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Gianni Melotti. L’avventura come sperimentazione. Ricerche artistiche negli anni 70-80 STUDI RAGGHIANTIANI
Lucia Mannini
La Strozzina per «la cultura artistica contemporanea in tutti i suoi aspetti».
Critica e divulgazione dell’arte italiana con le mostre del primo quinquennio (1949-1954)
Anna Mazzanti
Carlo Ludovico Ragghianti ed Enrico Crispolti fra similitudini e antinomie. Alle origini di un rapporto e attorno ad Arte moderna in Italia 1915-1935
STUDI LUCCHESI
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Notizie sull’Oratorio del Nome di Gesù e sulla sua Compagnia, dal 1489 al 1829
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Riflessioni sul soggiorno romano di Pietro Paolini (1603-1681), pittore lucchese
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La stagione del Carmelo. L’arte per l’Ordine Carmelitano nel secondo Novecento in Lucchesia VARIA
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Integralismo. La via di Sexto Canegallo agli stati d’animo
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Racconto, autorialità e partecipazione nel museo contemporaneo. Costantino Nivola e il Sessantotto in una mostra atipica al Museo Nivola
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Grafica per l’industria e corporate identity: il caso dello studio Ai Granai
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INDICE
Premessa
Nel 1966 al tempo della collaborazione all’impresa espositiva ragghiantiana a Palazzo Strozzi Enrico Crispolti, trentatreenne, è un giovane critico già affermato, che insegna all’Accademia di Belle Arti di Roma. Viene coinvolto per occuparsi del Futurismo, non quello riconosciuto della prima maniera (Ragghianti stesso scriverà di Boccioni in catalogo), ma il secondo Futurismo, quello della cronologia della mostra, del quale il giovane critico romano aveva già riconosciuta l’autorialità d’esperto.
Dai documenti degli Archivi Ragghianti e Crispolti emerge un ruolo non minoritario del Nostro che prende seriamente la collaborazione e generosamente pone a disposizione le sue com-petenze e conoscenze critiche, del sistema del mercato e del col-lezionismo, frutto di un impegno e un aggiornamento costanti. Il suo contributo non si limitò quindi alla sezione del secondo Futurismo, per la quale era stato principalmente coinvolto, e verso il quale accrebbe le attenzioni del curatore, ma mise a di-sposizione «precise indicazioni»1 preziose per rintracciare
opere che Ragghianti gli scrive di aver già pensato a includere nella mostra. Nasce un dialogo complesso, talvolta anche gio-cato sui bilanciamenti diplomatici fra richieste e accoglienza di proposte nella costruzione di una esposizione davvero impe-gnativa, quasi enciclopedica nelle sue intenzioni, ed anche «co-raggiosa», come ha avuto a definirla Crispolti.2
A prova del peso del giovane critico romano fra i consulenti e collaboratori al catalogo, nella sua veste di repertorio, si può ricordare che 94 profili bio-biblio-critici furono firmati da Rag-ghianti, si devono poi 37 a Monti, 13 a Crispolti e a seguire mi-nori attribuzioni a vari autori Perocco, Marchiori, Masciotta e così via.
Quest’intesa aveva a monte i rapporti nati fin dal primo esporsi dello studente universitario nel dibattito della cultura figurativa degli anni Cinquanta che andranno ripercorsi per ri-costruire il definirsi di un rapporto di stima reciproca fra i due studiosi di diversa generazione che passa proprio attraverso la Mostra dell’Arte Italiana tornando a ritroso a un decennio prima. Nascita di un rapporto sullo sfondo del dibattito degli anni Cinquanta
I primi contatti fra il giovane Crispolti e Ragghianti, il profes-sore, storico e critico d’arte, fondatore di riviste, esperto d’arte, voce critica di rilievo nella politica culturale del periodo per la quale da sempre si batte con spirito indipendente, risalgono ai primi anni Cinquanta, anni cruciali sul fronte di numerosi di-battiti: dalla riqualificazione dell’insegnamento universitario alla salvaguardia del patrimonio culturale e la sua valorizza-zione, al rinnovamento dei regolamenti delle esposizioni na-zionali e internana-zionali come la Quadriennale e la Biennale di
Anna Mazzanti è docente e ricercatrice universitaria al Politecnico di Mi-lano.
1 Fondazione Ragghianti, Archivio Carlo Ludovico Ragghianti (d’ora in
poi fr, aclr), Carteggio generale, f. Crispolti, Enrico, Ragghianti a Crispolti, espresso da Firenze, 14 luglio 1966.
2 Da un’intervista dell’autrice ad Enrico Crispolti, Enrico Crispolti, pensieri
su Ragghianti, nel suo studio di via Livenza, il 7 dicembre 2017 dedicata a
Ragghianti e ai rapporti intercorsi fra i due studiosi, presentata in occasione del convegno Carlo Ludovico Ragghianti e l’Arte in Italia tra le due guerre. Nuove
ricerche intorno e a partire dalla mostra del 1967 Arte moderna in Italia
1915-1935, (Lucca, Fondazione Centro Studi sull’arte Licia e Carlo L. Ragghianti, Università di Pisa, 14-15 dicembre 2017).
Anna Mazzanti
Carlo Ludovico Ragghianti ed Enrico Crispolti
fra similitudini e antinomie.
Alle origini di un rapporto e attorno
ad Arte moderna in Italia 1915-1935
STUDI RAGGHIANTIANIVenezia. I suoi vent’anni infondono in Crispolti un giovanile piglio critico che caratterizza la propria impostazione di giu-dizio militante la quale lo spinge precocemente ad entrare nel contesto del dibattito allora acceso fra figurazione e astrazione e fra le diverse scuole di pensiero alle prese con i superamenti del formalismo purovisibilista, dell’idealismo, dei vecchi rea-lismi. Già nel 1954, nel mezzo del suo percorso di formazione accademica alla Sapienza, Crispolti indirizza una lettera alla rivista di Ragghianti «seleArte» che prontamente la pubblica nella rubrica curata dal direttore Corrispondenza di Camillo. È dedicata ad un tema cocente per chi si trovasse nello status di formazione in corso, al dibattito sulla libera docenza per la sto-ria dell’arte e sullo stato del suo insegnamento nelle università italiane, riallacciandosi alle opinioni già espresse da Ragghianti in I commenti nel secondo numero di «Critica d’Arte» (1952). Aggiornamento, attitudine alla libera informazione e alla va-lutazione critica del Nostro lo avranno indotto a riconoscere nella ‘rivistina’ ideata da Ragghianti con sua moglie Licia Col-lobi, e sponsorizzata da Adriano Olivetti, quel carattere di «pe-riodico che non fosse specialistico, ma nemmeno vincolato ai limiti ordinari della cosiddetta divulgazione, che fosse rigoro-samente fondato e condotto, e insieme con l’informazione, la selezione, la riflessione critica, la proposta, la sollecitazione in-tellettuale e culturale» affinché – ricorderà a congedo la coppia Ragghianti – riuscissero a trovare attenzione «fuori delle con-venzioni, degli schemi».3 L’impellenza del rinnovamento per
la definizione di corsi specifici di laurea doveva essere tanto più evidente a chi nutrisse interesse particolare per la produzione artistica contemporanea a cui da non molto si era aperta l’at-tenzione accademica. Il professore dell’università pisana preso dal suo ‘pungolo’ pedagogico pubblica subito la lettera dello studente romano4 che gli dà occasione per descrivere il modello
americano e i corsi specialistici dell’Institute of Fine Arts della New York University.5 Piena condivisione di giudizio
pragma-tico dunque fra generazioni e ruoli diversi nell’università, dove i volenterosi suppliscono con l’attività personale alle deficienze del sistema. Crispolti aveva maturato la predilezione per l’at-tualità artistica nella lezione di Lionello Venturi, al quale va in-dubbiamente il merito, dirà, «di parlare, dallo scorcio degli anni quaranta, con notevole insistenza di arte contemporanea da una cattedra universitaria»6 a tal punto da instillare negli
allievi interesse nella pratica critica del presente che infatti avrebbe guidato il giovane Crispolti verso una precoce attività libellistica7 e di scrittura così intensa da rallentare la
conclu-sione degli studi accademici avvenuta nel 1958.
Due anni dopo quella lettera inviata a «seleArte» infatti ri-troviamo lo studente romano corrispondente per varie testate fra le quali il giornale domenicale fiorentino «Nuova Repub-blica». La collaborazione con il settimanale socialdemocratico e riformista diretto da Tristano Codignola, con sede nell’alveo della Firenze progressista e del Movimento di Unità Popolare di cui fanno parte Ferruccio Parri, Piero Caleffi e altri,8 inizia dai
primi mesi del 1956, per tramite di Maurizio Calvesi, altro al-lievo più anziano di Venturi. Crispolti viene in pratica a rimpiaz-zare la mancata collaborazione alla testata fiorentina di Calvesi che dopo un primo articolo sulla giovane pittura italiana,9 a
causa degli impegni molteplici, per la nomina ad ispettore alla Soprintendenza bolognese e forse anche nessuna prospettiva di compenso, cerca un sostituto. Le apprezzate rassegne di
Cal-3 C.L. Ragghianti, seleArte: congedo, in «seleArte», xiii, 77-78,
gennaio-giugno 1966, pp. 2-3.
4 E. Crispolti, in Corrispondenza di Camillo, in «seleArte», iii, 13,
luglio-agosto 1954, pp. 3-4.
5 Cfr. S. Bottinelli, «seleArte» (1952-1966) una finestra sul mondo.
Rag-ghianti, Olivetti e la divulgazione dell’arte internazionale all’indomani del Fasci-smo, Edizioni Fondazione Ragghianti Studi sull’arte – Maria Pacini Fazzi
editore, Lucca 2010, pp. 116-117.
6 E. Crispolti, Come studiare l’arte contemporanea, Donzelli, Roma (1997),
ed. 2000, p. 7. Ma già negli scritti su Venturi del 1962 gli riconosceva di aver indirizzato molti allievi verso l’arte del presente. Per una analisi della forma-zione universitaria di Crispolti e della sua prima attività nell’egida di Lionello Venturi si rinvia a L.P. Nicoletti, Enrico Crispolti alla scuola di Lionello Venturi.
Da Leonardo all’arte astratta 1951-1959, in «Quaderni dell’Archivio Lionello
Venturi. Studi e ricerche di storia e critica dell’arte», 2, 2020, pp. 21-40.
7 L’ottenimento di un premio universitario per un articolo nell’agosto
1954 bandito dal mensile «Il Mulino», rimasto poi inedito, ma di cui si con-serva il dattiloscritto ritrovato nell’Archivio Crispolti da Luca Pietro Nicoletti, segna l’inizio di questa attività; a seguito avvia recensioni settimanali sulle mostre romane e su altri temi per il quotidiano «La Voce Repubblicana». Il giovanissimo Crispolti sceglie un tema controverso, la vivace polemica nata attorno al concorso per il monumento a Pinocchio vinto a pari merito da un discutissimo progetto di Emilio Greco e da Venturino Venturi. La numero-sissima pubblicistica che analizza con una puntigliosità, già foriera di un me-todo identificativo suo proprio, gli permette di argomentare ampliamente la discussione e infine di chiosarlo con un proprio parere.
8 Le risorse finanziarie provenivano dagli abbonamenti e da contributi
volontari assicurati dalla casa editrice La Nuova Italia di Codignola e da un piccolo numero di aziende e di imprenditori vicini a Unità Popolare come Einaudi, Olivetti e Pellizzari. Anche la diffusione del giornale era in buona parte affidata ai militanti. Vedi: Fondo «Nuova Repubblica» 1952-1957, Isti-tuto Storico della Resistenza in Toscana (d’ora in poi isrt), Inventario, a cura di F. Mascagni, maggio 2013, (http://www.istoresistenzatoscana.it/pdf/ Nuova%20Repubblica.pdfl, consultato il 10 dicembre 2020).
9 M. Calvesi, Astrattismo e naturalismo, in «Nuova Repubblica», iii, 30,
vesi su «Comunità» avevano indotto il direttore di «Nuova Re-pubblica»10 a ricercare la sua collaborazione, sicuro di avervi
garantita quella «certa unità d’intenti e chiarezza d’informa-zione critica» che Codignola confidava di assicurare alla settima pagina di varietà culturale della sua rivista grazie alla collabo-razione di numerosi intellettuali fra cui Carlo Cassola, Diego Va-leri, Mario Rigoni Stern e con la speranza del contributo di Moravia.11 Era stato piuttosto chiaro riguardo l’ambito di
inte-resse espresso nell’invito all’amico di vecchia data Calvesi: «articoli sulle arti figurative o note a mostre di una certa impor-tanza, particolarmente, se e quando vi siano, di giovani».12
Avrebbe infatti rifiutato recensioni alla mostra sui Carracci a Bologna e di Giorgione a Venezia, in quel momento più abbor-dabili per Calvesi in trasferimento nel capoluogo emiliano. «Nuova Repubblica» puntava sull’attualità «su cui vorremmo – gli scrive Codignola – spingere sempre più la qualificazione politico-culturale. Potresti semmai scriverci qualcosa sui giovani pittori, loro orientamenti, loro polemiche, loro mostre [ … ]. Ti lasciamo naturalmente autonomia e libertà di giudizio».13
Seb-bene la giovane pittura italiana fosse un tema «scabroso – ri-sponde Calvesi – più di quanto non possa sembrare», decide per «Nuova Repubblica» di affrontarlo col fine di contestualiz-zare il naturalismo astratto di Enzo Brunori (al quale anche
Cri-spolti di lì a breve dedicherà le sue attenzioni fra «i giovani mi-gliori d’oggi»14). In verità Calvesi arriverà a Brunori come ultima
conseguenza di una articolata analisi dell’astrazione nel pano-rama italiano dalle origini futuriste al dibattito fra Astrattismo e naturalismo15 rammentato dal titolo, già al centro del confronto
fra ‘arte figurativa e arte astratta’ che un anno prima, nell’otto-bre 1954, aveva coinvolto storici e teorici fra cui lo stesso Lionello Venturi e Giulio Carlo Argan nel noto convegno indetto in oc-casione della nascita della Fondazione Cini nella Venezia delle Biennali difficili del dopoguerra.16 Sia Calvesi sia Crispolti erano
approdati al dibattito attraverso l’apporto critico e le incursioni di Venturi nell’arte attuale, accogliendone le sollecitazioni17 e a
volte prendendovi graduale autonomia. È molto probabile che la natura del giornale di Codignola possa aver contribuito al-l’accelerazione di una partecipazione politica di Crispolti che accompagnò «la fioritura di una nuova linea di ricerca» in rela-zione a nuove istanze democratiche rispecchiabili nel riscontro di «umanità», di «aderenza concreta [ … ] alla realtà dell’esi-stenza» entro certe forme di astrazione concreta maturata fra i giovani pittori dell’ultima generazione, un astrattismo di con-tenuti. «Son concetti delicati ad esprimere, ed anche pericolosi – premetteva Calvesi – particolarmente al cospetto di un pub-blico che ha ormai digerito gli ammonimenti crociani sull’iden-tità di contenuto e di forma»,18 per cui gli premeva evidenziare
una distinzione decisiva, sempre più chiara ai giovani critici mi-litanti ma per niente scontata, tra «l’astrattismo formalistico [ … ] e l’astrattismo in funzione espressiva». L’articolo trova il plauso della redazione in quanto capace di tracciare con chia-rezza la storia della tendenza astratta fino all’astrattismo con-temporaneo di non facile interpretazione nel suo scivolare fuori dalle categorie tradizionali in adesione alle istanze attuali. L’ar-ticolo successivo a firma di Crispolti, recensione alla vii Qua-driennale, come annunciava il titolo Astratto e concreto avrebbe costituito il proseguo del discorso avviato da Calvesi. Crispolti, sebbene più giovane di sei anni e ancora non laureato, vi mostra tutta la sua meticolosa conoscenza del sistema dell’arte emer-gente italiana in relazione al contesto internazionale e un polso critico serrato che si manifesta apertamente per la prima volta per quel giornale che aveva chiesto esplicitamente un affondo sull’edizione dell’esposizione romana, la prima veramente con-temporanea del dopoguerra.19 Non erano le riserve verso
l’espo-sizione, pur accennate, che l’autore era quindi chiamato a valutare quanto a formulare un «bilancio» «sulle condizioni at-tuali della cultura figurativa» che l’intenzione documentaria di quella mostra sollecitava. Anche per lui il bagaglio formativo
ANNA MAZZANTI | CARLO LUDOVICO RAGGHIANTI ED ENRICO CRISPOLTI FRA SIMILITUDINI E ANTINOMIE
10 La prima lettera di Codignola a Calvesi nella quale ricerca la
collabo-razione del critico al suo giornale, risale al 10 giugno 1955 (isrt, nr ii. 137.1. Minuta: «Nuova Repubblica» a Maurizio Calvesi, Firenze, 1955 giugno 10). Lo scambio epistolare si dimostra di tono affettuoso e affidato agli pseudo-nimi di Calvino-Codignola, Mercurio-Calvesi.
11 Ibidem. 12 Ibidem.
13 isrt, nr ii. 137.6. Minuta: «Nuova Repubblica» a Maurizio Calvesi,
Firenze, 1955 agosto 1.
14 E. Crispolti, Giuseppe Ajmone Enzo Brunori, in «Commentari», 7, 1956,
pp. 185-198.
15 In «Nuova Repubblica», iii, 50, 2 ottobre 1956, p. 7.
16 Arte figurativa e arte astratta, in «Quaderni di San Giorgio», 2, 1954.
Al quale è stato dedicato un convegno di riflessione a distanza di cinquan-t’anni dalla Fondazione Cini a cura di L.M. Barbero, Arte figurativa e arte
astratta 1954-2014, i cui atti sono stati pubblicati in «Saggi e Memorie di
Sto-ria dell’Arte», 39, 2015, pp. 159-237. Crispolti è stato fra i relatori.
17 Principalmente la formulazione del termine ‘astratto-concreto’ è
rife-rito come è noto al gruppo degli Otto pittori.
18 Calvesi, Astrattismo e naturalismo cit.
19 N. Ponente, La Quadriennale, in «Letteratura», 17-19 dicembre 1955.
Si rinvia a C. Salaris, La Quadriennale. Storia della rassegna d’arte italiana dagli
anni Trenta a oggi, Marsilio, Venezia 2004, pp. 93-103; L. Pribi ová, La Qua-driennale di Roma. Da Ente autonomo a Fondazione, Postmedia books, Milano
20 Vedi Nicoletti, Enrico Crispolti alla scuola di Lionello Venturi cit. 21 Aveva chiesto alla redazione l’invio del numero 78 di «Nuova
Repub-blica» per leggere l’articolo del collega.
22 Su cui concludeva l’articolo Calvesi.
23 Come è stato osservato probabilmente recependo quanto Venturi
met-teva in evidenza nello studio dell’arte antica, e in quel periodo di Leonardo, cfr. Nicoletti, Enrico Crispolti alla scuola di Lionello Venturi cit., L. Venturi,
Le-zioni di storia dell’arte moderna: Leonardo da Vinci, raccolte dall’assistente V.
Martinelli, Ed. Dell’ateneo, Roma 1952, a.a. 1951-1952; E. Crispolti, Il ‘non
fi-nito’ di Leonardo, in «Raccolta Vinciana», 17, 1954, pp. 17-20.
24 L. Venturi, Renato Birolli, in «Commentari», 5, 1954, pp. 330-336. 25 F. Fergonzi, Una guerra di parole. La lingua dell’arte contemporanea
nell’Italia del dopoguerra, in «Saggi e Memorie di Storia dell’Arte», 39, 2015,
p. 176.
26 La formula nella sua matrice crociana del superamento grazie
all’im-prescindibilità del confronto intellettuale col proprio tempo, può trovare un
alter ego nell’idea ragghiantiana dell’evoluzione dell’opera d’arte nel tempo.
Dissolti certi pregiudizi tuttavia sul valore morale dell’arte quale lotta politica e d’orientamento, piuttosto riconosceva, anche lui allievo di un crociano come Marangoni, la ‘poesia’ del momento creativo influenzata dal sentimento, l’in-telletto, l’etica dell’artista. Cfr. M. Negrini, Percorsi della conoscenza artistica:
«seleArte» di Carlo Ludovico Ragghianti (1952-1966), Canova, Treviso 2011.
27 F. Amodei, Astratto concreto. Lettera a Codignola, in «Nuova
Repub-blica», iv, 9, 26 febbraio 1956, p. 7.
venturiano resta un punto di partenza imprescindibile; ma at-traverso i temi e la riflessione critica posta in campo nei dicias-sette articoli pubblicati su «Nuova Repubblica», in un lasso di tempo relativamente breve, dal febbraio 1956 fino all’ultimo nu-mero che chiude la rivista il 27 ottobre 1957, durante il quale Cri-spolti si dedica a una produzione febbrile di saggi anche per altre destinazioni, si assiste a passaggi salienti della nascita della critica crispoltiana, che varrebbe la pena approfondire oltre le riflessioni di Nicoletti20 dedicate agli esordi di Crispolti allievo
di Venturi e a questo nostro contributo sulla nascita dei rapporti e l’individuazione dei fondamenti su cui poggia la reciproca stima con Carlo L. Ragghianti.
A tratti Crispolti, sull’esempio dell’articolo di Calvesi,21 per i
lettori di «Nuova Repubblica» esce dal retaggio purovisibilista per sottolineare nessi fra le nuove istanze artistiche e il «moto di rinnovamento della vita politica, sociale e culturale del paese», insieme a una rinnovata recezione dell’astrazione inter-nazionale in specie la lezione più recente picassiana mossa da un rinnovato rapporto fra ‘arte e realtà’.22 Tuttavia resta
preva-lentemente legato all’impostazione dell’estetica venturiana. La giovane generazione presa in esame dalla disamina di Crispolti risulta «orientata verso una ripresa diretta ed emozionale della natura», così contravvenendo alla astrazione come pura forma e identità di contenuti equivalenti. Vengono quindi presi in esame dal critico una serie di peculiari tratti di fantasia, quale apporto personale degli artisti alla forma astratta:23 soluzioni
cromatiche, musicali, che dichiarano una ‘condizione lirica’, vi-sionaria, di sentimento, di richiamo ancora crociano come anche per Calvesi, e in ultima analisi per Venturi: «ogni opera d’arte [ … ] è assieme astratta e concreta, astratta perché ha uno stile, e concreta perché il suo contenuto dipende dal modo di sentire e di vivere ‘concreto’ dell’artista».24 «L’atteggiamento
co-mune a tutti questi artisti è un superamento della condizione antinaturalistica dell’astrattismo puro – conclude così Crispolti – per un nuovo contatto con la natura», una riscoperta da parte dei linguaggi astratti che potenzia le possibilità espressive in ri-spondenza alla vita e a fatti e esigenze reali talvolta, osserva, più del neorealismo figurativo nel quale sono pochi i nomi che ri-portano l’anelito sociale entro una riconoscibile poetica arti-stica. Dunque la Quadriennale «aveva assolto il proprio compito, invitando a una presa di coscienza dei pochi reali va-lori della cultura figurativa» italiana portati a quel dibattito che conduceva giovani critici come Crispolti al bivio di una crescente autonomia dalle istanze estetico idealiste. Anche dal punto di vista dell’analisi linguistica questa svolta è evidente a Fergonzi
proprio dai «secondi anni cinquanta: quando le opere caratte-rizzate da una qualità materica o gestuale sempre più evidente oppure da una dominante esistenziale o concettuale obblighe-ranno la critica italiana dell’arte moderna a trovare un vocabo-lario diverso» o in diverse accezioni per «interrogare la natura materiale [ … ] e, soprattutto, il senso dell’operazione di cui [l’opera d’arte] è l’esito».25 Questa svolta coincide con il cambio
generazionale della critica, osserva lo studioso che a seguito ri-corda forse non a caso proprio Crispolti, che nel 2014 col di-stacco storico necessario, ma anche da testimone e protagonista diretto, riportava all’attenzione il convegno veneziano del 1954 ad avvio del superamento dell’opposizione frontale tra figura-tività e astrazione; convinto, come ben ricordo, della validità dei risultati dell’indagine linguistica fergonziana.
La posizione del giornale fiorentino può aver indubbiamente influito nel cammino verso tale maturazione, sia per l’esigenza di impegno critico verso argomenti attuali sia anche, come ve-dremo, frutto di discontinuità nella valutazione dell’ingerenza del pensiero politico e delle competenze, quanto può aver in-dotto Crispolti a chiarire una propria pratica e procedere per quei ‘superamenti’26 colti in arte ma anche parte della propria
attività critica e di studioso. Sebbene quindi egli avesse motivato giudizi e letture sulle nuove espressioni artistiche con coscienza democratica, l’articolo ricevette duri commenti politici.27
ANNA MAZZANTI | CARLO LUDOVICO RAGGHIANTI ED ENRICO CRISPOLTI FRA SIMILITUDINI E ANTINOMIE
L’«ineccepibile sensibilità critica» crispoltiana sembrava ancora profondamente ancorata a disquisizioni estetiche e formali. Po-teva apparire equivoco dunque il richiamo alla realtà, poiché Crispolti pareva restare suo malgrado «assertore dell’autonomia e autosufficienza» dell’arte a chi scambiava l’impegno critico con uno sfondo di valore sociale,28 e quindi risultare incongrua
la valutazione politica di uno sforzo e di una aspirazione a svol-gere «un lavoro effettivo di critica, di comprensione e modifi-cazione della realtà»29 corrispondente a quell’attività artistica
impegnata in un discorso attuale, e per questo sociale e politico; se quindi gli allievi di Venturi dovevano fare i conti con la for-mula dell’astratto-concreto, pareva ormai inattuale chi guardava all’arte figurativa come impegno politico, perché questa si era indebolita nel suo ruolo politico superato. Crispolti alla luce del percorso espresso nel lavoro di quegli anni,30 ma basti solo
ri-farsi all’esemplificativa attività critica data alla settima pagina di «Nuova Repubblica», era infatti concentrato nel supera-mento della formula ancora a carattere idealistico estetizzante che il suo maestro aveva applicato al gruppo degli Otto pittori, fin da quell’articolo di apertura e poi chiarificandolo in alcuni dei seguenti, ad esempio Materialismo e critica d’arte, recensione a scritti di Corrado Maltese, e Gli archivi dell’arte contemporanea dedicato all’impresa degli Archivi del Futurismo a cura delle col-leghe Teresa Fiori e Laura Drudi Gambillo. L’autore andrà pre-cisando così «l’ipoteca venturiana», e le obiezioni di metodo maturate verso il problema di riportare il «fatto estetico» da un formalismo fermo alla puravisibilità «alla prassi della vita» e nel riconoscere all’arte contemporanea la dignità di uno studio rigoroso, fondato su dati obiettivi e documenti,31 così come
sull’esperienza concreta, sulla ‘possibilità di relazione’32
inter-personale che costituiva l’apporto esistenziale che solo l’arte contemporanea aveva come risorsa e ricchezza in più rispetto al passato storico. Vi si può intravedere una via di affranca-mento dal venturismo, e una nuova concretezza critica nella ve-rifica effettiva del passaggio di una forma ideale o addirittura della natura nell’opera, una sete di esistenza come dimostrava la riflessione filosofica di Enzo Paci e di Antonio Banfi che gli erano allora particolarmente care. Nella collaborazione al gior-nale politico si profila quindi più evidente per Crispolti l’esi-genza di prendere posizione verso la politicizzazione impropria dell’arte – «la critica figurativa marxista» e ancor più «una po-sizione prima ancora morale che strettamente figurativa»33 da
parte di personaggi politici e della cultura, come nell’entourage polemico di «Nuova Repubblica» –, ribadendo in risposta al contrasto aperto dal suo articolo quei valori «di densità umana
(e quindi anche socialmente avvertita)» capaci di esprimere in termini formali «l’espressione completa di tutti i più pressanti problemi dell’uomo contemporaneo».34 Il valore della forma e
la sua capacità di persuasione restano a base della nuova cultura figurativa sostenuta da Crispolti che vede rinnovarsi secondo quella sua idea dei ‘superamenti’ della tradizione recente scru-polosamente rivista secondo ragioni attuali. Quindi in un certo senso non è ancora superato il metodo venturiano, in linea con il dibattito critico di quegli anni al quale contribuiscono altri al-lievi di Venturi più anziani come Giulio Carlo Argan dal punto di vista fenomenologico o Palma Bucarelli con la sua program-mazione espositiva d’avanguardia alla Galleria nazionale d’arte moderna che generò anche aspre critiche.35 Crispolti si unisce
al corale impegno di far valere il rinnovamento dell’astrazione nel suo avvicinamento alla realtà, e passa in rassegna molti gio-vani artisti dei quali sottolinea lo sforzo sincero di conciliazione, di ricerca di una forma aderente alla propria ‘fantasia’ e alla pro-pria coscienza immersa nella realtà. È quindi nel contesto arti-stico e critico nella Roma della Galleria Nazionale e della vii Quadriennale che il nostro può esprimersi liberamente verso l’indebolito neorealismo – rischiosa e audace affermazione di
28 Ibidem. 29 Ibidem.
30 Nicoletti, Enrico Crispolti alla scuola di Lionello Venturi cit.
31 E. Crispolti, Gli archivi dell’arte contemporanea, in «Nuova Repubblica»,
v, 45, 27 ottobre 1957.
32 Sarà questo il titolo di una sua significativa esposizione curata presso
la galleria L’attico a Roma nel 1960.
33 E. Crispolti, Gli alberi dell’uomo. Astratto e concreto, in «Nuova
Repub-blica», iv, 11, 11 marzo 1956.
34 Ibidem.
35 Gli interventi di Crispolti per «Nuova Repubblica» si posizionano
alla vigilia di quel biennio 1957-1958 ritenuto scottante, durante il quale la Galleria nazionale grazie alla Bucarelli, e ai ‘suoi critici’, fu al centro nevral-gico del dibattito italiano, fra la forte propositività delle esposizioni di Pol-lock, Kandinskij e Richter, un ciclo di conferenze intitolato Correnti d’arte
astratta che fecero crescere le tensioni verso una scelta considerata
unilate-rale della critica d’arte verso le tendenze astratte intese come una dittatura, e l’opposizione degli ambienti neorealisti che si trascinavano nel ruolo po-litico postbellico indebolito ma sostenuto dalla politica con dissensi anche pesanti. Quanto il giovane Crispolti ha già sperimentato nella sua collabo-razione in «Nuova Repubblica». Cfr. M.S. Margozzi, Palma Bucarelli – Il
museo come avanguardia, Electa, Milano 2009; E. Carlenzi, Palma Bucarelli e gli apporti critici di Lionello Venturi e Giulio Carlo Argan alla Galleria Nazio-nale d’Arte Moderna di Roma, in «Bollettino Telematico dell’Arte», 768, 19
aprile 2015 (http://www.bta.it/txt/a0/07/bta00768.html, consultato il 1° febbraio 2021).
giudizio per una testata militante, nata come voce ufficiale della sinistra del Partito socialdemocratico italiano (psdi) e poi organo del Movimento di autonomia socialista.36 La stessa
re-dazione di «Nuova Repubblica» non nascose infatti forti
per-plessità fin dal primo articolo ricevuto da Crispolti.37 Era stato
accettato nel rispetto della libertà d’espressione e per via della candidatura promossa da Calvesi che lo aveva presentato, già pubblicista per «La Nuova Repubblica», come profilo perti-nente alla richiesta di Codignola: un autore «che conosce la sede in cui deve scrivere, o per lo meno che sia, come orientamento culturale, all’ingrosso nella nostra cerchia». Lasciate alla lettera pubblicata di Amodei le obiezioni sull’impostazione alle quali Crispolti rispondeva nel giornale dell’11 marzo 1956,38 quelle
della redazione si concentravano sul linguaggio critico utiliz-zato, «tecnico e prolisso»;39 con le sue certe ‘preziosità’ e ‘forme
grumose’,40 sembrava poco adatto al giornale, nonostante
l’en-tusiasta valutazione di Calvesi – «uno dei pochi articoli intelli-genti usciti sulla quadriennale» malgrado l’indubbio linguaggio specialistico.41 A rendere non piano42 quell’avvio di
collabora-zione va riconosciuto alitare ancora l’evidente linguaggio di Ven-turi, ma anche la sfida di introdurre in un contesto di fronte, connotato dal vizio di possibili ingerenze, la determinata vinzione dell’autonomia del pensiero critico e delle arti dal con-dizionamento della vita pratica e di un pensiero politico ch’essa debba orientare o ne sia manifestazione.
Fu l’attualità dei temi di pubblico interesse proposti da Cri-spolti al giornale, che dovette quindi salvare la sua collabora-zione, e sempre sul filo di una autonomia dall’impostazione del settimanale. Un terreno sul quale Crispolti tramite «Nuova Re-pubblica» doveva ritrovare Carlo L. Ragghianti.
Nel novembre 1956 la redazione, dopo aver proposto una rosa di architetti nell’egida di Ragghianti e suoi collaboratori per «seleArte», Edoardo Detti, Ernesto Nathan Rogers e Giu-seppe Samonà, come chiosatori di un lungo saggio destinato a «Comunità» (Per il patrimonio artistico italiano, 44, 1956, pp. 44-57) dove egli esponeva «dati e risultati rigorosi sulla situazione del patrimonio artistico italiano e sulla sua inadeguatissima tu-tela»,43 affidava il compito di commentarlo al giovane critico
d’arte romano. Ragghianti stava interpellando vari organi di stampa per sollecitare la pubblica discussione che avrebbe po-tuto apportare stimoli al dibattito che si sarebbe tenuto ai vertici ministeriali. Il saggio di cui era stato realizzato un estratto per meglio veicolarlo, giunto anche sulla scrivania di Codignola, commentava un’ampia ricerca svolta dall’autore sul problema delle entrate turistiche non reindirizzate ai beni culturali, sui bi-lanci dello stato e l’inchiesta della Direzione Generale per le An-tichità e Belle Arti indetta presso le Soprintendenze per conoscere la reale situazione degli organi di tutela del patrimo-nio artistico in un immobilismo dovuto all’assenza di risorse
ANNA MAZZANTI | CARLO LUDOVICO RAGGHIANTI ED ENRICO CRISPOLTI FRA SIMILITUDINI E ANTINOMIE
36 Se ai lettori di «Nuova Repubblica» la «ripresa diretta e emozionale
dalla natura» intesa come rinnovata relazione con la realtà non doveva ap-parire che insuperato idealismo purovisibilista, dimostrazione di quanto gli artisti e il critico che li approvava avessero «evaso il dovere di una precisa scelta di uomo tra gli uomini» mancando di saper dare messaggi di «respon-sabilità sociale e politica», conseguiva inaccettabile il giudizio crispoltiano verso il realismo incapace di rinnovarsi: aver citato Maccari fra i minori (in Toscana aveva la sua rilevanza eroica), dato scarsa considerazione a Guttuso (considerandone la fase di debolezza storica che non avrebbe pregiudicato a Crispolti di diventarne in seguito uno dei suoi più profondi interpreti) e omesso Carlo Levi (E. Crispolti, Gli alberi dell’uomo. Astratto e concreto, in «Nuova Repubblica», iv, 11, 11 marzo 1956). Crispolti li tralasciava per citare Zigaina al quale andava proprio il merito di essere uscito dal guttusismo e recepito la lezione di Courbet in autonomia. Ci voleva una buona dose di co-raggio giovanile, di libertà di pensiero e di integrità militante di contro al-l’adattamento alle contingenze tanto che senza l’accreditamento di Calvesi quell’articolo gli sarebbe probabilmente costato il rischio di interrompere sul farsi quella collaborazione.
37 isrt, nr 235.6. Minuta: «Nuova Repubblica» a Enrico Crispolti,
Fi-renze, 1956 febbraio 24.
38 Gli alberi dell’uomo. Astratto e concreto, in «Nuova Repubblica», iv, 11,
11 marzo 1956.
39 Così lo definisce Codignola in una chiosa su una lettera di Crispolti:
isrt, nr 23.235.3. da Enrico Crispolti a «Nuova Repubblica», Roma, 1956 gennaio 13.
40 Scrive Codignola a Calvesi: «Abbiamo pubblicato [ … ] l’articolo di
Cri-spolti sulla Quadriennale. Che ne pensi, tu? Ci ha lasciati, fra l’altro, alquanto perplessi certa preziosità e grumosità di linguaggio; cui si è cercato di rimen-diate, nei limiti del possibile». isrt, nr 13.137.24. Minuta: «Nuova Repub-blica» a Maurizio Calvesi, da Firenze a Bologna, 1956 marzo 2.
41 isrt, nr 137.25. Lettera: Maurizio Calvesi a «Nuova Repubblica»,
Bo-logna, 1956 marzo 12. Fergonzi nella sua indagine su arte e critica nel secondo dopoguerra attraverso l’analisi linguistica constata la «marcata tecnicizza-zione della lingua della critica cui si assiste nel periodo: verso la metà del decennio leggere una pagina di galleria, un saggio su rivista oppure la pre-sentazione di una mostra personale per il catalogo della Biennale di Venezia significa inerpicarsi su una prosa ardua, piena di concetti astratti, concen-trata per lo più sulla meccanica formale dell’opera». Fergonzi, Una guerra di
parole cit., p. 173.
42 Dallo scambio epistolare emergono continui aggiustamenti chiesti
all’autore per la lunghezza eccessiva dei testi, commenti di ‘recidività’ a quel suo stile e approccio particolare; si riscontrano anche lamentele di Crispolti per testi tagliati a sua insaputa menomandone il senso logico, e anche un ri-sentimento per un accostamento ritenuto non casuale del proprio intervento ad una vignetta «sciocca quanto scortese». isrt, nr 235.22. Lettera: Enrico Crispolti a «Nuova Repubblica», Roma, 1956 ottobre 29. Il riferimento è al-l’articolo: Disordine alla biennale, 21 ottobre 1956 p. 7.
43 isrt, nr 699.1. Lettera: Carlo Ludovico Ragghianti a Tristano
adeguate. L’inchiesta era posta al vaglio della Commissione Par-lamentare per la valorizzazione del patrimonio artistico e cul-turale e del paesaggio appositamente costituita, alla quale, con parlamentari e funzionari, partecipavano quattro professori universitari: Mario Salmi, con il quale Crispolti, dopo il pensio-namento di Venturi, si sarebbe laureato nel 1958 con una tesi sui Caprichios di Goya, lo stesso Lionello Venturi, Roberto Papini e appunto Ragghianti. La complessità e la delicatezza del tema avevano indotto Codignola a chiedere a Ragghianti stesso un nuovo articolo di proprio pugno, o altrimenti la segnalazione di un commentatore adeguato. Il nome di Crispolti compare come chiosa a penna della redazione:44 una nuova occasione per
il giovane critico d’esprimersi su argomenti di grande attualità e rilevanza, spostati dalla fenomenologia e dalla critica d’arte sul riformismo istituzionale (per altro la lettera del 1954 aveva riguardato l’istruzione universitaria). La sintesi chiara ed effi-cace dei tanti argomenti del saggio ragghiantiano, tutti sotto-scritti da Crispolti,45 mette in luce l’apprezzamento per l’in-
tellettuale che agisce sui fronti vari della ricerca scientifica, del-l’impegno politico e istituzionale e non ultimo della divulga-zione, con agilità di passaggi e libertà di giudizio proprie all’età repubblicana.46 In un certo senso la collaborazione a «Nuova
Repubblica» doveva essere per Crispolti guidata da simile vo-cazione e quindi trovarsi a condividere lo scopo del battage gior-nalistico stimolato da Ragghianti attorno al tema che questi riassumeva in una sorta di linee-guida in una missiva a Codi-gnola: l’articolo avrebbe dovuto avere lo scopo di «stabilire per i parlamentari come per l’opinione [pubblica] una coscienza adeguata del problema». Crispolti lo arricchiva del confronto con le politiche d’acquisto dei musei internazionali così come delle biblioteche straniere in Italia47 e a conclusione dell’articolo
dedicava attenzione, comprensibilmente per uno studente pre-occupato dallo stato della formazione universitaria, ai contri-buti che gli istituti Universitari di Storia dell’Arte potessero concorrere a dare ai processi di catalogazione (metodi e principi che poi resteranno alla base dei futuri metodi didattici e progetti prodotti all’interno dei corsi universitari da Crispolti nonché nel contributo dato con Marisa Dalai Emiliani alla riforma delle Scuole di Specializzazione48 all’epoca del Ministero Luigi
Ber-linguer e a seguito Tullio De Mauri).
L’accoglienza positiva data da Ragghianti alla sintesi infor-mata e partecipata del giovane autore, incoraggia questi a porre all’attenzione dello studioso, impegnato nel grido di allarme per la decadenza della Biennale di Venezia fin dalla riapertura postbellica del 1948, proprio il tema della Biennale nell’ambito
di necessarie revisioni e riqualificazioni che Crispolti condivide attraverso un articolato contributo critico suddiviso in cinque articoli, pubblicati proprio in quel periodo su «Nuova Repub-blica»,49 permettendosi anche una esortazione plausibile da
lettore consapevole della ‘rivistina’:
Immagino che le interesseranno [i miei scritti], giacché su «sele-Arte» Lei ha sollevato per primo questo importante problema. Sa-rebbe anzi assai opportuno che «seleArte» stessa registrasse consuntivamente le ulteriori discussioni e proposte, così da costi-tuire un utile sommario a disposizione di chi dovrà poi concreta-mente rendere operanti questi suggerimenti.50
In quel mentre per altro Crispolti stesso aveva appena dato alle stampe nel giornale di Codignola Biennale e Quadriennale. Mo-stre d’arte in Italia,51 un aggiornato resoconto del sostanzioso
di-battito attorno al rinnovamento degli istituti espositivi, numerosi, incrociati pareri affidati a giornali e riviste da parte di molteplici critici, da Venturi a del Guercio, Brandi, Bettini, Valsecchi e altri, senza mancare di registrare le posizioni di Rag-ghianti, su cui torneremo. Ancor prima di quella xxviii edizione che aveva raggiunto il culmine della crisi per disordine organiz-zativo e per insostenibili squilibri strutturali, «seleArte» aveva accolto i severi commenti ragghiantiani alla xxvi Biennale del 1952 afflitta già da una ‘legalità crepuscolare’, da un regolamento superato, fermo al 1938, ragioni che portano a molti rifiuti alla partecipazione nella compagine artistica italiana, segno dell’in-capacità dell’esposizione di garantire il suo prestigio e la sua portata di vetrina delle tendenze attuali. La denuncia, pur velata da «dolente ma anche renitente Cireneo», dello stesso
segreta-44 isrt, nr 699.2. Minuta: Tristano Codignola a Carlo Ludovico
Rag-ghianti, Firenze, 1956 novembre 20.
45 E. Crispolti, Un grido d’allarme. Il patrimonio artistico, in «Nuova
Re-pubblica», iv, 51, 16 dicembre 1956.
46 Si veda E. Pellegrini, Storico dell’arte e uomo politico. Profilo biografico
di Carlo Ludovico Ragghianti, Edizioni ets, Pisa 2018.
47 Cfr. Bottinelli, «seleArte» (1952-1966) una finestra sul mondo cit. 48 L. Branchesi, E. Crispolti, M. Dalai Emiliani, a cura di,
Arteinforma-zione. L’identità italiana per l’Europa, Donzelli, Roma 2001.
49 Si tratta degli articoli: Disordine alla biennale, 21 ottobre 1956 p. 7; I
padiglioni stranieri, Venezia 1956, in «Nuova Repubblica», iv, 44, 26 ottobre
1956; Pittura italiana. Venezia 1956, in «Nuova Repubblica», iv, 45, 4 novem-bre 1956; Un grido d’allarme. Il patrimonio artistico, in «Nuova Repubblica», iv, 51, 16 dicembre 1956; Biennale e Quadriennale. Mostre d’arte in Italia, in «Nuova Repubblica», iv, 55, 30 dicembre 1956; Il burocrate in veste di critico.
Biennale e Quadriennale, in «Nuova Repubblica», v, 4, 27 gennaio 1957.
50 fr, aclr, Carteggio generale, f. Crispolti, Enrico, 14 gennaio 1957. 51 In «Nuova Repubblica», 30 dicembre 1956.
rio generale Pallucchini nell’introduzione a catalogo del 1956 induce Ragghianti a collettare i propri commenti valutativi alle due edizioni precedenti, in linea con quanto aveva sostenuto con spirito riformista fin nella commissione nel primo dopo-guerra, dal 1946 che trova coerente e definitiva denuncia nel commento alla xxviii edizione forte delle accuse alla ‘situazione di fatto’ menzionata da Pallucchini, che si alzavano ora anche da varie testate giornalistiche. Il tema del rinnovamento degli spazi di esposizione che aveva trovato resistenze nel clima sto-ricistico e a-critico delle prime Biennali del dopoguerra, è sem-pre più una priorità per la vivida lungimiranza e apertura mentale ragghiantiane. Torna a ribadire, nel fine «della pub-blica informazione e della pubpub-blica educazione», la necessità che l’architettura sia da «‘pianificare’» «nel novero delle mani-festazioni» in quanto lo spazio progettato è componente ‘so-stanziale’ della cultura artistica, senza esclusioni pregiudiziali.52
Profondamente arbitrario quindi non riconoscere «tessuti pro-fondamente omogenei», irrealistico, e causa di deboli selezioni sia nella contemporaneità che nelle retrospettive, sia nelle scelte dei singoli paesi lasciati a valutazioni autonome come esito della mancanza di linee precise curatoriali centrali.53 Un’assenza che
si rispecchia, nota Ragghianti, nella selezione ‘a rotazione’ delle presenze italiane, alternanza, automatica quasi, che non di-chiara imparzialità quanto disinteresse e de-responsabilità delle commissioni ad esercitare scelte critiche nel cogliere «l’effettiva vitalità ed originalità di manifestazioni artistiche avvenute in Italia».54 Ne risulta un quadro debole da una impropria
aspira-zione a restituire la completezza del contesto italiano, e la indi-viduazione di ‘settori’ o espressioni non significativi di nomi noti, «un aggregato eclettico, dove compromessi e concessioni» predominano. Si è persa quindi ogni responsabilità ‘critica’ della mostra affidata alla giuria ridotta «ad essere una transattiva
ca-mera di compensazione». Mentre in questi termini l’esposi-zione perdeva rilievo nel contesto internazionale.
Ragghianti constatava l’incapacità diffusa di atteggiamenti ‘comprensivi’ come risultato di «oggettivi e precisi accertamenti storici e critici»55 considerazioni che potevano suonare ad
esor-tazione per la nuova generazione di critici alla quale apparteneva Crispolti, intenzionata a promuovere una storia dell’arte con-temporanea superati i limiti metodologici e teorici, calata nella concreta esperienza dell’arte figurativa.56 Le nuove leve
manife-stavano quindi l’urgenza di una integrazione dialettica fra una storiografia artistica militante e la ‘pratica critica’, fondandosi su basi diverse da quelle dell’idealismo e del fondamento d’identità fra contenuto e forma, piuttosto intenti a cogliere i nessi fra la personalità degli artisti e la contestualità storica:57 il «rapporto
fra la fantasia dell’artista e la civiltà in cui è vissuto».58 Se quindi
grazie alla lezione di Venturi i suoi allievi avevano appreso a stu-diare ‘storiograficamente’ la contemporaneità con lo stesso me-todo applicato all’arte del passato, compreso l’importanza di sistematizzare attraverso fonti documentarie la ricerca sul pre-sente, strumenti storiografici complementari a quelli critici, quindi dal rapporto diretto con gli autori ai loro archivi, Crispolti rivendica alla propria generazione l’autorialità della scelta scien-tifica verso l’arte contemporanea. Non poteva quindi non ap-prezzare la trasversalità di Ragghianti aperto alle più varie considerazioni del contesto culturale contemporaneo.
Figli di due epoche diverse comunque contraddistinte dal verbo crociano del quale Ragghianti fu convinto assertore59
se-condo un atteggiamento pratico e pedagogico a cui lo aveva edu-cato il suo maestro, Matteo Marangoni. Crispolti, si è detto, cerca di superare il crocianesimo del proprio maestro Lionello Venturi,60 attraverso l’esperienza diretta e empirica dell’opera,
dei materiali, delle persone, maturando conoscenze che sareb-bero poi state d’aiuto essenziale al buon esito dell’esposizione fiorentina del 1966-1967, capillare ricognizione del primo No-vecento italiano.
La crisi della Biennale del dopoguerra era dunque un tema scottante per cui Codignola accettò senza esitazioni la proposta di «uno o due articoli»61 offerti dalla penna pur tecnicistica di
Crispolti; ne saranno pubblicati cinque, tre cronache e due di contesto, nei quali il critico avrà agio di dettagliare un’analisi puntigliosa attorno ai nodi problematici. Aggiornatissimo sulla situazione del dibattito accolto sulla stampa in Biennale e Qua-driennale. Mostre d’arte in Italia, in «Nuova Repubblica», iv, 55, 30 dicembre 1956, Crispolti riassume il ricco quadro delle voci critiche a partire da quella di Lionello Venturi, ma ricorda anche
ANNA MAZZANTI | CARLO LUDOVICO RAGGHIANTI ED ENRICO CRISPOLTI FRA SIMILITUDINI E ANTINOMIE
52 C.L. Ragghianti, xxviii Biennale di Venezia, in «seleArte», iv, 24,
mag-gio-giugno 1956, p. 7.
53 Ibidem. 54 Ibi, p. 15. 55 Ibi, p. 8.
56 Cfr. G.C. Argan, Ritratti di critici contemporanei. Lionello Venturi, in
«Belfagor», 13, 5, 30 settembre 1958, pp. 555-569.
57 Si sono usati volutamente qui termini desunti dal linguaggio
crispol-tiano. Cfr. Crispolti, Come studiare l’arte contemporanea cit.
58 Venturi, Lezioni di storia dell’arte moderna cit., p. 5. 59 Negrini, Percorsi della conoscenza artistica cit., p. 23.
60 Argan, Ritratti critici di contemporanei. Lionello Venturi cit., pp. 555-569. 61 isrt, nr 235.14. Lettera di Enrico Crispolti a «Nuova Repubblica»,
Ragghianti, accomunate dall’intento di liberare la regolamenta-zione della Biennale dal rischio d’ingerenza dei sindacati e degli artisti in procinto di proporre, attraverso la Federazione nazio-nale, un nuovo statuto per la Biennale al Parlamento. L’opinione ragghiantiana affidata a «seleArte» è ben presente e considerata un punto di discussione. Rispetto quindi all’urgenza di «dibat-tere pubblicamente e senza reticenza alcuna il problema della nuova struttura e dei compiti della Biennale (come della Qua-driennale romana)» è comprensibile che la ‘rivistina’ di Rag-ghianti quale foglio di discussione argomentativo sul tema sia un costante punto di riferimento. Crispolti è per regole efficaci che impediscano l’ingerenza artistica nel giudizio, come l’oppor-tuna nomina di un commissario responsabile (dunque un cura-tore) posizione più radicale rispetto a commissioni miste (Venturi, Del Guercio). Il giovane critico accompagna costante-mente la disamina con il proprio parere quasi sempre radicale incontrando spesso le posizioni di Ragghianti. Il saggio sul pa-trimonio torna ad essere richiamato in merito al necessario rial-lineamento dei contributi nazionali agli enti autonomi espositivi che allora nel contesto postbellico e della ripresa economica era fortemente sbilanciato verso la Triennale milanese. Concordano sulla autonomia massima di un unico Consiglio Direttivo, sulla necessità di un ‘coordinamento culturale’ fra Biennale e Qua-driennale e della regola uniforme del passaggio sotto giuria di opere «tassativamente recentissime». Per altro alla data del primo articolo Disordine alla biennale uscito nell’ottobre del 1956, era già pubblicato il numero 24 di «seleArte», dedicato integral-mente all’esposizione, raccoglieva tutti gli articoli di Ragghianti sulle Biennali del dopoguerra, e un ricco apparato di immagini dell’ultima edizione in serrata composizione, più eloquente del catalogo stesso della Biennale. Crispolti lo avrebbe ricordato nell’articolo successivo sul dibattito critico insieme ad ulteriori precisazioni nel numero 26. Quindi Crispolti, ripresi i contatti dopo il 1954 per via dell’articolo sul patrimonio, che esce in mezzo al ciclo sulla Biennale, non può fare a meno di segnalare al professore quei suoi scritti e prova a ipotizzare con disinvol-tura, per nulla in soggezione per la differenza d’età e d’espe-rienza, che le pagine di «seleArte» raccolgano lo stato dell’arte del dibattito critico nel quale i suoi articoli lo dimostrano piena-mente coinvolto. Aspirava forse Crispolti, il cui linguaggio e la cui proposta critica stentavano a trovare consenso nel contesto pur stimolante di «Nuova Repubblica», alla recezione nella ‘ri-vistina’ così unitaria nell’indirizzo storico artistico d’ampio re-spiro, con la sua fiducia nel cambiamento attraverso il dibattito e il confronto con diversi metodi storiografici e critici.62
Gli atteggiamenti critici di scuole cresciute in età crociana non sono tanto profondamente contrapposte quanto piuttosto giungono a esiti diversi. Si prenda ad esempio il caso della mostra di Mondrian pittore alla Biennale, una delle personali concordemente ritenuta mancante per non averne saputo pre-sentare l’organicità espressiva con De Stijl, una carenza sostan-ziale su cui anche Ragghianti si era dilungato in «seleArte». L’esempio è utile per riflettere su certe divergenze culturali fra i nostri due protagonisti. Crispolti parte dalle stesse considera-zioni di Ragghianti ma per orientarsi su un altro ordine di va-lutazioni rispetto al valore esplicativo di ‘organicità’63 del
movimento olandese fra spazio e manifestazione artistica nelle corde di Ragghianti interessato alle varie forme della creatività conviventi nella realtà. Quindi i filoni d’interesse coltivati nelle sue riviste per architettura e design che, ad esempio invece, se-condo il giovane critico ‘specialista’, non aveva ragione di occu-pare il padiglione Venezia alla Biennale, da destinarsi piuttosto ad una rassegna internazionale qualificata come la Triennale di Milano. Ma torniamo alla mostra di Mondrian. Quello che so-prattutto emerge chiaramente fra le righe di Crispolti è l’ade-sione ad una interpretazione più filosoficamente idealista, arganiana, per altro dichiarata con puntuali riferimenti biblio-grafici,64 che non dà peso alla «profonda sostanza unitaria»
d’origine architettonica, devitalizzata isolando la pittura dalle sue «relazioni più autentiche»,65 ma riconosce nelle forme
pit-toriche un’origine «piuttosto schiettamente morale» – quasi quindi rovesciandone la prospettiva – il punto di vista organico di controllo del mondo, non quello naturale, ma, come indica Argan, la «pianificazione dell’esperienza» rappresentata nei quadri e che, come tale, «ha il suo compimento al di là di sé, nell’esperienza che determina e condiziona». L’accezione cro-ciana è evidente: l’arte di Mondrian «ha compimento quindi al
62 Negrini, Percorsi della conoscenza artistica cit.
63 È un termine che in forma aggettiva o sostantiva merita le attenzioni
dell’indagine linguistica di Fergonzi proprio per gli anni qui di nostra com-petenza, poiché frequentemente usato al tempo in varie accezioni come già dimostra la nostra esemplificazione: in termini arganiani, quelli assorbiti da Crispolti, e invece adottato in senso architettonico da Ragghianti sull’onda del libro dell’amico Bruno Zevi dedicato all’architettura organica. Cfr. Fer-gonzi, Una guerra di parole cit., p. 175.
64 Crispolti, Disordine alla biennale cit., p. 7; G.C. Argan, Studi e note,
Bocca, Torino 1955 e Id., Artisti alla Biennale: Mondrian, in «Comunità», x, 42, 1956, p. 67.
65 Condivisa infatti dagli architetti come Bruno Zevi. Ragghianti, xxviii
di là della pittura stessa, [ … ] nei principi di visione, e cioè in una sintesi di tutte le forme artistiche o di tutte le esperienze formali, nella definizione di un principio di stile» connesso con la vita tanto da permettere un aggancio alquanto forzato dalla visione idealistica nel rinnovamento delle forme d’arte a carattere so-ciale e dunque connesse con la ‘civiltà’.66 Per altro contenuti
cri-tici come questi potevano risultare non immediati al di fuori di un dibattito specialistico, per un pubblico non particolarmente accorto e magari politicamente schierato, abituato a riconoscere messaggi immediati nella figurazione neorealista, o nell’arte marxista sovietica, dalle quali, come sappiamo, prendono di-stanza invece, per la loro incapacità di aggiornarsi, le istanze critiche più progressiste orientate a riconoscere nei messaggi dei linguaggi astratti una maggiore aderenza alle istanze della società moderna. Nella disgiunzione fra contenuto e forma ri-composta dalla ispirazione naturalista Crispolti nella confusa raccolta di presenze alla Biennale salva artisti come de Pisis, Al-berto Viani, Morlotti, Vedova, Corpora, Birolli, per apprezzarvi la linea lirica e cromatica, l’astrazione naturalista, l’astratto-con-creto in pittura così come sulla superficie scultorea di Consagra ad esempio che interpreta il valore pittorico spaziale della pit-tura67 e offre, come gli altri, una alternativa attuale al verismo
di origine ottocentesca.68
Sull’onda dell’impegno militante profuso con instancabile attivismo in quegli anni Cinquanta, Crispolti passa in rassegna dunque tutte le debolezze del sistema Biennale, «i suoi insoste-nibili squilibri strutturali» a partire dalle incerte finalità, mentre in tralice emerge un atteggiamento critico in evoluzione dallo scenario originario della formazione accademica in una
pro-gressiva apertura al dialogo con altri linguaggi e di posiziona-mento nel processo di definizione di una moderna conoscenza estetica e coscienza storico-critica.
Anzitutto la Biennale dovrebbe chiarirsi se la propria esistenza im-plichi una responsabilità di documentazione storica o meno. Se intende cioè veramente essere la presentazione delle condizioni attuali delle arti figurative di tutto il mondo, nei loro risultati mi-gliori, o semplicemente poco più che una fiera [ … ]: se ha scelto il compito di documentare criticamente un’attualità creativa, è ne-cessario che riveda la propria struttura.69
Su questo presupposto alla base delle necessarie riforme la set-tima pagina di «Nuova Repubblica» si trasforma in un registra-tore accurato delle inadempienze per le quali il critico pone anche ipotesi di soluzione: dalla necessità di adeguare le spro-porzioni del padiglione Italia agli spazi degli altri padiglioni, alla regolamentazione sul numero di opere ammesse, di mostre personali, di retrospettive, dalla revisione delle ingerenze sin-dacali o degli artisti italiani, occasione per riaffermare una annosa distinzione di competenze della critica d’arte contem-poranea specializzata, dunque alla necessità di giurie esperte per garantire i livelli qualitativi e di coerenti messaggi curatoriali accompagnati da «un rigoroso catalogo critico»; sono solo al-cuni dei temi scottanti che si riflettono su una politica nazionale (ritorna in causa quindi la necessità di distinzioni complemen-tari con la Quadriennale romana) e internazionale recuperando alla Biennale una autorità dialogante con le altre esposizioni d’oltralpe (come quella di San Paolo del Brasile). Giovanissimo quindi Crispolti ha una visione decisamente lungimirante e a 360 gradi, senza niente sfuggirgli sui necessari sviluppi della esposizione veneziana,70 alla luce di processi condivisi, di
lim-pidi passaggi e prese di posizioni critiche per gli inviti, di rigore scientifico per le retrospettive (quelle di Delacroix, di Gris, e Mondrian in quel 1956 apparivano occasioni mancate) e nel-l’esigenza di distinguere ruoli e proposte per Biennale (interna-zionale con giurie di accettazione) e Quadriennale (na(interna-zionale, quale registro dello stato dell’arte). L’autore non tralascia aspetti né angolature del dibattito, a costo di condurre il lettore anche dentro una ‘rassegna critica’ puntigliosa, non proprio alla por-tata di un giornale non specializzato,71 di militanza, ma non
cri-tico artistica, politica, voce ufficiale, non dimentichiamolo, della sinistra socialdemocratica e riformista, finanziata da La Nuova Italia di Codignola, dagli abbonati e dai contributi volontari degli autori, nonché dalle inserzioni pubblicitarie di imprendi-tori illuminati come Einaudi e Olivetti. Il risentimento che Cri-spolti accusa dinanzi a un piccolo misunderstanding con la
ANNA MAZZANTI | CARLO LUDOVICO RAGGHIANTI ED ENRICO CRISPOLTI FRA SIMILITUDINI E ANTINOMIE
66 E. Crispolti, Pittura italiana. Venezia 1956, in «Nuova Repubblica», iv,
45, 4 novembre 1956.
67 Ibidem.
68 Questi scritti giornalistici, palestra critica su esposizioni discusse
rap-presentano i primi passi su cui si basano i fondamenti di una attività este-tico-critica frenetica e articolata per Crispolti, che si svilupperà a breve in mostre e studi specifici dedicati a molti di questi artisti, si pensi a Birolli, Corpora, Consagra e al ritorno di interesse verso certa figurazione come in Guttuso. È in corso di stesura Enrico Crispolti. Bibliografia ragionata, a cura di Luca Pietro Nicoletti, che renderà evidenti queste strette connessioni.
69 Crispolti, Disordine alla Biennale cit., p. 7. 70 Cfr. ibidem; Crispolti, I padiglioni stranieri cit.
71 Alla redazione che non perde occasione di richiedere uno «stile
piano», non resta che constatare quanto il giovane e appassionato critico fosse ‘recidivo’ dinanzi alle richieste, l’interesse dei temi tuttavia faceva so-prassedere le difficoltà. Cfr. isrt, nr 235.20. Lettera: Enrico Crispolti a «Nuova Repubblica», Roma, 1956 ottobre 8.
redazione dà misura della tensione che doveva procurargli il non facile dialogo e le incomprensioni con il tessuto politico. Nonostante il giornale fosse illustrato da vignette satiriche mai direttamente collegate ai testi, l’autore sentì ridicolizzato il tono riformista del suo lavoro accanto ad una illustrazione «sciocca quanto scortese»,72 un malessere forse fomentato anche dalle
continue decurtazioni redazionali ai testi troppo lunghi presen-tati dal critico. Il rapporto con Ragghianti invece si profilava più disteso e quasi alla pari. La segnalazione della raccolta di saggi per «Nuova Repubblica» giunge gradita al professore che si trova in procinto di commentare le proposte di riforma sulla Biennale del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione;73
d’altra parte i loro scambi non tralasciano il pensiero teorico e l’attività di ‘saggiatore’ che Ragghianti in quel periodo condu-ceva portando alle stampe le due raccolte di saggi e pensieri editi da Neri Pozza: Il Pungolo dell’arte, già pubblicato, e il Diario Cri-tico in preparazione, dove scriveva di aver inteso «raccogliere tutte le possibilità valide a costruire una linguistica e una critica dell’arte figurativa».74
Quel risentimento verso le «vignette contro l’arte moderna» che Crispolti vede «concorrere a confondere ulteriormente le idee»75 nel difficile contesto culturale del momento, lo spinse a
scrivere una lettera a Codignola, il 5 novembre 1956 – il docu-mento più interessante del carteggio con la redazione di «Nuova Repubblica» – dove esprime la propria idea di ‘critica d’arte’ e i motivi che lo spingono a scrivere su «Nuova Repubblica». La disamina è cruciale e induce persino Codignola a scrivere una nota di riflessione sul ruolo del giornale e sul senso di ‘critica’ corrente. Vi chiarisce la diffidenza verso la ‘critica d’arte mili-tante’ che gli pare dogmatica e categorica, ancorata a una «pi-grizia empiristica e problematicistica» non diversamente di quanto lo fosse il neorealismo ai «formalismi e arcaismi» in esso radicati. Riconosce invece un possibile modello nel Gramsci delle note teatrali per «L’Avanti», autore, seppur dilettante e «tendenzialmente crociano», di rapide note «gustose e suc-cose». Rifiuta quindi di riconoscere lo «stretto legame fra mo-dernità figurativa e momo-dernità politica, fra arte e democrazia», ricordando anche il giudizio di Ragghianti socialdemocratico restio verso il realismo socialista sovietico, restio a recepire il giudizio sullo scadimento di certa militanza in consorteria po-litica.76 Nonostante la diffidenza e in nome della libertà di
pen-siero Codignola continuò tuttavia ad accogliere fino all’ultimo numero di congedo di «Nuova Repubblica», nel 1957, la «ser-rata specializzazione e concreta conoscenza specifica»77 del
con-temporaneo che Crispolti si impegnava a mettere a punto come
alternativa di «concreta utilità» alla critica estetizzante. Quella collaborazione, come scrive a Codignola, per lui rappresentava una variabile all’isterilimento degli studi in una battaglia spesso condotta fra riviste di settore, radicata in consorterie attorno ai maggiori critici, citando ad esempio la triangolazione fra «Pa-ragone» (Longhi), «Critica d’arte» e «seleArte» (Ragghianti), e «Commentari» (Venturi). Da allievo di Lionello Venturi «al quale devo riconoscere – tuttavia scrive – un indubbio stacco da questi episodi, altrettanto che una esemplare dirittura civile non distinguibile dalla sua nota competenza ed eminenza scien-tifica: purtroppo però esistono anche i ‘venturiani’ come i ‘lon-ghiani’ ecc.») era consapevole di correre questi pericoli. Scrivere su «Nuova Repubblica» diventava quindi la chance per «rom-pere questo circolo di eruditismo e di polemica a non finire»; la via costruttiva di una nuova militanza critica riportata ad un dibattito proficuo con un pubblico che «legge, discute e ri-sponde». Ecco che quindi si intende di rivestire un ruolo ‘picas-siano’, come indica la lunga citazione dal pittore, nel senso di un impegno ‘politico’ dell’arte e della sua critica non fine a se stessa ma integrata nella crescita culturale. Quindi scrive a Co-dignola, che chiosa il passo come tema di rilievo da far argo-mentare in un eventuale articolo, gli interessa evidenziare la frattura fra gusti artistici della classe politica, legata a «arcaismi e feudalesimi culturali» del neorealismo o del realismo socialista sovietico asserviti a una retorica anacronistica, e la cultura figu-rativa veramente progressista che a quelle idee realmente cor-rispondeva: scrive «frattura grave perché disgiunge, se non oppone, due forze che invece, dovrebbero naturalmente con-cordare». Falsi moderni anche se in buona fede. Crispolti si sente dunque investito del compito duplice di fare nuova chia-rezza in un ambiente «viziato da un tecnicismo politico» e di
72 isrt, nr 235.22. Lettera: Enrico Crispolti a «Nuova Repubblica»,
Roma, 1956 ottobre 29.
73 C.L. Ragghianti, minuta della lettera a Crispolti, Firenze 15 gennaio
1957, in fr, aclr, Carteggio generale, f. Crispolti, Enrico.
74 Ibidem.
75 isrt, nr i.235.24. Lettera: Enrico Crispolti a «Nuova Repubblica»,
Roma, 1956 novembre 5.
76 Secondo Crispolti invece identificabile nella critica realista marxista
legata al guttusismo o all’accademia naturalistica di fine Ottocento – osserva nell’articolo Materialismo e critica – incapace di rinnovarne l’analisi, portando ad esempio Organicità e astrazione di uno studioso schierato e non specialista dell’arte moderna come Ranuccio Bianchi Bandinelli.
77 isrt, nr 235.24. Lettera: Enrico Crispolti a «Nuova Repubblica»,
Roma, 1956 novembre 5; anche: isrt, nr 235.13. Lettera: Enrico Crispolti a «Nuova Repubblica», Roma, 1956 maggio 28.