ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA
Nuova Serie – Vol. XLVI (CXX) Fasc. I
DINO PUNCUH
All’ombra
della
Lanterna
Cinquant’anni tra archivi e biblioteche:
1956-2006
a cura di
Antonella Rovere
Marta Calleri - Sandra Macchiavello
**
GENOVA MMVI
La diplomatica comunale in Italia dal saggio del
Torelli ai nostri giorni
Nel 1911 Pietro Torelli, giovane funzionario dell’Archivio di Stato di
Mantova, pubblicava la prima parte degli Studi e ricerche di diplomatica
co-munale, cui seguiva, a distanza di quattro anni la seconda
1. Sarà per l’ambito
locale dell’edizione, sarà, meglio, perché il secondo studio vedeva la luce nel
pieno della bufera bellica, i due saggi non trovarono alcuna eco nel mondo
degli studiosi
2, sia tra gli storici del diritto, sia tra i paleografi e diplomatisti;
ma forse, e credo sia l’ipotesi più corretta, soprattutto alla luce della scarsa
fortuna che studi analoghi ebbero nei decenni seguenti, i tempi erano
pre-maturi: appiattiti sulle conclusioni dei diplomatisti tedeschi (Steinacker,
Redlich, lo stesso Bresslau), dai quali il Torelli non era poi tanto lontano,
pur giudicando aprioristiche le soluzioni proposte da chi considerava
pub-blici solo gli atti emanati da un’autorità sovrana mentre il documento
co-munale pareva assimilabile, non senza buone ragioni, al documento privato,
———————
* Pubbl. in La diplomatique urbaine en Europe au moyen âge, Actes du congrès de la Commission internationale de Diplomatique, Gand, 25-29 août 1998, a cura di W. PREVENIER
e TH. DE HEMPTINNE, Leuven-Apeldoorn 2000 (Studies in Urban Social, Economic and Po-litical History of the Medieval and Early Modern Low Countries, 9), pp. 383-406.
1 P. TORELLI, Studi e Ricerche di Diplomatica Comunale, I, in «Atti e memorie della R.
Accademia Virgiliana di Mantova», n.s., IV (1911), pp. 3-99; II, Mantova 1915 (Pubblicazioni della R. Accademia Virgiliana di Mantova, I; questa seconda parte anche col titolo di Studi e
Ricerche di Storia Giuridica e Diplomatica Comunale); entrambi i saggi ora raccolti in volume,
col titolo della prima parte, nella collana Studi storici sul notariato italiano, V, Roma 1980, al quale rinviano le nostre citazioni.
2 Uniche eccezioni in Italia le recensioni di R. QUAZZA, in «Archivio della Società
Ro-mana di Storia Patria», 44 (1921), pp. 363-366 e di G. BISCARO in «Archivio Storico
Lombar-do», XLIII (1916), pp. 600-619, dove peraltro largo spazio viene dedicato dallo studioso della pratica giudiziaria milanese proprio a questo aspetto, con rettifiche, integrazioni e nuovi apporti all’opera del Torelli, apprezzata dal Bresslau (R. QUAZZA, rec. cit., p. 364) e lodata come lavoro «eminente» dal Kantorowicz: cfr. Kritische Studien (Zur Quellen und
Literatur-geschichte des römischen Rechts im Mittelalter), in «Zeitschrift der Savigny-Stiftung fur Re-chtsgeschichte», Rom. Abt. XLIX (1929), pp. 79-80.
quelli italiani, nessuno escluso
3, ignorarono i nuovi percorsi aperti dal
To-relli
4, preferendo muoversi sui terreni meno scivolosi della diplomatica
pa-pale, imperiale e regia, condannando all’isolamento lo studioso mantovano
che, infatti, pur libero docente di Paleografia e Diplomatica, venne spostando
i propri interessi, sempre indirizzati all’età comunale, verso la storia
giuridi-ca
5, della quale divenne maestro, fino ad occuparne la prestigiosa cattedra
bolognese.
Se però torniamo allo studio dal quale ho preso le mosse, ne avvertiamo
subito alcuni limiti metodologici: da una parte la formazione giuridica del
suo autore, col ricorso massiccio alle norme statutarie, ne rinchiudeva gli
orizzonti entro il terreno istituzionale, limitandone l’indagine ai soli organi
produttori della documentazione e trascurando l’esame delle forme della
stessa, dall’altra l’esiguità di quelle fonti ne riduceva l’ambito geografico alla
sola area padana, per di più a poche città
6. Ma il limite maggiore, peraltro
avvertito dallo stesso autore
7, è il mancato approccio alla documentazione,
———————
3 Ad eccezione, forse, del Vittani, il solo a mostrare una qualche apertura verso il
docu-mento comunale, sia pure in un’ottica prevalentemente milanese: v. il suo manuale litografato, ad uso degli studenti della scuola d’archivio di Milano, in riproduzione anastatica, Roma 1972.
4 Si veda al proposito A. PRATESI, Un secolo di diplomatica, in Un secolo di Paleografia e
Diplomatica. Per il centenario dell’Istituto di Paleografia dell’Università di Roma (1887-1986),
a cura di A. PRATESI e A. PETRUCCI, Roma 1988, ora in ID., Tra carte e notai. Saggi di
diplo-matica dal 1951 al 1991, Roma 1992 (Miscellanea della Società Romana di Storia Patria, XXXV),
pp. 635-651, al quale rinviano le nostre citazioni.
5 Sull’opera del Torelli, oltre alle commemorazioni di G. DE VERGOTTINI, in «
Rendi-conto delle sezioni della Accademia delle scienze dell’Istituto di Bologna», Classe di scienze morali, serie V, III (1949-1950), ripubblicata in P. TORELLI, Scritti di storia del diritto italiano, Milano 1959, pp. VII-XLVI, di U. NICOLINI in «Rivista di storia del diritto italiano», XXIII
(1950), pp. 229-254, e di F. CALASSO in «Rivista taliana di scienze giuridiche», serie terza, II
(1948), pp. 397-401, si vedano gli atti del Convegno di studi su Pietro Torelli, Mantova 1981, in particolare gli interventi di Giorgio Costamagna e di Ovidio Capitani.
6 Cfr. A. PRATESI, Un secolo cit., p. 640; ID., La documentazione comunale, in Società e
istituzioni dell’Italia comunale: l’esempio di Perugia (secoli XII-XIV). Congresso storico
interna-zionale Perugia 6-9 novembre 1985, Perugia 1988, ora in ID., Tra carte e notai cit., pp. 49-50.
7 Nelle conclusioni della seconda parte (pp. 381-384) Torelli avverte l’insufficienza di
un’opera che ha inteso indicare quali fossero i documenti comunali proprio perché se ne po-tessero in seguito studiare i modi di redazione, attraverso un ampio lavoro comparativo su documenti omogenei. Non solo, ma egli stesso scriverà in seguito che «la storia giuridica ed economica d’Italia non è tutta nelle disposizioni delle nostre vecchie raccolte ufficiali di con-suetudini e statuti», echeggiando, come avverte De Vergottini (in P. TORELLI, Scritti cit., p.
la sola che può restituirci «
tutti i nascosti meccanismi di cui si avvaleva
l’opera del rogatario all’interno dell’istituzione comunale
» riducendo con
ciò la carica innovativo di un intervento che affermava «
l’autonomia di una
materia così intimamente legata ad una delle più ardite soluzioni della vita
pubblica, politica e sociale qual fu il comune italiano
»
8. Ne derivò
soprat-tutto un’affermazione apodittica, quasi una costante, passivamente e
acriti-camente accettata pressoché all’unanimità dalla storiografia, quella cioè che
nel secolo XII gli atti comunali «
non hanno valore di atti pubblica per
ra-gione dell’autorità che li emana
» – risalendo ad epoca molto più tarda, al più
maturo secolo seguente, tale concetto –, «
bensì in quanto scritti, secondo
norme determinate, da persone che il potere legittimo ha rivestito della
fa-coltà di emanare atti in forma pubblica: i notai. È questo un fatto che non
ha bisogno di prove
»
9. Subordinatamente, Torelli, proclamando una tesi,
largamente condivisibile, che non si può parlare, se non genericamente,
al-meno per le origini, di una cancelleria comunale, spostava l’attenzione sul
rapporto comune-notaio, ingenerando tuttavia alcuni equivoci destinati a
protrarsi nel tempo, ai quali non sfuggono i pochi lavori che al saggio del
Torelli si ispirarono, dalla grande opera editoriale di Cesare Manaresi
dedi-cata agli atti del comune di Milano, proseguita in seguito da Maria Franca
Baroni
10, per giungere, in epoca più recente, ad alcune brevi note della scuola
di Beniamino Pagnin
11, che derivava forse questi interessi da qualche
approc-———————
XXI), forse senza saperlo, una recisa affermazione di Giuseppe Salvioli: «la storia del diritto italiano è scritta più nei documenti che nelle leggi».
8 G. COSTAMAGNA, Pietro Torelli e la diplomatica comunale, in Convegno cit., p. 13. 9 P. TORELLI, Studi e ricerche cit., p. 10, ma v. anche pp. 119-121.
10 Gli atti del comune di Milano fino al MCCXVI, Milano 1919; dello stesso Manaresi
ricorderemo anche Un appello contro sentenza dei consoli di Milano ai tempi di Ottone IV, in «Archivio Storico Lombardo», XLIII (1916), pp. 907-909 e Documenti sull’attività dei giudici
imperiali degli appelli sul finire del secolo XIII a Milano, Ibidem, XLIV (1917), pp. 153-158;
quanto alla continuazione dell’opera del Manaresi, v. Gli atti del comune di Milano del secolo
XIII, a cura di M.F. BARONI, I: 1217-1250, Milano 1976; II: 1251-1276, a cura della stessa
e di R. PERELLI CIPPO, Alessandria 1982-1988; III: 1277-1300 e IV: Appendice: 1176-sec. XIII, a cura della stessa, Alessandria 1992 e 1997. Sempre a cura della medesima curatrice v. anche Gli atti di “querimonia” tra i documenti giudiziari del comune di Milano (sec. XIII), Alessandria 1997.
11 Cfr. B. PAGNIN, Note di diplomatica comunale veronese, in «Memorie della R.
Acca-demia di scienze Lettere ed Arti in Padova», LVII (1940-1941), da me visto in estratto; A. DE
cio sporadico alla documentazione pubblica veneziana di Vittorio
Lazzari-ni
12, suo maestro nell’Università di Padova. Mi spiego: se è vero che nei
suoi primi tempi il Comune italiano ricorse al notaio come qualsiasi privato
cittadino e che solo in un secondo momento, differenziato da comune a
comune, ebbe notai-funzionari al proprio servizio, peraltro non esclusivo,
essendo ben documentata e largamente diffusa la prassi del notaio
dipen-dente comunale che operava anche come libero professionista, occorre
pro-cedere con molta cautela su questo terreno, non bastando certo a connotare
tale rapporto subordinato o funzionariale né la continuità di servizio, né
formule di tipo cancelleresco quali l’amonicio, la iussio o il praeceptum
dell’autorità comunale che nella sottoscrizione notarile sostituiscono la
tra-dizionale rogatio. Dubbi in proposito sono già presenti nel saggio ‘veronese’
di Pagnin
13, al quale non sfugge invece il rapporto di dipendenza che
ven-———————
pp. 141-156; E. CAU, Note di diplomatica comunale tortonese, in «Iulia Dertona», XVI-XVII-XVIII (1968-1970), pp. 3-10.
12 V. LAZZARINI, Originali antichissimi della cancelleria veneziana (Osservazioni
diplo-matiche e paleografiche), in «Nuovo Archivio Veneto», VIII (1904), pp. 199-229; ID., Lettere
ducali veneziane del secolo XIII. “Litterae clausae”, in Scritti di paleografia e diplomatica in onore di V. Federici, Firenze 1944, pp. 225-239; entrambi gli scritti in ID., Scritti di paleografia
e diplomatica, Padova 19692.
13 B. PAGNIN, Note di diplomatica cit., p. 9 dell’estratto. Anche una recente edizione di
do-cumenti comunali trevigiani – Gli acta comunitatis Tarvisii del sec. XIII, a cura di A. MICHIELIN,
con una nota introduttiva di G.M. VARANINI, Rorna 1998 (Fonti per la storia della terraferma
veneta, 12) pp. 146-147 – cade nello stesso equivoco, arrivando ad ipotizzare una doppia di-pendenza (dal vescovo e dal comune) di un notaio che nello stesso giorno (7 maggio 1271) redige due documenti (pp. 348-353), tra loro connessi, il primo «auctoritate dicti iudicis» [del podestà], il secondo «auctoritate domini episcopi». Esemplare, invece, ma per epoca più tarda, il caso di Gaspare de Noxereto, che nello stesso anno (1364), a distanza di pochi giorni, si qualifica ora come notaio e cancelliere del comune di Savona, ora, operando nell’ambito della curia vescovile, come notaio e scriba, ma solo in hac parte, del vescovo: A. ROVERE,
Ga-ranzie documentali e mutamenti istituzionali: il caso di Savona del 1364, in «Atti della Società Ligure di Storia Patria», n.s., XXXV/1 (1995), pp. 156, 158. Dubbi analoghi suscita l’edizione di documenti bassanesi – I documenti del comune di Bassano dal 1259 al 1295, a cura di F. SCARMONCIN, Padova 1989 (Fonti per la storia della terraferma veneta, 3) –, dove si sostiene
(p. XXI) che il precetto o il mandato podestarile (nel caso in oggetto si tratta del mandato di redigere due copie) indicherebbe un rapporto di dipendenza. Che poi uno (non entrambi co-me sostiene il curatore: p. XXII) dei due notai destinatari del mandato, figuri coco-me notaio del podestà nello stesso anno (cfr. docc. 27 e 29) non sposta i termini della questione. Non sfuggono alle stesse conclusioni M.F. BARONI, Il notaio milanese e la redazione del documento comunale
gono via via denunciando le qualificazioni di notarius/scriba
14comunis/con-sulum o potestatis, uno speciale rapporto che tende a manifestare il carattere
pubblico del potere che ha emesso l’ordine di redazione, onde si potrebbe
anche sostenere che tali qualificazioni esprimano – così è stato scritto
re-centemente – «
l’esigenza di caratterizzare con solennità diverse i momenti
dell’azione che il Comune viene svolgendo sul territorio che considera
pro-prio, nei confronti dei cittadini/habitatores, ovvero all’esterno
»
15; non
di-versamente, credo, dal richiamo all’ordine impartito dalle magistrature
co-munali, espressione non solo della volontà del notaio di caratterizzare
l’ambito istituzionale entro il quale opera al momento
16, ma anche, e forse
di più, dell’organo di governo, affermante con ciò la propria autorità
affian-cata a quella del notaio, o, meglio, la funzione di autore della
documenta-zione, di Aussteller
17; nella stessa ottica si collocherebbe l’avverbio nunc,
spesso premesso alla qualifica di scriba comunis, a rimarcare cioè la funzione
ricoperta in quel momento dal redattore del documento
18. È una tematica
sfuggente, ambigua e spesso contradditoria, meritevole di approfondimenti
———————
Martini, Milano 1978, p. 11 e A. BARTOLI LANGELI, La documentazione ducale dei secoli XI e
XII. Primi appunti, in Studi veneti offerti a Gaetano Cozzi, Venezia 1992, p. 35, affermante
che la iussio dimostrerebbe il «rapporto gerarchico tra la persona pubblica e l’addetto alla sua documentazione, tra un principalis e un suo subordinato».
14 Sul significato del termine scriba come ufficiale addetto alla cancelleria v. C. PAOLI,
Diplomatica, nuova ed. aggiornata da G.C. BASCAPÈ, Firenze 1942, pp. 97-98. Per l’area laziale
v. C. CARBONETTI VENDITTELLI, Per un contributo alla storia del documento comunale nel
La-zio dei secoli XII e XIII. I comuni delle provincie di Campagna e Marittima, in «Mélanges de l’École française de Rome», Moyen Age, 101 (1989), p. 114 e sgg. Sul passaggio o conversio-ne dal notariato al funzionariato v. A. BARTOLI LANGELI, La documentazione degli stati italiani
nei secoli XIII-XV: forme, organizzazione, personale, in Culture et idéologie dans la genèse de l’état moderne, Roma 1985, pp. 38-45.
15 R. FERRARA, Le cancellerie comunali, in Le sedi della cultura nell’Emilia Romagna, II:
L’età comunale, a cura di A. VASINA, Milano 1984, pp. 167 e 172. 16 M.F. BARONI, Il notaio milanese cit., p. 7.
17 G.G. FISSORE, Autonomia notarile e organizzazione cancelleresca nel comune di Asti,
Spoleto 1977, p. 161.
18 Contro l’opinione della Baroni (Il notaio milanese cit., p. 18) che lo ritiene indicativo
di un rapporto di subordinazione continua, sia pure a tempo determinato. Casi analoghi mi parrebbero quelli perugini di un notaio che si sottoscrive come «existens pro comuni » e di quell’altro, milanese di patria, che denuncerebbe, attraverso l’aggiunta «et nunc comunis scri-ba et cancellarius», un’attività «interamente incardinata nell’ufficio»: A. PRATESI, La
a largo raggio, a tappeto, per aree omogenee, senza lasciarsi condizionare
troppo dai formalismi messi in atto, volta per volta, dai notai, non
necessa-riamente ossequienti ad una prassi omogenea, razionale e regolare che noi
cerchiamo, spesso invano, di individuare. Nonostante l’ampia
documenta-zione fornita in proposito da Gian Giacomo Fissore
19, il solo riferimento
all’ordine emesso dalle magistrature comunali per trarne prove di rapporti di
dipendenza o di subordinazione non mi pare sufficiente, soprattutto là dove
si rileva una doppia iussio, senza che il redattore del documento si preoccupi
di indicare a quale parte in causa è subordinato
20o quando il medesimo
no-taio redige sentenze consolari richiamando ora la formula precettizia, ora la
tradizionale rogatio
21o, come nel caso degli atti di alcuni notai, lungamente
operanti per conto del Comune, del tutto privi di qualsiasi cenno ad un
ruolo dipendente
22. Ma è soprattutto sulla ‘pubblicità’ degli atti emanati
da-gli organi comunali che si è incentrata l’attenzione deda-gli studiosi, tutti
alli-neati sulle posizioni del Torelli, nonostante che fin dall’apparire della prima
parte della sua opera fossero state avanzate alcune perplessità al riguardo
23.
È emblematico un caso: accertato che gli ufficiali della cancelleria del Senato
romano potevano essere scelti al di fuori del notariato di nomina pontificia
———————
19 G.G. FISSORE, Autonomia cit., pp. 168-169; ID., Alle origini del documento comunale: i
rapporti tra i notai e l’istituzione, in Civiltà comunale: libro, scrittura, documento. Atti del
con-vegno, Genova, 8-11 novembre 1988 («Atti della Società Ligure di Storia Patria», n.s., XXIX/2, 1989), pp. 99-128. Di rilievo i richiami a norme statutarie (Ibidem, pp. 108-109) del secolo XIII che definiscono con assoluta chiarezza le funzioni dei notai-funzionari, redattori di atti dotati di piena autorità e credibilità; valga per tutte quella degli statuti padovani (anteriori al 1236): «cuilibet instrumento exenplato auctoritate iudicis in officio existentis per notarium de officio fides plenaria adhybeatur»: Statuti del comune di Padova dal secolo XII all’anno
1285, a cura di A. GLORIA, Padova 1873, p. 184.
20 G.G. FISSORE, Alle origini cit., pp. 121-124, nota 45. Caso analogo parrebbe verificarsi
nel trattato di alleanza tra Alba e Asti del 1203, il cui testo destinato alla prima città viene re-datto dal notaio astigiano su mandato dei consoli albesi, viceversa per l’esemplare destinato ad Asti: cfr. ID., Procedure di autenticazione del secolo XIII in area comunale ad Asti: verso
un’organizzazione burocratica della documentazione, in «Bollettino storico-bibliografico sub-alpino», LXXXI (1983), pp. 766-772.
21 ID., Alle origini cit., pp. 116-118.
22 Come gli atti del milanese Ugo de Castagnianega, operante al servizio dei consoli dal
1174 al 1207 (Ibidem, pp. 107-108, 114), e del perugino Iacobinus, al quale si devono 14 do-cumenti comunali redatti tra il 1198 e il 1218 (A. PRATESI, La documentazione cit., p. 57).
23 Secondo il Biscaro (rec. cit., p. 601) «le premesse, esatte, sulla storia e sulla funzione del
o imperiale, il che, almeno a Roma, rendeva pubblico il documento «
per
ra-gione dell’autorità che lo emana
»
24, Franco Bartoloni approdava in seguito
alla tesi del Torelli
25, estendendola fino al secolo XIII inoltrato, là dove
so-steneva, a proposito di un trattato intercomunale, che «
la prassi del tempo
esigeva che documenti del genere emanati dai comuni fossero redatti da
pubblici notai
»
26.
E qui avanzo subito una domanda provocatoria, un dubbio che si
co-glie qua e là
27, mai reso esplicito ma pur sempre aleggiante: a chi poteva
ri-volgersi il giovane comune italiano, non dico per rivestire di forme legali le
proprie deliberazioni, ma almeno per redigerle in forme corrette se non al
notaio o – è il caso di Venezia – a un ecclesiastico? Il ricorso delle autorità
comunali al notaio, così come faceva qualsiasi cittadino, non ci autorizza
però ad equiparare il comune ad una qualsiasi associazione di cittadini, priva
di autorità: non vi facevano ricorso anche vescovi, abati, signori feudali, cui
non mancava certo la coscienza di detenere, in maniera legittima,
un’aucto-ritas
28? E che dire dei molti notai cittadini, sulla cui nomina e conseguente
legittimità dei loro atti, almeno prima del secolo XIII, non abbiamo notizie
certe
29? Ma il punto più scoperto della tesi di Torelli, rimasto sospeso per il
———————
24 F. BARTOLONI, Preparazione del “Codice Diplomatico” del Senato Romano nel medio
evo (1144-1347), in «Bullettino dell’Istituto storico italiano e Archivio Muratoriano», 53 (1939), ora in ID., Scritti, a cura di V. DE DONATO e A. PRATESI, Spoleto 1995, al quale rin-viano le nostre citazioni, p. 86.
25 ID., Per la storia del Senato Romano nei secoli XII e XIII, in «Bullettino dell’Istituto
storico italiano e Archivio Muratoriano», 60 (1946), ora in ID., Scritti cit., pp. 105-108, in particolare p. 107, nota 1.
26 ID., Un trattato d’alleanza del secolo XIII tra Roma e Alatri, in «Bullettino
dell’Isti-tuto storico italiano e Archivio Muratoriano », 61 (1949), ora in ID., Scritti cit., p. 208, nota 3.
27 V. ad es. G. FASOLI, Giuristi, giudici e notai nell’ordinamento comunale e nella vita
cittadina, in Atti del Convegno internazionale di studi accursiani, Bologna, 21-26 ottobre
1963, Milano 1968, I, p. 28: «... il rapido avvicendamento dei magistrati e dei loro collaborato-ri ... non consentiva la formazione di un corpo di funzionacollaborato-ri e di impiegati capaci ed efficienti ed imponeva il ricorso a coloro che erano già professionalmente addestrati».
28 Così J.C. MAIRE VIGUEUR, Forme di governo e forme documentarie nella città comunale,
in Francesco d’Assisi. Documenti e archivi, Codici e biblioteche, Miniature, Milano 1982, p. 59.
29 La nomina locale dei notai nel secolo XII è problema di notevole spessore, meritevole
di indagini approfondite; per il momento dobbiamo limitarci a sospettarla nei molti casi in cui il notaio omette di indicare precise qualificazioni in proposito: G. COSTAMAGNA, Il notaio a
mancato approccio alla documentazione, sta proprio in quelle «
norme
de-terminate
», cioè le forme, cui egli accenna come ad uno dei due elementi
caratterizzanti l’atto pubblico, l’altro essendo rappresentato dalla
qualifica-zione del redattore. È il tema al quale la più recente generaqualifica-zione di studiosi
cerca di dare una risposta, pur essendo già chiaro che essa non potrà essere
univoca, trattandosi di una documentazione corrispondente a situazioni
particolari, di una costruzione lenta ed altalenante, che alterna avanzamenti,
talvolta precocissimi, come a Genova, a bruschi ritorni, modernità ad
arcai-smi, condizionata dal maggiore o minor ‘peso politico’ dei comuni,
difficil-mente riducibile ad un quadro unitario
30.
Riprendiamo allora il nostro cammino e veniamo al secondo
dopoguer-ra quando cominciano a manifestarsi i primi, sia pur timidi, approcci al
do-cumento comunale: nel 1951, tracciando un bilancio degli studi di
paleo-grafia e diplomatica e delle prospettive future, Franco Bartoloni, reduce
da-gli studi sul Senato romano
31, ne additava l’importanza «
a chi consideri la
funzione esercitata dalle città e dai comuni nel nostro medioevo
»
32,
mes-saggio per il momento inascoltato. La vera svolta si ebbe però pochi anni
dopo con Giorgio Costamagna, i cui studi sulle forme di convalidazione del
———————
A. PRATESI, La documentazione cit., pp. 59-60; A. ROVERE, I «publici testes» e la prassi docu-mentale genovese (secc. XII-XIII), in Serta antiqua et mediaevalia, del Dipartimento di
Scien-ze dell’Antichità e del Medioevo dell’Università di Genova, n.s., I, Roma 1997, pp. 326-328, dove si richiama anche il caso di alcuni notai, già in attività da molti anni, che nel 1191, ap-profittando della presenza a Genova di Enrico VI, ne ebbero l’investitura formale, conse-guentemente qualificandosi in seguito come notarii sacri Imperii. Alla possibilità di nominare notai accenna il Breve della Compagna genovese del 1157 – Codice diplomatico della
Repubbli-ca di Genova, a cura di C. IMPERIALE DI SANT’ANGELO, Roma 1936-1942 (Fonti per la storia d’Italia, 77, 79, 89), I, p. 355 – con una formula equivoca («non faciam aliquem notarium ... sine auctoritate Philippi de Lamberto»), per la quale rimando ad A. ROVERE, I «publici testes»
cit., p. 327. Quanto alla nomina degli scribi a Genova, essa era di stretta competenza consola-re: v. il Breve dei Consoli del 1143 che recita: «scribani vero in nostro sint arbitrio» (Codice
diplomatico della Repubblica di Genova cit., I, p. 164).
30 Cfr. al proposito G.G. FISSORE, Alle origini cit., p. 103; A. PRATESI, La
documentazio-ne cit., p. 51.
31 Oltre ai due lavori di cui alle note 24 e 25, v. Codice Diplomatico del Senato Romano
dal MCXLIV al MCCCXLVII, a cura di F. BARTOLONI, I, Roma 1948 (Fonti per la storia
d’Italia, 87).
32 F. BARTOLONI, Paleografia e diplomatica: conquiste di ieri, prospettive per il domani, in
documento comunale genovese
33aprivano un varco nella rocciosa
costru-zione del Torelli, il quale però, pur lasciandole fuori dal suo quadro, aveva
ammesso la precocità di sviluppo degli istituti comunali di tutte le grandi
città marittime
34: il ricorso, pressoché esclusivo
35, a Genova e in Liguria, nel
secolo XII, cioè nella fase costituente del comune italiano, per convalidare
accordi o convenzioni tra comuni o con potentati stranieri, alla carta partita
o al sigillo
36, talvolta ad entrambi i sistemi
37, cui si aggiunge, in pochi casi
38,
———————
33 G. COSTAMAGNA, La convalidazione delle convenzioni tra comuni a Genova nel secolo
XII, in «Bullettino dell’Archivio Paleografico Italiano», n.s., X (1955); ID., Note di diplomatica
comunale - Il “signum comunis” e il “signum populi” a Genova nei secoli XII e XIII, in Miscellanea di Storia Ligure in onore di Giorgio Falco, Milano 1962; ID., A proposito di alcune convenzioni
medievali tra Genova e i comuni provenzali, in Atti del I Congresso storico Liguria-Provenza,
Ven-timiglia-Bordighera 2-5 ottobre 1964, Bordighera 1966. I tre saggi ora in ID., Studi di Paleografia
e di Diplomatica, Roma 1972 (Fonti e studi del Corpus membranarum italicarum, IX), al quale
rinviano le nostre citazioni, rispettivamente alle pp. 225-235, 337-347 e 349-354.
34 P. TORELLI, Studi cit., p. 31.
35 Uniche eccezioni i trattati stipulati da Genova con Lucca nel 1159 (Codice diplomatico
della Repubblica di Genova cit., I, n. 296), con Roma nel 1165 (Ibidem, II, n. 9) e con Grasse nel
1198: I Libri Iurium della Repubblica di Genova, a cura di M. BIBOLINI, S. DELLACASA, E. MADIA, E. PALLAVICINO, D. PUNCUH, A. ROVERE, Genova-Roma 1992-2002 (Fonti per la
storia della Liguria, I, II, IV, X-XIII, XV, XVII; Pubblicazioni degli Archivi di Stato, Fonti, XII, XIII, XXIII, XXVII-XXIX, XXXII, XXXV, XXXIX), 1/3, n. 641, tutti convalidati da notai.
36 Pietro Torelli (Studi cit., pp. 317-372) dedica ben poco spazio al sigillo, segnalandone
solo la custodia e l’applicazione ad opera dei notai o degli ufficiali appositi. A Genova l’uso era disciplinato dal Breve dei consoli del 1143: «Nos sigillo plumbeo cartam non sigillabimus neque sigillare faciemus nisi maior pars de nobis consulibus in hoc consenserit qui Ianue fuerint» (Codice diplomatico della Repubblica di Genova cit., I, p. 165). Quanto alla loro custo-dia, essa era affidata, nel secolo XIII, al cancelliere: quando nel 1243 Guglielmo de Varagine as-sunse tale funzione, gli fu commessa la custodia dei sigilli, precedentemente tenuta da Simone Spaerio: Annali genovesi di Caffaro e de’ suoi continuatori, a cura di L.T. BELGRANO e C.
IMPERIALE DI SANT’ANGELO, Roma 1890-1929 (Fonti per la storia d’Italia, 11-14 bis), III, p. 141.
37 I Libri Iurium cit., I/2, nn. 299, 420; I/3, nn. 450, 452-455, 462, 473, 560-561, oltre
ad Archivio di Stato di Genova, Archivio Segreto, n. 2720/33 e 95 (cfr. Codice diplomatico
della Repubblica di Genova cit., I, n. 251; II, n. 111), tutti della seconda metà del secolo XII.
Considero ovviamente solo i documenti redatti in ambito genovese, escludendo quelli ema-nati da altre autorità. Così pure escludo tutti gli accordi stipulati con i giudicati sardi, perché la loro stretta dipendenza da Genova li rende poco significativi per il mio discorso.
38 I Libri Iurium cit., I/2, nn. 304, 355, 368 (del quale v. un originale in Archives
Muni-cipales de Narbonne, AA.2045), 421, 429, 440, 465-466 (a proposito del quale v. anche il doppio originale in Archivio di Stato di Genova, Archivio Segreto, n. 2722/6 e Archivio di Stato di Savona, Pergamene, n. III/6: cfr. D. PUNCUH, Cimeli insigni del Medioevo genovese, in
la sottoscrizione notarile, colpendo duramente la tesi di fondo del Torelli,
apriva la strada ad una più matura valutazione delle forme del documento
comunale. Caso mai si potrà osservare che questa varietà di elementi
conva-lidanti, questo «
accumulo o osmosi di forme e formalismi di garanzia
»,
se-condo una felice espressione di Giovanna Nicolaj
39, si colloca tra
avanza-menti audaci e più prudenti ritirate, tracce delle quali emergono, ancora nel
secolo XIII, attraverso investiture podestarili per baculum, cyrothecas,
ciro-techam sive guantum
40. È pur vero che per Genova si potrebbe sostenere,
alla luce di recenti ricerche di Antonella Rovere
41, che la quasi totalità dei
notai di questo periodo, che si qualificano esclusivamente come notarius,
senz’altra specificazione, era priva di una legittimazione superiore. E
tutta-via, a parte la carta partita, il ricorso generalizzato al sigillo o alla bolla
plumbea, in un caso (1227) addirittura aurea
42, simboli di sovrana autorità,
della cui esistenza a Genova abbiamo tracce già nel 1138
43, va nella direzione
———————
Mostra storica del notariato medievale ligure, a cura di G. COSTAMAGNA - D. PUNCUH, Genova
1964 (anche in «Atti della Società Ligure di Storia Patria», n.s., IV/1, 1964), p. 267, tutti del primo trentennio del secolo XIII, al quale appartengono anche alcune convenzioni, convali-date oltreché dalla carta partita anche dalla sottoscrizione notarile: I Libri Iurium cit., I/2 nn. 461, 463- 464. Sull’argomento v. anche L. ZAGNI, Carta partita, sigillo, sottoscrizione nelle
con-venzioni della Repubblica di Genova nei secoli XII-XIII, in «Studi di storia medioevale e di diplomatica», 5 (1980), pp. 5-14.
39 G. NICOLAJ, Fratture e continuità nella documentazione fra tardo antico e alto
medioe-vo. Preliminari di diplomatica e questioni di metodo, in Morfologie sociali e culturali in Europa fra tarda antichità e alto medioevo, Spoleto 1998 (Settimane di studio del Centro italiano di
studi sull’alto medioevo, XLV, Spoleto 3-9 aprile 1997), p. 979.
40 I Libri Iurium cit., 1/3, nn. 483, 489-491, 512, 521, 578. A questo proposito segnalo
che ancora nel 1135 una refuta in favore del monastero genovese di San Siro fu effettuata con tali simbolismi («his lignis ... refutaverunt has terras») e che i relativi ligna erano ancora con-servati nel ‘600, «il primo più sottile, legato più vicino alla pergamena era di scorza verdiccia; e l’altro di scorza nera, ambedue benissimo conservati ...»: cfr. Le carte del monastero di San
Siro di Genova, (952-1224), I, a cura di M. CALLERI, Genova, 1997 (Fonti per la storia della Liguria, V), n. 95.
41 A. ROVERE, I «publici testes» cit.,, pp. 326-327.
42 Documentata dalla copia autentica di un privilegio del 23 giugno 1227 in favore del
comune di Noli, da sempre fedelissimo a Genova, redatta il 28 aprile 1327 e così introdotta: «Hoc est exemplum cuiusdam instrumenti sive privilegii cuius tenor talis est et quod privilegium erat bulle auree appensione munitum» (Archivio di Stato di Genova, Archivio Segreto, n. 354).
43 «Et hoc faciemus infra triginta dies postquam reclamatio venerit ante nos cum
opposta a quella tracciata dal Torelli, nel riconoscimento cioè del potere
convalidante di uno strumento dei tutto svincolato dalla pratica notarile
44.
Né vale osservare che esso è usato largamente per convenzioni tra Genova e
———————
I brevi dei consoli di Pisa degli anni 1162 e 1164, a cura di O. BANTI, Roma 1997 (Fonti per la
storia dell’Italia medievale, Antiquitates, 7), p. 114; trattandosi di impegni assunti dai consoli di Pisa, il sigillo cereo, del quale rimangono alcune tracce, potrebbe essere pisano; così come quello pendente, di cui restano solo tracce di filo, in un trattato del 1149 (Archivio di Stato di Genova, Archivio Segreto, n. 2720/27: cfr. Codice diplomatico della Repubblica di Genova cit., I, n. 195); sull’uso del sigillo a Pisa nel secolo XII v. O. BANTI, Per la storia della cancelleria
del comune di Pisa nei secoli XII e XIII, in «Bullettino dell’Istituto storico italiano e Archivio Muratoriano», 73 (1962), ora in ID., Studi di storia e di diplomatica comunale, Roma 1983 (Fonti e studi del corpus membranarum italicarum, XXII), al quale rinviano le nostre citazioni, pp. 57-77, in particolare p. 66. Sulla bolla plumbea genovese, che parrebbe essere la più antica in ambito comunale, cui si accompagnò, nella seconda metà del secolo XII, un sigillo cereo (il grifo che schiaccia l’aquila e la volpe), v. G. BASCAPÈ, Sigilli medievali di Genova, in «Bollettino
Ligu-stico», XIII (1961), pp. 17-20 e la bibliografia ivi citata; H. DRÖS e H. JAKOBS, Die zeichen
einer neuen Klasse. Zur Typologie der frühen Stadtsiegel, in Bild und Geschichte. Studien zur politischen Ikonographie, Sigmaringen, 1997, pp. 129-131, che puntano l’attenzione
sull’identifi-cazione Chiesa/vescovo/Comune/civitas, assai pronunciata ai tempi di Siro II, primo arcivescovo di Genova: non appare casuale che nella bolla siano rappresentati da una parte il protovescovo Siro, dall’altra l’immagine della città con l’iscrizione Civitas. È possibile che analogamente a Pisa (O. BANTI, “Civitas e commune” nelle fonti italiane dei secoli XI e XII, in «Critica Storica», IV, 1972, ora in ID., Studi cit., p.17) la bolla plumbea genovese richiami quella usata dall’arci-vescovo, della quale però mancano riferimenti. I tre esemplari superstiti sono conservati il primo (datato al 1130, ma direi che la leggenda archiepiscopus Ianuensis ne dovrebbe postici-pare la datazione dopo il 1133, data di erezione in sede metropolitana della diocesi di Genova) nel British Museum; gli altri due (datati 1225 e 1252) nell’archivio comunale di Montpellier. Ne esistono anche alcune descrizioni nei libri iurium, la più antica delle quali è riferita a un documento del 1164: I Libri Iurium cit., 1/2, nn. 382-384. Quanto all’altro sigillo, del quale si conserva un esemplare sempre a Montpellier, la prima descrizione appartiene a un documento del 1192: Ibidem, I/2, n. 420. Per altri sigilli genovesi v. ancora G. BASCAPÈ, Sigilli cit. Per quello di Lucca del 1170 cfr. Annali genovesi cit., I, p. 239, ma già nel 1166 in un elenco di cittadini luc-chesi giuranti l’osservanza di un trattato con Genova sono presenti tracce di sigillo: Archivio di Stato di Genova, Archivio Segreto, n. 2720/50 (Codice diplomatico della Repubblica di Genova cit., II, n. 14, nota). Sull’uso dei sigilli in età comunale, oltre a G.C. BASCAPÈ, Sigillografia. Il
sigillo nella diplomatica, nel diritto, nella storia, nell’arte, I, Milano 1969, pp. 183-189, v. anche
A. BARTOLI LANGELI, La documentazione degli stati italiani cit., pp. 51-52.
44 Spunti analoghi alle osservazioni di Costamagna si riscontrano, per Pisa, in M.
LUZZATTO, Note di diplomatica comunale pisana per i sec. XII e XIII, in «Bollettino Storico
Pisano», XXVIII-XXIX (1959-1960), pp. 39-62. Utili al riguardo, sia pur in riferimento a do-cumentazione giudiziaria, A. D’AMIA, Studi sull’ordinamento giudiziario e sulla procedura delle
curie pisane nel sec. XII, in «Archivio Storico Italiano», LXXVII (1919), pp. 5-126 e ID., Le
città franco-provenzali, dove tale pratica era sicuramente più estesa, perché la
documentazione genovese ne ricorda frequentemente l’uso presso altre realtà
comunali italiane: così apprendiamo dell’esistenza di sigilli dei comuni di Pavia
(1140, 1144), Piacenza (1154), Lucca (1170), Alessandria (1192), Tortona,
(1197, 1200, 1232), Albenga, Diano, Porto Maurizio, San Remo (tutti del
1199), Noli e Savona (1202), Ancona (1208, 1218, 1220), Ventimiglia (1218,
1222)
45; per non parlare di Venezia, dove la bolla plumbea, introdotta col
doge Pietro Polani, si colloca in un momento significativo della
costituzio-ne comunale vecostituzio-neziana
46; né vale a ridurne la carica innovativa la prevalente
utilizzazione in ambito epistolare: non mancano infatti esempi della sua
ap-plicazione, oltreché ai trattati di cui si è detto, anche agli instrumenta
47.
Quanto ai diversi signa studiati dal Costamagna
48, il cui potere
convali-dante era comunque limitato allo stretto ambito genovese, fermo restando
———————
45 Cfr. I Libri Iurium cit., I/1, nn. 35, 75, 171; I/2, nn. 355.2, 356, 427, 438, 442; I/3,
nn. 450, 452-453, 462, 465-466, 617, 622, 630, 652. A proposito del n. 622 (accordo Genova-Tortona del 1200) corre l’obbligo di emendare G. COSTAMAGNA, La convalidazione cit., p. 233 e E. CAU, Note cit., p. 8, che attribuiscono, inspiegabilmente, il documento al 1210.
46 Cfr. M. ROSADA, “Sigillum Sancti Marci”. Bolle e sigilli di Venezia, in Il sigillo nella
storia e nella cultura, Mostra documentaria, a cura di S. RICCI, Roma 1985, p. 114; A. BARTOLI
LANGELI, La documentazione ducale cit., p. 33; Il patto con Fano 1141, a cura di A. BARTOLI
LANGELI, Venezia 1993 (Pacta veneta, 3), pp. 14-15; Gli atti originali della cancelleria
venezia-na (1090-1227), a cura di M. POZZA, Venezia 1994-1996, I, p. 13.
47 Cfr. ad es. il già citato trattato Genova Tortona (I Libri Iurium cit., I/3, n. 622):
«publicum instrumentum sigillatum sigillo comunis utriusque civitatis fieri faciam»; Ibidem, I/2 n. 355.2: «et ut hec scriptura robur obtineat firmitatis, eam per manum publicam scribi eorumque [dei consoli] sigillo muniri fecerunt»; Ibidem, n. 391: «et ut istius promissionis sis securus ac firmus, cartam bullatam sigillo comunis Ianue tibi mittere faciam»; Ibidem, n. 392: «hec ad memoriam in futurum conservandam omnemque ambiguitatem de medio expellen-dam per manum publicam scribi iussit et sigilli sui [del console genovese inviato in Sardegna] auctoritate muniri». Altrettanto si può dire per Verona, a proposito di un accordo con Vene-zia del 1193, dove si legge «ut quod statutum est robur et firmitatem obtineat, scriptum pre-sens sigillo civitatis Verone iussimus communiri»: C. CIPOLLA, Note di storia veronese, VIII.
Trattati commerciali e politici del secolo XII inediti o imperfettamente noti, in «Nuovo Archi-vio Veneto», XVI (1898), p. 318; B. PAGNIN, Note cit., p. 17 dell’estratto. Per un sigillo fru-sinate v. C. CARBONETTI VENDITTELLI, Per un contributo cit., p. 107.
48 Oltre a Note di diplomatica cit., v. Il notaio cit., pp. 142-148. A proposito delle
con-clusioni di Costamagna sui signa particolari genovesi, l’osservazione di Bartoli Langeli (La
do-cumentazione degli stati italiani cit., p. 51), che la semplice sostituzione dei signa personali con
quelli istituzionali denuncerebbe «l’incombenza del modello notarile» e quindi « l’indipen-denza dai sistemi cancellereschi di convalidazione va circoscritta esclusivamente ad alcuni
che essi caratterizzavano le diverse strutture entro le quali venne
articolan-dosi, soprattutto a partire dal secolo XIII
49inoltrato, la ‘cancelleria’,
sosti-tuendosi al consueto signum notarile, essi dimostrano un preciso disegno
dell’autorità comunale finalizzato ad esaltare la propria autonomia a danno
di quella notarile: verso l’esterno ricorrendo a forme di convalidazione quali
la carta partita, la bolla o il sigillo, verso l’interno sia con questi signa, sia
introducendo, nel 1125, i publici testes, ai quali competeva il controllo
for-male dei più importanti atti scritti del Comune quali i lodi consolari: non a
caso le loro firme autografe venivano apposte dopo la sottoscrizione
nota-rile
50. L’impressione che se ne ricava per la redazione del documento
comu-nale genovese, almeno per il secolo XII, è quella di un forte condizionamento
della pratica notarile perseguito dal Comune o, se si vuole, di un suo ben
individuato coinvolgimento anche in campo documentario
51.
Ma c’è di più: in contrapposizione al Torelli, che collocava la prima
formazione delle scritture d’ufficio, degli acta, solo nei primi decenni del
Duecento
52, per Genova se ne poteva anticipare l’origine al secolo
prece-———————
atti interni se, come provato, per quelli a carattere pattizio si fece ricorso costante a sigilli e carta partita.
49 Per il secolo XII è attestato l’uso del solo signum comunis, presente nel cartolare di
Giovanni Scriba (G. COSTAMAGNA, Il notaio cit., p. 143); se ne hanno notizie anche nei libri
iurium; v. ad es. la documentazione degli anni 1278-1280 (ID., Note di diplomatica cit., p. 342,
nota 22; ID., Il notaio cit., p. 144), estratta «ex quodam manuali scripto de papiru cum signo sive grupo comunis Ianue»: I Libri Iurium cit., I/6, n. 1140, p. 373. In seguito (1409-1413), l’originario signum di derivazione tachigrafica, che poteva confondersi con quello tabellionale (G. COSTAMAGNA, Note di diplomatica cit., p. 346), verrà sostituito con l’espressione Comune Ianue:
Documenti della Maona di Chio (secc. XIV-XVI), a cura di A. ROVERE, in «Atti della Società
Ligure di Storia Patria», n.s., XIX/2 (1979), p. 53. Tutti i signa della cancelleria genovese sembrano sparire nel secolo XV, durante la dominazione viscontea di Genova: Ibidem, p. 55.
50 EAD., I «publici testes» cit. Difficilmente rapportabile al modello genovese, ridotta
com’è ad un tentativo episodico, appare l’introduzione ad Asti di testimoni privilegiati quali i
custodes sacramentorum, dei quali troviamo menzione solo nel 1135: cfr. G.G. FISSORE,
Auto-nomia cit., p. 36; ID., La diplomatica del documento comunale, fra notariato e cancelleria. Gli
atti del Comune di Asti e la loro collocazione nel quadro dei rapporti fra notai e potere, in «Studi medievali», 3a serie, XIX (1978), p. 241; ID., Alle origini cit., p. 113.
51 Non a caso Costamagna (Pietro Torelli cit., p. 15) parla di un «notariato che, pur
nella salvaguardia dei propri caratteri istitutivi, doveva partecipare alla vita pubblica confron-tandosi con il potere in un continuo rapporto altalenante e mutevole».
52 Mi sembra significativo che a Milano i primi riferimenti a quaterni comunis risalgano
dente; non sfuggiva infatti al Costamagna l’importanza dei riferimenti, buona
messe dei quali trasmessi dai libri iurium, ai cartulari o libri consulatus o
po-testarie, ai cartulari o manuali autentici e originali comunis o iteragentium
53la
cui prima testimonianza risale al 1159
54; né ce ne meravigliamo se l’annalista
Caffaro segnalava che nel 1122, in coincidenza con l’istituzione del
conso-lato annuale, «
clavarii scribanique, cancellarius pro utilitate rei publice
pri-mitus ordinati fuerunt
»
55o, ancora, se proprio agli anni Quaranta dello
———————
comunali o scribe comunis (il primo dei quali attestato dal 1198), legittimati, in quanto tali, a renderne validi gli atti e che comincino ad apparire i primi mandati per la redazione di copie autentiche o per estrazioni da imbreviature di notai defunti, nelle quali tuttavia appaiono fre-quentemente le sottoscrizioni delle stesse autorità che hanno emesso il mandato: cfr. Gli atti
del comune di Milano, pp. LXXXVI-LXXXVII, XCIX; M.F. BARONI, La registrazione negli
uffici del comune di Milano nel secolo XIII, in «Studi di Storia Medioevale e di Diplomatica», I (1976), pp. 51-67; ID., Il notaio milanese cit., p. 11; ID., Le copie autentiche estratte per ordine
di una autorità nel territorio milanese durante il periodo comunale, in «Studi di storia medioe-vale e di diplomatica», 6 (1981), pp. 15-22; v. anche. A. LIVA, Notariato e documento notarile
a Milano. Dall’Alto Medio evo alla fine del Settecento, Roma 1979 (Studi storici sul notariato
italiano, IV), p. 74. Pressapoco nello stesso periodo, nel secondo decennio del secolo XIII, si attua a Treviso un analogo processo di differenziazione della produzione documentaria: G.M. VARANINI, in Gli acta comunitatis Tarvisii cit., pp. XXV-XXVIII.
53 G. COSTAMAGNA, Note di diplomatica cit., p. 345 e nota 32; su queste fonti v. anche I
Libri Iurium cit., I/1, n. 272; I/3, nn. 460, 478, 496, 513-514, 523, 526, 530-533, 542, 545-546,
569-573, 581, 595, 597, 644-646; I/4, nn. 704, 718, 824, 852 (gli ultimi tre del tardo secolo XIII). Per Asti v. G.G. FISSORE, Autonomia cit., pp. 181-182. Non è escluso tuttavia che anche altre,
numerose estrazioni da cartolari di alcuni notai, qualificati o noti come scribi del Comune, siano riferibili a tal genere di documentazione: I Libri Iurium cit., 1/3 pp. IX-X; I/4, p. XX. Sull’ar-gomento, anche se riferibile ad epoche più tarde, v. Documenti della Maona di Chio cit., p. 52 e D. PUNCUH, Tra Siviglia e Genova: a proposito di un convegno colombiano, in «Atti della Società Ligure di Storia Patria», n.s., XXXV/1 (1995), pp. 237-239, in questa raccolta, pp. 916-917. Alla luce di queste osservazioni, probabilmente estensibili anche ad altre esperienze, credo che vada attenuata la drastica dichiarazione di Bartoli Langeli (La documentazione degli stati italiani cit., p. 46) che fino alla metà del Duecento l’intera attività documentaria del Comune e dei suoi organi si sia realizzata esclusivamente in «atti sciolti» o comunque nei cartulari o libri iurium. Vero comunque (Ibidem, p. 47) che la documentazione in registro si afferma decisamente in periodo podestarile, riflettendo la maggiore articolazione burocratica del Comune.
54 I Libri Iurium cit., I/4, n. 704, del 1159, estratto «de quadam podisia signata signo
comunis Ianue et in qua scriptum erat quod erat extracta de cartulario consulatus Lanfranci Piperis et aliorum». Non si possono condividere i dubbi del Costamagna (Note di diplomatica cit., pp. 344-345) se la data sia riferibile all’apodisia o al cartulario, perché i consoli nominati in questo risultano in carica in tale anno.
55 Annali genovesi cit., I, p. 18. Il passo di Caffaro era ben noto al Torelli, il quale
stesso secolo risale la redazione del primo liber iurium genovese
56.
Situazio-ne non molto diversa a Pisa, dove gli studi di Ottavio Banti – ma qualcosa
del genere era avvertibile già in un saggio di Mario Luzzatto
57– indicano le
tracce, a partire dalla metà del secolo XII, di una prima, modesta
organizza-zione amministrativo-cancelleresca, affidata a scribi, definiti pubblici quasi a
———————
esclusivamente a notai subordinati, il che è contraddetto dalla documentazione superstite. Quanto alla figura del cancelliere, nel secolo XII a Genova è accertata la presenza di un
Bonus-infans negli anni 1132-1134 e 1141 (D. PUNCUH, Liber privilegiorum Ecclesiae Ianuensis, Ge-nova 1962, Fonti e studi di storia ecclesiastica, I, nn. 11-12, 50, 57; I Libri Iurium cit., I/2 n. 45; I/3, nn. 567-568) e di Guglielmo Caligepalio nel 1185 (Ibidem, I/2, n. 144), oltreché del ben noto annalista Oberto (1141-1173: Annali genovesi cit., I, pp. 30-31, 258), del quale però non conosco documenti di sua mano. Il cancelliere compare sporadicamente anche a Milano: A. LIVA, Notariato cit., p. 78; a Pisa: M. LUZZATTO, Note di diplomatica cit.; O. BANTI, « Can-tarinus, Pisane urbis cancellarius» (ca. 1140-1147) fu lo strumento della preminenza politica di
un vescovo in regime consolare?, in «Bollettino storico pisano», XL-XLI (1971-1972), ora in ID., Studi cit., pp. 48-56; ID., Per la storia della cancelleria cit.; per Siena è attestata per circa 45 anni l’attività del cancelliere Rolando, in carica già nel 1128: V. MORANDI, Il notaio all’origine
del comune medioevale senese, in Il notariato nella civiltà toscana. Atti di un convegno, maggio 1981, Roma 1985 (Studi storici sul notariato italiano, VIII), p. 313. Maggiori informazioni
sugli scribi del comune genovese nel XII secolo ci forniscono, anche se non regolarmente, gli
Annali: ne apprendiamo i nomi di Guglielmo de Columba (1140: Annali genovesi cit., I, p. 30),
mai stato annalista (come in A. BARTOLI LANGELI, Le fonti per la storia di un comune, in
So-cietà e istituzioni cit., pp. 16-17), Giovanni (1162, definito «fidelem et magne legalitatis vi-rum, cuius fidei singulis annis totius rei publice scriptura, committitur»: Annali genovesi cit., I, p. 66), Lanfranco e Ogerio [Pane], futuro annalista (1170: Ibidem, p. 229), Guglielmo Cali-gepalio (1171: Ibidem, p. 242), oltre a Ottobono, anch’egli annalista, ricordato come scriba nel 1194 (Ibidem, II, p. 47). Già nel 1130, inoltre, in coincidenza con la distinzione delle fun-zioni consolari, troviamo notai addetti alle due scribanie, dei consoli del comune e dei placiti: A. ROVERE, I «publici testes» cit., p. 328. Per esperienze analoghe di altre città, che comunque
denunciano tutte un comportamento fluido, una genericità di incarichi, v. sopra, nota 11; per Alessandria v. G. AIRALDI, Giudici e notai nella nascita di una città, in «Rivista di storia arte
archeologia per le province di Alessandria e Asti», LXXXII (1973), pp. 137-160; per Asti, dove tale qualificazione non appare espressa regolarmente e continuativamente (caso macro-scopico quello di Giacomo Boviculo, attivo al servizio del Comune dal 1188 al 1212, che qua-lifica il rapporto di dipendenza una sola volta), v. G.G. FISSORE, Autonomia cit, pp. 127-135 e 138-151; per Pisa M. LUZZATTO, Note di diplomatica cit., O. BANTI, Per la storia cit. Il vero
problema diplomatistico sollevato da tale rapporto è la ripercussione che ne discende o meno sulla tipologia documentaria prodotta in tale veste: cfr. al proposito A. ROVERE, I «publici testes» cit.
56 A. ROVERE, I libri iurium dell’Italia comunale, in Civiltà comunale cit., pp. 191-197;
della stessa A., I Libri Iurium cit., Introduzione, pp. 17-42.
sottolineare il rapporto continuativo di dipendenza dal Comune, ai quali era
devoluta l’intera documentazione comunale, che traeva validità e credibilità
proprio da questo rapporto di subordinazione
58.
Risultati analoghi mi consentiva l’esame dei cartulari notarili savonesi,
compresi tra l’ultimo ventennio del secolo XII ed il primo del seguente
59,
due dei quali di natura giudiziaria, come aveva segnalato Robert Henri Bautier
fin dal 1948
60, tutti riconosciuti come libri comunis già dai contemporanei.
Si veniva così delinendo il quadro di una piccola scribania, ne riaffioravano i
nomi dei titolari, Arnaldo Cumano e Giovanni di Donato, suo immediato
successore, al quale, nel 1182, era commessa «
possessionem ... tam de
scri-bania quam registris per clavem scrinii quo scripta et registra comunis Saone
in duana tenebantur
»
61; emergevano le prime testimonianze di versamenti
archivistici
62, a dimostrazione dell’importanza che il giovane comune
savo-nese attribuiva alla conservazione della propria documentazione, elemento
non trascurabile per una corretta valutazione dell’organizzazione
burocrati-ca del Comune.
Gli anni Sessanta, ai quali risalgono questi lavori genovesi e liguri, erano
però segnati dall’impressione suscitata dalla conferenza di Heinrich Fichtenau
———————
58 O. BANTI, Per la storia della cancelleria cit.; ID., Il notaio e l’amministrazione del
co-mune di Pisa (secc. XII-XIV), in Civiltà comunale cit., ora in ID., Scritti di storia, diplomatica
ed epigrafia, Pisa 1995, al quale rinviano le nostre citazioni, pp. 427-448, in particolare pp.
428-430. Sui cartulari comunali astigiani v. G.G. FISSORE, Procedure cit., p. 765.
59 D. PUNCUH, Note di diplomatica giudiziaria savonese, in «Atti della Società Ligure di
Storia Patria», n.s., V (1965), pp. 7-36; in questa raccolta, pp. 531-555.
60 R.H. BAUTIER, Notes sur les sources de l’histoire économique médiévale dans les archives
italiennes, in «Mélanges d’archéologie et d’histoire», LX (1948), p. 203. V. anche D. PUNCUH,
Il notaio nell’amministrazione della giustizia, in Mostra storica cit., pp. 115-138; Il cartulario del notaio Martino, Savona, 1203-1206, a cura di D. PUNCUH, Genova 1974 (Notai liguri dei secoli XII e XIII, IX).
61 D. PUNCUH, Il notaio negli uffici pubblici, in Mostra storica cit., pp. 82-83; Il cartulario
di Arnaldo Cumano e Giovanni di Donato (Savona, 1178-1188), a cura di L. BALLETTO, G. CENCETTI, G. ORLANDELLI, B.M. AGNOLI PISONI, Roma 1978 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato, Fonti e sussidi, XCVI), n. 1105. Su questo documento v. anche G.G. FISSORE,
Auto-nomia cit., pp. 158-159; ID., Alle origini cit., p. 106.
62 D. PUNCUH, Il notaio negli uffici pubblici cit., pp. 84-85; Il cartulario del notaio
Mar-tino cit., n. 449; A. ROMITI, L’armarium comunis della camara actorum di Bologna.
L’inven-tariazione archivistica nel XIII secolo, Roma 1994 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato, Fonti,
all’École des Chartes
63e dalla contemporanea pubblicazione della leçon
d’ouverture di Robert Henri Bautier
64, ai quali si ispirarono, a distanza di un
decennio l’uno dall’altro, i saggi di Armando Petrucci e di Alessandro
Pra-tesi
65. Nella sua aspirazione al rinnovamento che lo avrebbe condotto a
in-dividuare e seguire nuovi indirizzi in campo paleografico, Petrucci si
dimo-strava sensibile a quella «
crise intérieure dans la diplomatique
» denunciata
dallo studioso austriaco: puntando l’attenzione sui pericoli di esaurimento
della disciplina che ne derivavano egli proponeva come novità assoluta
66l’assunto che «
il faut que nous arrivions à voir les documents comme les
hommes du Moyen Age
»
67; qualcosa di analogo, sia pur limitato alla sola
mentalità del notaio, era già stato espresso, dieci anni prima, dal De Vergottini
in un saggio senese
68, nel quale lo storico del diritto, pur nell’ottica giuridica
che gli era propria, aveva applicato un metodo diplomatistico che avrebbe
———————
63 H. FICHTENAU, La situation actuelle des études de diplomatique en Autriche, in «
Bi-bliothèque de l’École des Chartes», 119 (1961), pp. 5-20.
64 R.H. BAUTIER, Leçon d’ouverture du cours de diplomatique a l’école des chartes (20
oc-tobre 1961), Ibidem, pp. 194-225.
65 A. PETRUCCI, Diplomatica vecchia e nuova, in «Studi medievali», 3a serie, IV (1963),
pp. 785-798; A. PRATESI, Diplomatica in crisi?, in Miscellanea in memoria di Giorgio Cencetti,
Torino 1973, ora in ID., Tra carte e notai cit., pp. 83-95.
66 A. PETRUCCI, Diplomatica cit., p. 788: «nuova la concezione del documento che egli
[Fichtenau] suggerisce come ideale nuovo punto di partenza di ogni ricerca diplomatistica ... Si tratta di vedere il documento così come lo vedeva l’uomo del medioevo, di considerarlo cioè in tutti i suoi aspetti, i suoi significati, i suoi fini ... e ciò per il fatto che in ogni docu-mento medievale sono presenti ed operanti implicazioni religiose, liturgiche, retoriche, che si intrecciano variamente tra loro e ne costituiscono il disotto dello schema giuridico, il vivente tessuto connettivo».
67 H. FICHTENAU, La situation cit., p. 17.
68 «Non bisogna mai dimenticare, quando si cerchi di capire le diverse formule
cancelle-resche, che dietro ai documenti ufficiali vi sono i cancellieri o notai comunali che sono uomini in carne ed ossa, con le loro convinzioni politiche, con la loro psicologia di uomini appassio-nati alla politica del loro comune, tutti protesi ad essere utili alla loro città e qualche volta an-che timorosi di essere stati troppo audaci in questo proposito e perciò inclini a correggere quanto avevano messo sulla carta un momento prima! Anatomizzare il documento comunale come ogni documento del resto vuol dire perciò spesso mettere a nudo anche la più riposta personalità di chi lo ha redatto»: G. DE VERGOTTINI, I presupposti storici del rapporto di
co-mitatinanza e la diplomatica comunale con particolare riguardo al territorio senese, in « Bullet-tino Senese di Storia Patria», LX (1953), p. 19, dove affronta l’adattamento delle formule notarili al giustificazionismo dell’espansione senese nel contado ed anche al di fuori di esso.
trovato tardi epigoni solo dopo qualche decennio, con esiti tali da dissipare
gran parte dei dubbi sollevati da Pratesi sul pericolo dell’accostamento al
documento «
con finalità che non sono più diplomatiche
» e che di
conse-guenza al metodo diplomatico possano subentrare, con le relative istanze,
quelli storico, sociologico, giuridico, ecc.
69In questa sede tuttavia mi preme di più fermare l’attenzione
sull’am-pliamento degli orizzonti temporali e spaziali propugnato dal Bautier, non
senza sottacere – con una punta di rimpianto dovuto all’età – la suggestione
che ne provai allora e gli interminabili colloquii sul tema con Giorgio
Co-stamagna. Si trattava però anche di ridisegnare e meglio definire i confini di
una disciplina come la nostra – non certo in crisi e concordo quindi col
giu-dizio di Pratesi –, che pareva assediata idealmente da una parte dalla storia
giuridica, dall’altra dall’archivistica. Non a caso, proprio negli stessi anni, un
giurista italiano sosteneva che la diplomatica «
va intesa come una branca
della storia dei diritto
»
70, mentre il Pratesi
71avvicinerà l’opera del Torelli
alla storia delle istituzioni, magari – a torto a mio modesto parere
72– con
qualche contaminazione da parte di quella che Cencetti
73definiva
Archivi-stica speciale; timore, quest’ultimo, ripreso dal Petrucci
74, anche se ombre
del genere non sembrano avvertibili nello scritto del Bautier
75, che riparte
———————
69 A. PRATESI, Diplomatica in crisi? cit., p. 86: rischi peraltro avvertibili qua e là nei lavori
di Attilio Bartoli Langeli (v. ad es. Notariato cit. p. 265, con l’insistenza sul significato ideologico o propagandistico dei documenti notarili di pertinenza comunale) e di Fissore, che li ritiene calcolati, da affrontare soprattutto nel campo delle «discipline specialistiche allettate alle scorribande interdisciplinari dalle suggestioni delle novità metodologiche», spie comunque di un’insoddisfazione derivante da schemi classificatori rigidi, che indurrebbero fatalmente alla ripetitività: G.G. FISSORE, La diplomatica del documento comunale cit., pp. 212-213, note 3 e 4.
70 L. PROSDOCIMI, Diplomatica e storia del diritto, in «Rassegna degli Archivi di Stato»,
XXI (1961), p. 155; del resto già Ugolini (Pietro Torelli cit., p. 243) aveva scritto che l’opera del Torelli, «è storia giuridica pubblica».
71 A. PRATESI, La documentazione comunale cit., pp. 49-50.
72 Nell’ottica pratesiana (meglio cencettiana: v. nota seguente) si colloca piuttosto V.
POLONIO, L’amministrazione della res publica genovese fra Tre e Quattrocento. L’archivio
“Antico Comune”, in «Atti della Società Ligure di Storia Patria», n.s., XVII/1 (1977), che ri-costruisce le magistrature genovesi nel quadro dell’inventariazione di un fondo archivistico.
73 G. CENCETTI, La preparazione dell’archivista, in «Notizie degli Archivi di Stato», XII
(1952), ora in ID., Scritti archivistici, Roma 1970, pp. 148-151.
74 A. PETRUCCI, Diplomatica cit., p. 790. 75 R.H. BAUTIER, Leçon cit., p. 210.
dall’analisi delle forme, estendendone la portata fino ad investire, più che il
documento singolo, considerato come «
pièce d’un ensemble, un élément
d’un fonds
»
76, l’intero processo di documentazione, il cui studio mi appare
fondamentale ove si tratti di cancellerie minori, di quelle comunali nella
fat-tispecie. Ancora, in quegli anni Pratesi veniva tratteggiando i contorni di un
documento ‘semi pubblico’ che, al primo apparire del suo manuale
77provocò
– almeno in chi vi parla – non poche perplessità e riserve, convinto come sono
che si debbano considerare pubblici gli atti emanati da autorità munite di
giu-risdizione, beninteso senza trascurare né l’aspetto formale verso il quale è
indirizzato il discorso pratesiano, né la considerazione di cui essi godevano
presso i contemporanei (tesi Fichtenau) – e qui richiamo alcune pertinenti
considerazioni sull’argomento della Rovere su fonti genovesi
78– né il
pro-cesso di formazione di nuove forme documentarie (tesi Bautier) scandito da
fasi altalenanti, da avanzamenti e ripiegamenti cui accennavo all’inizio.
A questo punto prima di delineare i diversi filoni di ricerca entro i quali
si sviluppano oggi gli studi di diplomatica comunale italiana, devo premettere
le convinzioni che ne ho tratto. Già da quanto esposto finora credo siano
emersi tutti i miei dubbi sulle conclusioni della dottrina tradizionale a
pro-posito del rapporto notaio-comune : l’applicazione generalizzata dei principi
– in questo caso il potere legittimante e convalidatorio del notaio – a tutte le
nuove realtà politiche dei secoli XI e XII mal si concilia con l’interazione o
col confronto che si viene aprendo tra esse e la cultura notarile che, in
quanto sensibile alla scienza del diritto «
era la sola, con quella dei giudici e
dei giuristi, che potesse garantire alla dinamica società urbana ed al suo
ap-parato di governo una gamma di prestazioni differenziate e, in
considera-———————
76 Ibidem, p. 213.
77 A. PRATESI, Genesi e forme del documento medievale, Roma 19872, p. 34, che riprende
nella sostanza il testo, litografato, stampato a Bari nel 1961 col titolo di Lineamenti di
Diplo-matica generale.
78 Partendo da analoghe, precedenti osservazioni (Documenti della Maona di Chio cit.,
pp. 51-67), la Rovere ha richiamato l’attenzione su alcuni cartulari, identificati col nome del rogatario, contenenti atti della curia arcivescovile o comunale, considerati atti pubblici dai con-temporanei: A. ROVERE, Libri “iurium-privilegiorum, contractuum-instrumentorum” e livellari
della Chiesa genovese (secc. XII-XV). Ricerche sulla documentazione ecclesiastica, in «Atti della Società Ligure di Storia Patria», n.s., XXIV/1 (1984), pp. 154-162. Lo stesso liber iurium del XII secolo godeva di tale considerazione, come dimostra l’estrazione, nel 1227, di un docu-mento «ex actis publicis sive registro comunis Ianue»: I Libri Iurium cit., I/2, n. 98.