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Prefazione

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Academic year: 2021

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Riflettere sulla storia del Gruppo 47 significa leggere in controluce l’intero sviluppo del sistema culturale tedesco in un periodo di enormi trasformazioni. La compagine informale è chiamata in vita da un giornalista, Hans Werner Richter, che non è né diverrà mai critico o scrittore di qualche peso ma è dotato di straordinarie qualità organizzative. Il suo unico – ancorché enorme – merito è quello di aver gestito per venti anni una creatura altrettanto fuori dall’ordinario come il Gruppo 47, che conduce da solo, al pari di un «dittatore», come ebbe a definirlo Marcel Reich-Ranicki. Le origini del gruppo, analizzate in questo volume da Francesca Somenzari sono un pezzo straordinariamente interessante della storia tedesca, che di solito passa in secondo piano di fronte agli aspetti più macroscopici del cambiamento postbellico, come il paesaggio di macerie a cui sono ridotte le città e le tragedie dei reduci e dei profughi. La Germania intellettuale è profondamente delegittimata agli occhi del mondo dalla gravosa eredità degli orrori ideologici hitleriani, e uno degli scopi dichiarati delle forze USA è la ‘re-education’ della popolazione. Alcuni

intellettuali tedeschi vengono scelti per mettere in atto un progetto politico-culturale di formazione democratica dei tedeschi. Fra questi vi sono Richter e Andersch, che presto rifiutano il ruolo di meri latori di un messaggio

preconfezionato dagli alleati – la sostanziale invalidità di tutta la cultura

tedesca durante gli anni 1933-1945 – e lavorano a un progetto autonomo che sfocia appunto negli incontri del Gruppo 47. Sullo sfondo c’è la ‘Grande

controversia’, la polemica fra gli autori esiliati e quelli rimasti in patria in una ‘emigrazione interna’ che solo in casi isolati riesce del tutto a liberarsi dal sospetto di opportunismo. La polemica che oppone in primis l’esiliato Thomas Mann a Walter von Molo e Frank Thieß è aspra e non giunge a soluzioni: Mann sceglie di vivere in Svizzera, nel momento in cui l’America maccartista

comincia a diventargli troppo stretta. La Germania occidentale non può contare sull’appeal ideologico che consente invece alla DDR di arricchirsi di grandi nomi come Bertolt Brecht, Anna Seghers e Arnold Zweig.

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Il Gruppo 47 nasce programmaticamente privo di programmi comuni, con una decisa opzione antiideologica a cui Richter tiene particolarmente. Il grande merito di questa istituzione informale è certamente l’apertura alla nuove leve intellettuali, sostenute, a partire dal 1950, da sussidi economici sotto forma di premio letterario. Il denaro deriva inizialmente da sponsor privati contattati dallo stesso Richter, poi da editori ed emittenti radiofoniche; a un certo punto anche i membri affermati, come Grass e Böll, vi contribuiscono. Questa scelta, meno banale di quanto possa oggi apparire, è uno dei modi più efficaci per gestire la transizione verso una cultura tedesco-occidentale sinceramente democratica; anche le modalità con le quali si svolgono gli incontri vanno in questa direzione. Al di là della ‘dittatura’ di Richter, che sceglie personalmente chi invitare e chi no, tutti hanno ugualmente diritto di parola sui brani inediti letti da coloro che a turno siedono sulla ‘sedia elettrica’, come viene

scherzosamente chiamato il posto vuoto vicino all’anfitrione. Una scelta che testimonia la lungimiranza di questo Kultur-Manager è quella di invitare anche esponenti del mondo editoriale ad assistere ed eventualmente partecipare a questi incontri. Da momento intimo di confronto fra scrittori, il Gruppo si trasforma presto in un laboratorio di dinamiche strettamente collegate con gli sviluppi economici occidentali. Le riunioni semestrali diventano infatti vetrine nelle quali gli autori espongono la loro merce e gli editori studiano tendenze e orientamenti, e soprattutto cercano nuove voci da lanciare sul mercato. Uno dei momenti di maggior prestigio del Gruppo – fra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta – coincide non a caso con la ‘scoperta’ di Günter Grass, che nel 1958 legge il primo capitolo di un romanzo che poi avrà un successo straordinario: Il tamburo di latta.

Anche una certa critica letteraria tedesca trova nel Gruppo una fonte di

legittimazione del proprio ruolo e delle proprie pratiche, tese a costruire per sé un inedito ruolo di star e a cercare agganci sempre più evidenti con il mercato. Fra i critici che partecipano agli incontri vi sono Joachim Kaiser, Walter Jens, Hans Mayer (il più perplesso nei confronti di queste tendenze) e Marcel Reich-Ranicki, colui che doveva diventare il più noto e influente critico letterario della Germania occidentale, dai temutissimi, a tratti feroci, giudizi.

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Lungimirante è anche la scelta di un’apertura internazionale, il cui apice è raggiunto con l’organizzazione, nel 1966, di un incontro a Princeton, reso famoso dalle intemperanze di Peter Handke.

Per quel che riguarda l’aspetto più squisitamente artistico, sebbene non esistano tendenze univoche, è abbastanza evidente che i partecipanti al Gruppo si orientano su poetiche realistiche, legate strettamente ad una tacita opzione ‘sociale’. Si tratta di un’idea di letteratura che non si sottrae all’analisi dei problemi del mondo circostante, né sceglie di chiudere gli occhi di fronte all’eredità hitleriana; il tipo di approccio che resta tuttora dotato di maggiore legittimità nella critica letteraria e accademica tedesca.

Nei primi anni Sessanta, tuttavia, questo orientamento segna una spaccatura, in questo senso, con il main stream dell’opinione pubblica in Germania; non stupisce in questo senso la campagna CDU tesa alla demonizzazione del Gruppo e dei suoi esponenti. D’altra parte, la compagine di Richter sembra naufragare, nel 1967, di fronte alle proteste di uno sparuto gruppo di studenti della APO (l’opposizione extraparlamentare) durante un incontro a

Waischenfeld, che accusa i suoi esponenti di essere ‘tigri di carta’, incapaci di cogliere le reali trasformazioni della cultura tedesca. I presenti si dividono sull’atteggiamento da avere nei confronti del dissenso, e non ci saranno più chiamate da parte di Richter.

Proprio per il ruolo primario e per la sua funzione stabilizzatrice rispetto a così tante tendenze presenti nella cultura tedesco-occidentale era importante analizzare la preistoria del Gruppo, come ha fatto accuratamente Francesca Somenzari, usando gli strumenti della storica, per ricostruire in particolare i rapporti di Richter e Alfred Andersch, che nel Gruppo svolgerà un ruolo importante, con le forze di occupazione statunitensi. Ne emerge un quadro molto interessante, in particolare per quello che riguarda l’autopercezione di questi intellettuali nella devastazione morale che segue la fine del

nazionalsocialismo e della guerra. Da un lato è evidente una parziale cecità, ad esempio rispetto al reale peso storico del tentato sterminio degli ebrei da parte di Hitler; dall’altra Richter e Andersch mostrano una grande fiducia nella

cultura, in particolare letteraria, come mezzo di autoeducazione dei tedeschi, utile anche alla ricostruzione dell’intera Germania, in una prospettiva di

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nazionalsocialista. Gli sviluppi del Gruppo 47 non faranno che confermare questa loro idea.

Massimo Bonifazio

Massimo Bonifazio insegna Letteratura tedesca presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Torino. Si occupa di memoria del periodo nazista nella contemporaneità (La memoria inesorabile. Forme del confronto con il passato tedesco dal 1945 a oggi, Roma 2014), di prosa del Novecento, in particolare di Thomas Mann (Thomas Mann, un Don Chisciotte senza casa, Roma 2009), e dei rapporti fra cibo e letteratura (L’abbuffata e l’ascesi. Utopia e disgusto in Goethe, Bachmann, Grass e Dürrenmatt, Roma 2017).

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