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La diplomatica comunale in Italia dal saggio del Torelli ai nostri giorni

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(1)

ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA

Nuova Serie – Vol. XLVI (CXX) Fasc. I

(2)

DINO PUNCUH

All’ombra

della

Lanterna

Cinquant’anni tra archivi e biblioteche:

1956-2006

a cura di

Antonella Rovere

Marta Calleri - Sandra Macchiavello

**

GENOVA MMVI

(3)

La diplomatica comunale in Italia dal saggio del

Torelli ai nostri giorni

Nel 1911 Pietro Torelli, giovane funzionario dell’Archivio di Stato di

Mantova, pubblicava la prima parte degli Studi e ricerche di diplomatica

co-munale, cui seguiva, a distanza di quattro anni la seconda

1

. Sarà per l’ambito

locale dell’edizione, sarà, meglio, perché il secondo studio vedeva la luce nel

pieno della bufera bellica, i due saggi non trovarono alcuna eco nel mondo

degli studiosi

2

, sia tra gli storici del diritto, sia tra i paleografi e diplomatisti;

ma forse, e credo sia l’ipotesi più corretta, soprattutto alla luce della scarsa

fortuna che studi analoghi ebbero nei decenni seguenti, i tempi erano

pre-maturi: appiattiti sulle conclusioni dei diplomatisti tedeschi (Steinacker,

Redlich, lo stesso Bresslau), dai quali il Torelli non era poi tanto lontano,

pur giudicando aprioristiche le soluzioni proposte da chi considerava

pub-blici solo gli atti emanati da un’autorità sovrana mentre il documento

co-munale pareva assimilabile, non senza buone ragioni, al documento privato,

———————

* Pubbl. in La diplomatique urbaine en Europe au moyen âge, Actes du congrès de la Commission internationale de Diplomatique, Gand, 25-29 août 1998, a cura di W. PREVENIER

e TH. DE HEMPTINNE, Leuven-Apeldoorn 2000 (Studies in Urban Social, Economic and Po-litical History of the Medieval and Early Modern Low Countries, 9), pp. 383-406.

1 P. TORELLI, Studi e Ricerche di Diplomatica Comunale, I, in «Atti e memorie della R.

Accademia Virgiliana di Mantova», n.s., IV (1911), pp. 3-99; II, Mantova 1915 (Pubblicazioni della R. Accademia Virgiliana di Mantova, I; questa seconda parte anche col titolo di Studi e

Ricerche di Storia Giuridica e Diplomatica Comunale); entrambi i saggi ora raccolti in volume,

col titolo della prima parte, nella collana Studi storici sul notariato italiano, V, Roma 1980, al quale rinviano le nostre citazioni.

2 Uniche eccezioni in Italia le recensioni di R. QUAZZA, in «Archivio della Società

Ro-mana di Storia Patria», 44 (1921), pp. 363-366 e di G. BISCARO in «Archivio Storico

Lombar-do», XLIII (1916), pp. 600-619, dove peraltro largo spazio viene dedicato dallo studioso della pratica giudiziaria milanese proprio a questo aspetto, con rettifiche, integrazioni e nuovi apporti all’opera del Torelli, apprezzata dal Bresslau (R. QUAZZA, rec. cit., p. 364) e lodata come lavoro «eminente» dal Kantorowicz: cfr. Kritische Studien (Zur Quellen und

Literatur-geschichte des römischen Rechts im Mittelalter), in «Zeitschrift der Savigny-Stiftung fur Re-chtsgeschichte», Rom. Abt. XLIX (1929), pp. 79-80.

(4)

quelli italiani, nessuno escluso

3

, ignorarono i nuovi percorsi aperti dal

To-relli

4

, preferendo muoversi sui terreni meno scivolosi della diplomatica

pa-pale, imperiale e regia, condannando all’isolamento lo studioso mantovano

che, infatti, pur libero docente di Paleografia e Diplomatica, venne spostando

i propri interessi, sempre indirizzati all’età comunale, verso la storia

giuridi-ca

5

, della quale divenne maestro, fino ad occuparne la prestigiosa cattedra

bolognese.

Se però torniamo allo studio dal quale ho preso le mosse, ne avvertiamo

subito alcuni limiti metodologici: da una parte la formazione giuridica del

suo autore, col ricorso massiccio alle norme statutarie, ne rinchiudeva gli

orizzonti entro il terreno istituzionale, limitandone l’indagine ai soli organi

produttori della documentazione e trascurando l’esame delle forme della

stessa, dall’altra l’esiguità di quelle fonti ne riduceva l’ambito geografico alla

sola area padana, per di più a poche città

6

. Ma il limite maggiore, peraltro

avvertito dallo stesso autore

7

, è il mancato approccio alla documentazione,

———————

3 Ad eccezione, forse, del Vittani, il solo a mostrare una qualche apertura verso il

docu-mento comunale, sia pure in un’ottica prevalentemente milanese: v. il suo manuale litografato, ad uso degli studenti della scuola d’archivio di Milano, in riproduzione anastatica, Roma 1972.

4 Si veda al proposito A. PRATESI, Un secolo di diplomatica, in Un secolo di Paleografia e

Diplomatica. Per il centenario dell’Istituto di Paleografia dell’Università di Roma (1887-1986),

a cura di A. PRATESI e A. PETRUCCI, Roma 1988, ora in ID., Tra carte e notai. Saggi di

diplo-matica dal 1951 al 1991, Roma 1992 (Miscellanea della Società Romana di Storia Patria, XXXV),

pp. 635-651, al quale rinviano le nostre citazioni.

5 Sull’opera del Torelli, oltre alle commemorazioni di G. DE VERGOTTINI, in «

Rendi-conto delle sezioni della Accademia delle scienze dell’Istituto di Bologna», Classe di scienze morali, serie V, III (1949-1950), ripubblicata in P. TORELLI, Scritti di storia del diritto italiano, Milano 1959, pp. VII-XLVI, di U. NICOLINI in «Rivista di storia del diritto italiano», XXIII

(1950), pp. 229-254, e di F. CALASSO in «Rivista taliana di scienze giuridiche», serie terza, II

(1948), pp. 397-401, si vedano gli atti del Convegno di studi su Pietro Torelli, Mantova 1981, in particolare gli interventi di Giorgio Costamagna e di Ovidio Capitani.

6 Cfr. A. PRATESI, Un secolo cit., p. 640; ID., La documentazione comunale, in Società e

istituzioni dell’Italia comunale: l’esempio di Perugia (secoli XII-XIV). Congresso storico

interna-zionale Perugia 6-9 novembre 1985, Perugia 1988, ora in ID., Tra carte e notai cit., pp. 49-50.

7 Nelle conclusioni della seconda parte (pp. 381-384) Torelli avverte l’insufficienza di

un’opera che ha inteso indicare quali fossero i documenti comunali proprio perché se ne po-tessero in seguito studiare i modi di redazione, attraverso un ampio lavoro comparativo su documenti omogenei. Non solo, ma egli stesso scriverà in seguito che «la storia giuridica ed economica d’Italia non è tutta nelle disposizioni delle nostre vecchie raccolte ufficiali di con-suetudini e statuti», echeggiando, come avverte De Vergottini (in P. TORELLI, Scritti cit., p.

(5)

la sola che può restituirci «

tutti i nascosti meccanismi di cui si avvaleva

l’opera del rogatario all’interno dell’istituzione comunale

» riducendo con

ciò la carica innovativo di un intervento che affermava «

l’autonomia di una

materia così intimamente legata ad una delle più ardite soluzioni della vita

pubblica, politica e sociale qual fu il comune italiano

»

8

. Ne derivò

soprat-tutto un’affermazione apodittica, quasi una costante, passivamente e

acriti-camente accettata pressoché all’unanimità dalla storiografia, quella cioè che

nel secolo XII gli atti comunali «

non hanno valore di atti pubblica per

ra-gione dell’autorità che li emana

» – risalendo ad epoca molto più tarda, al più

maturo secolo seguente, tale concetto –, «

bensì in quanto scritti, secondo

norme determinate, da persone che il potere legittimo ha rivestito della

fa-coltà di emanare atti in forma pubblica: i notai. È questo un fatto che non

ha bisogno di prove

»

9

. Subordinatamente, Torelli, proclamando una tesi,

largamente condivisibile, che non si può parlare, se non genericamente,

al-meno per le origini, di una cancelleria comunale, spostava l’attenzione sul

rapporto comune-notaio, ingenerando tuttavia alcuni equivoci destinati a

protrarsi nel tempo, ai quali non sfuggono i pochi lavori che al saggio del

Torelli si ispirarono, dalla grande opera editoriale di Cesare Manaresi

dedi-cata agli atti del comune di Milano, proseguita in seguito da Maria Franca

Baroni

10

, per giungere, in epoca più recente, ad alcune brevi note della scuola

di Beniamino Pagnin

11

, che derivava forse questi interessi da qualche

approc-———————

XXI), forse senza saperlo, una recisa affermazione di Giuseppe Salvioli: «la storia del diritto italiano è scritta più nei documenti che nelle leggi».

8 G. COSTAMAGNA, Pietro Torelli e la diplomatica comunale, in Convegno cit., p. 13. 9 P. TORELLI, Studi e ricerche cit., p. 10, ma v. anche pp. 119-121.

10 Gli atti del comune di Milano fino al MCCXVI, Milano 1919; dello stesso Manaresi

ricorderemo anche Un appello contro sentenza dei consoli di Milano ai tempi di Ottone IV, in «Archivio Storico Lombardo», XLIII (1916), pp. 907-909 e Documenti sull’attività dei giudici

imperiali degli appelli sul finire del secolo XIII a Milano, Ibidem, XLIV (1917), pp. 153-158;

quanto alla continuazione dell’opera del Manaresi, v. Gli atti del comune di Milano del secolo

XIII, a cura di M.F. BARONI, I: 1217-1250, Milano 1976; II: 1251-1276, a cura della stessa

e di R. PERELLI CIPPO, Alessandria 1982-1988; III: 1277-1300 e IV: Appendice: 1176-sec. XIII, a cura della stessa, Alessandria 1992 e 1997. Sempre a cura della medesima curatrice v. anche Gli atti di “querimonia” tra i documenti giudiziari del comune di Milano (sec. XIII), Alessandria 1997.

11 Cfr. B. PAGNIN, Note di diplomatica comunale veronese, in «Memorie della R.

Acca-demia di scienze Lettere ed Arti in Padova», LVII (1940-1941), da me visto in estratto; A. DE

(6)

cio sporadico alla documentazione pubblica veneziana di Vittorio

Lazzari-ni

12

, suo maestro nell’Università di Padova. Mi spiego: se è vero che nei

suoi primi tempi il Comune italiano ricorse al notaio come qualsiasi privato

cittadino e che solo in un secondo momento, differenziato da comune a

comune, ebbe notai-funzionari al proprio servizio, peraltro non esclusivo,

essendo ben documentata e largamente diffusa la prassi del notaio

dipen-dente comunale che operava anche come libero professionista, occorre

pro-cedere con molta cautela su questo terreno, non bastando certo a connotare

tale rapporto subordinato o funzionariale né la continuità di servizio, né

formule di tipo cancelleresco quali l’amonicio, la iussio o il praeceptum

dell’autorità comunale che nella sottoscrizione notarile sostituiscono la

tra-dizionale rogatio. Dubbi in proposito sono già presenti nel saggio ‘veronese’

di Pagnin

13

, al quale non sfugge invece il rapporto di dipendenza che

ven-———————

pp. 141-156; E. CAU, Note di diplomatica comunale tortonese, in «Iulia Dertona», XVI-XVII-XVIII (1968-1970), pp. 3-10.

12 V. LAZZARINI, Originali antichissimi della cancelleria veneziana (Osservazioni

diplo-matiche e paleografiche), in «Nuovo Archivio Veneto», VIII (1904), pp. 199-229; ID., Lettere

ducali veneziane del secolo XIII. “Litterae clausae”, in Scritti di paleografia e diplomatica in onore di V. Federici, Firenze 1944, pp. 225-239; entrambi gli scritti in ID., Scritti di paleografia

e diplomatica, Padova 19692.

13 B. PAGNIN, Note di diplomatica cit., p. 9 dell’estratto. Anche una recente edizione di

do-cumenti comunali trevigiani – Gli acta comunitatis Tarvisii del sec. XIII, a cura di A. MICHIELIN,

con una nota introduttiva di G.M. VARANINI, Rorna 1998 (Fonti per la storia della terraferma

veneta, 12) pp. 146-147 – cade nello stesso equivoco, arrivando ad ipotizzare una doppia di-pendenza (dal vescovo e dal comune) di un notaio che nello stesso giorno (7 maggio 1271) redige due documenti (pp. 348-353), tra loro connessi, il primo «auctoritate dicti iudicis» [del podestà], il secondo «auctoritate domini episcopi». Esemplare, invece, ma per epoca più tarda, il caso di Gaspare de Noxereto, che nello stesso anno (1364), a distanza di pochi giorni, si qualifica ora come notaio e cancelliere del comune di Savona, ora, operando nell’ambito della curia vescovile, come notaio e scriba, ma solo in hac parte, del vescovo: A. ROVERE,

Ga-ranzie documentali e mutamenti istituzionali: il caso di Savona del 1364, in «Atti della Società Ligure di Storia Patria», n.s., XXXV/1 (1995), pp. 156, 158. Dubbi analoghi suscita l’edizione di documenti bassanesi – I documenti del comune di Bassano dal 1259 al 1295, a cura di F. SCARMONCIN, Padova 1989 (Fonti per la storia della terraferma veneta, 3) –, dove si sostiene

(p. XXI) che il precetto o il mandato podestarile (nel caso in oggetto si tratta del mandato di redigere due copie) indicherebbe un rapporto di dipendenza. Che poi uno (non entrambi co-me sostiene il curatore: p. XXII) dei due notai destinatari del mandato, figuri coco-me notaio del podestà nello stesso anno (cfr. docc. 27 e 29) non sposta i termini della questione. Non sfuggono alle stesse conclusioni M.F. BARONI, Il notaio milanese e la redazione del documento comunale

(7)

gono via via denunciando le qualificazioni di notarius/scriba

14

comunis/con-sulum o potestatis, uno speciale rapporto che tende a manifestare il carattere

pubblico del potere che ha emesso l’ordine di redazione, onde si potrebbe

anche sostenere che tali qualificazioni esprimano – così è stato scritto

re-centemente – «

l’esigenza di caratterizzare con solennità diverse i momenti

dell’azione che il Comune viene svolgendo sul territorio che considera

pro-prio, nei confronti dei cittadini/habitatores, ovvero all’esterno

»

15

; non

di-versamente, credo, dal richiamo all’ordine impartito dalle magistrature

co-munali, espressione non solo della volontà del notaio di caratterizzare

l’ambito istituzionale entro il quale opera al momento

16

, ma anche, e forse

di più, dell’organo di governo, affermante con ciò la propria autorità

affian-cata a quella del notaio, o, meglio, la funzione di autore della

documenta-zione, di Aussteller

17

; nella stessa ottica si collocherebbe l’avverbio nunc,

spesso premesso alla qualifica di scriba comunis, a rimarcare cioè la funzione

ricoperta in quel momento dal redattore del documento

18

. È una tematica

sfuggente, ambigua e spesso contradditoria, meritevole di approfondimenti

———————

Martini, Milano 1978, p. 11 e A. BARTOLI LANGELI, La documentazione ducale dei secoli XI e

XII. Primi appunti, in Studi veneti offerti a Gaetano Cozzi, Venezia 1992, p. 35, affermante

che la iussio dimostrerebbe il «rapporto gerarchico tra la persona pubblica e l’addetto alla sua documentazione, tra un principalis e un suo subordinato».

14 Sul significato del termine scriba come ufficiale addetto alla cancelleria v. C. PAOLI,

Diplomatica, nuova ed. aggiornata da G.C. BASCAPÈ, Firenze 1942, pp. 97-98. Per l’area laziale

v. C. CARBONETTI VENDITTELLI, Per un contributo alla storia del documento comunale nel

La-zio dei secoli XII e XIII. I comuni delle provincie di Campagna e Marittima, in «Mélanges de l’École française de Rome», Moyen Age, 101 (1989), p. 114 e sgg. Sul passaggio o conversio-ne dal notariato al funzionariato v. A. BARTOLI LANGELI, La documentazione degli stati italiani

nei secoli XIII-XV: forme, organizzazione, personale, in Culture et idéologie dans la genèse de l’état moderne, Roma 1985, pp. 38-45.

15 R. FERRARA, Le cancellerie comunali, in Le sedi della cultura nell’Emilia Romagna, II:

L’età comunale, a cura di A. VASINA, Milano 1984, pp. 167 e 172. 16 M.F. BARONI, Il notaio milanese cit., p. 7.

17 G.G. FISSORE, Autonomia notarile e organizzazione cancelleresca nel comune di Asti,

Spoleto 1977, p. 161.

18 Contro l’opinione della Baroni (Il notaio milanese cit., p. 18) che lo ritiene indicativo

di un rapporto di subordinazione continua, sia pure a tempo determinato. Casi analoghi mi parrebbero quelli perugini di un notaio che si sottoscrive come «existens pro comuni » e di quell’altro, milanese di patria, che denuncerebbe, attraverso l’aggiunta «et nunc comunis scri-ba et cancellarius», un’attività «interamente incardinata nell’ufficio»: A. PRATESI, La

(8)

a largo raggio, a tappeto, per aree omogenee, senza lasciarsi condizionare

troppo dai formalismi messi in atto, volta per volta, dai notai, non

necessa-riamente ossequienti ad una prassi omogenea, razionale e regolare che noi

cerchiamo, spesso invano, di individuare. Nonostante l’ampia

documenta-zione fornita in proposito da Gian Giacomo Fissore

19

, il solo riferimento

all’ordine emesso dalle magistrature comunali per trarne prove di rapporti di

dipendenza o di subordinazione non mi pare sufficiente, soprattutto là dove

si rileva una doppia iussio, senza che il redattore del documento si preoccupi

di indicare a quale parte in causa è subordinato

20

o quando il medesimo

no-taio redige sentenze consolari richiamando ora la formula precettizia, ora la

tradizionale rogatio

21

o, come nel caso degli atti di alcuni notai, lungamente

operanti per conto del Comune, del tutto privi di qualsiasi cenno ad un

ruolo dipendente

22

. Ma è soprattutto sulla ‘pubblicità’ degli atti emanati

da-gli organi comunali che si è incentrata l’attenzione deda-gli studiosi, tutti

alli-neati sulle posizioni del Torelli, nonostante che fin dall’apparire della prima

parte della sua opera fossero state avanzate alcune perplessità al riguardo

23

.

È emblematico un caso: accertato che gli ufficiali della cancelleria del Senato

romano potevano essere scelti al di fuori del notariato di nomina pontificia

———————

19 G.G. FISSORE, Autonomia cit., pp. 168-169; ID., Alle origini del documento comunale: i

rapporti tra i notai e l’istituzione, in Civiltà comunale: libro, scrittura, documento. Atti del

con-vegno, Genova, 8-11 novembre 1988 («Atti della Società Ligure di Storia Patria», n.s., XXIX/2, 1989), pp. 99-128. Di rilievo i richiami a norme statutarie (Ibidem, pp. 108-109) del secolo XIII che definiscono con assoluta chiarezza le funzioni dei notai-funzionari, redattori di atti dotati di piena autorità e credibilità; valga per tutte quella degli statuti padovani (anteriori al 1236): «cuilibet instrumento exenplato auctoritate iudicis in officio existentis per notarium de officio fides plenaria adhybeatur»: Statuti del comune di Padova dal secolo XII all’anno

1285, a cura di A. GLORIA, Padova 1873, p. 184.

20 G.G. FISSORE, Alle origini cit., pp. 121-124, nota 45. Caso analogo parrebbe verificarsi

nel trattato di alleanza tra Alba e Asti del 1203, il cui testo destinato alla prima città viene re-datto dal notaio astigiano su mandato dei consoli albesi, viceversa per l’esemplare destinato ad Asti: cfr. ID., Procedure di autenticazione del secolo XIII in area comunale ad Asti: verso

un’organizzazione burocratica della documentazione, in «Bollettino storico-bibliografico sub-alpino», LXXXI (1983), pp. 766-772.

21 ID., Alle origini cit., pp. 116-118.

22 Come gli atti del milanese Ugo de Castagnianega, operante al servizio dei consoli dal

1174 al 1207 (Ibidem, pp. 107-108, 114), e del perugino Iacobinus, al quale si devono 14 do-cumenti comunali redatti tra il 1198 e il 1218 (A. PRATESI, La documentazione cit., p. 57).

23 Secondo il Biscaro (rec. cit., p. 601) «le premesse, esatte, sulla storia e sulla funzione del

(9)

o imperiale, il che, almeno a Roma, rendeva pubblico il documento «

per

ra-gione dell’autorità che lo emana

»

24

, Franco Bartoloni approdava in seguito

alla tesi del Torelli

25

, estendendola fino al secolo XIII inoltrato, là dove

so-steneva, a proposito di un trattato intercomunale, che «

la prassi del tempo

esigeva che documenti del genere emanati dai comuni fossero redatti da

pubblici notai

»

26

.

E qui avanzo subito una domanda provocatoria, un dubbio che si

co-glie qua e là

27

, mai reso esplicito ma pur sempre aleggiante: a chi poteva

ri-volgersi il giovane comune italiano, non dico per rivestire di forme legali le

proprie deliberazioni, ma almeno per redigerle in forme corrette se non al

notaio o – è il caso di Venezia – a un ecclesiastico? Il ricorso delle autorità

comunali al notaio, così come faceva qualsiasi cittadino, non ci autorizza

però ad equiparare il comune ad una qualsiasi associazione di cittadini, priva

di autorità: non vi facevano ricorso anche vescovi, abati, signori feudali, cui

non mancava certo la coscienza di detenere, in maniera legittima,

un’aucto-ritas

28

? E che dire dei molti notai cittadini, sulla cui nomina e conseguente

legittimità dei loro atti, almeno prima del secolo XIII, non abbiamo notizie

certe

29

? Ma il punto più scoperto della tesi di Torelli, rimasto sospeso per il

———————

24 F. BARTOLONI, Preparazione del “Codice Diplomatico” del Senato Romano nel medio

evo (1144-1347), in «Bullettino dell’Istituto storico italiano e Archivio Muratoriano», 53 (1939), ora in ID., Scritti, a cura di V. DE DONATO e A. PRATESI, Spoleto 1995, al quale rin-viano le nostre citazioni, p. 86.

25 ID., Per la storia del Senato Romano nei secoli XII e XIII, in «Bullettino dell’Istituto

storico italiano e Archivio Muratoriano», 60 (1946), ora in ID., Scritti cit., pp. 105-108, in particolare p. 107, nota 1.

26 ID., Un trattato d’alleanza del secolo XIII tra Roma e Alatri, in «Bullettino

dell’Isti-tuto storico italiano e Archivio Muratoriano », 61 (1949), ora in ID., Scritti cit., p. 208, nota 3.

27 V. ad es. G. FASOLI, Giuristi, giudici e notai nell’ordinamento comunale e nella vita

cittadina, in Atti del Convegno internazionale di studi accursiani, Bologna, 21-26 ottobre

1963, Milano 1968, I, p. 28: «... il rapido avvicendamento dei magistrati e dei loro collaborato-ri ... non consentiva la formazione di un corpo di funzionacollaborato-ri e di impiegati capaci ed efficienti ed imponeva il ricorso a coloro che erano già professionalmente addestrati».

28 Così J.C. MAIRE VIGUEUR, Forme di governo e forme documentarie nella città comunale,

in Francesco d’Assisi. Documenti e archivi, Codici e biblioteche, Miniature, Milano 1982, p. 59.

29 La nomina locale dei notai nel secolo XII è problema di notevole spessore, meritevole

di indagini approfondite; per il momento dobbiamo limitarci a sospettarla nei molti casi in cui il notaio omette di indicare precise qualificazioni in proposito: G. COSTAMAGNA, Il notaio a

(10)

mancato approccio alla documentazione, sta proprio in quelle «

norme

de-terminate

», cioè le forme, cui egli accenna come ad uno dei due elementi

caratterizzanti l’atto pubblico, l’altro essendo rappresentato dalla

qualifica-zione del redattore. È il tema al quale la più recente generaqualifica-zione di studiosi

cerca di dare una risposta, pur essendo già chiaro che essa non potrà essere

univoca, trattandosi di una documentazione corrispondente a situazioni

particolari, di una costruzione lenta ed altalenante, che alterna avanzamenti,

talvolta precocissimi, come a Genova, a bruschi ritorni, modernità ad

arcai-smi, condizionata dal maggiore o minor ‘peso politico’ dei comuni,

difficil-mente riducibile ad un quadro unitario

30

.

Riprendiamo allora il nostro cammino e veniamo al secondo

dopoguer-ra quando cominciano a manifestarsi i primi, sia pur timidi, approcci al

do-cumento comunale: nel 1951, tracciando un bilancio degli studi di

paleo-grafia e diplomatica e delle prospettive future, Franco Bartoloni, reduce

da-gli studi sul Senato romano

31

, ne additava l’importanza «

a chi consideri la

funzione esercitata dalle città e dai comuni nel nostro medioevo

»

32

,

mes-saggio per il momento inascoltato. La vera svolta si ebbe però pochi anni

dopo con Giorgio Costamagna, i cui studi sulle forme di convalidazione del

———————

A. PRATESI, La documentazione cit., pp. 59-60; A. ROVERE, I «publici testes» e la prassi docu-mentale genovese (secc. XII-XIII), in Serta antiqua et mediaevalia, del Dipartimento di

Scien-ze dell’Antichità e del Medioevo dell’Università di Genova, n.s., I, Roma 1997, pp. 326-328, dove si richiama anche il caso di alcuni notai, già in attività da molti anni, che nel 1191, ap-profittando della presenza a Genova di Enrico VI, ne ebbero l’investitura formale, conse-guentemente qualificandosi in seguito come notarii sacri Imperii. Alla possibilità di nominare notai accenna il Breve della Compagna genovese del 1157 – Codice diplomatico della

Repubbli-ca di Genova, a cura di C. IMPERIALE DI SANT’ANGELO, Roma 1936-1942 (Fonti per la storia d’Italia, 77, 79, 89), I, p. 355 – con una formula equivoca («non faciam aliquem notarium ... sine auctoritate Philippi de Lamberto»), per la quale rimando ad A. ROVERE, I «publici testes»

cit., p. 327. Quanto alla nomina degli scribi a Genova, essa era di stretta competenza consola-re: v. il Breve dei Consoli del 1143 che recita: «scribani vero in nostro sint arbitrio» (Codice

diplomatico della Repubblica di Genova cit., I, p. 164).

30 Cfr. al proposito G.G. FISSORE, Alle origini cit., p. 103; A. PRATESI, La

documentazio-ne cit., p. 51.

31 Oltre ai due lavori di cui alle note 24 e 25, v. Codice Diplomatico del Senato Romano

dal MCXLIV al MCCCXLVII, a cura di F. BARTOLONI, I, Roma 1948 (Fonti per la storia

d’Italia, 87).

32 F. BARTOLONI, Paleografia e diplomatica: conquiste di ieri, prospettive per il domani, in

(11)

documento comunale genovese

33

aprivano un varco nella rocciosa

costru-zione del Torelli, il quale però, pur lasciandole fuori dal suo quadro, aveva

ammesso la precocità di sviluppo degli istituti comunali di tutte le grandi

città marittime

34

: il ricorso, pressoché esclusivo

35

, a Genova e in Liguria, nel

secolo XII, cioè nella fase costituente del comune italiano, per convalidare

accordi o convenzioni tra comuni o con potentati stranieri, alla carta partita

o al sigillo

36

, talvolta ad entrambi i sistemi

37

, cui si aggiunge, in pochi casi

38

,

———————

33 G. COSTAMAGNA, La convalidazione delle convenzioni tra comuni a Genova nel secolo

XII, in «Bullettino dell’Archivio Paleografico Italiano», n.s., X (1955); ID., Note di diplomatica

comunale - Il “signum comunis” e il “signum populi” a Genova nei secoli XII e XIII, in Miscellanea di Storia Ligure in onore di Giorgio Falco, Milano 1962; ID., A proposito di alcune convenzioni

medievali tra Genova e i comuni provenzali, in Atti del I Congresso storico Liguria-Provenza,

Ven-timiglia-Bordighera 2-5 ottobre 1964, Bordighera 1966. I tre saggi ora in ID., Studi di Paleografia

e di Diplomatica, Roma 1972 (Fonti e studi del Corpus membranarum italicarum, IX), al quale

rinviano le nostre citazioni, rispettivamente alle pp. 225-235, 337-347 e 349-354.

34 P. TORELLI, Studi cit., p. 31.

35 Uniche eccezioni i trattati stipulati da Genova con Lucca nel 1159 (Codice diplomatico

della Repubblica di Genova cit., I, n. 296), con Roma nel 1165 (Ibidem, II, n. 9) e con Grasse nel

1198: I Libri Iurium della Repubblica di Genova, a cura di M. BIBOLINI, S. DELLACASA, E. MADIA, E. PALLAVICINO, D. PUNCUH, A. ROVERE, Genova-Roma 1992-2002 (Fonti per la

storia della Liguria, I, II, IV, X-XIII, XV, XVII; Pubblicazioni degli Archivi di Stato, Fonti, XII, XIII, XXIII, XXVII-XXIX, XXXII, XXXV, XXXIX), 1/3, n. 641, tutti convalidati da notai.

36 Pietro Torelli (Studi cit., pp. 317-372) dedica ben poco spazio al sigillo, segnalandone

solo la custodia e l’applicazione ad opera dei notai o degli ufficiali appositi. A Genova l’uso era disciplinato dal Breve dei consoli del 1143: «Nos sigillo plumbeo cartam non sigillabimus neque sigillare faciemus nisi maior pars de nobis consulibus in hoc consenserit qui Ianue fuerint» (Codice diplomatico della Repubblica di Genova cit., I, p. 165). Quanto alla loro custo-dia, essa era affidata, nel secolo XIII, al cancelliere: quando nel 1243 Guglielmo de Varagine as-sunse tale funzione, gli fu commessa la custodia dei sigilli, precedentemente tenuta da Simone Spaerio: Annali genovesi di Caffaro e de’ suoi continuatori, a cura di L.T. BELGRANO e C.

IMPERIALE DI SANT’ANGELO, Roma 1890-1929 (Fonti per la storia d’Italia, 11-14 bis), III, p. 141.

37 I Libri Iurium cit., I/2, nn. 299, 420; I/3, nn. 450, 452-455, 462, 473, 560-561, oltre

ad Archivio di Stato di Genova, Archivio Segreto, n. 2720/33 e 95 (cfr. Codice diplomatico

della Repubblica di Genova cit., I, n. 251; II, n. 111), tutti della seconda metà del secolo XII.

Considero ovviamente solo i documenti redatti in ambito genovese, escludendo quelli ema-nati da altre autorità. Così pure escludo tutti gli accordi stipulati con i giudicati sardi, perché la loro stretta dipendenza da Genova li rende poco significativi per il mio discorso.

38 I Libri Iurium cit., I/2, nn. 304, 355, 368 (del quale v. un originale in Archives

Muni-cipales de Narbonne, AA.2045), 421, 429, 440, 465-466 (a proposito del quale v. anche il doppio originale in Archivio di Stato di Genova, Archivio Segreto, n. 2722/6 e Archivio di Stato di Savona, Pergamene, n. III/6: cfr. D. PUNCUH, Cimeli insigni del Medioevo genovese, in

(12)

la sottoscrizione notarile, colpendo duramente la tesi di fondo del Torelli,

apriva la strada ad una più matura valutazione delle forme del documento

comunale. Caso mai si potrà osservare che questa varietà di elementi

conva-lidanti, questo «

accumulo o osmosi di forme e formalismi di garanzia

»,

se-condo una felice espressione di Giovanna Nicolaj

39

, si colloca tra

avanza-menti audaci e più prudenti ritirate, tracce delle quali emergono, ancora nel

secolo XIII, attraverso investiture podestarili per baculum, cyrothecas,

ciro-techam sive guantum

40

. È pur vero che per Genova si potrebbe sostenere,

alla luce di recenti ricerche di Antonella Rovere

41

, che la quasi totalità dei

notai di questo periodo, che si qualificano esclusivamente come notarius,

senz’altra specificazione, era priva di una legittimazione superiore. E

tutta-via, a parte la carta partita, il ricorso generalizzato al sigillo o alla bolla

plumbea, in un caso (1227) addirittura aurea

42

, simboli di sovrana autorità,

della cui esistenza a Genova abbiamo tracce già nel 1138

43

, va nella direzione

———————

Mostra storica del notariato medievale ligure, a cura di G. COSTAMAGNA - D. PUNCUH, Genova

1964 (anche in «Atti della Società Ligure di Storia Patria», n.s., IV/1, 1964), p. 267, tutti del primo trentennio del secolo XIII, al quale appartengono anche alcune convenzioni, convali-date oltreché dalla carta partita anche dalla sottoscrizione notarile: I Libri Iurium cit., I/2 nn. 461, 463- 464. Sull’argomento v. anche L. ZAGNI, Carta partita, sigillo, sottoscrizione nelle

con-venzioni della Repubblica di Genova nei secoli XII-XIII, in «Studi di storia medioevale e di diplomatica», 5 (1980), pp. 5-14.

39 G. NICOLAJ, Fratture e continuità nella documentazione fra tardo antico e alto

medioe-vo. Preliminari di diplomatica e questioni di metodo, in Morfologie sociali e culturali in Europa fra tarda antichità e alto medioevo, Spoleto 1998 (Settimane di studio del Centro italiano di

studi sull’alto medioevo, XLV, Spoleto 3-9 aprile 1997), p. 979.

40 I Libri Iurium cit., 1/3, nn. 483, 489-491, 512, 521, 578. A questo proposito segnalo

che ancora nel 1135 una refuta in favore del monastero genovese di San Siro fu effettuata con tali simbolismi («his lignis ... refutaverunt has terras») e che i relativi ligna erano ancora con-servati nel ‘600, «il primo più sottile, legato più vicino alla pergamena era di scorza verdiccia; e l’altro di scorza nera, ambedue benissimo conservati ...»: cfr. Le carte del monastero di San

Siro di Genova, (952-1224), I, a cura di M. CALLERI, Genova, 1997 (Fonti per la storia della Liguria, V), n. 95.

41 A. ROVERE, I «publici testes» cit.,, pp. 326-327.

42 Documentata dalla copia autentica di un privilegio del 23 giugno 1227 in favore del

comune di Noli, da sempre fedelissimo a Genova, redatta il 28 aprile 1327 e così introdotta: «Hoc est exemplum cuiusdam instrumenti sive privilegii cuius tenor talis est et quod privilegium erat bulle auree appensione munitum» (Archivio di Stato di Genova, Archivio Segreto, n. 354).

43 «Et hoc faciemus infra triginta dies postquam reclamatio venerit ante nos cum

(13)

opposta a quella tracciata dal Torelli, nel riconoscimento cioè del potere

convalidante di uno strumento dei tutto svincolato dalla pratica notarile

44

.

Né vale osservare che esso è usato largamente per convenzioni tra Genova e

———————

I brevi dei consoli di Pisa degli anni 1162 e 1164, a cura di O. BANTI, Roma 1997 (Fonti per la

storia dell’Italia medievale, Antiquitates, 7), p. 114; trattandosi di impegni assunti dai consoli di Pisa, il sigillo cereo, del quale rimangono alcune tracce, potrebbe essere pisano; così come quello pendente, di cui restano solo tracce di filo, in un trattato del 1149 (Archivio di Stato di Genova, Archivio Segreto, n. 2720/27: cfr. Codice diplomatico della Repubblica di Genova cit., I, n. 195); sull’uso del sigillo a Pisa nel secolo XII v. O. BANTI, Per la storia della cancelleria

del comune di Pisa nei secoli XII e XIII, in «Bullettino dell’Istituto storico italiano e Archivio Muratoriano», 73 (1962), ora in ID., Studi di storia e di diplomatica comunale, Roma 1983 (Fonti e studi del corpus membranarum italicarum, XXII), al quale rinviano le nostre citazioni, pp. 57-77, in particolare p. 66. Sulla bolla plumbea genovese, che parrebbe essere la più antica in ambito comunale, cui si accompagnò, nella seconda metà del secolo XII, un sigillo cereo (il grifo che schiaccia l’aquila e la volpe), v. G. BASCAPÈ, Sigilli medievali di Genova, in «Bollettino

Ligu-stico», XIII (1961), pp. 17-20 e la bibliografia ivi citata; H. DRÖS e H. JAKOBS, Die zeichen

einer neuen Klasse. Zur Typologie der frühen Stadtsiegel, in Bild und Geschichte. Studien zur politischen Ikonographie, Sigmaringen, 1997, pp. 129-131, che puntano l’attenzione

sull’identifi-cazione Chiesa/vescovo/Comune/civitas, assai pronunciata ai tempi di Siro II, primo arcivescovo di Genova: non appare casuale che nella bolla siano rappresentati da una parte il protovescovo Siro, dall’altra l’immagine della città con l’iscrizione Civitas. È possibile che analogamente a Pisa (O. BANTI, “Civitas e commune” nelle fonti italiane dei secoli XI e XII, in «Critica Storica», IV, 1972, ora in ID., Studi cit., p.17) la bolla plumbea genovese richiami quella usata dall’arci-vescovo, della quale però mancano riferimenti. I tre esemplari superstiti sono conservati il primo (datato al 1130, ma direi che la leggenda archiepiscopus Ianuensis ne dovrebbe postici-pare la datazione dopo il 1133, data di erezione in sede metropolitana della diocesi di Genova) nel British Museum; gli altri due (datati 1225 e 1252) nell’archivio comunale di Montpellier. Ne esistono anche alcune descrizioni nei libri iurium, la più antica delle quali è riferita a un documento del 1164: I Libri Iurium cit., 1/2, nn. 382-384. Quanto all’altro sigillo, del quale si conserva un esemplare sempre a Montpellier, la prima descrizione appartiene a un documento del 1192: Ibidem, I/2, n. 420. Per altri sigilli genovesi v. ancora G. BASCAPÈ, Sigilli cit. Per quello di Lucca del 1170 cfr. Annali genovesi cit., I, p. 239, ma già nel 1166 in un elenco di cittadini luc-chesi giuranti l’osservanza di un trattato con Genova sono presenti tracce di sigillo: Archivio di Stato di Genova, Archivio Segreto, n. 2720/50 (Codice diplomatico della Repubblica di Genova cit., II, n. 14, nota). Sull’uso dei sigilli in età comunale, oltre a G.C. BASCAPÈ, Sigillografia. Il

sigillo nella diplomatica, nel diritto, nella storia, nell’arte, I, Milano 1969, pp. 183-189, v. anche

A. BARTOLI LANGELI, La documentazione degli stati italiani cit., pp. 51-52.

44 Spunti analoghi alle osservazioni di Costamagna si riscontrano, per Pisa, in M.

LUZZATTO, Note di diplomatica comunale pisana per i sec. XII e XIII, in «Bollettino Storico

Pisano», XXVIII-XXIX (1959-1960), pp. 39-62. Utili al riguardo, sia pur in riferimento a do-cumentazione giudiziaria, A. D’AMIA, Studi sull’ordinamento giudiziario e sulla procedura delle

curie pisane nel sec. XII, in «Archivio Storico Italiano», LXXVII (1919), pp. 5-126 e ID., Le

(14)

città franco-provenzali, dove tale pratica era sicuramente più estesa, perché la

documentazione genovese ne ricorda frequentemente l’uso presso altre realtà

comunali italiane: così apprendiamo dell’esistenza di sigilli dei comuni di Pavia

(1140, 1144), Piacenza (1154), Lucca (1170), Alessandria (1192), Tortona,

(1197, 1200, 1232), Albenga, Diano, Porto Maurizio, San Remo (tutti del

1199), Noli e Savona (1202), Ancona (1208, 1218, 1220), Ventimiglia (1218,

1222)

45

; per non parlare di Venezia, dove la bolla plumbea, introdotta col

doge Pietro Polani, si colloca in un momento significativo della

costituzio-ne comunale vecostituzio-neziana

46

; né vale a ridurne la carica innovativa la prevalente

utilizzazione in ambito epistolare: non mancano infatti esempi della sua

ap-plicazione, oltreché ai trattati di cui si è detto, anche agli instrumenta

47

.

Quanto ai diversi signa studiati dal Costamagna

48

, il cui potere

convali-dante era comunque limitato allo stretto ambito genovese, fermo restando

———————

45 Cfr. I Libri Iurium cit., I/1, nn. 35, 75, 171; I/2, nn. 355.2, 356, 427, 438, 442; I/3,

nn. 450, 452-453, 462, 465-466, 617, 622, 630, 652. A proposito del n. 622 (accordo Genova-Tortona del 1200) corre l’obbligo di emendare G. COSTAMAGNA, La convalidazione cit., p. 233 e E. CAU, Note cit., p. 8, che attribuiscono, inspiegabilmente, il documento al 1210.

46 Cfr. M. ROSADA, “Sigillum Sancti Marci”. Bolle e sigilli di Venezia, in Il sigillo nella

storia e nella cultura, Mostra documentaria, a cura di S. RICCI, Roma 1985, p. 114; A. BARTOLI

LANGELI, La documentazione ducale cit., p. 33; Il patto con Fano 1141, a cura di A. BARTOLI

LANGELI, Venezia 1993 (Pacta veneta, 3), pp. 14-15; Gli atti originali della cancelleria

venezia-na (1090-1227), a cura di M. POZZA, Venezia 1994-1996, I, p. 13.

47 Cfr. ad es. il già citato trattato Genova Tortona (I Libri Iurium cit., I/3, n. 622):

«publicum instrumentum sigillatum sigillo comunis utriusque civitatis fieri faciam»; Ibidem, I/2 n. 355.2: «et ut hec scriptura robur obtineat firmitatis, eam per manum publicam scribi eorumque [dei consoli] sigillo muniri fecerunt»; Ibidem, n. 391: «et ut istius promissionis sis securus ac firmus, cartam bullatam sigillo comunis Ianue tibi mittere faciam»; Ibidem, n. 392: «hec ad memoriam in futurum conservandam omnemque ambiguitatem de medio expellen-dam per manum publicam scribi iussit et sigilli sui [del console genovese inviato in Sardegna] auctoritate muniri». Altrettanto si può dire per Verona, a proposito di un accordo con Vene-zia del 1193, dove si legge «ut quod statutum est robur et firmitatem obtineat, scriptum pre-sens sigillo civitatis Verone iussimus communiri»: C. CIPOLLA, Note di storia veronese, VIII.

Trattati commerciali e politici del secolo XII inediti o imperfettamente noti, in «Nuovo Archi-vio Veneto», XVI (1898), p. 318; B. PAGNIN, Note cit., p. 17 dell’estratto. Per un sigillo fru-sinate v. C. CARBONETTI VENDITTELLI, Per un contributo cit., p. 107.

48 Oltre a Note di diplomatica cit., v. Il notaio cit., pp. 142-148. A proposito delle

con-clusioni di Costamagna sui signa particolari genovesi, l’osservazione di Bartoli Langeli (La

do-cumentazione degli stati italiani cit., p. 51), che la semplice sostituzione dei signa personali con

quelli istituzionali denuncerebbe «l’incombenza del modello notarile» e quindi « l’indipen-denza dai sistemi cancellereschi di convalidazione va circoscritta esclusivamente ad alcuni

(15)

che essi caratterizzavano le diverse strutture entro le quali venne

articolan-dosi, soprattutto a partire dal secolo XIII

49

inoltrato, la ‘cancelleria’,

sosti-tuendosi al consueto signum notarile, essi dimostrano un preciso disegno

dell’autorità comunale finalizzato ad esaltare la propria autonomia a danno

di quella notarile: verso l’esterno ricorrendo a forme di convalidazione quali

la carta partita, la bolla o il sigillo, verso l’interno sia con questi signa, sia

introducendo, nel 1125, i publici testes, ai quali competeva il controllo

for-male dei più importanti atti scritti del Comune quali i lodi consolari: non a

caso le loro firme autografe venivano apposte dopo la sottoscrizione

nota-rile

50

. L’impressione che se ne ricava per la redazione del documento

comu-nale genovese, almeno per il secolo XII, è quella di un forte condizionamento

della pratica notarile perseguito dal Comune o, se si vuole, di un suo ben

individuato coinvolgimento anche in campo documentario

51

.

Ma c’è di più: in contrapposizione al Torelli, che collocava la prima

formazione delle scritture d’ufficio, degli acta, solo nei primi decenni del

Duecento

52

, per Genova se ne poteva anticipare l’origine al secolo

prece-———————

atti interni se, come provato, per quelli a carattere pattizio si fece ricorso costante a sigilli e carta partita.

49 Per il secolo XII è attestato l’uso del solo signum comunis, presente nel cartolare di

Giovanni Scriba (G. COSTAMAGNA, Il notaio cit., p. 143); se ne hanno notizie anche nei libri

iurium; v. ad es. la documentazione degli anni 1278-1280 (ID., Note di diplomatica cit., p. 342,

nota 22; ID., Il notaio cit., p. 144), estratta «ex quodam manuali scripto de papiru cum signo sive grupo comunis Ianue»: I Libri Iurium cit., I/6, n. 1140, p. 373. In seguito (1409-1413), l’originario signum di derivazione tachigrafica, che poteva confondersi con quello tabellionale (G. COSTAMAGNA, Note di diplomatica cit., p. 346), verrà sostituito con l’espressione Comune Ianue:

Documenti della Maona di Chio (secc. XIV-XVI), a cura di A. ROVERE, in «Atti della Società

Ligure di Storia Patria», n.s., XIX/2 (1979), p. 53. Tutti i signa della cancelleria genovese sembrano sparire nel secolo XV, durante la dominazione viscontea di Genova: Ibidem, p. 55.

50 EAD., I «publici testes» cit. Difficilmente rapportabile al modello genovese, ridotta

com’è ad un tentativo episodico, appare l’introduzione ad Asti di testimoni privilegiati quali i

custodes sacramentorum, dei quali troviamo menzione solo nel 1135: cfr. G.G. FISSORE,

Auto-nomia cit., p. 36; ID., La diplomatica del documento comunale, fra notariato e cancelleria. Gli

atti del Comune di Asti e la loro collocazione nel quadro dei rapporti fra notai e potere, in «Studi medievali», 3a serie, XIX (1978), p. 241; ID., Alle origini cit., p. 113.

51 Non a caso Costamagna (Pietro Torelli cit., p. 15) parla di un «notariato che, pur

nella salvaguardia dei propri caratteri istitutivi, doveva partecipare alla vita pubblica confron-tandosi con il potere in un continuo rapporto altalenante e mutevole».

52 Mi sembra significativo che a Milano i primi riferimenti a quaterni comunis risalgano

(16)

dente; non sfuggiva infatti al Costamagna l’importanza dei riferimenti, buona

messe dei quali trasmessi dai libri iurium, ai cartulari o libri consulatus o

po-testarie, ai cartulari o manuali autentici e originali comunis o iteragentium

53

la

cui prima testimonianza risale al 1159

54

; né ce ne meravigliamo se l’annalista

Caffaro segnalava che nel 1122, in coincidenza con l’istituzione del

conso-lato annuale, «

clavarii scribanique, cancellarius pro utilitate rei publice

pri-mitus ordinati fuerunt

»

55

o, ancora, se proprio agli anni Quaranta dello

———————

comunali o scribe comunis (il primo dei quali attestato dal 1198), legittimati, in quanto tali, a renderne validi gli atti e che comincino ad apparire i primi mandati per la redazione di copie autentiche o per estrazioni da imbreviature di notai defunti, nelle quali tuttavia appaiono fre-quentemente le sottoscrizioni delle stesse autorità che hanno emesso il mandato: cfr. Gli atti

del comune di Milano, pp. LXXXVI-LXXXVII, XCIX; M.F. BARONI, La registrazione negli

uffici del comune di Milano nel secolo XIII, in «Studi di Storia Medioevale e di Diplomatica», I (1976), pp. 51-67; ID., Il notaio milanese cit., p. 11; ID., Le copie autentiche estratte per ordine

di una autorità nel territorio milanese durante il periodo comunale, in «Studi di storia medioe-vale e di diplomatica», 6 (1981), pp. 15-22; v. anche. A. LIVA, Notariato e documento notarile

a Milano. Dall’Alto Medio evo alla fine del Settecento, Roma 1979 (Studi storici sul notariato

italiano, IV), p. 74. Pressapoco nello stesso periodo, nel secondo decennio del secolo XIII, si attua a Treviso un analogo processo di differenziazione della produzione documentaria: G.M. VARANINI, in Gli acta comunitatis Tarvisii cit., pp. XXV-XXVIII.

53 G. COSTAMAGNA, Note di diplomatica cit., p. 345 e nota 32; su queste fonti v. anche I

Libri Iurium cit., I/1, n. 272; I/3, nn. 460, 478, 496, 513-514, 523, 526, 530-533, 542, 545-546,

569-573, 581, 595, 597, 644-646; I/4, nn. 704, 718, 824, 852 (gli ultimi tre del tardo secolo XIII). Per Asti v. G.G. FISSORE, Autonomia cit., pp. 181-182. Non è escluso tuttavia che anche altre,

numerose estrazioni da cartolari di alcuni notai, qualificati o noti come scribi del Comune, siano riferibili a tal genere di documentazione: I Libri Iurium cit., 1/3 pp. IX-X; I/4, p. XX. Sull’ar-gomento, anche se riferibile ad epoche più tarde, v. Documenti della Maona di Chio cit., p. 52 e D. PUNCUH, Tra Siviglia e Genova: a proposito di un convegno colombiano, in «Atti della Società Ligure di Storia Patria», n.s., XXXV/1 (1995), pp. 237-239, in questa raccolta, pp. 916-917. Alla luce di queste osservazioni, probabilmente estensibili anche ad altre esperienze, credo che vada attenuata la drastica dichiarazione di Bartoli Langeli (La documentazione degli stati italiani cit., p. 46) che fino alla metà del Duecento l’intera attività documentaria del Comune e dei suoi organi si sia realizzata esclusivamente in «atti sciolti» o comunque nei cartulari o libri iurium. Vero comunque (Ibidem, p. 47) che la documentazione in registro si afferma decisamente in periodo podestarile, riflettendo la maggiore articolazione burocratica del Comune.

54 I Libri Iurium cit., I/4, n. 704, del 1159, estratto «de quadam podisia signata signo

comunis Ianue et in qua scriptum erat quod erat extracta de cartulario consulatus Lanfranci Piperis et aliorum». Non si possono condividere i dubbi del Costamagna (Note di diplomatica cit., pp. 344-345) se la data sia riferibile all’apodisia o al cartulario, perché i consoli nominati in questo risultano in carica in tale anno.

55 Annali genovesi cit., I, p. 18. Il passo di Caffaro era ben noto al Torelli, il quale

(17)

stesso secolo risale la redazione del primo liber iurium genovese

56

.

Situazio-ne non molto diversa a Pisa, dove gli studi di Ottavio Banti – ma qualcosa

del genere era avvertibile già in un saggio di Mario Luzzatto

57

– indicano le

tracce, a partire dalla metà del secolo XII, di una prima, modesta

organizza-zione amministrativo-cancelleresca, affidata a scribi, definiti pubblici quasi a

———————

esclusivamente a notai subordinati, il che è contraddetto dalla documentazione superstite. Quanto alla figura del cancelliere, nel secolo XII a Genova è accertata la presenza di un

Bonus-infans negli anni 1132-1134 e 1141 (D. PUNCUH, Liber privilegiorum Ecclesiae Ianuensis, Ge-nova 1962, Fonti e studi di storia ecclesiastica, I, nn. 11-12, 50, 57; I Libri Iurium cit., I/2 n. 45; I/3, nn. 567-568) e di Guglielmo Caligepalio nel 1185 (Ibidem, I/2, n. 144), oltreché del ben noto annalista Oberto (1141-1173: Annali genovesi cit., I, pp. 30-31, 258), del quale però non conosco documenti di sua mano. Il cancelliere compare sporadicamente anche a Milano: A. LIVA, Notariato cit., p. 78; a Pisa: M. LUZZATTO, Note di diplomatica cit.; O. BANTI, « Can-tarinus, Pisane urbis cancellarius» (ca. 1140-1147) fu lo strumento della preminenza politica di

un vescovo in regime consolare?, in «Bollettino storico pisano», XL-XLI (1971-1972), ora in ID., Studi cit., pp. 48-56; ID., Per la storia della cancelleria cit.; per Siena è attestata per circa 45 anni l’attività del cancelliere Rolando, in carica già nel 1128: V. MORANDI, Il notaio all’origine

del comune medioevale senese, in Il notariato nella civiltà toscana. Atti di un convegno, maggio 1981, Roma 1985 (Studi storici sul notariato italiano, VIII), p. 313. Maggiori informazioni

sugli scribi del comune genovese nel XII secolo ci forniscono, anche se non regolarmente, gli

Annali: ne apprendiamo i nomi di Guglielmo de Columba (1140: Annali genovesi cit., I, p. 30),

mai stato annalista (come in A. BARTOLI LANGELI, Le fonti per la storia di un comune, in

So-cietà e istituzioni cit., pp. 16-17), Giovanni (1162, definito «fidelem et magne legalitatis vi-rum, cuius fidei singulis annis totius rei publice scriptura, committitur»: Annali genovesi cit., I, p. 66), Lanfranco e Ogerio [Pane], futuro annalista (1170: Ibidem, p. 229), Guglielmo Cali-gepalio (1171: Ibidem, p. 242), oltre a Ottobono, anch’egli annalista, ricordato come scriba nel 1194 (Ibidem, II, p. 47). Già nel 1130, inoltre, in coincidenza con la distinzione delle fun-zioni consolari, troviamo notai addetti alle due scribanie, dei consoli del comune e dei placiti: A. ROVERE, I «publici testes» cit., p. 328. Per esperienze analoghe di altre città, che comunque

denunciano tutte un comportamento fluido, una genericità di incarichi, v. sopra, nota 11; per Alessandria v. G. AIRALDI, Giudici e notai nella nascita di una città, in «Rivista di storia arte

archeologia per le province di Alessandria e Asti», LXXXII (1973), pp. 137-160; per Asti, dove tale qualificazione non appare espressa regolarmente e continuativamente (caso macro-scopico quello di Giacomo Boviculo, attivo al servizio del Comune dal 1188 al 1212, che qua-lifica il rapporto di dipendenza una sola volta), v. G.G. FISSORE, Autonomia cit, pp. 127-135 e 138-151; per Pisa M. LUZZATTO, Note di diplomatica cit., O. BANTI, Per la storia cit. Il vero

problema diplomatistico sollevato da tale rapporto è la ripercussione che ne discende o meno sulla tipologia documentaria prodotta in tale veste: cfr. al proposito A. ROVERE, I «publici testes» cit.

56 A. ROVERE, I libri iurium dell’Italia comunale, in Civiltà comunale cit., pp. 191-197;

della stessa A., I Libri Iurium cit., Introduzione, pp. 17-42.

(18)

sottolineare il rapporto continuativo di dipendenza dal Comune, ai quali era

devoluta l’intera documentazione comunale, che traeva validità e credibilità

proprio da questo rapporto di subordinazione

58

.

Risultati analoghi mi consentiva l’esame dei cartulari notarili savonesi,

compresi tra l’ultimo ventennio del secolo XII ed il primo del seguente

59

,

due dei quali di natura giudiziaria, come aveva segnalato Robert Henri Bautier

fin dal 1948

60

, tutti riconosciuti come libri comunis già dai contemporanei.

Si veniva così delinendo il quadro di una piccola scribania, ne riaffioravano i

nomi dei titolari, Arnaldo Cumano e Giovanni di Donato, suo immediato

successore, al quale, nel 1182, era commessa «

possessionem ... tam de

scri-bania quam registris per clavem scrinii quo scripta et registra comunis Saone

in duana tenebantur

»

61

; emergevano le prime testimonianze di versamenti

archivistici

62

, a dimostrazione dell’importanza che il giovane comune

savo-nese attribuiva alla conservazione della propria documentazione, elemento

non trascurabile per una corretta valutazione dell’organizzazione

burocrati-ca del Comune.

Gli anni Sessanta, ai quali risalgono questi lavori genovesi e liguri, erano

però segnati dall’impressione suscitata dalla conferenza di Heinrich Fichtenau

———————

58 O. BANTI, Per la storia della cancelleria cit.; ID., Il notaio e l’amministrazione del

co-mune di Pisa (secc. XII-XIV), in Civiltà comunale cit., ora in ID., Scritti di storia, diplomatica

ed epigrafia, Pisa 1995, al quale rinviano le nostre citazioni, pp. 427-448, in particolare pp.

428-430. Sui cartulari comunali astigiani v. G.G. FISSORE, Procedure cit., p. 765.

59 D. PUNCUH, Note di diplomatica giudiziaria savonese, in «Atti della Società Ligure di

Storia Patria», n.s., V (1965), pp. 7-36; in questa raccolta, pp. 531-555.

60 R.H. BAUTIER, Notes sur les sources de l’histoire économique médiévale dans les archives

italiennes, in «Mélanges d’archéologie et d’histoire», LX (1948), p. 203. V. anche D. PUNCUH,

Il notaio nell’amministrazione della giustizia, in Mostra storica cit., pp. 115-138; Il cartulario del notaio Martino, Savona, 1203-1206, a cura di D. PUNCUH, Genova 1974 (Notai liguri dei secoli XII e XIII, IX).

61 D. PUNCUH, Il notaio negli uffici pubblici, in Mostra storica cit., pp. 82-83; Il cartulario

di Arnaldo Cumano e Giovanni di Donato (Savona, 1178-1188), a cura di L. BALLETTO, G. CENCETTI, G. ORLANDELLI, B.M. AGNOLI PISONI, Roma 1978 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato, Fonti e sussidi, XCVI), n. 1105. Su questo documento v. anche G.G. FISSORE,

Auto-nomia cit., pp. 158-159; ID., Alle origini cit., p. 106.

62 D. PUNCUH, Il notaio negli uffici pubblici cit., pp. 84-85; Il cartulario del notaio

Mar-tino cit., n. 449; A. ROMITI, L’armarium comunis della camara actorum di Bologna.

L’inven-tariazione archivistica nel XIII secolo, Roma 1994 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato, Fonti,

(19)

all’École des Chartes

63

e dalla contemporanea pubblicazione della leçon

d’ouverture di Robert Henri Bautier

64

, ai quali si ispirarono, a distanza di un

decennio l’uno dall’altro, i saggi di Armando Petrucci e di Alessandro

Pra-tesi

65

. Nella sua aspirazione al rinnovamento che lo avrebbe condotto a

in-dividuare e seguire nuovi indirizzi in campo paleografico, Petrucci si

dimo-strava sensibile a quella «

crise intérieure dans la diplomatique

» denunciata

dallo studioso austriaco: puntando l’attenzione sui pericoli di esaurimento

della disciplina che ne derivavano egli proponeva come novità assoluta

66

l’assunto che «

il faut que nous arrivions à voir les documents comme les

hommes du Moyen Age

»

67

; qualcosa di analogo, sia pur limitato alla sola

mentalità del notaio, era già stato espresso, dieci anni prima, dal De Vergottini

in un saggio senese

68

, nel quale lo storico del diritto, pur nell’ottica giuridica

che gli era propria, aveva applicato un metodo diplomatistico che avrebbe

———————

63 H. FICHTENAU, La situation actuelle des études de diplomatique en Autriche, in «

Bi-bliothèque de l’École des Chartes», 119 (1961), pp. 5-20.

64 R.H. BAUTIER, Leçon d’ouverture du cours de diplomatique a l’école des chartes (20

oc-tobre 1961), Ibidem, pp. 194-225.

65 A. PETRUCCI, Diplomatica vecchia e nuova, in «Studi medievali», 3a serie, IV (1963),

pp. 785-798; A. PRATESI, Diplomatica in crisi?, in Miscellanea in memoria di Giorgio Cencetti,

Torino 1973, ora in ID., Tra carte e notai cit., pp. 83-95.

66 A. PETRUCCI, Diplomatica cit., p. 788: «nuova la concezione del documento che egli

[Fichtenau] suggerisce come ideale nuovo punto di partenza di ogni ricerca diplomatistica ... Si tratta di vedere il documento così come lo vedeva l’uomo del medioevo, di considerarlo cioè in tutti i suoi aspetti, i suoi significati, i suoi fini ... e ciò per il fatto che in ogni docu-mento medievale sono presenti ed operanti implicazioni religiose, liturgiche, retoriche, che si intrecciano variamente tra loro e ne costituiscono il disotto dello schema giuridico, il vivente tessuto connettivo».

67 H. FICHTENAU, La situation cit., p. 17.

68 «Non bisogna mai dimenticare, quando si cerchi di capire le diverse formule

cancelle-resche, che dietro ai documenti ufficiali vi sono i cancellieri o notai comunali che sono uomini in carne ed ossa, con le loro convinzioni politiche, con la loro psicologia di uomini appassio-nati alla politica del loro comune, tutti protesi ad essere utili alla loro città e qualche volta an-che timorosi di essere stati troppo audaci in questo proposito e perciò inclini a correggere quanto avevano messo sulla carta un momento prima! Anatomizzare il documento comunale come ogni documento del resto vuol dire perciò spesso mettere a nudo anche la più riposta personalità di chi lo ha redatto»: G. DE VERGOTTINI, I presupposti storici del rapporto di

co-mitatinanza e la diplomatica comunale con particolare riguardo al territorio senese, in « Bullet-tino Senese di Storia Patria», LX (1953), p. 19, dove affronta l’adattamento delle formule notarili al giustificazionismo dell’espansione senese nel contado ed anche al di fuori di esso.

(20)

trovato tardi epigoni solo dopo qualche decennio, con esiti tali da dissipare

gran parte dei dubbi sollevati da Pratesi sul pericolo dell’accostamento al

documento «

con finalità che non sono più diplomatiche

» e che di

conse-guenza al metodo diplomatico possano subentrare, con le relative istanze,

quelli storico, sociologico, giuridico, ecc.

69

In questa sede tuttavia mi preme di più fermare l’attenzione

sull’am-pliamento degli orizzonti temporali e spaziali propugnato dal Bautier, non

senza sottacere – con una punta di rimpianto dovuto all’età – la suggestione

che ne provai allora e gli interminabili colloquii sul tema con Giorgio

Co-stamagna. Si trattava però anche di ridisegnare e meglio definire i confini di

una disciplina come la nostra – non certo in crisi e concordo quindi col

giu-dizio di Pratesi –, che pareva assediata idealmente da una parte dalla storia

giuridica, dall’altra dall’archivistica. Non a caso, proprio negli stessi anni, un

giurista italiano sosteneva che la diplomatica «

va intesa come una branca

della storia dei diritto

»

70

, mentre il Pratesi

71

avvicinerà l’opera del Torelli

alla storia delle istituzioni, magari – a torto a mio modesto parere

72

– con

qualche contaminazione da parte di quella che Cencetti

73

definiva

Archivi-stica speciale; timore, quest’ultimo, ripreso dal Petrucci

74

, anche se ombre

del genere non sembrano avvertibili nello scritto del Bautier

75

, che riparte

———————

69 A. PRATESI, Diplomatica in crisi? cit., p. 86: rischi peraltro avvertibili qua e là nei lavori

di Attilio Bartoli Langeli (v. ad es. Notariato cit. p. 265, con l’insistenza sul significato ideologico o propagandistico dei documenti notarili di pertinenza comunale) e di Fissore, che li ritiene calcolati, da affrontare soprattutto nel campo delle «discipline specialistiche allettate alle scorribande interdisciplinari dalle suggestioni delle novità metodologiche», spie comunque di un’insoddisfazione derivante da schemi classificatori rigidi, che indurrebbero fatalmente alla ripetitività: G.G. FISSORE, La diplomatica del documento comunale cit., pp. 212-213, note 3 e 4.

70 L. PROSDOCIMI, Diplomatica e storia del diritto, in «Rassegna degli Archivi di Stato»,

XXI (1961), p. 155; del resto già Ugolini (Pietro Torelli cit., p. 243) aveva scritto che l’opera del Torelli, «è storia giuridica pubblica».

71 A. PRATESI, La documentazione comunale cit., pp. 49-50.

72 Nell’ottica pratesiana (meglio cencettiana: v. nota seguente) si colloca piuttosto V.

POLONIO, L’amministrazione della res publica genovese fra Tre e Quattrocento. L’archivio

“Antico Comune”, in «Atti della Società Ligure di Storia Patria», n.s., XVII/1 (1977), che ri-costruisce le magistrature genovesi nel quadro dell’inventariazione di un fondo archivistico.

73 G. CENCETTI, La preparazione dell’archivista, in «Notizie degli Archivi di Stato», XII

(1952), ora in ID., Scritti archivistici, Roma 1970, pp. 148-151.

74 A. PETRUCCI, Diplomatica cit., p. 790. 75 R.H. BAUTIER, Leçon cit., p. 210.

(21)

dall’analisi delle forme, estendendone la portata fino ad investire, più che il

documento singolo, considerato come «

pièce d’un ensemble, un élément

d’un fonds

»

76

, l’intero processo di documentazione, il cui studio mi appare

fondamentale ove si tratti di cancellerie minori, di quelle comunali nella

fat-tispecie. Ancora, in quegli anni Pratesi veniva tratteggiando i contorni di un

documento ‘semi pubblico’ che, al primo apparire del suo manuale

77

provocò

– almeno in chi vi parla – non poche perplessità e riserve, convinto come sono

che si debbano considerare pubblici gli atti emanati da autorità munite di

giu-risdizione, beninteso senza trascurare né l’aspetto formale verso il quale è

indirizzato il discorso pratesiano, né la considerazione di cui essi godevano

presso i contemporanei (tesi Fichtenau) – e qui richiamo alcune pertinenti

considerazioni sull’argomento della Rovere su fonti genovesi

78

– né il

pro-cesso di formazione di nuove forme documentarie (tesi Bautier) scandito da

fasi altalenanti, da avanzamenti e ripiegamenti cui accennavo all’inizio.

A questo punto prima di delineare i diversi filoni di ricerca entro i quali

si sviluppano oggi gli studi di diplomatica comunale italiana, devo premettere

le convinzioni che ne ho tratto. Già da quanto esposto finora credo siano

emersi tutti i miei dubbi sulle conclusioni della dottrina tradizionale a

pro-posito del rapporto notaio-comune : l’applicazione generalizzata dei principi

– in questo caso il potere legittimante e convalidatorio del notaio – a tutte le

nuove realtà politiche dei secoli XI e XII mal si concilia con l’interazione o

col confronto che si viene aprendo tra esse e la cultura notarile che, in

quanto sensibile alla scienza del diritto «

era la sola, con quella dei giudici e

dei giuristi, che potesse garantire alla dinamica società urbana ed al suo

ap-parato di governo una gamma di prestazioni differenziate e, in

considera-———————

76 Ibidem, p. 213.

77 A. PRATESI, Genesi e forme del documento medievale, Roma 19872, p. 34, che riprende

nella sostanza il testo, litografato, stampato a Bari nel 1961 col titolo di Lineamenti di

Diplo-matica generale.

78 Partendo da analoghe, precedenti osservazioni (Documenti della Maona di Chio cit.,

pp. 51-67), la Rovere ha richiamato l’attenzione su alcuni cartulari, identificati col nome del rogatario, contenenti atti della curia arcivescovile o comunale, considerati atti pubblici dai con-temporanei: A. ROVERE, Libri “iurium-privilegiorum, contractuum-instrumentorum” e livellari

della Chiesa genovese (secc. XII-XV). Ricerche sulla documentazione ecclesiastica, in «Atti della Società Ligure di Storia Patria», n.s., XXIV/1 (1984), pp. 154-162. Lo stesso liber iurium del XII secolo godeva di tale considerazione, come dimostra l’estrazione, nel 1227, di un docu-mento «ex actis publicis sive registro comunis Ianue»: I Libri Iurium cit., I/2, n. 98.

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