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La relazione tra il sonno e il comportamento a scuola in età evolutiva.

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Academic year: 2021

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1 Università di Pisa

CORSO DI DOTTORATO

NEUROSCIENZE E SCIENZE ENDOCRINOMETABOLICHE

LA RELAZIONE TRA IL SONNO E IL COMPORTAMENTO IN ETA' EVOLUTIVA

Relatore

Chiarissimo Prof. Angelo Gemignani

Candidato

Dott. Lucio Bontempelli

ANNO ACCADEMICO 2015/2016

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Sommario

1 INTRODUZIONE ... 4

1.1 Premessa ... 4

1.2 Complessità dell'attività ipnica e rielaborazione off-line ... 5

1.3 Il ruolo del sonno nella codificazione, nel consolidamento e nella rielaborazione delle tracce mnestiche: le evidenze sperimentali ... 9

1.4 Il ruolo del sonno nella codificazione, nel consolidamento e nella rielaborazione delle tracce mnestiche: uno sguardo ad alcune teorie esplicative ... 13

1.5 I disturbi del sonno e comportamenti disfunzionali in ambito scolastico ... 20

1.6 Limiti e scopo del presente lavoro ... 24

2 METODI E RISULTATI ... 26

2.1 Procedure e partecipanti ... 26

2.2 Sleep Disturbance Scale for Children... 27

2.3 Strengths and Difficulties Questionnaire... 29

2.4 Analisi dei dati e risultati ... 30

3 CONCLUSIONI E FUTURE DIREZIONI DI RICERCA ... 37

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4 1 INTRODUZIONE

1.1 Premessa

Scopo della nostra ricerca è quello di stabilire se e quanto i disturbi del sonno in un campione di studenti di scuola elementare possano essere predittivi di problemi comportamentali rilevati in classe.

Nonostante siano numerose ormai le evidenze in letteratura sull'associazione tra disturbi del sonno e problematiche comportamentali ed emotive in età evolutiva, pochi studi indagano la problematica in ambito scolastico. La scuola è però per certi versi l’ambiente ideale per condurre studi di questo tipo, anche per la relativa facilità con cui si potrebbero successivamente implementare percorsi educativi specifici.

Sul piano teorico, rimane ancora da chiarire la relazione che lega la qualità del sonno a problematiche comportamentali: una possibile ipotesi è che il sonno abbia un ruolo nella rielaborazione off-line delle informazioni acquisite durante la veglia, e che possa avere un'influenza diretta sulla processazione degli stimoli emotivamente rilevanti e sul recupero delle capacità di controllo emotivo. Nel contesto scolastico, dove è richiesto uno sforzo di studio e di apprendimento notevole, difficoltà di attenzione e memorizzazione potrebbero in aggiunta contribuire a determinare una situazione di difficoltà scolastica, con conseguenti contraccolpi emotivi e comportamentali.

In questa introduzione tenteremo di riassumere brevemente questo quadro teorico, tentando di mettere dapprima in luce la complessa struttura dell’attività ipnica nell’uomo, attraverso una sommaria descrizione delle sue diverse fasi, per introdurre poi brevemente alcune teorie sul ruolo delle diverse fasi del sonno nei vari e diversi processi di codificazione degli stimoli e di consolidamento e rielaborazione delle tracce mnestiche, sia neutre che emotivamente rilevanti. Passeremo quindi a riassumere brevemente le evidenze presenti in letteratura sull'associazione tra

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5 disturbi del sonno e problematiche comportamentali ed emotive in età evolutiva, sia in campioni clinici che di comunità.

Il disegno sperimentale che abbiamo utilizzato permette di registrare una correlazione, ma non di stabilire se e in che misura intervenendo sul sonno si possa modulare il comportamento disfunzionale a scuola: future ricerche potrebbero appunto approfondire questo punto, tentando di capire se un intervento di carattere educativo sull'importanza e sulla corretta igiene del sonno possa contribuire a migliorare la qualità del sonno nei bambini e, assieme ad essa, problematiche comportamentali rilevabili a scuola.

1.2 Complessità dell'attività ipnica e rielaborazione off-line

Il sonno dei mammiferi è simile nelle varie specie, ed è generalmente suddiviso in due diverse tipologie: il sonno REM (acronimo di rapid eye movement, per i rapidi movimenti oculari che lo caratterizzano) e sonno non-REM. Nei primati e in alcuni felini il sonno non-REM si può anche suddividere, sulla base delle caratteristiche del tracciato elettroencefalografico, in diverse fasi [92].

Nell’uomo le diverse fasi del sonno hanno peculiari caratteristiche elettroencefalografiche, corrispondenti a diversi stati funzionali del sistema nervoso centrale. Nella classificazione più utilizzata (ve ne sono altre, che vengono per esempio impiegate nella ricerca sui momenti di transizione sonno-veglia, e che hanno quindi una suddivisione diversa) le fasi del sonno non-REM sono 4.

La prima fase rappresenta un momento di transizione tra la veglia e il sonno, che incomincia ad assumere caratteristiche peculiari a partire dalla fase 2.

Dal punto di vista elettroencefalografico, la fase 2 del sonno si caratterizza per la presenza di eventi fasici di due tipologie, che potrebbero essere l'espressione strumentalmente rilevabile di processi collegati con il consolidamento della memoria procedurale: i complessi-K, onde di larga

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6 ampiezza e dalla caratteristica forma appuntita, e i fusi del sonno, ovvero oscillazioni brevi sincronizzate a una frequenza compresa tra i 10 e i 16 Hz [104].

Le fasi 3 e 4 del sonno, le più profonde, sono dette anche sonno ad onde lente, per la prevalenza, nel tracciato elettroencefalografico, di onde di grande ampiezza e di bassa frequenza, dovute alla sincronizzazione dell'attività di ampie popolazioni di neuroni.

Durante il sonno REM invece le onde del tracciato elettroencefalografico cambiano nella loro composizione, con attività oscillatorie nel range theta (dai 4 ai 7 Hz di frequenza) assieme ad attività sincronizzate ad altissima frequenza (la cosiddetta attività gamma, a una frequenza superiore ai 30 Hz). Il sonno REM è caratterizzato inoltre da momenti in cui si hanno movimenti oculari rapidi, che avvengono in associazione con riconoscibili attività a livello del Ponte, dei nuclei genicolati laterali del talamo e della corteccia occipitale, regioni, queste due ultime, coinvolte nella processazione delle informazioni visive [14].

Negli uomini il sonno REM e le varie fasi del sonno non-REM si alternano con un pattern periodico che si ripete circa ogni 90 minuti. Sebbene la successione delle fasi segua più o meno sempre lo stesso schema, col passare delle ore, nel sonno fisiologico, aumenta il tempo passato nella fase REM e nella fase 2 del sonno, e diminuisce correlativamente il tempo passato nelle fasi a onde lente, cosicché la seconda parte della notte è più ricca in sonno REM, mentre nella prima parte della notte prevale il sonno non-REM. Questa peculiare caratteristica del sonno fisiologico permette, negli esperimenti basati su un paradigma di restrizione del sonno, di discriminare il sonno REM dal sonno ad onde lente, studiando gli effetti delle restrizioni che coinvolgano selettivamente una o l'altra fase del sonno.

Passando da una fase all'altra del sonno il sistema nervoso centrale va incontro anche a radicali modificazioni neurochimiche, associate a diversi stati funzionali.

Nel sonno non-REM i sistemi colinergici subcorticali nel tronco dell'encefalo, nel diencefalo e telencefalo diventano sensibilmente meno attivi [44] [59], e anche la frequenza di scarica dei neuroni serotoninergici del nucleo del rafe e dei neuroni noradrenergici del locus coeruleus va incontro a una sensibile riduzione rispetto all'attività che si registra nei periodi di veglia [3] [99]. Anche durante il

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7 sonno REM vi è una sensibile riduzione, rispetto alla veglia, dell'attività dei neuroni del nucleo del rafe e del locus coeruleus, mentre, a differenza che nelle fasi a onde lente, i sistemi ascendenti colinergici si riattivano [53] [62]. Questa attivazione dei sistemi colinergici in presenza di una riduzione delle attività dei sistemi aminergici è una caratteristica del sonno REM che è stata chiamata in causa per spiegare alcune caratteristiche dell'attività onirica durante il sonno REM, come la bizzarria e la vividezza delle immagini dei sogni. [49], o per avvalorare l'idea che la particolare neurofisiologia del sonno REM rappresenti un setting neurofisiologico ideale per elaborare ricordi emozionalmente rilevanti [117].

Nonostante le numerose ipotesi avanzate, a tutt'oggi il ruolo del sonno risulta controverso, e, in ogni caso, data la complessità del fenomeno e la profonda diversità delle sue fasi, è forse fuorviante parlare di “ruolo del sonno”, come se il sonno fosse un fenomeno unitario e semplice con un’unica funzione. Neppure però sarebbe corretto parlare dell’attività ipnica come di una somma di fenomeni disgiunti e senza relazioni tra di loro: il sonno risulta piuttosto essere un fenomeno complesso, ma, almeno per certi aspetti unitario.

La caratteristica fenomenologica più evidente del sonno è la perdita della coscienza, evidente nel sonno senza sogni, ma rilevabile anche nell'attività onirica, che si presenta come una coscienza parziale perché non integrata [110] [33]. Come già osservava Merleau-Ponty, il sogno è un insieme lacunoso di ricordi slegati senza la struttura coerente tipica della coscienza piena [70]. E proprio questa caratteristica fenomenologica ci conduce nel nodo fondamentale che lega insieme i diversi processi che si svolgono durante il sonno, e cioè il fatto di doversi svolgere off-line.

Il fatto che nell’evoluzione si sia sempre mantenuto uno stato fisiologico caratterizzato dalla perdita di contatto con gli stimoli che provengono dal mondo esterno, cosa che comporta uno svantaggio evolutivo evidente in termini di capacità di rispondere in maniera efficace e veloce alle minacce che vengono dall'ambiente, suggerisce l’ipotesi che esistano funzioni vitali fondamentali che non possano che svolgersi off-line.

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8 Una funzione che diventa sempre più fondamentale nel regno animale via via che aumentano le capacità cognitive è la capacità di memorizzare le informazioni. Nell’uomo, così come negli animali più evoluti, vi sono diverse tipologie di memoria a seconda del tempo di ritenzione dei ricordi o delle tracce lasciate dagli stimoli esterni sul sistema sensoriale (e si hanno quindi memorie iconiche a brevissima ritenzione, memorie a breve termine, e memorie a lungo termine); a seconda del tipo di contenuto memorizzato (memoria procedurale, memoria semantica, memoria episodica, ecc.); a seconda della colorazione emotiva del ricordo stesso. Queste diverse tipologie sono connesse a processi e sostrati fisiologici diversi, tanto che possono andare selettivamente soggette a deterioramento. Ciascuna traccia mnestica ha inoltre un suo ciclo vitale, che comprende processi differenziati di codifica in entrata, di stabilizzazione e consolidamento per prolungare il tempo di ritenzione, di rinforzo e rielaborazione per migliorare i processi di recupero e minimizzare le interferenze. E in tutti i casi i processi di consolidamento e rielaborazione delle tracce mnestiche necessariamente impegnano i medesimi circuiti neurali che si attivano per elaborare le nuove informazioni provenienti dall'esterno, e difficilmente quindi potrebbero svolgersi in contemporanea con l’acquisizione di nuove informazioni [63]. Alcuni di questi processi potrebbero aver luogo anche durante la veglia (per questa ipotesi vedi [4]), ma rimane il fatto che durante la veglia il sistema nervoso centrale è prioritariamente impegnato nell'elaborazione dei nuovi stimoli, e quindi il tono generale di attivazione e lo stato neurofisiologico del sistema nervoso centrale deve essere funzionale a questo, piuttosto che al consolidamento mnestico. È quindi ipotizzabile che il sonno, proprio per la sua caratteristica di mettere off-line il sistema nervoso centrale, consenta quell’insieme coordinato di processi che svolgono (se non completamente, in gran parte) la funzione di riordinare e consolidare gli apprendimenti e le esperienze fatte durante la veglia.

Se il sonno è implicato sia nei processi di codifica che di consolidamento e rielaborazione off-line dei diversi tipi di ricordi, una deprivazione o una scarsa qualità del sonno prima di compiti di apprendimento dovrebbe diminuire l'efficienza della codifica e della memorizzazione degli stimoli. In un contesto come quello scolastico, dove sono richieste appunto abilità di concentrazione, di memorizzazione e di rielaborazione, e dove si richiede ai bambini di mantenere un controllo dei propri comportamenti e un alto livello di attenzione, problemi del sonno potrebbero quindi avere un effetto

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9 negativo sull'adattamento dei bambini al setting scolastico e sulle capacità di mantenere le performance richieste.

1.3 Il ruolo del sonno nella codificazione, nel consolidamento e nella rielaborazione delle tracce mnestiche: le evidenze sperimentali

Sono numerose, in letteratura, le evidenze sperimentali che supportano l’ipotesi di uno legame tra memoria e sonno.

Diversi studi di Born e colleghi mostrano un rafforzamento off-line del ricordo di coppie di parole associate dopo un periodo di sonno, specialmente legato alla prima parte della notte, ricca in sonno a onde lente [89] [90] [37]. La capacità di ricordare coppie di parole è rafforzata, inoltre, se, durante il periodo di sonno, si inducono oscillazioni lente nella corteccia prefrontale durante la prima parte della notte, con una tecnica di stimolazione elettrica [63]. La stimolazione non soltanto aumenta la quantità di oscillazioni lente durante il periodo di applicazione e quello immediatamente successivo, ma anche migliora le performance dei soggetti in un compito di memorizzazione di coppie di parole, suggerendo l'ipotesi che la particolare neurofisiologia del sonno a onde lente giochi un ruolo cruciale nel consolidamento della memoria. In particolare sembra che il sonno possa aumentare la resistenza delle tracce mnestiche a fenomeni di interferenza: in un esperimento condotto da Ellenbogen e colleghi con un classico paradigma di interferenza, il vantaggio di un periodo di sonno risultava scarso nel gruppo che non era esposto a interferenza, mentre le prestazioni miglioravano notevolmente nel gruppo sottoposto a un compito interferente [27] [28].

Questo risultato è compatibile con ipotesi teoriche che postulano un trasferimento delle tracce mnestiche da regioni particolarmente deputate allo stoccaggio a breve termine, come l'ippocampo, dove le informazioni sono maggiormente soggette all'interferenza di nuove acquisizioni, a regioni deputate all'immagazzinamento a lungo termine. Vi sono numerose evidenze di attività ippocampali durante il sonno che potrebbero essere un “replay” del materiale memorizzato durante il giorno allo scopo di “trascriverlo” nella memoria a lungo termine. Alcuni studi, condotti sugli animali, hanno trovato attività compatibili con la riproposizione di memorie visuo-spaziali acquisiti in compiti di esplorazione precedenti al periodo di sonno [122] [102] [69] [101] [21] [50] [48], e analoghe evidenze

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10 sono state trovate nell'uomo usando compiti visuo-spaziali durante i quali i soggetti erano monitorati attraverso la tomografia a emissione di positroni [83]. Generalmente è il sonno ad onde lente a mostrarsi correlato con la memoria dichiarativa, anche se vi sono alcune evidenze che sembrano dimostrare anche un miglioramento delle performance mnemoniche legate al sonno REM [36]. Del resto, il ruolo del sonno nel consolidamento della memoria dichiarativa, in luogo di essere un processo univoco che impatta sostanzialmente nello stesso modo su tutti i ricordi di questa tipologia, potrebbe dipendere da diversi aspetti legati all'informazione memorizzata, come la novità, il significato, l'importanza e l'impatto emotivo che hanno per il soggetto [23].

Indipendentemente dagli studi sul ruolo del sonno, vi è un'ampia e consolidata letteratura e numerose evidenze che dimostrano come i processi di consolidamento mnemonico siano modulati dalle emozioni [12] [67] [86]. Esperienze emozionalmente non neutre non solamente sono codificate in maniera più robusta, ma persistono nel tempo, mostrano una minor decadenza e una più marcata resistenza alle interferenze [54] [116] [98] [55] [57]. La ricerca sul sonno può aumentare la comprensione di questi fenomeni. Secondo alcuni autori il sonno REM determina uno stato fisiologico ideale per la processazione dei ricordi emotivamente più rilevanti [12] [67] [117] [113], e si sono moltiplicati, negli ultimi anni, gli studi che indagano selettivamente il ruolo della fase REM nel consolidamento dei ricordi emozionalmente rilevanti. Ad esempio Wagner e colleghi hanno dimostrato come il sonno favorisca in modo particolare la ritenzione di materiali emotivamente rilevanti piuttosto che di materiali neutri [114], e questo effetto specifico sulla memoria di materiale emotivamente non neutro è stato trovato soltanto nella seconda parte della notte, un periodo ricco in sonno REM. Inoltre questo effetto di rinforzo sui ricordi persiste anche a distanza di anni [115]. Anche in uno studio di Hu e colleghi si osserva uno specifico effetto di rinforzo del sonno su ricordi emotivamente rilevanti [46]. In un paradigma sperimentale basato su un breve periodo di sonno dopo una sessione di apprendimento (nap-paradigm) è stato non soltanto trovato un beneficio del sonno nel consolidamento della memoria di materiale emozionalmente non neutro, ma è stata trovata una correlazione tra il tempo passato nella fase REM e la latenza REM con la persistenza dei ricordi [76]. Il ruolo del sonno REM sulla memoria e in particolare sulla memorizzazione di stimoli emotivamente rilevanti rimane tuttavia controversa [52].

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11 Oltre a un ruolo nel consolidamento e nella rielaborazione off-line del materiale acquisito durante la giornata, il sonno gioca probabilmente un ruolo importante nel ripristino delle capacità attentive e di codifica delle nuove informazioni.

Uno dei primi studi sulla relazione tra sonno e codificazione delle informazioni è stato condotto negli anni sessanta [74]. Si trattava di indagare gli effetti della deprivazione del sonno sulla capacità di codifica di un particolare tipo di memoria dichiarativa, da alcuni autori identificata come memoria temporale, ovvero il ricordo di quando un particolare evento è accaduto. Lo studio mostrava come la memoria temporale era significativamente danneggiata da una deprivazione di sonno pre-training. Questi risultati sono stati poi replicati in uno studio più recente e più rigoroso, sempre basato sul paradigma della memoria temporale: una significativa diminuzione della capacità di ritenzione è stata trovata nel gruppo sperimentale, i cui soggetti non hanno dormito le 36 ore precedenti al compito di memorizzazione, rispetto al controllo [41]. Una ricerca di Drummond e del suo team ha anche esaminato le possibili basi neurali di un simile impatto che il sonno ha sulla codifica di informazioni. Drummond e colleghi hanno investigato gli effetti di 35 ore di deprivazione totale di sonno su un successivo compito di apprendimento verbale utilizzando la risonanza magnetica funzionale. Nei soggetti con deprivazione si registrava, durante il compito di apprendimento, una significativa diminuzione dell'attività nelle regioni del lobo medio temporale e un aumento dell'attivazione delle regioni prefrontali rispetto al gruppo di controllo, oltre che a un'attivazione di regioni del lobo parietale non attive nel gruppo di controllo. Questi risultati suggeriscono l’ipotesi che una deprivazione del sonno prima del compito determini una diminuzione della funzionalità delle regioni temporali normalmente implicate in compiti di memorizzazione verbale, e un tentativo di compensare le funzioni perdute con altre regioni [25] [24]. L'effetto della deprivazione del sonno è stato anche studiato, sempre sulla memoria dichiarativa, in uno studio con la risonanza magnetica funzionale condotto da Yoo e colleghi [124], che hanno rilevato durante il compito di apprendimento un deficit selettivo e bilaterale a carico delle regioni dell'ippocampo nel gruppo sperimentale rispetto al gruppo di controllo. L'ippocampo è una struttura già nota per essere probabilmente implicata nella codifica e prima ritenzione della memoria dichiarativa [26], e i risultati di Yoo e colleghi non solo sembrano confermare questa funzione, ma fanno pensare che durante il sonno abbiano luogo processi che

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12 ripristinano la sua normale funzionalità. Anche nello studio di Yoo e colleghi emerge inoltre come alcune zone della corteccia prefrontale siano associate a più alti livelli di efficienza nella codifica solo nel gruppo sperimentale, suggerendo l'ipotesi che queste regioni si attivino per compensare quelle rese disfunzionali dalla deprivazione del sonno [124].

Uno studio pionieristico di Yoo e colleghi con la risonanza magnetica funzionale, ha investigato come una deprivazione di sonno alteri la normale risposta del sistema nervoso centrale a stimoli emotivamente non neutri [98]. Lo studio prevedeva due gruppi, formati da persone giovani e in salute, uno dei quali con deprivazione di una notte di sonno pre-training. Durante la risonanza magnetica funzionale ai soggetti dei due gruppi veniva presentata una serie di immagini con una connotazione emozionale via via più negativa. Il gruppo sperimentale presentava una maggior attivazione dell'amigdala quando venivano presentati stimoli visivi negativi. Inoltre c'era nei soggetti del gruppo sperimentale una significativa perdita di connettività tra l'amigdala e la corteccia prefrontale mediale, una regione nota per avere forti proiezioni inibitorie capaci di modulare l'attivazione dell'amigdala [103], in associazione a un'aumentata connettività tra l'amigdala e i centri di attivazione autonomica del locus coeruleus. Così, senza sonno, si osserva una iper-reattività dell'amigdala e dell'attività limbica in risposta agli stimoli negativi, ed è ipotizzabile che questa reazione eccessiva e alterata sia dovuta anche alla perdita di funzionalità delle proiezioni della corteccia prefrontale risultante in una mancata modulazione top-down della risposta emotiva [87] [88] [117].

Presi insieme, questi risultati mostrano la complessità dei meccanismi di codifica delle informazioni, legati a varie strutture che cooperano tra loro in modo flessibile. In ogni caso, sembra confermarsi l'importanza cruciale del sonno prima dell'apprendimento nella preparazione delle strutture neurali implicate nell'apprendimento stesso: senza un sonno adeguato strutture implicate in maniera diretta in specifici processi legati alla codifica degli stimoli, come probabilmente l'ippocampo, risultano essere indebolite, mentre il funzionamento delle regioni che hanno una funzione di controllo e coordinamento dei vari processi, come probabilmente quelle della corteccia prefrontale, subiscono alterazioni, forse anche in parte dovute alla necessità di compensare le funzioni perdute. Inoltre il danneggiamento dei normali processi legati alla codifica delle informazioni risulta creare degli

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13 squilibri tra il ricordo di informazioni neutre o emozionalmente positive, e quello di informazioni emozionalmente negative. Questo potrebbe contribuire a spiegare il legame tra disturbi del sonno e problematiche di carattere depressivo, sia perché una minor efficienza del sonno potrebbe essere direttamente responsabile di una dominanza di ricordi a carattere negativo [117], sia perché alterazioni a carico della funzionalità delle regioni della corteccia prefrontale potrebbero compromettere strutture di controllo e regolazione top-down delle risposte emotive [87] [88].

1.4 Il ruolo del sonno nella codificazione, nel consolidamento e nella rielaborazione delle tracce mnestiche: uno sguardo ad alcune teorie esplicative

Tentando di semplificare al massimo il dibattito teorico sul ruolo del sonno nel consolidamento mnestico, si può dire che le numerose ipotesi finora proposte sono riconducibili a due grandi tipologie.

Tutto un filone di riflessione lega il consolidamento delle tracce mnestiche a un fenomeno di riattivazione off-line di circuiti neurali: in questo modo si riesce a spiegare in maniera abbastanza diretta il fenomeno del consolidamento mnestico legato al sonno e alle sue fasi. La funzione di ripristino delle capacità di acquisire nuove informazioni, comunque legata all'attività ipnica e al suo ruolo ristorativo, sarebbe invece da collegarsi al trasferimento di memorie a breve termine nella memoria a lungo termine, con una concomitante “pulizia” della memoria a breve termine che spiegherebbe il ripristino delle capacità attentive e di immagazzinamento di nuove informazioni.

Secondo un altro filone di pensiero, invece, nel sonno si realizzerebbe un downscaling dei pesi sinaptici, aumentati durante la veglia proprio dal processo di immagazzinamento di nuove informazioni. Questa tipologia di ipotesi spiega in modo diretto il ripristino delle capacità attentive e di immagazzinamento di nuove informazioni, mentre il consolidamento delle tracce mnestiche esistenti sarebbe l’effetto del miglioramento del rapporto tra informazione e rumore.

Come vedremo più avanti, queste due tipologie di ipotesi, pur muovendo da punti di vista in qualche misura opposti (ma non antitetici, potendo essere punti di vista complementari), non sono necessariamente incompatibili, e ci sono ipotesi che tentano di combinare i due approcci [4][49][117][118].

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14 Esamineremo alcuni esempi di questi due filoni di pensiero, senza alcuna pretesa di esaustività, ma solo mostrando alcuni nodi concettuali fondamentali, e, soprattutto, tentando di mettere in luce la simmetria tra la ricerca neurofisiologica e le ipotesi teoriche nel campo della psicologia cognitiva e della ricerca sull'intelligenza artificiale e le reti neurali.

Oltre a una serie di evidenze sperimentali, ci sono motivi di carattere teorico e computazionale per pensare che la memoria si svolga in due step: un'iniziale fase di apprendimento che dà luogo a una rappresentazione neurale transitoria e maggiormente soggetta a decadimento e interferenza, e una successiva fase di consolidamento in cui la memoria viene trasferita in regioni capaci di mantenerla a lungo. David Marr sostenne, già negli anni '70, che l'integrazione tra vecchi e nuovi apprendimenti richiedeva la presenza di due fasi distinte di memorizzazione, una necessaria per la prima acquisizione di nuovo materiale, e un'altra necessaria per collocare questo nuovo materiale nella mappa di informazioni preesistenti. Secondo Marr la corretta collocazione e l'integrazione delle nuove informazioni con le informazioni preesistenti è un problema computazionalmente complesso, che necessita di un buffer che svolga un ruolo di intermediazione, e che registri in forma transitoria durante la veglia le esperienze nuove, per integrarle in un dialogo off-line con le regioni deputate alla conservazione della memoria a lungo termine [61]. Più recentemente un contributo teorico in sostegno all'idea che la memorizzazione debba svolgersi in due step distinti è venuto dal connessionismo. Nei modelli connessionisti il rapido apprendimento di nuove associazioni in presenza di associazioni preesistenti può generare fenomeni di interferenza che esitano nella distruzione delle precedenti acquisizioni: risulta quindi necessario che le nuove acquisizioni non siano immediatamente stoccate nella memoria a lungo termine, ma siano registrate temporaneamente e siano poco a poco integrate con le connessioni che già ci sono [66]. Questa linea di riflessione e modellizzazione teorica si è intersecata con evidenze neurofisiologiche che portano a identificare in alcune regioni dell'ippocampo una possibile sede della memoria a breve termine. Il ruolo dell'ippocampo nella memoria è noto sin dalla metà del secolo scorso [97] [84]. Le particolari connessioni tra ippocampo e neocortex portano a pensare che proprio alcune regioni dell'ippocampo possano svolgere il duplice ruolo di acquisire informazioni in un processo on-line rivolto all'esterno, stoccandole

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15 temporaneamente, e di integrarle nella memoria a lungo termine in un dialogo off-line con le regioni della neocorteccia [65] [66].

Numerose evidenze corroborano poi l'ipotesi che durante il sonno si possa svolgere un'attività di replay delle esperienze fatte durante il giorno e memorizzate in alcune regioni dell'ippocampo, per essere poi trasferite e integrate nella memoria a lungo termine in un processo che avviene durante il sonno.

Nei topi sono state per esempio scoperte cellule dell'ippocampo che aumentano la loro frequenza di scarica se l'animale è collocato in una specifica posizione spaziale [80] [79]. Si pensa quindi che l'insieme di queste cellule, denominate “place cell” costituisca una mappa dell'ambiente circostante, e si è infatti osservato come durante l'esplorazione dello spazio l'attivazione sequenziale delle cellule di queste regioni dell'ippocampo permette di ricostruire la traiettoria dell'animale attraverso il territorio esplorato. La medesima sequenza di potenziali di azione si ripete, in forma condensata, durante il sonno [102]. Il replay delle sequenze di attivazione neuronale connesse con l'apprendimento non è limitato all'ippocampo. Sono state trovate correlazioni tra l'attività di cellule nella corteccia prefrontale mediale avvenute durante il giorno e la medesima attività registrata durante la notte [31]. Ribeiro e colleghi hanno descritto pattern di attività ripetuta durante il sonno a onde lente nell'ippocampo, nella neocortex, nel putamen e nel talamo [93]. Presi insieme questi studi corroborano l'ipotesi di una riattivazione durante la notte sia di attività ippocampali che neocorticali.

Vi è quindi una simmetria tra le riflessioni teoriche sul funzionamento della memoria, e il funzionamento neurofisiologico di alcune aree, il che suggerisce l'ipotesi che queste aree possano essere il sostrato fisiologico delle diverse tipologia di memoria, e che il sonno giochi un ruolo critico nel consolidamento delle informazioni acquisite durante il giorno attraverso il loro trasferimento da quella a breve a quella a lungo termine.

Una simmetria simile tra modelli teorici e evidenze in ambito neurofisiologico si trova anche a sostegno però dell’altro filone di riflessione, che è alla base dell'ipotesi dell'omeostasi sinaptica.

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16 Negli anni '40 il fisiologo americano Donald Hebb propone un paradigma di apprendimento che, superando i classici schemi comportamentisti, aprirà la strada alle idee connessioniste. Secondo Hebb l'apprendimento può essere spiegato in termini di progressivo adattamento di reti neurali a stimoli ricorrenti, con un aumento della risposta man mano che gli stimoli si ripresentano. L'idea alla base dell'apprendimento hebbiano è una semplice regola di potenziamento dei nodi della rete, le cui connessioni aumentano di intensità quando due nodi sono attivati contemporaneamente, il che significa, calando questo modello teorico nella struttura fisiologica del sistema nervoso centrale, che “quando un assone di una cellula A è sufficientemente vicino a una cellula B per poterle inviare uno stimolo eccitatorio, e ripetutamente o persistentemente prende parte nell'eccitarla, ha luogo qualche processo di crescita o qualche cambiamento metabolico in una o in entrambe le cellule, tale da aumentare l'efficienza della cellula A nell'attivare la cellula B” [43]. Al netto di piccole modificazioni che negli anni sono state apportate, l'essenza della regola di Hebb rimane sostanzialmente invariata: la memoria è il prodotto del potenziamento delle connessioni sinaptiche causata della coincidenza temporale dell'attività neuronale. Quando due cellule nervose si attivano sequenzialmente la forza della loro connessione sinaptica cresce, e questo potenziamento sinaptico è in grado di spiegare come un'attività dinamica di elaborazione degli stimoli si trasformi in una modificazione stabile della rete, in grado di garantire la persistenza della traccia mnestica [112].

La regola di Hebb consente di spiegare forme molto complesse di elaborazione delle informazioni come proprietà emergenti di una rete i cui nodi funzionano in modo estremamente semplice. Forse anche questa eleganza e potenza esplicativa ha determinato il successo della regola di Hebb prima ancora che evidenze empiriche corroborassero l'ipotesi che il sistema nervoso centrale funzionasse effettivamente in quel modo, e così si sono moltiplicati, tra gli anni '50 e gli anni'70, modelli teorici connessionisti che spiegavano il possibile funzionamento di reti neurali complesse.

Andrebbe oltre gli scopi del nostro lavoro una disamina anche estremamente succinta dei diversi modelli connessionisti. Ci piace però citarne uno, proposto da Emilio Renato Caianello, un fisico italiano vissuto attorno alla metà del secolo passato, che fu un pioniere negli studi sulle reti neurali. In un suo articolo del 1960 Caianiello discute le proprietà matematiche di un modello di rete neurale

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17 costruita proprio con un paradigma hebbiano di potenziamento delle connessioni dei nodi: accanto all'equazione neuronica costante, infatti, Caianiello introduce un'equazione mnemonica che permette un cambiamento permanente o semipermanente della rete in funzione delle attività passate. La cosa interessante è il fatto che una simile rete ha bisogno di momenti di “sonno”. Esposta costantemente agli stimoli esterni infatti le connessioni diventano così forti da creare fenomeni di rumore e di confusione tra configurazioni diverse, che crescono fino a determinare il collasso della funzionalità della macchina: occorre quindi ipotizzare un processo di abbassamento delle connessioni sinaptiche che deve avvenire necessariamente off-line [13]. Letto a più di cinquant'anni di distanza, l'articolo di Caianiello appare essere una preveggente anticipazione della teoria dell'omeostasi sinaptica proposta da Tononi e Cirelli nel 2006.

Per arrivare alla teoria di Tononi e Cirelli, tuttavia, occorreva che la prospettiva connessionista si intersecasse con studi neurofisiologici che potessero dimostrare che il sistema nervoso centrale poteva avere un funzionamento realmente simile a quello previsto da Hebb, cosa che è accaduta a partire dagli anni '70.

Nel 1973, il neurofisiologo britannico Tim Bliss e il norvegese Terie Lømo, allora studente di psicologia, descrissero nell'ippocampo del coniglio il fenomeno del potenziamento a lungo termine (Long term potentiation, LTP), che consisteva nell'aumento stabile e duraturo dell'intensità della risposta neuronale dopo che le cellule afferenti di quell'area erano state sollecitate con stimoli elettrici ad alta frequenza [9]. Successivi studi hanno evidenziato fenomeni di potenziamento a lungo termine in molte specie animali e in diverse regioni del sistema nervoso centrale, comprese aree della neocortex, dell'amigdala e dello striato.

Questi risultati hanno reso plausibile l'ipotesi che il sistema nervoso centrale possa effettivamente funzionare in modo simile alla “macchina” di Caianiello, e che l'apprendimento sia mediato da un aumento del peso delle sinapsi. Se, però, l'apprendimento è mediato da un potenziamento nel peso delle sinapsi, è necessario che ci sia un processo inverso, che riduca i pesi sinaptici e ripristini la possibilità di acquisire nuove informazioni. Secondo l'ipotesi dell'omeostasi sinaptico questa funzione sarebbe svolta dal sonno ad onde lente [111]: il downscaling sinaptico durante il sonno permetterebbe

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18 un risparmio di energia e di spazio disponibile per le nuove informazioni, un conseguente ripristino delle capacita attentive e di apprendimento, e un miglioramento del rapporto informazione/rumore. Questo miglioramento del rapporto informazione/rumore spiegherebbe i fenomeni di consolidamento della memoria che avvengono durante la notte [111].

È stato suggerito il fatto che la teoria dell'omeostasi sinaptica non sia in contrasto con l'ipotesi di un replay di alcune memorie: questi due tipi di processi potrebbero cooperare insieme per migliorare l'efficienza complessiva del sistema, andando a rafforzare specifiche configurazioni [4] [117]. Il sonno ci appare allora come un insieme di processi diversi e coordinati, che svolgono diverse funzioni legati al consolidamento e all'elaborazione dei diversi tipi di memoria. Esulerebbe dai limiti di questo lavoro una disamina approfondita delle diverse ipotesi su specifici processi. Citiamo solo un'ipotesi circa la funzione del sonno REM, avanzata da Walker, perché ci sembra possa suggerire una possibile chiave di lettura anche di risultati simili a quelli che emergono in questo studio.

Ci sono, come abbiamo visto nel paragrafo precedenti, abbondanti evidenze sperimentali che dimostrano che le esperienze emozionalmente rilevanti persistano nel tempo con più forza rispetto a ricordi neutri. Walker osserva però che nei ricordi di eventi emozionalmente rilevanti è l'episodio ad essere ricordato, mentre in genere l'emozione ad esso associata viene pian piano dimenticata. Il fatto che ci sia una riduzione del tono affettivo associato con il ricordo è, secondo Walker, un dato ugualmente importante, un indizio negletto che ci conduce a considerare il fatto che ci debba essere un disaccoppiamento tra la memoria episodica e la memoria emozionale ad essa connessa, e un duplice processo: un consolidamento della memoria episodica da un lato, un oblio della corrispondente risposta emotiva dall’altro [117] [103]. Secondo Walker il sonno REM ha caratteristiche neurofisiologiche uniche, che possono consentire questo disaccoppiamento. Specificamente, l'accresciuta attivazione nelle strutture limbiche e paralimbiche durante il sonno REM consente la riattivazione di esperienze emozionalmente rilevanti, che possono essere integrate nella memoria a lungo termine grazie all'attivazione di ampi circuiti corticali. Questa riattivazione di esperienze emotivamente rilevanti permetterebbe così non soltanto il consolidamento delle esperienze, ma anche la loro integrazione nella memoria a lungo termine e la rielaborazione di quanto accaduto alla luce di

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19 precedenti esperienza. Questa rielaborazione avviene in presenza però (questo il punto essenziale dell'ipotesi avanzata da Walker) di una sensibile riduzione, rispetto alla veglia, dell'attività dei neuroni del nucleo del rafe e del locus ceruleus, quest'ultimo in particolare collegato a stati di stress e di ansia [117][118][104]. Secondo Walker sarebbe proprio questa caratteristica riduzione dell'attività dei sistemi aminergici a spiegare il disaccoppiamento tra ricordo ed emozione ad essa associata, perché l'integrazione, la rielaborazione e l'associazione del ricordo ad altri eventi avverrebbe appunto in una situazione in cui non viene riattivata anche l'emozione che è stata vissuta in veglia. Il sonno REM assume quindi i lineamenti di una vera e propria terapia “affettiva” che avviene durante la notte, e una scarsa qualità del sonno porterebbe quindi a una eccessiva riattivazione delle emozioni legate ad eventi negativi, a una difficoltà di rielaborazione di quello che è successo, e, conseguentemente, a vissuti d'ansia o depressivi e a difficoltà di controllo delle proprie risposte emotive.

Se questa ipotesi trovasse conferma, si potrebbe stabilire una connessione diretta tra disturbi del sonno e disregolazione emotiva.

Segnaliamo, anche per dar conto della complessità del dibattito e mettere in guardia da qualsiasi semplificazione, che relativamente alle medesime caratteristiche neurofisiologiche del sonno REM è stata avanzata anche una diversa ipotesi. Secondo Johnson la particolare caratteristica neurofisiologica del sonno REM potrebbe in realtà servire a supportare la funzione di consolidamento di un tipo particolare di memoria, la memoria contestuale, che si pone come un ponte tra la memoria episodica e la memoria semantica: la memoria contestuale rappresenterebbe l'insieme di ricordi legati a determinati contesti, che rende conto anche della loro particolare coloritura emotiva. La memoria contestuale, secondo Johnson, difficilmente può essere consolidata durante la veglia, quando è necessario, per rispondere efficacemente agli stimoli che provengono dall'ambiente, escludere informazioni che non siano strettamente attinenti con la situazione presente. Secondo Johnson, questa funzione di filtro sarebbe svolta durante la veglia dai sistemi ascendenti aminergici. Nel sonno REM i sistemi aminergici, come abbiamo visto, sono disattivi, in presenza però di uno stato di vigilanza simile alla veglia, a causa dell'attivazione dei sistemi colinergici: lo stato di vigilanza consentirebbe quindi la processazione dei ricordi, che sarebbero però riattivati seguendo il filo delle associazioni di idee,

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20 piuttosto che filtrati sulla base della necessità di elaborare in modo efficace la situazione presente, e questo sarebbe alla base del rafforzamento di connessioni tra ricordi legati a un unico contesto [49].

1.5 I disturbi del sonno e comportamenti disfunzionali in ambito scolastico

La rapida disamina fatta nei paragrafi precedenti suggerisce l'ipotesi che il sonno possa giocare un ruolo cruciale nel ripristinare le capacità di attenzione e di apprendimento, nel consentire l'elaborazione delle esperienze emotivamente rilevanti, nello sviluppare e mantenere capacità di autocontrollo emotivo e comportamentale.

In età evolutiva sono abbastanza comuni problematiche più o meno persistenti del sonno. Molti studi epidemiologici stimano in circa un terzo sul totale la popolazione di bambini che soffre di problemi del sonno [8] [51] [95] [100], ma stime più pessimistiche arrivano a superare il 40% [51] [60] [91] [71]. In generale i medesimi disordini del sonno degli adulti (apnee e disturbi respiratori nel sonno, parasonnie, disordini del ritmo sonno-veglia, ecc.) si trovano anche nei bambini [106], talora con una sintomatologia leggermente diversa. In ogni caso, alcune problematiche sono maggiormente caratteristiche di specifiche fasce d’età, mentre altre, come l’insonnia, sembrano essere comuni più o meno in tutte le età [17].

Sebbene l'origine specifica di questi problemi possa dipendere da numerosi fattori, e sia impropria qualsiasi semplificazione, è comunque un dato interessante il fatto che una percentuale molto significativa dei bambini che hanno problemi del sonno vadano incontro anche a disordini di carattere psicologico o psichiatrico, a difficoltà nel controllo e nella regolazione delle emozioni, a problemi comportamentali [75] [47]. La ricerca si è focalizzata in particolare sui problemi del sonno in giovane età e i disordini internalizzati, in particolare disturbi depressivi [96] [94] e problematiche ansiose [1] [2], e alla correlazione tra problemi del sonno e sintomi psichiatrici nei bambini [75] [82]. In generale, il rischio di sviluppare un disordine ansioso o depressivo è significativamente più alta tra gli adulti con l'insonnia rispetto alla popolazione generale [34] [10], e questo è vero anche nei bambini e negli adolescenti. Per esempio, Gregory e O'Connor hanno esaminato l'associazione tra problemi del sonno dei bambini riferiti dai genitori e lo sviluppo di problemi emozionali nell'adolescenza in un grande campione di comunità. La presenza di problemi del sonno all'età di 4 anni predice lo sviluppo di

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21 sintomi internalizzati nella fascia di età di 13-15 anni [39]. Gregory e il suo team hanno esaminato invece l'associazione tra problemi del sonno durante l'infanzia e lo sviluppo di disordini internalizzati in età adulta, e hanno trovato che il 46% dei bambini con problemi persistenti di sonno nell'età compresa tra i 5 e i 9 anni hanno sviluppato disturbi ansiosi in età adulta [39]. Sembra esserci quindi un importante collegamento tra disturbi del sonno e rischio di sviluppare, a distanza di anni, disturbi ansiosi o depressivi.

Oltre agli studi longitudinali, la correlazione tra la presenza di disturbi del sonno e sintomi ansiosi è ben stabilita anche in studi più limitati nel tempo. Uno studio di Paavonen e colleghi mostra per esempio come problemi del sonno in un largo campione di comunità di bambini di 8-12 anni siano correlati con un accresciuto rischio di problemi internalizzati sia a breve che a medio termine [82]. Cosa interessante, la correlazione si trova sia nel caso di problematiche del sonno persistenti, che di problematiche transitorie: questo suggerisce l'ipotesi che problemi transitori possano avere un impatto abbastanza immediato e che ci possa quindi essere un meccanismo abbastanza diretto che lega la qualità del sonno al mantenimento di un buon controllo emotivo. Nonostante gli studi empirici offrano però qualche indizio a favore di una simile ipotesi, i meccanismi specifici che possono essere alla base di queste associazioni sono ancora poco chiari, e l'argomento resta oggetto di dibattito.

Un ulteriore elemento che rende difficile un'interpretazione univoca dei dati è il fatto che risulta essere poco chiaro il ruolo che la crescita può avere nello sviluppo, nel mantenimento o nella riduzione delle problematiche del sonno. Durante lo sviluppo e l'adolescenza ci sono significativi cambiamenti nei sistemi fisiologici che regolano il sonno, le emozioni e il comportamento, e la correlazione tra sonno e disordini internalizzati può andare soggetta a grandi cambiamenti con l'età [20]. Alcuni studi sembrano suggerire l'ipotesi che i disturbi del sonno possano essere più strettamente associati ai disturbi d'ansia durante l'infanzia, mentre nell'adolescenza i disturbi del sonno sarebbero maggiormente correlati a problematiche a carattere depressivo [19].

Negli adulti fattori cognitivi hanno un ruolo ben stabilito nello sviluppo e nel mantenimento dei disordini internalizzati, e sono anche correlati con problematiche del sonno [42], cosa che suggerisce come la via di future ricerche che tentino di indagare il ruolo del sonno nello sviluppo e nel

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22 mantenimento di disordini internalizzati possa proprio essere quella di indagare il ruolo del sonno nel ripristino di processi cognitivi di controllo delle emozioni [117] [87] [88]. Evidenze di processi cognitivi disfunzionali nei giovani con depressione o disturbi d'ansia sono anche considerevoli. In particolare sono stati riportati bias di interpretazione e di valutazione, come l'errata percezione di situazioni in realtà neutre come situazioni minacciose e la scarsa fiducia nelle proprie capacità di far fronte a situazioni difficili o di controllare emozioni negative [30] [120]. Analoghe evidenze di difficoltà cognitive sembrano essere alla base anche di disturbi del sonno. Adulti che soffrono di insonnia spesso attribuiscono i loro problemi di sonno a processi cognitivi piuttosto che a sensazioni corporee [58] e, analogamente ai soggetti con disordini internalizzati, sono maggiormente soggetti a pensieri negativi nel momento di andare a letto rispetto a chi ha una migliore qualità del sonno [7]. Dato interessante è anche il fatto che la presenza di un locus of control esterno sia specificamente associata con persistenti difficoltà a iniziare e a mantenere il sonno [73], [119], cosa che sembrerebbe suggerire un ruolo di fattori cognitivi e metacognitivi nel mantenimento di disturbi del sonno. Presi assieme questi dati avvalorano ulteriormente l'idea che ci possano essere anche meccanismi cognitivi alla base tanto di problematiche emotive quanto di problematiche del sonno, cosa che potrebbe spiegare la correlazione tra le due tipologie di disturbo anche senza chiamare in causa un legame causale. Ma è anche possibile che ci siano meccanismi che legano causalmente i due aspetti in un verso o nell'altro; o che entrambe le cose siano vere e che circoli viziosi si instaurino tra problematiche del sonno e problematiche emozionali, rafforzandole vicendevolmente.

Sebbene la ricerca di fattori cognitivi alla base dei problemi del sonno sia per lo più limitata alla popolazione adulta, alcuni studi suggeriscono la presenza di analoghe correlazioni e analoghi meccanismi di regolazione anche nell'infanzia e nell'adolescenza.

Per quanto riguarda l'età evolutiva, è stato ipotizzato che i problemi del sonno possano aggravare problemi comportamentali [107]. Alcuni studi rilevano come problemi del sonno siano associati a peggiori performance scolastiche (per una review si veda [108]), a difficoltà emotive e comportamentali [109]. Più specificamente studi in campioni di comunità hanno dimostrato che problemi respiratori nel sonno, russamento e movimenti periodici degli arti durante il sonno

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23 nell'infanzia sono associati con difficoltà nell'attenzione [16], iperattività [110] e comportamenti aggressivi [16].

Problemi del sonno sono anche associati alla presenza di più gravi problematiche di comportamento, come comportamenti aggressivi o di rottura delle regole e sintomi da esternalizzazione [111], mentre alcuni studi dimostrano che bambini che manifestano comportamenti aggressivi nel contesto scolastico tendono ad avere maggiori problematiche di sonno rispetto ai loro coetanei [16] [112].

O'Brien e colleghi suggeriscono l'ipotesi, compatibile con il quadro teorico brevemente delineato nell'introduzione, che la sonnolenza possa compromettere i meccanismi di regolazione emotiva necessari per il controllo dei comportamenti aggressivi [113].

Vi è poi un'ampia letteratura che indaga la correlazione tra disturbi del sonno e ADHD.

Hansen e colleghi hanno ad esempio esaminato l'associazione tra i problemi del sonno e il livello di attenzione nei bambini con ADHD, e nei bambini con ADHD che presentavano anche disturbi dello spettro ansioso, trovando una associazione in entrambi i gruppi tra qualità del sonno e livello di attenzione [114]; mentre Moreau e colleghi trovano una più robusta associazione con problemi del sonno nei bambini che presentano ADHD in comorbilità con altri disturbi psichiatrici [115]. In generale, bambini con comportamenti iperattivi e inattentivi mostrano una più bassa efficienza del sonno e una peggiore qualità del sonno, sia nelle percezioni del bambini che in quanto riportato dai loro genitori [77].

A loro volta i disturbi del comportamento e le difficoltà a mantenere l'attenzione, che la scarsa qualità del sonno potrebbero contribuire a far nascere o a esacerbare, possono avere un serio impatto, nel contesto scolastico, su numerosi aspetti che incidono sul benessere a scuola.

In primo luogo disturbi del comportamento e dell'attenzione possono incidere negativamente sul benessere emotivo degli studenti, e sui loro rapporti sociali, sia con i pari che con gli adulti e le figure educative di riferimento.

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24 In secondo luogo i disturbi del comportamento e dell'attenzione sono correlati con le scarse performance e l'insuccesso scolastico, sia in modo diretto (difficoltà di attenzione con conseguente difficoltà di concentrarsi sulla lezione e di portare a termine i compiti assegnati), che in modo indiretto (giacché qualsiasi disturbo che incide sul benessere emotivo e relazionale può avere effetti sulla motivazione allo studio e sulle performances scolastiche). Comportamenti aggressivi e iperattivi limitano la possibilità degli studenti di esprimere interamente le loro potenzialità nel contesto scolastico, e, quando siano rilevate nei primi anni della scuola elementare sono buoni predittori di futuro drop-out.

In terzo luogo i disturbi del comportamento hanno spesso un impatto negativo sul gruppo classe, possono portare a un aumento delle tensioni, a un deterioramento dei rapporti, a situazioni che limitano la concentrazione del gruppo e l'efficacia degli interventi didattici degli insegnanti [116].

Problematiche comportamentali (legate all'iperattività, a difficoltà di attenzione, e a problemi di condotta) possono quindi avere un profondo impatto negativo sul benessere emozionale e sociale dei bambini, nonché limitare la capacità degli studenti di raggiungere buone performance scolastiche [117]. Inoltre, comportamenti aggressivi o iperattivi nei primi anni della scuola elementare predicono un maggior rischio di drop-out e di insuccesso scolastico al termine della scuola superiore [107][68].

1.6 Limiti e scopo del presente lavoro

Scopo del presente studio è investigare se e quanto i disturbi del sonno in un campione di studenti di scuola elementare possano essere predittivi di problemi comportamentali (sia di attenzione, che di iperattività, che infine, di problemi di condotta e comportamenti aggressivi). Se infatti fosse confermata e ben stabilita una connessione tra problematiche del sonno e questo tipo di comportamenti, che particolarmente hanno un impatto negativo all'interno del setting scolastico, la scuola potrebbe essere il luogo ideale nel quale implementare un protocollo di screening e interventi mirati di prevenzione.

Principale limite del presente studio è la limitatezza del campione, sia come numero di studenti coinvolti, che come tempo di rilevazione. Questo potrebbe spiegare alcuni risultati non chiari, come il

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25 fatto che mentre il peggioramento del sonno è legato a un peggioramento del comportamento a scuola, il miglioramento del sonno non correla con un miglioramento del comportamento: probabilmente il campione è troppo piccolo perché si possano ottenere risultati rilevanti in entrambi i sottogruppi.

Altro limite, è il fatto che non ci si basi su una misura oggettiva della qualità del sonno (con attigrafo o polisonnografia): anche se l’affidabilità del test impiegato è buona, alcuni fattori rilevanti possono sfuggire all’analisi.

Il disegno sperimentale non consente di approfondire il tipo di legame tra i diversi fattori, né consente di fare nessuna ipotesi sui processi che legano sonno, disregolazione emotiva, e comportamento a scuola. Questo rende impossibile leggere alcune correlazioni rilevate. Ad esempio, la correlazione, riscontrata nello studio, tra difficoltà respiratorie nel sonno e problemi tra pari potrebbe supportare l’ipotesi che nel contesto scolastico problemi di natura cognitiva o emotiva possano determinare problemi di socializzazione, ma, nel contesto di questo studio, non è possibile avanzare nessuna ipotesi circa i legami tra i diversi fattori.

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26 2 METODI E RISULTATI

2.1 Procedure e partecipanti

Il presente studio si è svolto negli anni scolastici 2013/2014 e 2014/2015 presso l'Istituto Comprensivo Tongiorgi, una scuola situata in un contesto urbano, nell'immediata periferia nord di Pisa.

È stato sottoposto preventivamente all'approvazione sia del Comitato Etico dell'Università di Pisa, che degli Organi Collegiali della scuola, che hanno valutato la coerenza dello studio con gli scopi istituzionali della scuola e lo hanno approvato dal punto di vista etico.

L'Istituto Comprensivo Tongiorgi comprende scuole dell'Infanzia (età di riferimento dei bambini: 3-6 anni), scuole primarie (età di riferimento: 6-11 anni) e una scuola secondaria di primo grado (età di riferimento 11-14 anni), per una popolazione scolastica complessiva di circa 1000 studenti. Lo studio è stato svolto su studenti che, nell'anno scolastico 2013/2014, frequentavano la seconda, la terza e la quarta classe della scuola primaria. L'età degli studenti interessati andava, quindi, indicativamente, dai 7 ai 10 anni circa.

Nel maggio 2014 è stata inviata alle famiglie una lettera con una sintetica descrizione degli scopi dello studio e delle modalità di partecipazione, assieme a un modulo di consenso informato da firmare e restituire alla scuola. Nella presentazione dello studio era chiarito che la partecipazione allo studio comportava il trattamento da parte della scuola dei dati sensibili riguardanti le abitudini del sonno dei bambini e le loro condizioni generali di salute, e che inoltre i dati sarebbero stati inviati, garantendone l'anonimato, assieme ai dati che la scuola avrebbe raccolto sul comportamento in classe dei bambini.

Nel modulo del consenso informato era espressamente richiesta l'autorizzazione a questo tipo di trattamento dei dati e all'invio ai ricercatori anche di dati raccolti tramite questionari compilati dagli insegnanti.

Le famiglie che hanno acconsentito di partecipare allo studio hanno quindi compilato un questionario sulle abitudini e problematiche del sonno dei loro figli. Gli insegnanti hanno invece compilato un questionario sul comportamento in classe.

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27 Il questionario utilizzato per rilevare le problematiche del sonno dei bambini è stato lo Sleep Disturbance Scale for Children (SDSC) nella sua versione italiana validata dallo studio di Bruni e colleghi [11]. Il questionario distribuito alle insegnanti per rilevare problematiche comportamentali degli studenti è stato lo Strengths and Difficulties Questionnaire (SDQ), elaborato da Goodman nel 1997, nella sua versione italiana validata nello studio di Tobia e colleghi [109].

Nel maggio 2015 le famiglie che hanno completato la prima valutazione sono state contattate nuovamente per una seconda valutazione.

Oltre al questionario sul sonno i partecipanti hanno compilato un questionario di informazioni generali sulla famiglia e sul bambino. Il primo indagava lo status socio-economico e socio-culturale della famiglia; nel secondo si chiedeva l'altezza e il peso del bambino per il calcolo dell'indice di massa corporea, la storia di eventuali disturbi dello sviluppo, su eventuali problematiche mediche, su farmaci che il bambino stesse prendendo o su particolari cure in corso.

Sono stati esclusi dallo studio i partecipanti che hanno avuto una storia di ritardo mentale, una storia di autismo, di sindrome di Tourette, di disordini pervasivi dello sviluppo o di psicosi. Sono stati inoltre esclusi tutti i soggetti che presentavano condizioni mediche tali da interferire sulle loro abitudini di sonno.

2.2 Sleep Disturbance Scale for Children

Nel 1996 Bruni e colleghi hanno sviluppato il questionario Sleep Disturbance Scale for Children (SDSC), per la valutazione di una gamma di pattern comportamentali legati alla qualità del sonno dei bambini. Il questionario si compone di sei sottoscale [11].

La prima scala è relativa ai disturbi di inizio e mantenimento sonno (DIMS). Per disturbo di inizio e mantenimento del sonno si intende una latenza del sonno maggiore di 30 minuti e un numero di risvegli maggiore di due per notte per almeno 4 notti alla settimana. Nei bambini le manifestazioni più frequenti sono il “rifiuto” di andare a dormire e la difficoltà a riaddormentarsi autonomamente (senza l’intervento dei genitori) durante i risvegli notturni.

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28 La seconda scala è relativa ai disturbi respiratori in sonno (DRS), ovvero a quella gamma di condizioni che vanno dal russamento alle apnee notturne e che comportano una anomala e inefficiente respirazione durante il sonno.

I disturbi respiratori nel sonno in età pediatrica comprendono i seguenti quadri clinici, in ordine crescente di gravità:

1)russamento semplice (primary snooring);

2)sindrome delle aumentate resistenze respiratorie (Upper Airways Resistance Syndrome);

3)sindrome delle apnee ostruttive nel sonno (Obstructive Sleep Apnea Syndrome, OSAS);

4)sindrome da ipoventilazione centrale congenita.

La terza scala è relativa ai disturbi dell'arousal (DA), caratterizzati da episodi con caratteristiche di risvegli parziali insorgenti dalle fasi di sonno 3 e 4. Questo gruppo comprende le parasonnie più comuni: il sonnambulismo, il pavor notturno, l’enuresi, i risvegli confusionali del bambino.

La quarta scala si riferisce ai disturbi della transizione sonno-veglia (DTVS), come i movimenti ritmici del sonno; sussulti ipnici; crampi notturni; sonniloquio; la jactatio capitis nocturna, un disturbo benigno dell’addormentamento nel quale il bambino si dondola o dondola una parte del corpo per cullarsi; i sussulti mioclonici dell’addormentamento. Sono episodi abbastanza comuni e vengono visti per lo più come variazioni fisiologiche piuttosto che patologie, ma che possono comunque creare disagio al paziente.

La quinta scala si riferisce ai disturbi da eccessiva sonnolenza (EDS). L’EDS è una condizione sintomatica di diverse patologie o di condizioni parafisiologiche legate al sonno: casi di deprivazione di sonno in cui saranno presenti disturbi del ritmo sonno-veglia e ipersonnie; casi dovuti a farmaci o abuso di sostanze ed infine casi nell’ambito della patologia psichiatrica. La sonnolenza diurna nei bambini viene spesso trascurata dai genitori, i quali frequentemente la associano ad altri fattori (problemi comportamentali, pigrizia, etc.), e la diagnosi viene spesso effettuata con l’ingresso a scuola,

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29 anche se in realtà erano presenti sintomi abbastanza evidenti prima. Tuttavia, nei bambini si esprime in modo diverso rispetto agli adulti, e questo può in parte spiegare la maggior difficoltà di una diagnosi precoce: tra i sintomi più frequenti troviamo iperattività, irritabilità, problemi attentivi, aggressività, disturbi dell’apprendimento, attacchi improvvisi di sonno, frequenti sonnellini, cadute di concentrazione, distraibilità e linguaggio rallentato.

La sesta scala si riferisce infine all'iperidrosi notturna (IPN). La sudorazione notturna nei bambini è, in parte, un’evenienza fisiologica legata a un incremento del tono vagale tipico del sonno. Spesso il problema può essere legato alla temperatura ambientale; altre cause possono essere il pavor nocturnus, lievi rialzi della temperatura, assunzione eccessiva di carboidrati che porta ad iperglicemia, etc.

2.3 Strengths and Difficulties Questionnaire.

Il Questionario sui punti di forza e di debolezza (Strengths and Difficulties Questionnaire – SDQ) è uno strumento breve e di facile somministrazione, sviluppato da Goodman nel 1997 in Gran Bretagna, che indaga il comportamento del bambino prendendo in considerazione cinque aree: sintomi emotivi, problemi comportamentali, disattenzione/iperattività (ADHD), problemi con i pari e comportamenti prosociali. Per ognuno dei 25 item va scelta una risposta su una scala Likert a tre punti («non vero», «parzialmente vero», «assolutamente vero»), indicando quanto ognuno dei comportamenti delineati descrive il bambino preso in considerazione.

I 25 item sono suddivisi in cinque subscale e il punteggio di ognuna di esse e costituito dalla somma delle risposte a cinque item:

1. scala relativa ai sintomi emotivi (CPS);

2. scala relativa ai problemi comportamentali (EPS);

3. scala relativa a disturbi dell'attenzione e all'iperattività (HS);

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30 5. scala dei comportamenti prosociali (PS).

Dalle quattro subscale che valutano i comportamenti problematici si ottiene un punteggio totale sulle difficoltà del bambino. La subscala dei comportamenti prosociali fornisce invece una misura dei suoi punti di forza.

Esistono tre versioni dell’SDQ: una per genitori e una per insegnanti, tarate su bambini e adolescenti dai 4 ai 16 anni, e una versione auto-somministrabile per ragazzi dagli 11 ai 16.

La versione italiana dell'SDQ viene normalmente impiegata in rilevazioni di questo tipo [109] ed è stata usata quindi anche in questo contesto.

I risultati delle valutazioni psicometriche, insieme alla brevità dei tempi richiesti per la somministrazione e la facilità di reperimento dello strumento, rendono l’SDQ un questionario potenzialmente utile per applicazioni in diversi contesti. È stato utilizzato per effettuare screening su diversi tipi di popolazioni, oppure come parte di una valutazione clinica [38]. L’SDQ può inoltre essere utile nel valutare i risultati di un intervento [121] predisponendo una somministrazione prima e dopo il trattamento.

In particolare, in un contesto scolastico può essere utile per effettuare uno screening sul gruppo classe o per approfondire la situazione di singoli bambini o ragazzi che manifestano disagio. Tra l'altro nel contesto scolastico questo strumento risulta particolarmente adatto e di facile somministrazione: si può infatti semplicemente associarlo alle consuete rilevazioni di fine quadrimestre che la scuola prevede. In questo modo non solamente è possibile avere una somministrazione del questionario su un ampio campione in tempi molto brevi, ma la somministrazione nelle varie classi avviene in un contesto uniforme, il che rende più attendibili i dati.

2.4 Analisi dei dati e risultati

Lo studio ha coinvolto una popolazione di 247 studenti che avevano, alla prima somministrazione del questionario, un'età compresa tra i 6 e i 9 anni (livello di scolarità compreso tra la seconda classe della scuola primaria e la quarta classe della scuola primaria). 12 questionari sono stati esclusi perché

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31 incompleti o illeggibili, 8 soggetti sono stati esclusi perché sotto trattamento farmacologico per epilessia, ADHD, ipertensione, disordine ossessivo-compulsivo o pancreatite. Il campione finale si compone quindi di 227 studenti, 114 maschi e 113 femmine.

La tabella 1 sintetizza i risultati del questionario sul sonno nei due tempi di somministrazione T1 e T2.

La tabella numero 2 sintetizza invece i risultati della somministrazione dello SDQ.

Tabella nume ro 1: des crittiva dello S le e p D is turbance S cale s for C hildre n (S D S C )

mean med ian s td c onfi denc e interval

T 1 D IMS 10,0429 2,9978 7 9 15,5 D R S 3,8905 1,5319 3 3 7 D A 3,4476 0,9336 3 3 5 D TVS 8,0048 2,3597 6 8 13 D E S 7 2,2459 5 7 11,5 IP N 2,8 1,5698 2 2 6 35,7 7,3195 26,5 35 51 T 2 D IMS 9,8522 2,8867 7 9 15,9 D R S 3,7739 1,5714 3 3 7 D A 3,4348 1,0255 3 3 6 D TVS 7,9043 2,4819 6 7 13 D E S 6,7565 2,1252 5 6 10,45 IP N 2,5826 1,2506 2 2 6 34,913 7,6699 26 33 50 g lob al s c o re g lob al s c o re

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32 Un modello di regressione robusta in due step [45] è stato utilizzato per identificare le dimensioni della qualità del sonno che influenzano il comportamento a scuola, come rilevato dagli insegnanti.

I punteggi del questionario SDQ sono stati prima rettificati per sesso, età, indice di massa corporea (primo step della regressione). Ogni item così corretto dell'SDQ è stato quindi usato in una seconda regressione robusta multilineare, per vedere quanto ciascun item può essere predetto dal cambiamento, da un anno all'altro, dai punteggi globali e da ciascun item dell'SDSC.

Per prima cosa, abbiamo preso in considerazione i cambiamenti, dal tempo uno al tempo due di somministrazione dei questionari, di ogni item dell'SDQ in relazione al punteggio globale dell'SDSC.

In un secondo tempo, individuati gli item dell'SDQ che hanno un'associazione significativa con il punteggio globale dell'SDSC, è stata approfondita l'analisi calcolando le regressioni rispetto a ciascun singolo item dell'SDSC.

Questa procedura di regressione robusta in due fasi è stata ripetuta dopo aver diviso il campione in due sottogruppi: il sottogruppo dei soggetti che hanno migliorato lo score totale dell'SDSD nel secondo anno rispetto al primo (gruppo improved), e quello dei soggetti che hanno peggiorato lo score totale dell'SDSC nel secondo anno (gruppo worsened). La significatività statistica dei coefficienti beta delle regressioni è stata stabilita a un valore di p uguale a 0,05.

Le tabelle seguenti mostrano i risultati delle regressioni per ciascuna sottoscala dell'SDSC. Tabella nume ro 2: des crittiva dello S trenghts and D iffi culties Q ue stionnaire (S DQ )

mean med ian s td c on fi d enc e interval

T 1 E P S 1,5 2,1878 0 1 6 C P S 1,0029 2,0404 0 0 6,5 H S 2,076 2,66 0 1 8 P P S 0,8538 1,6342 0 0 5 P S 8,5936 2,2987 3 10 10 T 2 E P S 1,803 1,9988 0 1 5 C P S 1,1212 1,7595 0 1 4,6 H S 2,3636 2,7926 0 2 8 P P S 1,1439 1,5447 0 0 4 P S 7,9924 2,3894 3 9 10

(33)

33 La tabella 3 sintetizza i risultati relativi all'associazione dei problemi del sonno con il punteggio ottenuto nella prima sottoscala dell'SDQ.

La tabella 4 sintetizza i risultati relativi all'associazione dei problemi del sonno con il punteggio nella seconda sottoscala dell'SDQ.

La tabella 5 sintetizza i risultati relativi all'associazione dei problemi del sonno con il punteggio nella terza sottoscala dell'SDQ.

Tabella numero 3. A s s oc iaz ione tra problemi emoz ionali (s c ala C P S dell'S D Q) e dis turbi del s onno B eta p-value intercept 83,8704 0 income -2,4664 0,8093 sex -3,6136 0,7932 age -0,0923 0,1661 B MI -0,0659 0,4095 B eta p-value intercept -25,2281 0,0903 intercept -90 0,244

disorders of initiating and maintaining sleep 0,0644 0,5492 global s core 0,1429 0,1949 sleep breathing disorders 0,0877 0,6467

disorders of arous al nig htmares 0,23 0,0744 sleep wake transition disorders -0,0366 0,6961 disorders of exces sive s omnolence -0,0141 0,9985 sleep hyperhydros is 0,069 0,5612

Tabella nu mero 4. A s s oc iaz ion e tra prob lemi c o mp ortamentali (s c ala E PS dell'S D Q ) e dis tu rb i d el s on no

B eta p-va lue interc ept 74,64 0,000

income -1,09 0,756

s ex 8,67 0,377

a ge -0,21 0,001

B MI -0,06 0,532

B eta p-va lue

interc ept 9,67 0,381 interc ept 5 0,4163

disorders of initia ting a nd ma intaining sleep -0,16 0,059 g loba l s core -0,087 0,3459 s leep brea thing dis orders -0,14 0,173

disorders of arousa l nig htmares 0,22 0,030 s leep wake tra ns ition dis orders -0,06 0,529 disorders of exces sive somnolenc e 0,15 0,103 s leep hyperhydros is -0,19 0,053

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