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16. Annarita Monaco, Laboratorio di problem solving matematico

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Academic year: 2021

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Laboratorio di problem solving matematico:

il pensiero in azione

Annarita Monaco

Una grande scoperta risolve un grande problema, ma nella risoluzione di qualsiasi problema c’è un pizzico di scoperta. Il tuo problema può essere modesto, ma se stimola la tua curiosità, tira in ballo la tua inventiva e risolvilo con i tuoi mezzi; puoi sperimentare la tensione e gioire del trionfo della scoperta (George Polya).

Introduzione

I libri di testo, presenti sulle cattedre di noi docenti e proposti dalle case editrici contengono pagine e pagine di problemi già classificati come di addizione, di sot-trazione, con le frazioni, con dati carenti o sovrabbondanti, per i quali non appare necessario nessun atto creativo degli alunni, i quali non fanno altro che applicare l’itinerario esecutivo precedentemente suggerito dall’insegnante attra-verso la spie-gazione, più o meno partecipata.

Eppure nel testo di premessa delle parte matematica delle “Indicazioni Nazionali per il curriculo” si legge:

“La matematica(…) contribuisce a sviluppare la capacità di comunicare e di iscutere,

di argomentare in modo corretto, di comprendere i punti di vista e le rgomentazioni degli altri. (…) In matematica (…) è elemento fondamentale è il laboratorio (…) come momento in cui l’alunno è attivo, formula le proprie ipotesi e ne controlla le conse-guenze, progetta e sperimenta, discute e argomenta le proprie scelte, impara a rac-cogliere i dati, negozia e costruisce significati, porta a conclusioni temporanee e a nuove aperture la costruzione delle conoscenze personali e collettive.(…) Caratteristica della pratica matematica è la risoluzione di problemi, che devono es-sere questioni autentiche e significative legate alla vita quotidiana, e non solo eser-cizi a carattere ripetitive o quesiti ai quali si risponde semplicemente ricordando una definizione o una regola. Stimolato dalla guida dell’insegnante e dalla discussione

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con i pari, l’alunno imparerà con fiducia e determinazione situazioni problematiche, rappresentandole in diversi modi, conducendo le esplorazioni opportune, dedicando il tempo necessario alla precisa individuazione di ciò che è noto e di ciò che si ntende trovare, congetturando soluzioni e risultati, individuando possibili strategie risolu-tive”.

Notiamo che questo testo non si focalizza esclusivamente sulla “risoluzione”, intesa come individuazione di una soluzione, ma si articola in diverse fasi altrettanto im-portanti: affrontare situazioni problematiche, rappresentarle: esplorare; conget-turare; individuare possibili strategie risolutive. Quest’articolazione “sdrammatizza” l’importanza di dover arrivare a un risultato corretto e sottolinea come nel percorso educativo “risolvere” non sia l’unico obiettivo dell’attività con i problemi: per “inse-gnare” ( e imparare) a risolvere i problemi, prima si deve insegnare (e imparare) ad affrontarli. L’accento è posto, quindi, sui processi che caratterizzano l’approccio a un problema e che descrivono anche l’attività tipica dei matematici (Di Martino, Zan, 2017).

Ci sono concetti chiave nel testo citato che possono far riflettere i docenti e orien-tare le loro scelte, sia rispetto alle caratteristiche dei problemi da proporre agli alunni, sia sulle metodologie e sulle strategie da utilizzare nel corso delle attività: discussione, argomentazione, contesto autentico e significativo legato alla vita quo-tidiana sono alcuni tra di essi. Ma nelle aule scolastiche ancora poco presente un ambiente di apprendimento che privilegi un’attività di risoluzione dei problemi, si-gnificativi al punto da permettere ai bambini di entrare in gioco con pensieri, paro-le, personali rappresentazioni e che li vedano coinvolti in discussioni attive e co-struttive, alla ricerca di argomentazioni valide che giustifichino le loro scelte.

Autoanalisi di un insegnante e concepimento del progetto

Le origini di una mancata proposta di veri problemi è legata ad alcune aratteristiche di molti insegnanti di matematica di scuola primaria: l’abitudine a proporre esercizi considerati risolvibili dai bambini, e non troppo difficili; l’ansia determinata da una temuta dilazione dei tempi di risposta; la difficoltà di gestire, anche come adulti, problemi nuovi che mettono in gioco abilità strategiche e creative.

Ad un certo punto della mia carriera scolastica, nonostante avessi seguito una mi-riade di corsi di formazione sulla didattica della matematica, mi sono resa conto che proponevo ai miei alunni ciò che sapevo di poter controllare, o mi illudevo di poter controllare e gestire, escludendo tutto ciò che avrebbe loro permesso di poter spe-rimentare “al buio”.

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Accadeva, quindi, che quando i bambini si trovavano ad affrontare un certo tipo di compiti- come i giochi matematici Mediterraneo organizzati dall’Università di Paler-mo; i Giochi di Primavera e di Autunno, dell’Università Bocconi; i quesiti del Rally transalpino della matematica, ed altri ancora-si trovavano a vivere una situazione di crisi, di fronte a problemi “diversi”, spiazzanti e che mettevano in gioco rappre-sentazioni e ragionamenti con i quali non avevano dimestichezza. Tali giochi riusci vano a mettere in crisi anche gli allievi considerati “bravi” o “ molto competenti”. In risposta a questo disagio, ho deciso di mettermi in discussione e mi sono attivata per studiare e capire quali cambiamenti fossero necessari nella gestione della mia pratica didattica sull’insegnamento della matematica, e sui problemi in particolare. Le mie intenzioni erano quelle di mettere a punto un ambiente di apprendimento che potesse garantire il più possibile un reale e significativo apprendimento mate-matico ai miei alunni.

Tante volte mi era capitato di trovarmi di fronte il “problema dei problemi”: alunni che rinunciavano a pensare, nel momento in cui veniva posto loro un problema. Nell’effettuare interviste agli alunni, mirate a comprendere quali difficoltà incon-trassero, ho scoperto che erano proprio i dispositivi didattici, utilizzati per facilitare il loro lavoro, a creare più intoppi: l’uso di schemi proposti da me come guida al ragionamento, la sottolineatura dei dati, la cerchiatura delle cosiddette “parole chiave”. La presentazione di strategie e rappresentazioni suggerite da me in qualità di docente , piuttosto che facilitare il percorso risolutivo dei miei allievi, li inibiva, in quanto si sentivano forzati, costretti, condizionati dalla richiesta utilizzazione di schemi e sottoschemi, che si rivelavano essere una gabbia per loro piuttosto che un sussidio utile. Zan (1998, pp. 2-3) scrive:

«Il bravo insegnante non è più colui che segue in modo attento e preciso le

indica-zioni che qualcun altro (pedagogista, matematico, didattico) ha esplicitato: Bravo insegnante è piuttosto colui che sa individuare e risolvere problemi, che sa prendere decisioni. In questo senso ogni insegnante è anche un po’ ricercatore, anche se ha una minor libertà nella scelta dei problemi, che scaturiscono in modo naturale dal suo lavoro in classe […]».

Il progetto didattico presentato mira a far emergere e valorizzare le intuizioni stra-tegiche e rappresentative dei miei allievi e a creare un ambiente di apprendimento che dia priorità alla discussione e all’argomentazione, mentre si affrontano “proble-mi veri e propri”, e non “esercizi”, così come si auspica nel testo della premessa del-le Indicazioni Nazionali per il curricolo del 2012.

D’altra parte nel testo delle “Nuove competenze chiave per l’apprendimento per-manente” la competenza matematica è definita come «capacità di sviluppare e

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applicare il pensiero e la comprensione matematici per risolvere una serie di pro-blemi in situazioni quotidiane. Partendo da una solida padronanza della compe-tenza aritmetico- matematica, l’accento è posto sugli aspetti del processo e del-l’attività, oltre che sulla conoscenza. Un elemento di novità del neo-documento sulle competenze inoltre è che la competenza imprenditoriale si riferisce alla capa-cità di agire, con creatività, sulla base di idee e opportunità e di trasformarle in valori per gli altri. Come specchio dei tempi, entrano in gioco le capacità di saper gestire l’incertezza, l’ambiguità e il rischio, in quanto rientranti nell’assunzione di decisioni informate.

Apprendimento matematico: strategie, rappresentazioni e comunicazione

L’apprendimento matematico comprende almeno cinque tipologie di apprendi-menti distinti:

-apprendimento concettuale

-apprendimento algoritmico -apprendimento di strategie -apprendimento comunicativo

-apprendimento e gestione delle rappresentazioni semiotiche

Le ore di matematica sono caratterizzate dalla presenza di molte attività attinenti l’apprendimento di regole, tecniche, simboli e formule che gli alunni imparano e successivamente applicano. Ma gli alunni, dopo aver appreso tutto ciò, dovrebbe poter pensare, risolvendo problemi mai incontrati, acquisendo nuove idee e mol-tiplicando l’applicabilità di regole già apprese in situazioni sempre nuove e in modo creativo. Gli allievi, affrontando problemi nuovi, proveranno una serie di ipotesi, verificando la loro applicabilità. E’ bene potenziare e dare importanza ai procedi-menti e alle strategie che gli allievi usano, al fine di convincerli che quel che conta sono i processi e non i prodotti, dando importanza a ciascuno dei passi effettuati nel processo di risoluzione dei problemi. Molti autori hanno evidenziato quanto sia cruciale la gratificazione sociale di essere considerati buoni risolutori di problemi. Ciò crea motivazione che a sua volta attiva la volizione, cioè il voler fare, il volersi impegnare (D’Amore, 2003).

E’ fondamentale considerare le differenti strategie che i bambini usano per risolvere il problema, sondarne il grado di comprensione, chiedendo di spiegare il proprio ra-gionamento, per iscritto e oralmente, invitarli a confrontare il proprio ragionamento con quello dei compagni. Ciò valorizza gli apprendimenti strategico,semiotico e co-municativo e li mette in contatto tra loro.

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Imparare a comunicare è diventata una priorità del curricolo scolastico ed è una del-le principali competenze da sviluppare negli allievi. La comunicazione non è sempli-cemente accessoria all’apprendimento; essa è concepita come parte integrante del cammino graduale che permette all’allievo di afferrare e assimilare i concetti mate-matici, al’interno di processi sociali di produzione di senso.

Radford e Demers (2006) indicano le seguenti condizioni per impegnare gli alunni nelle attività discorsive e nella produzione di adeguati argomenti matematici:

- ascoltare le proposte dei compagni relative alla matematica; -interpretare le ar-gomentazioni matematiche dei compagni; -valutare criticamente gli argomenti degli altri;

-confutare un argomento errato;

- presentare giustificazioni matematiche a sostegno degli argomenti scelti, utiliz-zando diversi sistemi di segni.

Uso di rappresentazioni nella risoluzione di problemi

Consideriamo l’importanza che la semiotica ha in matematica, e soprattutto nel problem solving.

Raymond Duval (1993) distingue due componenti dell’apprendimento semiotico: -scegliere tra i tratti distintivi che di un tale oggetto matematico, cognitivamente costruito o in via di costruzione, si vogliono rappresentare; scegliere il registro o i registri semiotici che si reputano adatti a tali rappresentazioni; dare una rappre-sentazione in quel registro, o dare varie rappresentazioni in uno o più registri scelti una volta ottenuta una rappresentazione semiotica di un dato oggetto matematico, saperla trasformare in un’altra dello stesso registro (trattamento) o di un altro re-gistro (conversione), in modo opportuno, senza perdere di vista il significato dell’og-getto di partenza.

Troppo spesso è l’insegnante che opera le conversioni (per esempio tra registro numerico e registro geometrico e ciò, se diventa abitudine didattica, non è una buona cosa. E’ l’allievo stesso che pian piano deve acquisire la capacità, l’abito men-tale di utilizzare certe rappresentazioni e di operare in termini di conversione e di trattamento.

Parlando di rappresentazioni semiotiche, Duval in un suo scritto del 1996, afferma: “Le rappresentazioni semiotiche possono essere produzioni discorsive (in lingua

na-turale o lingua formale) o non discorsive (figure, schemi, grafici); tale produzione non risponde solo ad una esigenza di comunicazione; può anche rispondere ad una funzione di oggettivazione (per sé stessi) e di trattamento. La funzione di oggettiva-zione esce dal mero uso personale e privato, e abbraccia la volontà di mostrare

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qualche cosa a qualcuno, presupponendo una volontà comunicativa” (Radford,

2005).

La cooperazione tra pari e la discussione

Il richiamo teorico all’opera e all’impostazione di Vygotskij è un elemento costante dei lavori che attribuiscono un ruolo determinante all’influenza dell’interazione so-ciale e culturale sullo sviluppo (Pontecorvo et alii, 2004, p. 23). La priorità dei pro-cessi sociali su quelli individuali, intesa come l’emergere delle funzioni psicologiche del bambino nelle interazioni con gli adulti e con i coetanei più competenti, si mani-festa nella zona di sviluppo prossimale. I bambini possono operare oltre il loro livel-lo attuale, quando interagiscono con adulti, ma anche con gli altri compagni. Si crea una nuova zona , e in essa si può stabilire quel legame tra i partecipanti all’intera-zione in modo tale che si incontrino sul piano del funzionamento interpsicologico. Diverse ricerche hanno mostrato che la discussione non si realizza “naturalmente” a scuola, ma è importante prevedere una serie di condizioni:

-una lettura comune che porti ad una lettura unica o soluzione;

-un discorso che rielabora l’esperienza compiuta e che si struttura come situazione di problem solving collettivo, in cui sia possibile negoziare significati, condividere e confrontare differenti soluzioni o interpretazioni di uno stesso materiale;

-un cambiamento delle usuali regole di partecipazione al discorso scolastico. I turni di discorso non sono controllati dall’insegnante, ma sono in parte sostituite da ri-prese o rispecchiamenti degli interventi degli allievi o da interventi che sottolineano un’eventuale discordanza di posizioni (Pontecorvo et alii, 2004, p. 218). Il risultato di una discussione non deve essere necessariamente la soluzione di un problema, ma può essere anche quello di delimitare o definire un problema, escludendo ciò che è secondario e non riveste importanza prioritaria oppure quella di avvicinarsi alla soluzione attraverso una serie di fasi intermedia.

La dimensione che più caratterizza la discussione è data dal ruolo dell’opposizione nello spingere avanti il discorso e nel provocare sviluppi e approfondimenti. Emerge così un nesso significativo tra pensare, discutere e argomentare: il pensiero procede attraverso asserzioni che si distinguono da altre, che contengono una presa di posi-zione, un esprimersi pro e conto, attraverso categorizzazioni e giudizi di valutaposi-zione, con analogie, similitudini, esempi, ricerca di ragioni (Ibid.) Con riferimento al nostro dominio specifico, che è quello matematico, Bartolini Bussi & Boni (1995, p. 227) hanno scritto:

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«Una discussione matematica può essere descritta metaforicamente come una

polifonia di voci articolate su un oggetto matematico che costituisce uno dei motivi di insegnamento-apprendimento».

Riflettendo sulla questione didattica, i nostri alunni, a tutti i livelli scolari, fanno mol-ta fatica ad affronmol-tare problemi che richiedono argomenmol-tazione. Negli ultimi anni le rilevazioni nazionali (INVALSI) e internazionali (OCSE-PISA) forniscono dati che con-fermano le difficoltà dei nostri allievi nel rispondere a quesiti che richiedono di spie-gare il perché di una determinata risposta data oppure di riconoscere la correttezza di determinate argomentazioni presentate (Di Martino, 2016, p. 25). Questi risultati possono essere spiegati, per l’appunto, sia pensando alle difficoltà intrinseche di maturare capacità e competenze sull’argomentazione legate alla risoluzione dei problemi, sia ammettendo che raramente nelle ore di matematica viene chiesto agli alunni di risolvere veri problemi (non esercizi) e argomentare.

Descrizione del progetto didattico e della metodologia

Il progetto didattico è stato pensato, strutturato e realizzato con una classe quinta primaria a tempo corto a 27 ore di 26 alunni, di cui sono stata titolare, nella scuola “ Francesca Morvillo”, ubicata in una zona periferica di Roma, il quartiere Due Leoni, prossimo al quartiere Tor bella Monaca.

E’ stato definito il seguente setting: quattro alunni della classe, due bambini e due bambine, si sono cimentati nella risoluzione di un problema “sfida”, discutendo e confrontando strategie e rappresentazioni personali, al fine di pervenire a una solu-zione condivisa. Tale solusolu-zione era poi comunicata e argomentata agli altri alunni della classe.

Inizialmente è stata acquisita la disponibilità degli alunni a far parte dei gruppi di problem solving, non forzando in alcun modo la partecipazione, nella convinzione che l’attività dovesse essere svolta in un clima il più possibile sereno e rilassato, scevro da ogni elemento di ansia. Un’altra convinzione alla base di questa scelta era che tale disponibilità libera avrebbe poi sollecitato gradualmente tutti gli alunni a dichiarare la propria volontà di partecipare ai gruppi, senza alcuna forzatura da par-te dell’insegnanpar-te.

Alla fine delle attività è stato distribuito un questionario, al fine di acquisire elemen-ti sul gradimento, sui pensieri e sulle emozioni degli alunni coinvolelemen-ti.

Per quel che riguarda i materiali, determinante, e non semplice, è stata la scelta dei problemi. L’intento era quello di selezionare testi che potessero costituire una sfida

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per i bambini (ossia che li impegnassero nella zona di sviluppo prossimale di Vygo-tskji) e atti a sollecitare l’uso di rappresentazioni e strategie spontanee dei bambini. Le esperienze effettuate, nate e realizzate all’interno di uno spazio didattico deno-minato “Laboratorio di problem solving matematico”, sono state effettuate a ca-denza settimanale; sono stati coinvolti gradualmente tutti gli alunni; alcuni hanno partecipato a più di un gruppo.

Per facilitare gli scambi comunicativi tra i bambini, come ulteriori materiali, sono stati messi a disposizione degli alunni grandi fogli di carta e pennarelli di diversi colori.

Dopo aver scritto la traccia del problema, in alto sul grande foglio, affisso alla la-vagna della classe, invitavo i bambini a leggere il testo del problema e a dare avvio, poi, alla risoluzione di gruppo, utilizzando lo spazio restante del foglio per le loro rappresentazioni spontanee. Il procedimento risolutivo doveva essere, nelle inten-zioni, completamente gestito dagli alunni, che avrebbero dovuto regolare autono-mamente anche l’ordine degli interventi. Alla fine della risoluzione, i componenti del gruppo comunicavano alla classe il loro procedimento risolutivo, anche se non aveva condotto al risultato. A quel punto, si apriva una discussione collettiva coor-dinata dal docente, sul modello indicato da Bartolini Bussi.

Per quanto riguarda i tempi, non è stato mai stabilito un tempo limite; general-mente si dedicava, in una mattinata, un’ora al massimo all’attività di problem-solving settimanale; qualora, però, il gruppo non perveniva alla risoluzione, si poteva decidere di aggiornare il lavoro ad un’altra data, nella stessa settimana. Per poter analizzare e riflettere sull’esperienza effettuata, ho raccolto il seguente corpus di dati:

- le interazioni comunicative-videoregistrate dei diversi gruppi di bambini nel corso della costruzione delle proprie rappresentazioni, nell’ambito del processo risolutivo;

- I grandi fogli utilizzati dai gruppi, sui quali erano presenti chiare tracce delle rappresentazioni prodotte;

- le risposte dei bambini al questionario finale.

Sono state, quindi, trascritte le interazioni complete di tre gruppi di bambini, con l’intento di poter poi rileggere, analizzare a fondo e ricercare tutti quegli elementi che avvaloravano la capacità da parte degli alunni di analizzare e interpretare pa-role, segni, argomentazioni e tutti quegli elementi utili per modificare, integrare, rafforzare le proprie idee insieme agli altri, modificando il proprio linguaggio e ne-goziando per arrivare a una soluzione comune.

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Esplicitazione dei traguardi di competenza e degli obiettivi di apprendimento (dalle Indicazioni Nazionali)

Traguardi di competenza

1. L’alunno si muove con sicurezza nel calcolo scritto e mentale con i numeri naturali e sa valutare l’opportunità di ricorrere ad una calcolatrice

2.Legge e comprende testi che coinvolgono aspetti logici e matematici

3. Riesce a risolvere problemi in tutti gli ambiti di contenuto, mantenendo il control-lo sia sul processo risolutivo, sia sui risultati. Descrive il procedimento seguito e rico-nosce strategie di soluzione diverse dalla propria.

4. Costruisce ragionamenti formulano ipotesi, sostenendo le proprie idee e confron-tandosi con il punto di vista degli altri.

5. Riconosce e utilizza rappresentazioni diverse di oggetti matematici (numeri deci-mali, frazioni, percentuali, scale di riduzione…)

6.Sviluppa un atteggiamento positivo rispetto alla matematica, attraverso esperi-enze significative, che gli hanno fatto intuire come gli strumenti matematici che ha imparato ad utilizzare siano utili per operare nella realtà.

Obiettivi di apprendimento al termine della classe quinta primaria

Numeri:

1. Eseguire le quattro operazioni con sicurezza, valutando l’opportunità di ricorre al calcolo mentale, scritto o con la calcolatrice a seconda delle situazioni.

2.Eseguire la divisione con resto fra numeri naturali; individuare multipli e divisori di un numero

3.Utilizzare numeri decimali, frazioni, percentuali per descrivere situazioni quoti-diane.

Relazioni, dati e previsioni:

1. Rappresentare problemi con tabelle e grafici che ne esprimono la struttura.

2.Passare da un’unità di misura all’altra, limitatamente alle unità di uso più comune, anche nel contesto del sistema monetario.

La presentazione di alcuni risultati

OMISSIS

Il questionario e le risposte degli alunni

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Il bilancio dell’esperienza

Il progetto didattico effettuato si proponeva di esplorare una pratica didattica sui problemi matematici e mirava a far emergere e a valorizzare le intuizioni strategi-che, rappresentative, comunicative degli allievi. Si desiderava creare un ambiente di apprendimento che desse priorità alla discussione su problemi significativi e un clima positivo di fiducia, collaborazione, ricerca, comunicazione, in linea con quanto si auspica nelle Indicazioni Nazionali per il curriculo.

Non è stato facile, per me insegnante, rinunciare al mio ruolo di suggeritrice di stra-tegie; ciò emergeva soprattutto nella visione delle prime videoregistrazioni: tendevo ad intervenire per superare i momenti di impasse. Mi sono proposta di la-vorare su me stessa affinché il mio ruolo di insegnante potesse diventare sempre più di regia, tenendo sotto controllo l’ansia presente nell’attesa delle risposte degli alunni e maturando un atteggiamento di accoglienza nei confronti delle soluzioni ideate e messe a punto gradualmente dagli allievi.

Nei momenti in cui sono riuscita a mettere in pratica questi propositi, ho preso atto del fatto che si apriva un mondo nell’espressione dei bambini e si creava un circolo virtuoso di intrecci metacognitivi che influenzava positivamente, sia dal punto di vista emotivo che dal punto di vista cognitivo, sul modo in cui i bambini affrontano i problemi. L’importante è i problemi non fossero esercizi noiosi e scontati e rappre-sentassero invece occasioni stimolanti di pensiero e argomentazione, in una situa-zione protetta e serena, assolutamente non legata ad alcuna forma di valutasitua-zione. Ogni tipo di giudizio da parte mia poteva risultare bloccante.

E’ stato importante, invece, dare spazio alla progettazione e realizzazione di attività di autovalutazione da parte degli alunni stessi, affinché acquisissero consapevolezza e controllo dei propri processi cognitivi e metacognitivi. L’errore è stato valorizzato per la sua dimensione costruttiva. All’interno di ogni gruppo non è mai stato un el-emento da temere e da stigmatizzare., ma costituiva piuttosto un punto da cui si poteva partire, per discutere, problematizzare, argomentare e che, una volta supe-rato, poteva produrre un apprendimento di ancor più alto livello.

La partecipazione degli alunni, non obbligatoria, ma lasciata alla libera volontà, nel corso del laboratorio si è estesa anche a quei bambini più ansiosi, che non amavano mettersi in gioco in situazioni “al buio”. Gli alunni non hanno mai richiesto problemi “più facili”, ma hanno apprezzato i problemi che richiedevano una significativa ela-borazione, mostrando di rifletterci anche nei momenti di svago e di ricreazione, per una motivazione proprio intrinseca di pensare e risolvere, e non certo estrinseca, perché richiesta come compito dal docente.

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Tutto ciò mi ha fatto pensare alla creazione di un ambiente di apprendimento che richiama l’idea di una comunità di pensiero nella quale si riflette, si analizza, ci si confronta, ma mai ci si arrende e tanto meno ci si sente frustrati.

Un aspetto su cui lavorare in futuro è anche quello della scelta dei problemi, che non è affatto scontato.

Predisporre problemi significativi e autentici, dei “buoni problemi”(Di Martino, Zan 2016), non è affatto semplice; su questo sto lavorando ora, avendo i colleghi.

11. Condivisione dell’esperienza e spunti per il futuro

In alcuni incontri di autoformazione, aperto ai docenti di infanzia, primaria e secon-daria di primo grado, ho illustrato ai colleghi disponibili le esperienze svolte, cen-trando l’attenzione sugli aspetti teorici del progetto, oltre che sulla descrizione delle attività.

All’interno dell’Istituto Comprensivo nel quale lavoro, che ha come utenti anche molti bambini appartenenti a famiglie di immigrati di prima e seconda generazione, si è delineata così una bella volontà di lavorare in modo diverso sui problemi, alla luce anche dei risultati non ottimali conseguiti dagli alunni nelle prove Invalsi.

Molte sperimentazioni hanno preso avvio in un buon numero di classi e alla fine del mese di maggio ci saranno due incontri di restituzione, nei quali i colleghi sperimen-tatori illustreranno le attività svolte, con la condivisione delle produzioni degli alun-ni e l’esplicitazione delle considerazioalun-ni, in chiave critica, dei docenti.

Ovviamente, non può bastare la buona volontà di noi docenti desiderosi di miglio-rare, ma occorre definire un piano operativo.

L’intento è quello di avviare un lavoro strutturato e monitorato nel tempo che pre-veda:

1. una classificazione dei problemi matematici che potrebbe costituire un punto di partenza per poter attuare confronti in orizzontale, tra docenti di classi parallele, e confronti in verticale, nei contesti di costruzione di curricula che abbracciano tutto il ciclo scolastico, dalla scuola dell’infanzia alla scuola secondaria di primo grado. In questo modo i docenti potranno approfondire le potenzialità formative dei diversi problemi, così come individuarne gli elementi critici. Ciò avrebbe il beneficio di svi-luppare un atteggiamento critico e costruttivo rispetto alla grande quantità di pro-blemi e di prove di diversa natura che i docenti ritrovano nei libri di testo.

2. Una molteplicità di proposte da parte degli insegnanti potrebbe valorizzare più stili cognitivi e sollecitare molteplici strategie rappresentative e comunicative, in linea con i documenti nazionali e internazionali.

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3. Si potrebbero configurare piste di formazione e autoformazione che abbiano il vantaggio di far acquisire ai docenti non solo la consapevolezza della propria visione della matematica, ma anche quella delle possibili molteplicità di queste visioni. (Zan, 2010, p. 272).

Consideriamo anche che la difficoltà di introdurre curricula innovativi nelle scuola è spesso motivata da una mancata analisi preliminare che curi l’acquisizione delle convinzioni implicite ed esplicite di noi docenti; ciò, di fatto, condiziona le nostre decisioni didattiche.

E’ importante partire dalle nostre storie professionali e garantire percorsi formativi ed autoformativi più efficaci, per poter conseguire un buon successo, come inse-gnanti di matematica professionisti, autoriflessivi, in cammino

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