo il quale i contributi in favore dei Gruppi vengono versati in modo differenziato in relazione alla consistenza numerica dei Gruppi medesimi(29).

Presso la Camera la norma è più sfumata e bilanciata perché l'erogazione dei contributi a carico dell'Assemblea parlamentare, si fonda su due criteri potenzialmente anche in conflitto e cioè "in relazione alle esigenze di base comuni e della consistenza numerica di ciascun componente". L'ellittica formula, che per comune esegesi garantisce una quota fissa e demanda quindi solo l'erogazione della quota restante al criterio di proporzionalità sulla base della consistenza, rinvia però a un problema più generale che, sino ad ora, non ha trovato la dovuta attenzione, come si evince dalla scarsità di iniziative di intervento normativo.

Il profilo di interesse è che, sempre per via della loro collocazione al crocevia tra le Assemblee come istituzione e i partiti politici privi di una disciplina legislativa sistematica di sviluppo dell'articolo 49 Cost., i Gruppi si trovano ad essere riguardati in varia veste da una congerie di norme altamente disorganica quanto a natura (legislativa, regolamentare, regolamentare minore). Soprattutto numerose disposizioni elevano i Gruppi a parametro e requisito per l’ottenimento di rimborsi e finanziamenti del più vario genere, in favore degli attori politici che in essi si riconoscono.

Ciascuna di queste norme, peraltro, si caratterizza per essere a sua volta retroagente e cioè prima di tutto di influire sulla formazione e la costituzione degli stessi Gruppi parlamentari e poi, in seguito, di riflettere effetti economici e organizzativi di variabile impatto, verso i partiti politici, verso le scelte di appartenenza dei singoli parlamentari, nei riguardi dei procedimenti elettorali e dei candidati alle elezioni del più vario genere, nonché sul finanziamento delle testate giornalistiche e dei mezzi di comunicazione di massa.

                                                                                                                       

(27) E' questo il contenuto della proposta contenuta nell'atto del Senato della Repubblica, Doc. II, n. 32, a firma del Senatore Astore (Gruppo Misto), con cui si propone l'introduzione, nell'art. 15 R.S., delle seguenti disposizioni:

"2-bis. Al momento della loro costituzione, i Gruppi trasmettono i loro Regolamenti interni alla Presidenza del Senato che provvede a comunicarli all’Assemblea.

2-ter. All’inizio di ogni anno solare i Gruppi trasmettono i propri bilanci preventivi e consuntivi alla Presidenza del Senato che provvede a comunicarli all’Assemblea".

 

(28) V. Camera dei deputati, Doc. II, n. 17, a firma del Deputato De Girolamo (PDL), che tende all'introduzione della seguente norma: "Ai fini dell'assegnazione dei contributi a carico del bilancio della Camera di cui al comma 3 si ha

riguardo esclusivamente alla consistenza numerica dei Gruppi risultante all'inizio della legislatura". La relazione del

documento sembra far riferimento all'intento di scoraggiare il transfughismo parlamentare da un Gruppo all'altro, precludendo al deputato in transito di portare con s[ la dote di finanziamento che deriva dall'accrescimento numerico del Gruppo in cui si va ad iscrivere.  

(29) La formulazione della norma non è nettissima, ma sembra comunque indicare un principio unico cui commisurare i finanziamenti; ma sul punto vale sottolineare che nella citata proposta di modifica regolamentare firmata dai Senatori dell'Italia dei Valori (Doc. II, n. 12), l'articolo 16 viene riscritto enfatizzando il principio per cui i finanziamenti sono erogati esclusivamente in proporzione alla consistenza numerica di ciascun Gruppo.

(11)

Per quel che qui rileva e cioè agli effetti che questa disorganica "legislazione di contorno"(30) determina nei riguardi dei Gruppi parlamentari, non pare esservi dubbio che essa si risolve in un costante incentivo tentatorio al frazionismo e costituisce un ostacolo occulto all’inserimento, nel sistema regolamentare dei Gruppi, del principio di corrispondenza.

Sulle prospettive di riforma di questa decisiva "legislazione di contorno" si possono sinteticamente esporre tre sommarie considerazioni.

La prima è che certamente l'attuale disciplina è fondamentalmente improntata a schemi pluripartitici e frazionistici assai solidi, premiando la stessa sola presenza di un Gruppo in Parlamento - talvolta persino di un unico Deputato o Senatore - concedendogli, quindi, la facoltà di ottenere forme di agevolazione nella gestione delle campagne elettorali, sgravando i concorrenti dalla raccolta delle firme(31), conferendo titolo a sovvenzioni e finanziamenti per la stampa di partito senza alcun effettivo criterio di selezione(32), garantendo

il rimborso delle spese elettorali per il rinnovo della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica(33). La seconda considerazione è che questo reticolato di discipline legislative non si integra con quello dei Regolamenti, ma anzi ne rende più difficoltosa la riforma, costituendo storicamente un indubbio fattore di resistenza ad ogni tentativo compiuto di trasformazione in chiave bipolare o maggioritaria, che invece ha costituito, come si è visto, una delle principali direttrici di intervento dei fautori delle riforme regolamentari, almeno per la prima parte della XVI legislatura.

Il terzo rilievo è che in una fase di eclissi delle forme partitiche per come le si è conosciute nell’ultimo ventennio, questi corollari legislativi connessi ai Gruppi meriterebbero forse di essere compiutamente rivisti in sede di esame delle iniziative legislative in materia di partiti politici e movimenti, attualmente in corso presso la Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati(34). Ad un'analisi sommaria e

                                                                                                                       

(30) L'espressione è impiagata da A. CIANCIO, I Gruppi parlamentari (Studio intorno a una manifestazione del pluralismo politico), cit., 185.  

(31) V., a titolo esemplificativo, la soluzione prescelta, nel finale della XV legislatura, con l’art. 4 del d.l. 15 febbraio 2008, n. 24, convertito dalla l. 28 febbraio, n. 30, che risparmiava, ai competitori elettorali per le elezioni politiche che poi avrebbero dato vita alla legislatura ora in corso, l’onere di raccolta delle sottoscrizioni per il deposito delle liste rappresentative di partiti politici presenti in Parlamento con almeno due componenti, ovvero presenti, sempre con due componenti, al Parlamento europeo. Interventi di tal fatta non si sottraggono ad una duplice condanna sia in termini di ragionevolezza intrinseca, sia in termini di incentivo alla delegittimazione del legame tra Gruppi e partiti. Sul primo versante, è del tutto incomprensibile il criterio seguito per consentire di evitare la raccolta delle sottoscrizioni, salvo prendere atto che si trattò di una disposizione che, ricalcando l’esistente, era intesa a consentire a tutti i rappresentati (o quasi, viste le polemiche dovute a talune, inaspettate esclusioni), di beneficiare dello sgravio della raccolta, senza curarsi in alcun modo: del principio di corrispondenza effettivo; della consistenza numerica dei Gruppi, delle norme regolamentari che regolavano lo statuto dei Gruppi e delle componenti del Misto, presso Camera e Senato. Sotto il versante della legittimazione del legame tra Gruppi e Partiti, disposizioni di tal fatta rafforzano il grado di separazione tra forze politiche già (in qualunque modo) rappresentate alle Camere, e nuovi competitori elettorali che ne fossero esclusi, con l’ulteriore effetto di ostacolare ogni forma di ricambio e rafforzare il convincimento che la legislazione in materia sia sovente contrassegnata da una logica di autoreferenziale tutela degli esponenti delle Camere.  

(32) V., ex multis, l’art. 153, comma 2, l. 23 dicembre 2000, n. 238, che condiziona l’erogazione in favore di imprese editrici di quotidiani e periodici, anche telematici, i quali, oltre che attraverso specifica menzione riportata in testata, risultino essere organi o giornali di forze politiche che possano contare su un proprio Gruppo in una delle Camere.  

(33) I commi 2 e 3 dell'art. 9 della l. 10 dicembre 1993, n. 515, come risultanti da ripetute modificazioni, dispongono: "2. Il fondo per il rimborso delle spese elettorali per il rinnovo del Senato della Repubblica è ripartito su base regionale. A tal fine il fondo è suddiviso tra le regioni in proporzione alla rispettiva popolazione. La quota spettante a ciascuna regione è ripartita tra i Gruppi di candidati e i candidati non collegati ad alcun Gruppo in proporzione ai voti conseguiti in ambito regionale. Partecipano alla ripartizione del fondo i Gruppi di candidati che abbiano ottenuto almeno un candidato eletto nella regione o che abbiano conseguito almeno il 5 per cento dei voti validamente espressi in ambito regionale. Partecipano altresì alla ripartizione del fondo i candidati non collegati ad alcun Gruppo che risultino eletti o che conseguano nel rispettivo collegio almeno il 15 per cento dei voti validamente espressi. 3. Il fondo per il rimborso delle spese elettorali per il rinnovo della Camera dei deputati è ripartito, in proporzione ai voti conseguiti, tra i partiti e i movimenti che abbiano superato la soglia dell'1 per cento dei voti validamente espressi in àmbito nazionale. Il verificarsi di tale ultima condizione non è necessario per l'accesso al rimborso da parte dei partiti o movimenti che abbiano presentato proprie liste o candidature esclusivamente in circoscrizioni comprese in regioni il cui statuto speciale prevede una particolare tutela delle minoranze linguistiche. Per il calcolo del rimborso spettante a tali partiti e movimenti si attribuisce a ciascuno di essi, per ogni candidato eletto nei collegi uninominali, una cifra pari al rimborso medio per deputato risultante dalla ripartizione di cui al primo periodo del presente comma".

(34) Al momento in cui si scrive, la Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati sta esaminando il testo unificato, adottato come testo base, il cui titolo dispone: "Attuazione dell'articolo 49 della Costituzione". L'articolo 5 del testo, che regola i presupposti in base ai quali può dirsi cessato un partito politico - il che comporta, tra l'altro, la perdita del diritto ai rimborsi delle spese elettorali - rappresenta l'unica norma che, timidamente, potrebbe avere riflessi indiretti sulla condizione generale dei Gruppi, poichè esclude, se non altro, che le vicende di questi ultimi sortiscano

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