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12. Martine Gilsoul, Maria Montessori, sostenere la mente matematica

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Maria Montessori: sostenere la mente matematica

Martine Gilsoul

Io stessa non voglio essere salutata come la grande educatri-ce di questo secolo: io non ho fatto altro che studiare il bam-bino, e ricevere ed esprimere ciò che egli mi ha dato, e che viene chiamato il Metodo Montessori.

Tutt’al più io sono l’interprete del bambino.1

Che cosa hanno in comune una cittadina del Kerala, una scuola della periferia ele-gante di Chicago e le scuole cattoliche della diocesi di Sydney? Una donna. Ma non una qualsiasi. Una donna che ha rivoluzionato la visione del bambino, la concezio-ne dell’aula scolastica, il ruolo dell’insegnante… Una donna il cui nome è famoso quanto la pedagogia che indica è spesso criticata: Montessori. L’ampiezza delle sue scoperte, oltre il fatto che molte di esse siano confermate dagli ultimi sviluppi delle scienze cognitive, fa sì che i suoi seguaci siano numerosi come i suoi detrat-tori: quelli che sono permeati da uno spirito idealista apprezzeranno le sue sco-perte psicologiche, mentre quelli che disprezzano il suo materiale si focalizzeranno sulla sua visione del bambino.

Tuttavia si deve riconoscere il torto che viene fatto quando la sua visione pedago-gica innovativa è ridotta ad un mero metodo. Come la Montessori affermava nel 1934, «devo dirvi che non è esattamente un metodo. Questo è il nome usato dagli Americani nel loro desiderio di semplificare le cose».2 Certamente, questo «meto-do» è unico, pensato nei minimi dettagli, frutto di un’esperienza scientifica e di un’osservazione attenta iniziata più di un secolo fa su bambini del mondo intero. Ma Maria Montessori è molto più che l’ideatrice di una tecnica educativa efficien-te, le dobbiamo una comprensione nuova e profonda del «nuovo bambino» che ha visto emergere quando questi è potuto evolvere in un ambiente di un certo ti-po.

Osservando i bambini di quattro o cinque anni al lavoro in una Casa dei Bambini, si può credere di essere in un altro mondo. Pochi giocattoli, ma bambini immersi a

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M. Montessori, Educazione per un mondo nuovo, p. 17.

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lungo in lavori veri e propri: lavaggio di tavoli, piatti, travasi di diverse materie che richiedono concentrazione… e poi bambini che lavorano con piacere componendo parole, studiando la grammatica, o facendo operazioni su decine, migliaia, e tutto questo senza essere minimamente forzati dall’adulto. In effetti la Montessori af-ferma: «più complicato è l’argomento, maggiore è l’entusiasmo del bambino».3 Spesso le attività di matematica sono le più amate dai bambini, siamo quindi lon-tani dal «mathematical idiot»4 o dell’analfabetismo matematico che tanti lamen-tano. Dopo un breve ritratto della Montessori ci dedicheremo alla presentazione della matematica vista al modo montessoriano e di alcune attività pensate per la scuola dell’infanzia.

Dalla matematica alla pedagogia passando dalla medicina

Da bambina Maria Montessori non voleva essere maestra e da adulta non le pia-ceva essere chiamata pedagogista, ma una cosa è certa: le piapia-ceva la matematica. Dopo avere scelto l’indirizzo fisico-matematico presso l’Istituto Tecnico, la sua passione per questi argomenti la convincerà ad abbandonare gli studi intrapresi presso la Facoltà di Ingegneria dopo due anni. Il motivo? «Il programma di mate-matica offertole non è abbastanza interessante e stimolante per lei»,5 e si iscrive a Medicina. In effetti, è una delle prime donne a laurearsi in Medicina in Italia nel 1896. Ha dovuto andare oltre non pochi ostacoli, iniziando dall’opposizione del padre che avrebbe preferito una figlia maestra, passando alla sua ripulsione di fronte ai cadaveri e agli scherzi di cattivo gusto dei colleghi gelosi del suo succes-so.

Mentre esercita come medico in una clinica psichiatrica, non si risparmia per i po-veri, andando a visitarli a domicilio e cucinando per loro. Sua madre custodiva le numerose lettere di questi pazienti bisognosi che ringraziavano sua figlia per le cu-re ricevute gratuitamente, come per esempio due gemelli neonati che aveva sal-vato della morte.

3 M. Montessori, Educazione per un mondo nuovo, p. 24.

4 Mandler citato da Donaldson, Come ragionano i bambini, p. 110.

5 C. Grazzini, «Il binomio di Newton. Maria Montessori e l’algebra», Il Quaderno Montessori,

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Negli incontri significativi che hanno guidato la sua strada verso la medicina e poi l’educazione, si trovano sempre dei bambini. La sua fedele amica e discepola, An-na Maria Maccheroni, afferma che è la visione di un bambino affasciAn-nato da un pezzo di carta rossa tenuto in braccio da sua madre mendicante che la spinse ad iscriversi a medicina.

Durante una visita in un asilo psichiatrico si rende conto della disperazione dei bambini rinchiusi in condizioni deplorevoli e la cui unica occupazione consisteva nel giocare con le briciole di pane. Questo triste spettacolo le fa capire che erano affamati non tanto di cibo, ma di esperienze concrete: si tratta quindi di un pro-blema pedagogico e non medico. Lo studio dei problemi dei bambini «idioti» le fa conoscere i lavori di Itard e Séguin. La sua formazione in medicina le ricorda l’importanza dell’osservazione precisa e sistematica del bambino per prevenire deviazioni nello sviluppo. Nei primi corsi di formazione diverse lezioni sono dedi-cate alla misurazione dei bambini. Con gli anni ella si allontanerà di questa visione, perché capisce che la vera pedagogia scientifica deve trasformare il bambino. Nel 1900 inizia ad insegnare igiene e antropologia alla Facoltà di Magistero ed è nominata direttrice dell’istituto Ortofrenico per formare insegnanti che lavore-ranno con i bambini «deficienti». In questo istituto, che accoglie una ventina di bambini, viene usato il materiale ideato da Séguin con le modifiche della Montes-sori. A seconda dei loro problemi, i bambini ricevono stimoli sensoriali per sveglia-re le loro percezioni, oppusveglia-re seguono il cursus tradizionale usando un materiale specifico dove viene dato un posto importante al lavoro manuale. In soli tre mesi i cambiamenti sono importanti e alcuni bambini ricevono voti più alti dei bambini «normali» all’esame che è destinato a questi ultimi. Questo fatto la spinge a farsi numerose domande sul funzionamento della scuola, che ha consentito a bambini con più capacità di prendere voti inferiori a bambini considerati «idioti». Contem-poraneamente approfondisce la conoscenza dell’uomo con lo studio della peda-gogia (Pereira, Pestalozzi, Froebel…), della filosofia e dell’antropologia.

«Il dovere della scuola, del maestro è di aiutare, non giudicare […] il lavoro menta-le non esaurisce, anzi nutre; è cibo allo spirito»: queste e simili affermazioni fatte durante le sue lezioni di Antropologia lasciano intravedere quanto la sua visione fosse atipica per l’epoca, ma mostrano anche il carisma che la abitava e la rendeva

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capace di parlare al cuore delle sue allieve; una di loro ricordava: «Queste lezioni ci fanno sentire il desiderio di essere buone».6

Grazie alla Società dei Beni Stabili ha la possibilità di concretizzare le sue idee pe-dagogiche. Nella zona di San Lorenzo, che descrive come «il regno del crimine e della prostituzione», si vuole ridare dignità ai palazzi non terminati, occupati da popolazioni povere in cerca di lavoro. Uno dei problemi viene del fatto che i bam-bini piccoli sono lasciati vagare tutto il giorno e rischiano di degradare gli ambienti comuni appena restaurati. Si dà alla Montessori una stanza per accogliere questi bambini «selvaggi e non civili». La prima Casa dei Bambini apre le porte il 6 genna-io 1907. A quell’epoca il suo metodo non esisteva, c’erano solo grandi tavole di le-gno e alcuni materiali che aveva usato con i bambini «deficienti». La maestra, figlia del custode, è scelta perché non ha nessuna preparazione pedagogica e riceve l’ordine di osservare i bambini senza interferire. La Montessori stessa si recava lì una sola volta a settimana. In pochi mesi la trasformazione dei bambini è palese: si comportano bene, hanno sempre voglia di lavorare e rapidamente imparano a leggere, come le madri, analfabete, avevano chiesto alla Montessori. Il risultato stupisce tutti. Dei visitatori affluiscono dal mondo intero per vedere questo prodi-gio, mentre altre Case dei Bambini aprono a Roma e a Milano. Con l’aiuto dei ba-roni Franchetti pubblica il libro Il metodo della pedagogia scientifica applicata

all’educazione infantile, dove descrive la sua esperienza. Questo libro sarà

tradot-to in diverse lingue e seguitradot-to da numerosi altri.

Per rispondere alle molte richieste sono organizzati due corsi di formazione nazio-nali, che diventano corsi internazionali di diversi mesi. Il primo corso internaziona-le si svolge dal 16 gennaio al 15 maggio 1913 nel domicilio della Montessori e ac-coglie una novantina di studenti provenienti dal mondo intero.

La Montessori sarà una viaggiatrice instancabile per il bene del bambino. Farà tre viaggi negli Stati Uniti, dove la prima volta le è organizzato un vero e proprio tour (1913) e la seconda volta un’aula di vetro viene allestita durante l’esposizione uni-versale di San Francisco (1915). In Europa trascorre molto tempo in Spagna, in In-ghilterra e in Olanda, dove risiederà ufficialmente dopo la sua partenza forzata dall’Italia a causa delle sue divergenze con Mussolini. In effetti, questi pensava di

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poter approfittare dal successo del metodo nel mondo per dare un’immagine po-sitiva dell’Italia, mentre la Montessori e suo figlio speravano di poter contare sul sostegno di Mussolini per sviluppare una rete di scuole in Italia. Ma diventa rapi-damente ovvio che un’intesa non è possibile: la sua visione del bambino e del-l’educazione, come le sue idee sulla pace, non si possono in nessun modo abbina-re con le intenzioni del Duce. La Montessori e alcune suoi collaboratrici saranno pure pedinate.

Se non è possibile qui elencare i suoi numerosi spostamenti, non si può non parla-re della sua lunga permanenza in India, dove si parla-reca nel 1939 per rispondeparla-re al-l’invito della Società di Teosofia. Con lo scoppio della guerra non può spostarsi li-beramente e vi rimane fino al 1947. Sfrutterà la situazione per diffondere il suo pensiero, formare numerosi insegnanti ed approfondire le sue conoscenze per ri-finire la parte dedicata all’educazione cosmica.

È in Italia di nuovo nel 1949 per il primo congresso Montessori internazionale do-po la guerra, La formazione dell’uomo nella ricostruzione mondiale, e dà l’ultimo corso di formazione a Perugia dove sarà fondato un centro diretto da Maria Anto-nietta Paolini. Muore in Olanda nel 1952, all’età di 82 anni, dopo aver chiesto a suo figlio di portarle un atlante per individuare con esattezza dove si trova il Gha-na, paese dove è stata invitata per dare una formazione.

Il «nuovo» bambino

La conoscenza profonda del bambino che deriva dalla sua lunga osservazione ab-bozza un ritratto che si avvicina quasi ad una meditazione, dove abbina la lucidità alla tenerezza, senza nessuna affettazione. È abitata da una fiducia profonda nella bontà del bambino e una fede senza limiti nei tesori nascosti nella sua anima. La sua visione di un bambino serio e lavoratore è spesso lontana da quella che da so-lito hanno gli adulti. Perfezionarsi, lavorare, amare: tali sono le leggi iscritte nel cuore del bambino secondo Maria Montessori. Esse lo rendono sempre attivo, perché il bambino porta in sé l’interesse per l’attività, l’esplorazione e la cono-scenza. Queste leggi si rivelano quindi essere un istinto prezioso che agisce come una guida naturale per sostenere la sua crescita. Le direttive del suo sviluppo sono però iscritte in lui in potenza, sono molto delicate nei loro tentativi di

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realizzazio-ne. Possono essere quindi facilmente sviate o rovinate da interventi inutili dell’adulto, che troppo spesso vede solo l’efficacia del risultato esteriore.

Maria Montessori fu una delle prime a considerare il bambino come una persona vera e propria e non come un non-ancora-adulto. Ciò implica un maggiore rispetto del suo ritmo e delle sue aspirazioni, ma anche dei bisogni che in lui si vedono emergere.

È quindi essenziale rispettare la vera natura dell’uomo: il corpo deve essere lo strumento dello spirito. È quindi necessario che l’attività muscolare e intellettuale procedano dall’interno e che il metodo dia il primato allo spirito e alla coscienza. È per questa ragione che rigetta le forme di insegnamento concreto che impantana-no il bambiimpantana-no nel sensibile col pretesto di passare tramite i sensi, ma che troppo spesso si limitano ad essi. Si obietta spesso che i bambini montessoriani sono liberi di fare tutto ciò che vogliono. Non vi è niente di più falso: vi sono poche regole che costituiscono l’ambiente di lavoro, ma queste sono invalicabili. Il disordine, il dilet-tantismo e il fai-da-te facevano inorridire Maria Montessori: per lei, tutto deve es-sere pensato e niente lasciato al caso. Questo è uno dei motivi che spiega la sua diffidenza nei confronti dell’Educazione nuova.

La sua osservazione dello sviluppo del bambino le consente di identificare diversi

periodi sensibili (ordine, linguaggio, raffinamento dei sensi), durante i quali il

bambino è come spinto irresistibilmente da una sensibilità verso una caratteristica presente nell’ambiente. Se è sostenuto durante questo periodo, l’apprendimento si farà in profondità e in modo più facile, altrimenti questa potenzialità rischia di affievolirsi e di non diventare una competenza.

La metafora dell’embrione spirituale è veramente rivelatrice dello spirito che gui-da e fa vivere il «Metodo». Essa significa che il bambino è in procinto di incarnarsi e deve per questo avere la possibilità di vivere per sé stesso in un ambiente adat-to: come l’embrione fisico ha bisogno di essere protetto nel grembo materno, l’embrione spirituale ha bisogno di un ambiente esterno animato, vivificato dall’amore, ricco di alimenti che non ostacolino il suo sviluppo.

La libera scelta dell’attività è un principio cardine nell’ambiente Montessori: qui la volontà è una forza naturale che spinge verso la crescita e che implica uno scopo da raggiungere e una difficoltà da vincere. Il bambino ha il diritto poi di ripetere questa attività quante volte desidera, per sviluppare la coscienza della propria

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a-zione e i risultati provocati. Abbiamo la prova che il bambino sta crescendo quan-do lo vediamo ripetere un esercizio, perché ciò significa che egli ha trovato la ri-sposta ad un suo bisogno interiore. Da qui anche la richiesta espressa ai maestri di non disturbare mai i bambini concentrati nel loro lavoro. Si racconta che in una delle prime Case dei Bambini una visitatrice che nutriva dubbi sul metodo Mon-tessori chiese ad un bambino: «Allora qui potete fare tutto ciò che volete?»; lui ri-spose «No, noi vogliamo ciò che facciamo».

Invitando i bambini ad imparare da soli, a guidare le loro azioni, a dirigere la loro volontà, la Montessori vuole aiutarli a non cedere alla facilità di seguire il gregge senza farsi domande. Il contesto storico nel quale sviluppò il suo pensiero spiega l’importanza che attribuisce a questo principio.

La mente assorbente del bambino è anche un modo diverso di indicare quanto l’ambiente sia importante, perché il bambino si nutre e si impregna di questo am-biente nel quale vive. La si potrebbe riassumere con sei parole: lavoro, silenzio, concentrazione, disciplina attiva, pace e libertà. Il bambino per esempio è libero di spostarsi e di parlare sottovoce, a patto di non disturbare gli altri. Esiste un solo esemplare di ogni tipo di materiale: questo aiuta i bambino ad aspettare che esso si liberi per poterlo prendere. In una società nella quale i bambini hanno sùbito ciò che vogliono, ciò insegna loro la pazienza e la gestione della frustrazione. I bambi-ni sono responsabili dell’ordine: sanno che devono rimettere in ordine e al proprio posto ogni materiale con il quale hanno lavorato.

Maria Montessori è quindi favorevole ad un’educazione endogena da cui conse-gue l’autoeducazione con la liberazione delle forze interiori del bambino. I risultati osservati sono pressoché uguali nei diversi continenti: ciò ci fa capire che ella si è avvicinata al mistero ontologico del bambino. È molto commovente sentire geni-tori indiani di una scuola pubblica Montessori che accoglie bambini poveri condi-videre la loro sorpresa di fronte ai grandi cambiamenti accaduti nei propri figli in solo tre mesi.7

L’adulta è il trait d’union tra l’ambiente e il bambino. Il suo ruolo è più umile: troppo spesso l’adulto cede alla tentazione di credere che tutto dipenda da lui, che egli sia il creatore del bambino. Qui all’adulto non tocca guidare l’attività del

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bambino presentandosi come il modello, ma creare intorno a lui un ambiente preparato, sicuro e sereno dove il bambino possa trovare le risposte ai suoi biso-gni interiori, alle sue spinte verso la conoscenza. Il suo compito è quindi diverso ma non meno importante: gli tocca osservare attivamente, allestire l’ambiente e presentare al bambino i lavori che pensa possano rispondere ai suoi bisogni del momento. In una parola, deve rispondere alla domanda del bambino: «Aiutami a fare da solo».

Superare un pregiudizio

Uno dei punti di forza che può spiegare i risultati ottenuti durante più di un secolo con la pedagogia Montessori è il fatto che ella non ha calato un programma dall’alto secondo teorie psicologiche alla moda, come troppo spesso si fa, ma è partita della sua osservazione dei bambini e delle loro reazioni di fronte alle sue proposte. Ha dovuto anche andare oltre certi suoi pregiudizi nel campo della ma-tematica:

Come tutti, in generale, avevo il pregiudizio che l’aritmetica presentasse grande difficoltà e che fosse assurdo attendersi più del risultato ottenuto in età così pre-coce [Avevamo limitato la matematica alle quattro operazioni fondamentali, nell’ambito dei primi dieci numeri]. L’esperienza, infatti, dimostrava uno scarso in-teressamento dei bambini, in confronto all’entusiasmo e ai risultati sorprendenti ottenuti col linguaggio grafico. Questo superiore interessamento allo studio della lingua confermava apparentemente il pregiudizio circa la difficoltà e l’aridità dell’aritmetica. Frattanto avevo preparato per i bambini più grandi delle scuole e-lementare un materiale, che rappresentava i numeri sotto forme geometriche e con oggetti mobili, i quali avrebbero permesso alcune combinazioni con i numeri. […] Ora avvenne che alcuni bambini di circa quattro anni fossero attratti da quegli oggetti tanto brillanti, così facilmente maneggevoli e trasportabili e, con nostra grande sorpresa, incominciarono ad usarli, come avevano veduto fare ai più gran-di. Ne risultò di conseguenza un tale aumento d’entusiasmo per il lavoro con i numeri e specialmente col sistema metrico decimale, che, a dir vero, gli esercizi a-ritmetici furono tra i preferiti. I bambini di quattro anni componevano numeri fino a 1000. E in seguito, nei bambini da cinque a sei anni, lo sviluppo divenne

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vera-mente meraviglioso, tanto che oggi bambini di sei anni possono compiere le quat-tro operazioni su numeri di molte migliaia di unità. […].8

L’atteggiamento dei bambini mentre lavorano rivela che essi trovano in questi lvori ciò che serve proprio alla loro età e manifestano potenzialità che non ci si a-spetta da parte di bambini così piccoli: concentrazione, facoltà ragionativa, com-prensione. Come tutte le discipline, anche la matematica è considerata da Maria Montessori come un «ramo di coltura» che ha come finalità il potenziamento delle strutture psicologiche del pensiero del bambino, ossia la «liberazione dell’intel-ligenza», dove «i numeri, con tutto ciò che è loro connesso, costituiscono allora stimoli scientifici provocatori di attività psichica».9

Psicoaritmetica e Psicogeometria sono i titoli dei due volumi che la Montessori

dedica alla matematica. Furono pubblicati nel 1934 in Spagna, dove si era esiliata. Sono «opere di cultura, non [vogliono] essere libri di testo anche se bastevolmen-te bastevolmen-tecnici e, tanto meno, non [possono] essere una guida didattica subito e diret-tamente fruibile».10 La scelta del prefisso psico vuole indicare che la sua visione è profondamente legata alla psicologia del bambino e mira quindi a proporre un a-iuto per favorire il suo sviluppo totale. Il bambino è al centro: l’accento non è po-sto sulla padronanza di regole o tecniche, ma sulla promozione della comprensio-ne di ciò che la matematica esprime. La scuola diventa allora un «cantiere di psico-logia sperimentale» che consente ad ognuno di svilupparsi e di raffinare i processi mentali, di costruire il proprio ragionamento.

Una peculiarità del Metodo Montessori nell’affrontare la matematica è la scelta di non semplificare troppo. «Noi consideriamo la matematica da questi tre punti di vista: Aritmetica: la scienza del numero; Algebra: l’astrazione del numero; Geome-tria: l’astrazione dell’astrazione. Guidati dalla nostra esperienza della mentalità in-fantile, noi abbiamo presentato questi tre campi insieme, e a un’età incredibil-mente precoce. Questo sistema di unire i tre rami si è dimostrato assai efficace: come se, invece di equilibrare l’argomento su un solo precario perno, lo sistemas-simo su tre robusti piedi, che si uniscono per dare maggiore stabilità».11

8 M. Montessori, La scoperta del bambino, p. 301. 9 M. Montessori, Psicoaritmetica, p. 1.

10 Psicoaritmetica, p. VII

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La mente matematica

Sulla scia di Pascal afferma la natura matematica della mente umana, aperta all’apprendimento e con una particolare tendenza per lo studio dei numeri. Lo spi-rito umano è matematico nella sua tensione verso la precisione e la misura.

Lo sviluppo della mente matematica viene preparato grazie alle numerose attività di Vita pratica e all’educazione sensoriale. Graham Bell rimase stupito di fronte al-la facilità con al-la quale bambini piccoli acquisivano conoscenze scientifiche in modo precoce:

In America, il famoso scienziato Alessandro Graham Bell si occupò del nostro Me-todo e fu Presidente della Società Montessori negli Stati Uniti; ebbene, egli si ap-passionò al Metodo per il fatto che, essendovi nella sua casa una scuola condotta col Metodo, si provò ad insegnare delle cose scientifiche a bambini di cinque o sei anni e trovò che questi facevano dei progressi meravigliosi. Si chiese allora la cau-sa di questo fatto, dato che le cose che i bambini imparavano erano generalmente accessibili soltanto a fanciulli di età molto più avanzata. E comprese che il fatto era dovuto alla maggior preparazione alla vita pratica. Per studiare la scienza occorre infatti non solo l’intelligenza, ma il carattere, la pazienza, la possibilità di portare a fine una cosa che generalmente non è piacevole, specie per dei bimbi. E poi oltre alla mancanza d’interesse, nei bambini comuni c’è l’anarchia dei muscoli: ogni muscolo fa il comodo suo e nessuno vuole obbedire alla mente. L’adulto ha impe-dito al bambino ogni esperienza nell’età in cui i muscoli dovevano essere dominati dalla volontà: e così i muscoli son rimasti senza padrone, senza dominio: e quando l’individuo vorrebbe servirsene, non li trova. Invece quei nostri bambini avevano un’intelligenza diversa dagli altri, si interessavano, i loro movimenti obbedivano, avevano la pazienza di osservare, e così diventavano piccoli scienziati pieni di en-tusiasmo. Dinanzi a loro, quel celebre scienziato rimaneva estasiato.12

Con alcune attività proposte al nido e alla scuola dell’infanzia, il bambino inizia a identificare, classificare, stabilire paragoni e legami tra le cose, prima in modo in-conscio e poi consapevole: si tratta di una ginnastica mentale. «Dare le qualità se-parate l’una dall’altra è come dare l’alfabeto dell’esplorazione: una chiave dunque

12 M. Montessori, La costruzione della personalità attraverso l’organizzazione dei movimenti,

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che apre le porte delle conoscenze. Chi ha non solo classificato con ordine le quali-tà, ma anche già apprezzato le gradazioni di ogni qualiquali-tà, può imparare a leggere nell’ambiente e nella natura tutte le cose».13

I benefici di questo tipo di attività si fanno sentire ai diversi livelli dello sviluppo: il bambino è invitato a organizzarsi, pianificare l’ordine delle sequenze richieste da ogni attività che impiega ragionamenti di comparazione, deduzione, ricerca di so-luzione: sono altrettante strutture cognitive necessarie allo sviluppo intellettivo del bambino.

La manipolazione del materiale sensoriale nel quale ogni particolare è pensato fornisce una chiave di esplorazione e un mezzo di sviluppo della mente matemati-ca: sono spesso gruppi di dieci pezzi (torre rosa, scala marrone, aste, cilindri) e i rapporti matematici sono precisi tra loro. Il materiale che i bambini manipolano a piacere non dà spiegazioni, ma risponde ai bisogni della mente del bambino: è quindi un «materiale di sviluppo». Questi materiali arricchiscono l’esperienza dei bambini piccoli e consente loro di esercitare la capacità assorbente della mente in modo naturale.

Una critica ricorrente è che l’uso del materiale Montessori renderebbe il bambino schiavo di esso. A questo proposito, mi piace molto l’immagine dei segnali strada-li: quando conosco la strada non li guardo, mentre quando non so quale direzione devo prendere mi sono utili. Spesso quando bambini più grandi guardano i piccini usare il materiale si sente dire da loro: «non mi ricordavo come si usava».

«La mano è l’organo dell’intelligenza»

Siamo forse qui di fronte ad un’altra esagerazione della Montessori? Non è il cer-vello l’organo dell’intelligenza? Invece torna come un Leitmotiv nei suoi libri l’immagine della mano come organo, «strumento espressivo dell’umana intelli-genza».14 Con la parola «organo» si sottolinea l’idea di qualcosa di vivente, che avendo una funzione determinata svolge un ruolo più elaborato di quello di un semplice strumento. «In silenzio, con gli occhi bendati, toccano con le loro piccole mani gli oggetti sentendo salire nella loro coscienza impressioni profonde» e dico-no: «Io vedo con le mani!». Intravediamo la ricchezza della mano, che con la sua

13 M. Montessori, La mente del bambino, p. 182. 14 M. Montessori, La scoperta, p. 310

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azione può arrivare ad un livello molto elevato di conoscenza e di coscienza delle cose. La mano diventa allora il mezzo che consente ai bambini di entrare in «rap-porti speciali con l’ambiente: l’uomo prende possesso dell’ambiente con la sua mano e lo trasforma sulla guida dell’intelligenza, compiendo così la sua missione nel gran quadro dell’universo».15

Per aiutare i bambini a costruire ragionamenti astratti la Montessori capisce che si deve partire da numerose manipolazioni, con un criterio di chiarezza e precisione negli materiali messi a disposizione. «Bisogna analizzare ogni difficoltà, presen-tandole separatamente mediante un materiale concreto; vale a dire materializzare

le astrazioni che non sono inaccessibili al bambino, ma abbisognano di un ponte

materiale».16 Il bambino piccolo non può ancora afferrare le idee in modo chiaro, deve ancora organizzare il suo mondo interiore. Invece può prendere in mano og-getti e fare lavorare la sua intelligenza. Questa sua intuizione viene confermata dall’entusiasmo dei bambini per esercizi a priori difficili: «Se queste materie sono presentate come materiale da maneggiare, i bambini le affrontano con vivissimo piacere. Con quale emozione abbiamo un giorno trovato un bambino che stava sviluppando tutto da solo il cubo di un trinomio (a+b+c)3».17

Per apprendere il bambino ha bisogno di concentrazione: il miglior modo per con-centrarsi è quello di fissare l’attenzione su un oggetto toccandolo con le mani. Bisogna dar loro la possibilità di sentire la quantità crescere (prendere i fuselli in mano prima di metterli a posto, far cadere le unità per sentire il rumore delle di-verse palline che cadono). Il concreto consente di passare all’astratto solo se è or-dinato. Con la matematica l’astrazione è più grande che per il linguaggio, essa è per eccellenza l’astrazione basata sul reale.

Un’altra caratterizzazione essenziale del materiale montessoriano è che consente l’autocontrollo dell’errore: «Nella vita e nella scuola deve entrare il principio che non è importante la correzione ma il controllo individuale dell’errore, che ci dice se abbiamo ragione o no. Io devo sapere se ho lavorato bene o male, e, se prima avevo considerato l’errore con leggerezza, ora esso mi diventa interessante. Nelle comuni scuole un alunno sbaglia senza saperlo, inconsciamente e con indifferenza,

15 M. Montessori, Il segreto dell’infanzia, p.108. 16 Psicoaritmetica, p. XI.

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perché non è lui che corregge i propri errori ma è l’insegnante che se ne incari-ca».18 Una delle conseguenze positive di questo processo è anche l’aumento dell’autostima: dipendere da altri per sapere se il proprio lavoro è stato eseguito in modo corretto o no genera «un senso di inferiorità soggiogante e una mancanza di confidenza in noi stessi».19

I lavori di Stanislas Dehaene, specialista francese di scienze cognitive, confermano diverse intuizioni della Montessori sull’apprendimento delle matematiche: secon-do risultati di studi «le nostre conoscenze matematiche dipensecon-dono strettamente del nostro cervello».20 Il cervello umano possiede un meccanismo di prensione delle quantità numeriche, ereditato del mondo animale, che guida l’apprendi-mento della matematica. Dal primo anno di vita il bambino capisce quindi alcuni elementi dell’aritmetica. Dehaene parla di un vero «istinto dei bambini piccoli per i numeri»21 che gli consente di avere una conoscenza precisa dei primi numeri, e afferma che «l’assenza di linguaggio non proibisce i calcoli numerici elementari».22 Auspica una razionalizzazione dell’insegnamento della matematica: per lui, «inse-gnare bene significa accordare le lezioni del maestro alle risorse e ai limiti delle strutture cerebrale del bambino» e «se alcuni oggetti matematici ci sembrano in-tuitivi e facili da imparare, è perché la loro struttura è adatta alla nostra architet-tura cerebrale»23 e «la struttura del nostro cervello rende certi concetti aritmetici più digeribili di altri».24

Alcuni materiali

Maria Montessori ha delineato tre piani per l’apprendimento dell’aritmetica. Alla scuola dell’infanzia si seguono i primi due, che qui saranno presentati brevemente

18 Montessori, La mente assorbente, p. 246. 19 Montessori, La mente assorbente, p. 247.

20 S. Dehaene, La bosse des maths. 15 ans après, Odile Jacob, Paris 2010, p. 8. 21 Dehaene, p. 63.

22 Dehaene, p. 71. 23 Dehaene, p. 11. 24 Dehaene, p. 12.

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con solo alcuni dei materiali impiegati.25 Ciascun piano è un orizzonte, un punto d’arrivo che l’insegnante presenta nella sua globalità al bambino.

Il primo piano è come una grande lezione per fare conoscere al bambino i numeri e le quantità fino al 10, mentre il secondo piano introduce il sistema decimale e il lavoro con i grandi numeri.

Le aste numeriche (o aste rosse-blu) rappresentano delle quantità che hanno un nome e consentono di visualizzare le relazioni fra le differenti quantità. Spostando le aste si possono fare esercizi di composizione, scomposizione, confronto entro il 10. Per la conoscenza dei simboli si uniscono alle aste i numeri smerigliati o cartelli con relativi simboli.

Nelle aste le unità sono legate. Questo materiale fu ideato da Séguin perché i bambini con i quali lavorava riscontravano problemi nel numerare le quantità: di-cevano uno, uno, uno. Invece qui si vede che quando si aggiunge un’unità ad un gruppo questo cresce.

Questo materiale stabilisce dei modelli mentali concreti dei numeri, processo che corrisponde alla struttura del cervello, perché come afferma Dehaene «non si cal-cola mai nell’astratto: il nostro cervello associa il concetto astratto di numero a

25 Per una visione complessiva si rimanda alla lettura di Psicoaritmetica, da cui sono tratte

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delle distese concrete nello spazio e nel tempo».26 Questo materiale consente al bambino di compiere addizioni entro il 10 e di ricomporre i vari binomi.

Se nelle aste le unità sono legate e non si possono spezzare, nei fuselli il bambino deve comporre la quantità, mentre la successione delle cifre gli è data. Si parte dei numeri stampati sui casellari: il bambino riconosce il numero e vi associa la quanti-tà di fuselli corrispondenti, legandoli con un nastro per sottolineare l’idea di in-sieme. Questo materiale dà anche l’occasione di conoscere lo zero: in effetti, dato che il primo scomparto rimane vuoto, si coglie l’occasione per far capire al bambi-no che zero significa niente.

Dopo viene l’esercizio del pari-dispari: sia le unità che i simboli sono sciolti. Que-sto esercizio consente di verificare se il bambino conosce i numeri nella loro suc-cessione numerica e la quantità da abbinare ad ognuno. Montessori insisteva mol-to sulla disposizione scelta da Séguin, che consente di vedere se il numero è pari se «c’è la stradina e il mio dito passa» o è dispari quando rimane bloccato dal-l’unità sola.

Il secondo piano della numerazione introduce il sistema decimale con il quale si vuole dare una visione d’insieme: facilitando la comprensione del valore

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nale della cifra, viene illustrato il passaggio dal 9 al 10 e si capisce il passaggio di gerarchia con la trasformazione della quantità. «Il sistema decimale è una specie di trama fondamentale sulla quale si sviluppano, poco per volta, i dettagli che chiariscono e facilitano, ogni volta di più il suo studio: allo stesso modo di chi, do-vendo eseguire un fine ricamo, comincia a disegnarne l’insieme, per poi comple-tarlo nei particolari»27

Qui svolge un ruolo importante l’abbinamento della quantità con una forma geo-metrica: le gerarchie diventano evidenti: l’unità è una perlina, la decina un basto-ne di dieci perlibasto-ne, il 100 è un quadrato e il 1000 un cubo.

Dopo questa conoscenza sensoriale, si passa alla conoscenza del simbolo con le «famiglie» dei numeri, dove il membro di ogni famiglia è scritto nel colore con il quale questa gerarchia sarà sempre scritto anche nella scuola elementare. I diversi esercizi possibili con questi materiali mirano a far conoscere la composizione e i nomi di tutti i numeri.

Conclusione

Quando durante i corsi di formazione le mamme, gli insegnanti o i futuri insegnan-ti di Scuola dell’Infanzia manipolano i materiali montessoriani per la matemainsegnan-tica non mancano mai i sospiri di sollievo o quasi di liberazione, a volte trattenuti da anni. Concetti basilari che dal banco di scuola sono rimasti meri concetti imparati con tanta difficoltà, poggiandosi solo sulla memoria, diventano chiari ed evidenti.

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Spesso come insegnanti ci ingegniamo a trovare tante motivazioni artificiali per provare ad accendere l’interesse e avvicinare gli allievi con meno dolore alla ma-tematica. Invece per facilitare la comprensione basterebbe guardare più da vicino un patrimonio italiano diffuso in tutto il mondo, dove porta tanti risultati, ma qui ancora scarsamente conosciuto. O almeno ispirarsi ai principi che hanno guidato la realizzazione di questi materiali: semplici, chiari, precisi, con uno scopo deter-minato e una sola difficoltà per volta.

È vero: ciò richiede un cambiamento di prospettiva per l’adulta; però quando si è vista negli occhi di bambini di quattro anni accendersi la fiamma dell’interesse che li mantiene impegnati anche un’ora sulle operazioni con i grandi numeri, si intui-sce quanto la matematica serva anche all’elaborazione della personalità. Come Mario M. Montessori sono convinta che «l’assorbimento della matematica può essere naturale, facile e sorgente di gioia: la gioia di colui che scopre in sé poteri che non sapeva di avere».

Bibliografia

S. Dehaene, La bosse des maths. 15 ans après, Odile Jacob, Paris 2010. M. Donaldson, Come ragionano i bambini, Springer Verlag 2009.

M. Montessori, Educazione per un mondo nuovo, Garzanti, Milano 1991. M. Montessori, La scoperta del bambino, Garzanti, Milano 2000.

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