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Il teatro documentario di Moises Kaufman: traduzione e commento di Gross Indecency: The Three Trials of Oscar Wilde

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE 2 CAPITOLO I

I.I Wilde nella cultura contemporanea: trattamenti drammaturgici dell'aspetto

biografico 4

I.II Il teatro documentario 16

I.III Gross Indecency: il processo creativo

I.III.I Il metodo di lavoro 28

I.III.II Scrittura drammatica e scrittura scenica 30

CAPITOLO II

II.I Tradurre per il teatro 50

II.II Tradurre Gross Indecency: The Three Trials of Oscar Wilde 55

CAPITOLO III

Traduzione Gross Indecency: The Three Trials of Oscar Wilde 69

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INTRODUZIONE

Questa tesi di laurea magistrale si incentra sulla traduzione di un'opera teatrale di Moisés Kaufman dal titolo Gross Indecency: The Three Trials of Oscar Wilde. L'opera, come si evince già dal titolo e come si avrà modo di approfondire nel primo capitolo, è un adattamento teatrale dei processi di Oscar Wilde tenutisi a Londra nel 1895. Il lavoro di traduzione e di approfondimento contestuale mi ha permesso di dedicarmi a uno degli autori più letti e conosciuti e, contemporaneamente, di esplorare un territorio che mi ha da sempre affascinato: quello del teatro.

La tesi si articola su tre capitoli: nel primo si analizza il genere della biografia drammatizzata, in particolare in relazione alla figura di Oscar Wilde. Oltre a Gross Indecency, si sono prese in considerazione altre due opere teatrali e un'opera cinematografica, con lo scopo di mettere in evidenza i diversi punti di vista e le differenti tecniche narrative utilizzate, specialmente nelle opere teatrali, per il trattamento della figura di Wilde e la maniera in cui essa può servire come punto di partenza per approfondire altre tematiche. Le opere teatrali prese in esame sono The Invention of Love di Tom Stoppard e Saint Oscar di Terry Eagleton, insieme al film biografico Wilde, di Brian Gilbert.

Segue un excursus sulla nascita del teatro documentario, sui suoi sviluppi e sulle caratteristiche dei “sottogeneri” ad esso connessi, come il verbatim theatre e i tribunal plays. In questa parte dedicata al teatro documentario si segue una delle possibili direttrici secondo cui questo genere di teatro nasce e si sviluppa. Sono molti infatti gli autori che contribuiscono all'evoluzione del teatro documentario e trattarli tutti avrebbe esulato dalle finalità di questo lavoro. Si è perciò cercato di analizzare quelli più direttamente connessi con l'opera di Kaufman e di chiarire le intersezioni tra le molteplici correnti appartenenti al teatro documentario, da quella tedesca, a quella inglese a quella americana. Questo approfondimento storico sul teatro documentario si è reso necessario per comprendere meglio la qualità dell'opera di Kaufman in quanto essa, pur appartenendo a questo genere di teatro, si caratterizza per il fatto di essere un'opera ibrida, che accoglie al suo interno anche tecniche del

verbatim e che si ricollega con la tradizione dei tribunal, o meglio dei trial plays.

Prima di entrare nel vivo dell'opera di Kaufman vengono fornite al lettore alcune informazioni sulla collaborazione del regista con Tectonic Theatre Project, la compagnia teatrale della quale Kaufman è il fondatore e con la quale rappresenta Gross Indecency. Infine, si presenta un'analisi puntuale del testo preso in esame: vengono chiariti i motivi che hanno spinto

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Kaufman a scrivere un'opera sui processi di Oscar Wilde per passare, in seguito, all'analisi del contenuto dell'opera, funzionale a mettere in risalto i metodi impiegati dal drammaturgo per la creazione del copione, oltre agli elementi distintivi del play. Infine, si analizzano le tecniche teatrali e i metodi di rappresentazione impiegati da Kaufman, riguardo ai quali egli stesso fornisce delle indicazioni nelle note all'opera.

Nel secondo capitolo è contenuto il commento traduttivo, articolato in due parti. Nella prima vengono fatte alcune considerazioni su cosa voglia dire tradurre per il teatro. Infatti quando ci si appresta a tradurre un testo teatrale bisogna tenere in considerazione determinati elementi che guidano poi il traduttore verso scelte traduttive consapevoli. Per tale ragione, si è reso necessario un approfondimento sulle specificità del testo teatrale che consente di comprendere i criteri adottati per la traduzione di Gross Indecency: The Three Trials of Oscar

Wilde, descritti nella seconda parte del capitolo. Nella sezione traduttologica più direttamente

inerente al lavoro condotto sul testo di Kaufman si giustificano le scelte traduttive riguardanti i diversi registri che si intrecciano all'interno dell'opera, l'utilizzo dei pronomi allocutivi, sistema che si è scelto di ricostruire in base a quelli in uso in Italia alla fine dell'Ottocento, la traduzione dei deittici, oltre all'analisi di alcune scelte traduttive legate alla terminologia legale. Infine, si discutono le problematiche relative al titolo dell'opera, di cui la traduzione finale è Gross Indecency: Oscar Wilde a giudizio.

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CAPITOLO I

I.I Wilde nella cultura contemporanea: trattamenti drammaturgici dell'aspetto biografico

Tradizionalmente, le biografie hanno lo scopo di ricostruire la vita di un personaggio basandosi sulla conoscenza e sullo studio meticoloso di materiale documentario di varia natura, ordinato secondo un criterio preciso di causa-effetto all'interno di una struttura narrativa. Ma spesso una struttura narrativa che segue una logica razionale nel suo sviluppo non è il modo migliore per descrivere le variopinte esistenze di certi personaggi. Organizzare secondo una struttura lineare le complesse esistenze di alcuni personaggi con lo scopo di comprendere e spiegare i tratti caratterizzanti delle loro vite può a volte occultare la verità anziché rivelarla. Nonostante ciò, la biografia è una delle più usate e popolari forme di narrativa e, in particolare nel XIX secolo, ha conosciuto un forte incremento di produzione e uno spiccato successo di cui continua tutt'oggi a godere. Come spiega Lindsay Adamson Livingston, nel suo articolo “To Be Said to Have Done It Is Everything”1, il genere biografico ha riscosso un ampio successo, non solo in letteratura, ma anche a teatro. Il teatro ha infatti permesso di ampliare i confini di un genere che sotto certi aspetti non era pienamente in grado di mettere in luce tutte le caratteristiche, e le contraddizioni, di alcune esistenze che si proponeva di descrivere. L'unione di biografia e teatro è meglio indicata con il termine

biodrama, genere che, come sottolinea la Livingston, mette in scena la vita di un personaggio

realmente esistito, attorno alla quale ruota tutta l'azione. L'autrice sottolinea le molteplici possibilità che il teatro offre nella costruzione del sé, sulla cui base si forma la rappresentazione biografica:

Biodrama that challenges narrativity in some way [...] can offer the possibility for a new kind of subject to emerge from biography: the embodied and textual self, a self composed not of a linear chronological narrative rooted in psychological archaeology, but rather the contested and unfinished self as a site of multivalent subjectivities.2

1 Livingston L.A., “'To Be Said to Have Done It Is Everything': The Theatrical Oscar Wilde and Possibilities

for the (Re)Construction of Biography”, Auto/Biography Studies, Volume 24, N.1, Summer 2009, pp.15-33.

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È proprio dalla decostruzione della logica narrativa che possono quindi nascere molteplici possibilità di significato e di analisi, proprio perché a volte l'esistenza di un individuo non è composta da una successione ordinata di eventi ma è caotica, disordinata, incomprensibile, così come lo sono i personaggi che abitano quelle vite. A ciò si aggiunge il fatto che la rappresentazione teatrale, che nasce dall'interazione tra i molteplici elementi che la compongono (non solo quindi il testo, ma anche le luci, i suoni, la gestualità e il timbro della voce), può offrire l'opportunità di fare emergere le molteplici sfaccettature dell'esperienza individuale grazie alla sua natura di performance. Come spiega ancora la Livingston: “Because performance is, by its very nature, a 'doing', it often grapples with issues of textuality and embodiment in ways that other biographical forms cannot”3.

Un personaggio che ha conosciuto un successo inarrestabile sin dalle prime pubblicazioni delle sue opere è proprio Oscar Wilde. Una figura complessa, quella di un artista che non aveva timore di esprimere le proprie idee, quella di un uomo che era riuscito a fare dell'arte la sua vita e della vita un'arte. Numerosi sono gli adattamenti teatrali e cinematografici ispirati, non solo all'opera di Wilde, ma anche alla vita dello scrittore, fin da subito oggetto di riscritture e caricature. Basti ricordare le opere biografiche sul personaggio affascinante e scandaloso di Wilde redatte da coloro che lo avevano conosciuto in vita, come

My Friendship with Oscar Wilde (Londra 1911) di Lord Alfred Douglas, o The Life and Confessions of Oscar Wilde (New York 1919 e Londra 1928) di Frank Harris, per citare solo

alcune delle più note, mentre la pubblicazione del libro The Trials of Oscar Wilde4 di H. Montgomery Hyde (Londra 1948) sui processi a Oscar Wilde ha originato diverse pellicole, fra le quali l'omonima The Trials of Oscar Wilde (1960) diretta da Ken Hughes. In fondo tutta questa produzione, quale che ne sia il segno, finisce per assumere un carattere celebrativo nei confronti dello scrittore irlandese il cui desiderio era che si parlasse sempre di lui, nel bene o nel male. Esteta, saggista, conferenziere, poeta e drammaturgo, Wilde era la celebrità del suo tempo, ammaliava e conquistava chiunque lo ascoltasse, ma il processo e l'infamia cancellarono in poco tempo tutto questo. Il nome di Wilde divenne impronunciabile e le sue opere vennero considerate come storielle di un autore minore. Ma già intorno agli anni ottanta del Novecento si assiste a una clamorosa inversione di tendenza: la tragedia di cui Wilde si ritrovò protagonista inizia ad attirare l'attenzione e la curiosità di molti studiosi. L'interesse

3 Ivi, p.16.

4 Esistono anche altre edizioni tra le quali The Three Trials of Oscar Wilde, New York, University Books,

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nei confronti di Wilde raggiunge un picco di intensità con il centenario dei processi e della successiva liberazione e morte dello scrittore. Compaiono sulla scena numerose opere teatrali che prendono come punto di partenza Wilde e la sua vita complessa e, durante la stagione del 1997-98, il personaggio Wilde appare sia al cinema, nel film Wilde diretto da Brian Gilbert, sia a teatro con The Invention of Love di Tom Stoppard e Gross Indecency: The Three Trials

of Oscar Wilde di Moisés Kaufman, nelle quali la figura dello scrittore viene trattata da punti

di vista e secondo tecniche narrative differenti. Queste opere, in particolare le due teatrali, mirano a mettere in discussione le nozioni convenzionali di storia, identità e realtà, smantellando la narrazione biografica tradizionale e mettendo in primo piano la figura di un Oscar Wilde che si potrebbe definire tridimensionale, dotato di una profondità prospettica che apre alla possibilità di più interpretazioni. In Gross Indecency, attraverso la continua citazione di documenti storici e accademici, ci viene presentato un Wilde che è personificazione di quei testi stessi, e che nasce direttamente dalle sue parole e da quelle che gli altri dicono su di lui. In The Invention of Love Wilde, che non è il protagonista, diviene la caricatura di se stesso e riesce anche dagli inferi a professare le virtù dell'arte per l'arte. Nel film biografico di Gilbert vengono messi in risalto, forse anche con troppa enfasi in certi punti, i manierismi e gli stereotipi caratteristici del personaggio Wilde, il quale si esprime spesso per aforismi: la sua omosessualità, il suo culto per la giovinezza e la sua debolezza nei confronti di Douglas, debolezza che lo porta alla tragedia finale, sono gli elementi centrali nel film. Una tematica affrontata più tangenzialmente è quella dell'irlandese in Inghilterra, che si capta dalle parole di Lady Speranza e da alcune battute di Oscar Wilde, come quella in qui afferma che “scappare sarebbe da inglese”. La storia ruota intorno all'omosessualità di Wilde e ai processi, racconta di come lo scrittore venga iniziato all'omosessualità dall'amico Robbie Ross, dell'amicizia pericolosa con Lord Alfred Douglas, fino ad arrivare ai processi che lo condurranno in carcere e ai lavori forzati. L'Oscar Wilde del film racchiude in sé molti stereotipi sul personaggio che hanno contribuito a farne una leggenda, ma ne sottolinea anche i tratti più umani, come l'amore verso i figli e i sensi di colpa per averli, in un certo senso, abbandonati. Sono sempre in primo piano il desiderio e la passione nutriti per Lord Douglas, come anche il carattere egoista e capriccioso del ragazzo, al quale fa da contraltare la riservatezza e il sincero, incondizionato affetto di Ross. Una scelta considerata azzeccata da molti critici è stata quella di scegliere Stephen Fry per vestire i panni di Oscar Wilde: non solo la somiglianza fisica fra i due è eccezionale, ma anche Fry, come Wilde, è gay e ha passato un periodo in carcere (anche se per truffa con carta di credito)5.

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The Invention of Love di Stoppard va in scena al National Theatre nel 1997 e viene in

seguito trasferito a Broadway. Come ho accennato in precedenza, il protagonista non è Oscar Wilde, bensì Alfred Edward Housman, filologo latino e poeta vittoriano, annoverato nelle antologie tra gli autori “minori”, nonché insigne filologo greco e latino alle università di Londra e Cambridge. Housman sceglie di non vivere se non attraverso i classici greci e latini, nei quali è racchiusa la bellezza assoluta, e incarna l'antitesi della vita intesa come forma d'arte, come ricerca del piacere fine a se stesso. L'unico piacere che si concede il filologo è quello della lettura e dello studio dei classici, dei quali è profondo conoscitore. Anche Housman, come Wilde, è omosessuale ma la sua è un'omosessualità intima, privata, difesa e nascosta fino alla fine. Egli sottolinea spesso, nel corso dell'opera, quanto la sua vita sia stata solitaria e si intuisce lo sforzo con il quale cerca di nascondere il suo amore non corrisposto per Moses Jackson, anch'egli personaggio dell'opera, il quale, probabilmente inconsapevole dell'omosessualità dell'amico, abbandona Housman, non ricambiando le attenzioni del poeta, che è costretto a lasciarlo andare e a rassegnarsi a vivere senza di lui. Il sentimento intimo, riservato e discreto del filologo fa da contraltare a quello esibito e auto-celebrato di Oscar Wilde, il quale, per aver offeso la morale filistea dell'Inghilterra fin de siècle, sarà costretto a scontare due anni di carcere ai lavori forzati. L'omosessualità, nell'opera di Stoppard, c'è e a volte la si pronuncia persino apertamente, traspare dai riferimenti ai latini e ai greci, dalle poesie di Catullo, dalle parole di Pater, da quelle di Ruskin, il quale parlando del movimento estetico afferma, non senza ironia:

L'Estetica era appena arrivata dalla Germania, ma non si aveva idea che comportasse un modo di vestire appariscente, come per le divise dei Pompieri di Londra; né che avesse un qualsiasi rapporto con l'eccessiva ammirazione per la bellezza fisica maschile che portò alla decadenza della Grecia. Ma fu solo negli anni Sessanta che la depravazione morale si pose sotto la malefica protezione della sregolatezza artistica e si reclamizzò come fatto estetico. Prima il comportamento contro natura si lasciava generalmente fuori dalla scuola, come il football.6

Un collegamento, quindi, tra gli studi classici e l'omosessualità e tra la depravazione e l'artista, in particolare l'esteta. Lo stesso Jackson attribuisce i rimproveri di Housman e Pollard per la sua pronuncia latina al fatto che questi non hanno mai baciato una ragazza e aggiunge

p.421.

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anche che “le ragazze che baciano non sanno il latino”7. Dalle parole dei personaggi si intuisce che lo studio dei classici era considerato come un incentivo ad avere determinante inclinazioni e comportamenti: nell'Antica Grecia “l'omosessualità” era tollerata e non destava nessuno stupore, in quanto i greci nell'amore cercavano il bello, indipendentemente da chi amavano.

Nella pièce di Stoppard, Housman ha settantasette anni e sta aspettando sulla riva dello Stige il suo traghettatore, Caronte. In un'atmosfera dantesca e dal surrealismo quasi beckettiano, per mezzo di una narrazione costruita su dialoghi eruditi e ironici allo stesso tempo, si crea un collegamento onirico tra gli inferi mitologici e l'università vittoriana di Oxford, di cui si sottolinea la deludente preparazione di alcuni insegnanti e in cui gli studenti non si recano per farsi una cultura, ma per giocare a croquet o per fare canottaggio. Così Housman ritrova se stesso da giovane, ritrova il suo amato Jackson, l'amico Pollard, e, alla fine dell'opera, conversa con Oscar Wilde. Quest'ultimo però non arriva in sordina. Egli viene indirettamente nominato già dalla metà dell'opera, attraverso le parole di Ruskin, che ricorda il suo “pupillo” mentre lavorava alla costruzione di una strada, o degli altri personaggi che conversano sull'estetismo, sulla legge Labouchere sull'omosessualità e lo indicano come “l'uomo più spiritoso di Oxford” e persino come un “invertitore”8. Bisogna aspettare la fine dell'opera per vedere Wilde sulla scena in carne e ossa, e allora lo si potrà ascoltare mentre afferma che l'aver mescolato la sua vita e la sua arte è stato un successo incondizionato9 e proclama apertamente il suo amore e la sua devozione per Bosie, che dice essere la sua passione, la sua poesia. L'opera si costruisce in un'alienante atmosfera alla Tre uomini in

barca (per non parlare del cane) il cui autore, Jerome K. Jerome, è lo stesso che, secondo le

parole di Housman, nel dicembre 1894 attacca la rivista di Oxford, Chameleon, sulla quale Oscar Wilde aveva pubblicato qualche aforisma, affermando che lo scopo della rivista “pareva quello di patrocinare la tolleranza per le smanie di una perversione contro natura”10. Pare sia stato a causa di tale critica che il padre di Lord Douglas, il marchese di Queensberry, decide di lasciare un biglietto all'Albemarle Club, in cui accusa Wilde di “posare a somdomita”. In quest'opera Wilde fa da contraltare al personaggio di Housman: i due impersonano due scelte di vita differenti, due modi diversi di vivere l'amore, due distinte visioni dell'arte. Oltre a ciò,

7 Ivi, p.55 8 Ivi, pp.60-61. 9 Ivi, p.168. 10 Ivi, p.174.

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Stoppard si serve di Wilde per formulare degli interrogativi sulla natura di quella che la Livingston, nell'articolo già menzionato, definisce come “gossip-induced biography”11, mettendo in discussione la capacità di produrre una verità oggettiva. Quelli di Stoppard sono tutti personaggi realmente esistiti, testimoni dell'arrivo all'università di Oxford del movimento estetico, eufemismo di omosessualità e fatto risalire agli antichi greci. Nel viaggio che ci propone Stoppard personaggi come Housman, storicamente noto ma considerato secondario dai critici, risalgono dagli inferi dell'oblio ed entrano a far parte della memoria letteraria e artistica. The Invention of Love descrive la vita di figure storiche reali attraverso una rappresentazione teatrale, quindi artistica e in particolare biografica, che si fa unione di vita e arte. L'Oscar Wilde di Stoppard, come accennato in precedenza, è caricatura di se stesso; il drammaturgo mette in discussione la veridicità di tale immagine attraverso commenti sulla natura della verità e della biografia, a proposito delle quali sono emblematiche le parole di Wilde: “L'arte non può essere subordinata al soggetto che tratta, altrimenti non è arte ma biografia, e la biografia è una rete dalle cui maglie sfugge la vita reale”12. Probabilmente queste parole riassumono in breve anche l'opinione di Stoppard, il cui scopo è, come afferma Lindsay Adamson Linvingston, non quello di scrivere una biografia ma di fare arte13. In altre parole, si afferma che la biografia da sola non riesce a catturare la vita di un individuo, perché si basa sui fatti e sulla verità, non sulla realtà. Come afferma Wilde nel suo saggio The Decay

of Lying: “There is such a thing as robbing a story of its reality by trying to make it too

true[...]”14. Per Wilde è infatti l'immaginazione quella forza straordinaria capace di trasformare il grigiore della vita in arte, e che trova nella verosimiglianza, non nel vero, il suo maggiore potenziale cognitivo.

Infine, Rita Cirio, nell'introduzione a The Invention of Love, mette in risalto l'anamorfismo insito nelle opere di Stoppard, una strategia tipica dell'autore che consiste nello scegliere come punto di partenza una prospettiva diversa da quella centrale, da quella standard, in modo da costringere lo spettatore, o lettore che sia, a partecipare alla costruzione di significato 11 Livingston L.A., “'To Be Said to Have Done It Is Everything': The Theatrical Oscar Wilde and Possibilities

for the (Re)Construction of Biography”, Auto/Biography Studies, Volume 24, N.1, Summer 2009, p.27

12 Stoppard T., L'invenzione dell'amore, trad. Terzi L., Palermo, Sellerio editore, 1999, p. 164.

13 Livingston L.A., “'To Be Said to Have Done It Is Everything': The Theatrical Oscar Wilde and Possibilities

for the (Re)Construction of Biography”, Auto/Biography Studies, Volume 24, N.1, Summer 2009, p.27.

14 The Decay of Lying, in Foreman F.B. (General editor), Complete Works of Oscar Wilde, London and

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dell'opera partendo da un punto di vista diverso da quello convenzionale. Questo spiega anche la scelta di una focalizzazione affidata a personaggi minori, una scelta che, come fa notare sempre Rita Cirio, diventa provocatoria in un'epoca in cui “la televisione ha assuefatto chi guarda ad avere una visione obbligata delle cose, sempre in prima fila, centrale, inesorabile”15. Stoppard utilizza spesso questa strategia nella riscrittura di grandi classici e un altro esempio noto lo si ritrova in Rosencrantz e Guildernstern sono morti, in cui la storia di Amleto è vista attraverso gli occhi di due personaggi minori, a cui è dato morire, in Stoppard, da protagonisti. Allo stesso modo in The Invention of Love l'autore, come si è detto, sovverte le gerarchie in cui gli spettatori sono abituati a veder collocati determinati personaggi, restituendoli attraverso la forma di pastiches elaborati e colti.

Di tutt'altro genere è l'approccio di Moisés Kaufman in Gross Indecency: The Three

Trials of Oscar Wilde16. A differenza dell'opera di Stoppard, l'atmosfera in cui si svolge Gross

Indecency non ha nulla di onirico, è in questo senso più realistica, anche se non mancano i

flashback e la narrazione è interrotta di continuo, tecnica che sicuramente è dovuta alla contaminazione del cinema e senz'altro a Brecht. Lo spettacolo debutta nel febbraio del 1997 al Greenwich House Theatre di New York e viene in seguito trasferito al Minetta Lane Theatre. Kaufman, che non nasconde di essere particolarmente devoto al teatro brechtiano, impiega sistematicamente la tecnica dello straniamento; in primo luogo sul piano della recitazione, attuando il precetto per cui l'attore non deve immedesimarsi nella parte per evitare di coinvolgere emotivamente il pubblico. Gli spettatori, a loro volta, non devono nutrire sentimenti di empatia nei confronti dei personaggi, ma devono essere lasciati liberi di crearsi una propria opinione su ciò a cui stanno assistendo, opinione dettata dalla ragione e non dall'emotività dei sentimenti. Ogni qual volta un attore di Gross Indecency cita un brano da un libro o da un giornale, mostra l'oggetto fisico al pubblico in modo da renderlo sempre consapevole del fatto che tutto ciò che si sta rappresentando sul palcoscenico proviene direttamente da una fonte documentaria. Di conseguenza, da un lato si scoraggia l'immedesimazione nella vicenda rappresentata, dall'altro si induce lo spettatore a interrogarsi sull'attendibilità delle fonti. In una edizione di Gross Indecency diversa da quella qui utilizzata, l'autore indica nelle sue note all'opera che ci sono essenzialmente due fattori da

15 Stoppard T., L'invenzione dell'amore, trad. Terzi L., Palermo, Sellerio editore, 1999, p.9.

16 Kaufman M., Gross Indecency:The Three Trials of Oscar Wilde, New York, Dramatists Play Service Inc.,

1999.

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notare e tenere in considerazione per quanto riguarda le citazioni17: quando i brani citati provengono da opere differenti dello stesso autore è menzionato solo il primo libro; inoltre con il progredire dell'opera e il determinarsi di sempre più negativi risvolti nella vicenda processuale di Oscar Wilde, anche le citazioni si indeboliscono.

Tornando al ruolo degli spettatori, è la qualità contraddittoria del materiale citato che li invoglia a partecipare attivamente nella costruzione del significato, oltre a incentivarli a una personale interpretazione dei processi e della storia di Wilde. Ciò si ricollega direttamente alla motivazione che ha portato Kaufman a scrivere un testo teatrale sui processi a Oscar Wilde. Egli afferma, nell'introduzione all'opera, di non voler raccontare la storia ma una storia, una versione di ciò che veramente accadde, perché in realtà esistono tante versioni quanti sono i personaggi coinvolti nella vicenda: “[...] I found that there were as many versions of what had occurred at the trials as there were people involved. George Bernard Shaw, Lord Alfred Douglas, Frank Harris, Oscar Wilde, each told a very personal, sometimes very different, story of what happended”18. Una delle problematiche che Kaufman deve affrontare riguarda il fatto che non si ha mai una versione definitiva di una storia ma, più sono le persone coinvolte nella vicenda, più versioni si avranno. Le discrepanze tra alcune di queste versioni dipendono dal ruolo che ha il personaggio nell'evento, se è per esempio uno dei diretti interessati o un “testimone” della vicenda, dipendono dal trascorso culturale e da molti altri fattori che influiscono nella creazione delle verità personali. Nessuna di queste è necessariamente falsa, semplicemente la storia viene filtrata attraverso la percezione individuale. Considerando che uno degli scopi del teatro documentario è quello di fornire una visione più completa possibile di un dato evento, è naturale che Kaufman, per rispettare questo obiettivo, debba necessariamente cercare di inglobare tutti i punti di vista conosciuti, o disponibili, che, uniti, vanno a formare una versione di un determinato evento. Lo stesso Kaufman lo spiega nell'introduzione a Gross Indecency: “It seemed to me that any legitimate attempt to reconstruct this historical event had to incorporate, in one way or another, the diversity of accounts”19. Kaufman mette in luce la soggettività, e la contraddittorietà, di ogni “verità” storica con il fine di fornire una versione capace di convogliare quanti più aspetti possibili di ciò che sta rappresentando.

Un esempio cinematografico che ci fa riflettere sull'incapacità di ottenere una versione oggettiva e imparziale dei fatti è Rashomon, film di Akira Kurosawa, in cui la storia 17 Kaufman M., Gross Indecency: The Three Trials of Oscar Wilde, London, Vintage, 1998.

18 G.I., p.7. 19 Ibidem.

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dell'omicidio di un samurai è raccontata più volte e ogni volta filtrata attraverso gli occhi di coloro che avevano partecipato al fatto e ne erano stati i testimoni. Il carattere discordante delle diverse versioni è l'evidente prova dell'impossibilità da parte dell'uomo di guardare in modo oggettivo a ciò che gli accade. Kaufman rappresenta i processi utilizzando testi altrui redatti da coloro che avevano partecipato all'evento o avevano conosciuto Wilde. Tenendo presente che i verbali dei processi non sono mai stati pubblicati ufficialmente perché ritenuti scabrosi e compromettenti, come è possibile, quindi, raccontare e rappresentare ciò che veramente accadde durante i processi senza correre il rischio di contaminare la storia con la propria versione dei fatti? Kaufman cerca di rispondere a questo interrogativo, o meglio lo consegna al pubblico stimolando una riflessione più profonda, senza dimenticare che per storia si intende non un insieme ordinato di eventi, ma un amalgama di versioni discordanti e contraddittorie. Il teatro, che ha il merito di saper comunicare attraverso diversi canali, quello visivo, sonoro, gestuale, e in cui la rappresentazione non è mai due volte la stessa, permette di interrogarsi sulle possibilità offerte dai diversi modi di rappresentare una biografia, in cui il soggetto fisico sul palcoscenico è solo il punto di partenza, un collegamento che ci permettere di spostarci su altri piani. Kaufman fa un collage di testi provenienti da fonti diverse, ai quali aggiunge, all'inizio del II atto, un'intervista a Marvin Taylor, il quale a sua volta espone il proprio punto di vista contemporaneo sui processi e sul “progetto” di Wilde: “Oscar's project was less about sodomy, I think, and more about art, about aestheticism. Wilde was less interested in admitting that he had sex with men than he was interested in expressing his own intellectual ideas, his ideas about beauty and about art”.20 Taylor sostiene infatti la priorità di altri fattori incriminanti sulle accuse di sodomia, fattori quali il ruolo dell'irlandese in Inghilterra, il ruolo dell'arte e dell'effeminatezza in una società, quella vittoriana, regolata da falsi moralismi e atteggiamenti ipocriti. Con Wilde venne infatti condannata la sua arte, un'arte fondata sui piaceri della vita, sul principio dell'arte per l'arte, che conduceva, secondo i contemporanei dello scrittore, alla decadenza e all'immoralità. Il discorso di Taylor permette agli spettatori di riflettere sulla vicenda di Wilde da un altro punto di vista ancora, un punto di vista contemporaneo, quello di uno studioso, tra l'altro anch'egli omosessuale. Quella di Taylor si potrebbe definire una versione più lucida di ciò che accadde, rispetto alle precedenti testimonianze. Egli può guardare a tutta la vicenda da osservatore esterno, basandosi anche sui numerosi studi condotti su Wilde e sull'epoca vittoriana.

Anche se è precedente alla stagione teatrale alla quale appartengono le opere sopraccitate, è opportuno includere in questa breve rassegna un'altra pièce come riprova del 20 G.I., p.50.

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fatto che la figura di Wilde può essere utilizzata come punto di partenza per analizzare e riflettere su problematiche quali quelle politiche e sociali, sempre legate alla figura di Wilde, ma particolarmente esplicitate in quest'opera dal taglio così diverso rispetto alle precedenti trattate. L'opera in questione è Saint Oscar di Terry Eagleton, messa in scena per la prima volta da Field Day Theatre Company a Derry il 25 settembre 1989. Field Day era una compagnia teatrale itinerante fondata nella città nord-irlandese di Derry nel 1980. Rivestì un ruolo non solo artistico e culturale, ma anche politico molto importante perché, operando durante gli anni più aspri del conflitto in Ulster, intendeva partecipare alla ridefinizione dell'identità irlandese, contribuendo inoltre a risolvere la crisi del Nord Irlanda attraverso la produzione di alcuni spettacoli teatrali. Tra questi vi è proprio Saint Oscar di Eagleton che, pur non essendo ambientato durante l'epoca dei conflitti, si svolge in uno scenario di ridefinizione politica e culturale. L'autore è irlandese come Wilde, ed è proprio sulla Irishness che si incentrano la rilettura e la ricreazione che Eagleton fa dello scrittore e drammaturgo. Nella prefazione all'opera, l'autore rivela di aver deciso di scrivere su Wilde dopo essersi reso conto che molti dei suoi studenti ignoravano la sua origine irlandese; dopo aver scartato la forma del saggio critico, scelse di scrivere un'opera teatrale, spiegando tale scelta con queste parole: “come Wilde ha rubato le forme artistiche della lingua inglese e le ha piegate ai propri fini, così io avrei tentato di rovesciare le sue parodie teatrali su di lui, cercando il modo di reinventarlo senza citarlo alla lettera, per quanto è possibile”21. Addentrandosi nel proprio lavoro di riscrittura, Eagleton si rende conto di quanto, secondo la sua lettura, colonialismo e modernismo siano due aspetti strettamente connessi, e in particolare come l'origine irlandese di Wilde abbia favorito la sua considerevole anticipazione di parte della teoria letteraria odierna. Bisogna tener presente che Eagleton è un intellettuale, un teorico e critico letterario, noto principalmente per i suoi saggi, fra i quali uno dei più noti è Literary Theory: An

Introduction (1983), in cui si occupa di delineare le maggiori teorie letterarie, dallo

strutturalismo degli anni sessanta del Novecento, al decostruzionismo odierno. Riguardo alla stretta connessione tra colonialismo e modernismo, Eagleton afferma nella prefazione a Saint

Oscar: “[...] le idee di parecchi dei principali teorici d'avanguardia del nostro tempo devono

essere viste nel contesto della loro condizione sociale di emarginazione, in quanto ex-coloni (Jacques Derrida), donne (Julia Kristeva) o omosessuali (Barthes, Foucault)”22. Come tali, essi vivono una perenne crisi d'identità, non sanno e non possono risalire alle loro radici culturali poiché esse sono il frutto di una contaminazione che si è perpetrata nei secoli. Per Eagleton, 21 Eagleton T., Saint Oscar, trad. Lombardo E., Rimini, Panozzo Editore, 2000, p.25.

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coloro che hanno alle spalle una storia di oppressione coloniale hanno difficoltà a identificarsi con forme di rappresentazione stabili, e vanno invece alla ricerca di un qualcosa che possa rispecchiare il fatto che essi siano un prodotto contraddittorio e “multiculturale”, rivolgendo la loro ricerca verso forme d'arte che non siano rigide, che non forniscano un'interpretazione obbligata, ma più interpretazioni libere: “per questo come per altri versi esiste un patto segreto tra sperimentazione artistica e speculativa ed esperienza del colonialismo, un patto ancora molto in evidenza oggi”23, afferma sempre Eagleton. Egli si serve di Wilde per esplorare la sua stessa personalità, esaminando la duplicità dello scrittore simbolo del movimento estetico che viene celebrato ed esaltato dalla classe dominante inglese grazie a doti che lo stesso Eagleton definisce più di matrice irlandese che inglese, ed è anche a questo strano paradosso che si deve l'origine di Saint Oscar. Il Wilde di Eagleton insiste spesso sul proprio ibridismo razziale e sessuale, tant'è che in un dialogo con la madre, Lady Wilde e Irlanda al tempo stesso, questa gli dirà: “Non creerai mai niente senza radici, Oscar”24. Il tema della doppia identità ricorre in tutta l'opera: Eagleton è il doppio di Wilde e viceversa; entrambi irlandesi in Inghilterra, entrambi provenienti dalle campagne e sistemati “nel ventre della bestia”, come Eagleton definisce Oxford25. Saint Oscar si presenta come una commedia divisa in due atti, ognuno dei quali è introdotto e chiuso da una ballata che, secondo Giovanna Franci, si colloca a metà “fra le canzoni dei pubs irlandesi e i cori della tragedia greca”26. L'opera è incentrata sull'ultimo periodo di Wilde, dai processi alla morte nel 1900, e si apre con una parte in cui il poeta presenta se stesso al pubblico e narra la propria vita attraverso un'esplicita parodia di

The Importance of Being Earnest; a ciò segue un lungo dialogo con la madre in cui si

mescolano elementi biografici e riferimenti intertestuali. Nel II atto Wilde è in tribunale, dove deve rispondere delle proprie azioni. L'interrogatorio, che teoricamente è quello svoltosi durante il primo processo, ma che include anche elementi dei processi successivi, è condotto da Edward Carson, l'avvocato del marchese di Queensberry. Le considerazioni di quest'ultimo e le acute e ironiche risposte di Wilde mettono in luce due opposte concezioni sull'arte e sulla politica, che culminano nei monologhi finali in cui la retorica moralistica di Carson ha la meglio sul discorso di Wilde, secondo il quale “nessun irlandese può ricevere un giusto

23 Ivi, p.27. 24 Ivi, p.59. 25 Ivi, p.23. 26 Ivi, p.14.

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verdetto in un tribunale inglese, perché gli irlandesi sono prodotti dell'immaginazione inglese”27. Subito dopo Wilde si ritrova in carcere, dove riceve la visita di Bosie. Durante il periodo di reclusione Wilde attraversa un percorso di purificazione, alla fine del quale potrà collocarsi tra i santi dato che “nella gerarchia della Chiesa ci sono in cima i peccatori, poi i santi, poi gli apostati e infine i semplici fedeli”28; da qui il titolo dell'opera. Alla fine Wilde è a Parigi dove, uscito dal carcere, solo e in miseria, conversa con Richard Wallace prima, e poi con Carson. Durante la conversazione con quest'ultimo, suonano come emblematiche le parole di Wilde: “Io difendo l'Irlanda con accento inglese. Tu difendi la Corona con accento di Dublino. Tutto rovesciato”29.

Il Wilde di Eagleton è a volte anacronistico e si esprime spesso in un linguaggio diretto, privo della raffinatezza e dell'acuta capacità ammaliatrice che si ritrova nel Wilde di Kaufman, un linguaggio a volte parodia di se stesso, come quello del dialogo con Bosie, attraverso il quale Eagleton riesce a reinventare il personaggio di Wilde senza, appunto, citarlo alla lettera. Proprio il linguaggio è una delle spie che permettono di distinguere l'Oscar Wilde di Kaufman, quello originale, citato alla lettera, da quello di Eagleton, reinventato e sintesi di arte, politica e letteratura. Quello di Eagleton è infatti anche un Wilde politico, nel senso più essenziale del termine; come afferma l'autore lo è “in un modo che supera di gran lunga le categorie impoverite della democrazia parlamentare. […] È un radicale perché non prende niente sul serio, si preoccupa solo della forma, dell'apparenza e del piacere ed è religiosamente votato alla gratificazione”30.

27 Ivi, p.149. 28 Ivi, p.159. 29 Ivi, p.191. 30 Ivi, p.29.

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I.II Il teatro documentario

Il teatro documentario nasce come risposta alle crisi politiche e sociali di un'epoca e si pone come scopo primario quello di ispirare nei suoi spettatori domande e interrogativi critici sulla storia, sulla giustizia e sulla società, con l'intento di stimolare una riflessione capace, nel migliore dei casi, di portare a un cambiamento fuori dalle mura del teatro. Il teatro documentario si basa su fatti realmente accaduti che vengono portati in scena dopo un impegnativo lavoro di documentazione da parte del regista e degli attori. Essi si dedicano infatti a ricercare e raccogliere la documentazione ufficiale sull'evento che vogliono rappresentare, come filmati, fotografie, trascrizioni stenografiche, articoli di giornali, registrazioni di interviste, in breve tutto ciò che possa garantire attendibilità alla storia. In questo modo, attraverso il trattamento creativo dei suddetti documenti, si possono rendere accessibili al pubblico dei dettagli importanti su determinati eventi storici che hanno contribuito a segnare un'epoca.

Philip Rosen, citato da Janelle Reinelt in Get Real31, ha redatto una genealogia dei termini “documento” e “documentario”, individuando in che modo questi si sono evoluti nel tempo. Dalla metà del XV secolo, infatti, la parola “documentario” assume un doppio significato, riferendosi da un lato all'insegnamento e all'addottrinamento, quindi al documentare a scopo istruttivo o informativo, dall'altro a una scrittura, a un atto, che attestano, provano e certificano qualcosa. A partire dal XVIII secolo, il significato del termine si amplia e, insieme ai manoscritti e alle opere, vengono considerati documenti ufficiali anche le monete, le lapidi e altri tipi di manufatti, siano essi commerciali o legali. Nel XIX secolo l'aggettivo “documentario” coinvolge la storiografia ed entra ufficialmente a far parte del linguaggio istituzionale. Il significato ufficiale del termine viene convalidato dall'OED nel quale si parla appunto di “documentary authority”.

Ancora oggi persiste un certo dualismo insito nel termine “documentario”, sia esso riferito al cinema, al teatro o alla fotografia, in quanto da un lato può cogliere l'aspetto documentaristico appunto, quello di un genere che si basa prettamente su documentazioni ufficiali, facendo sì che gli eventi vengano rappresentati così come si sono svolti nella realtà, di un genere che vuole quindi far rivivere al pubblico un episodio, un periodo o una situazione particolare lasciando allo spettatore il compito di formarsi un'opinione su ciò che si sta 31 AA.VV., Get Real: documentary theatre past and present, a cura di Forsyth A., Megson C., Basingstoke,

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rappresentando; dall'altro può riferirsi a un genere il cui scopo non è solo quello di portare alla luce determinati episodi con il fine di diffondere la verità dei fatti, ma anche quello di istruire, di “documentare”, secondo la prima accezione dell'uso del termine nel XV secolo data da Philip Rosen, e quindi di istruire il pubblico sulle dinamiche di un determinato evento, o periodo storico. Indubbiamente in entrambi i casi lo scopo è quello di stimolare nello spettatore una riflessione critica approfondita.

Le origini più recenti del teatro documentario si riscontrano nel teatro di propaganda dei futuristi italiani, i quali concessero al teatro un'attenzione più “continua e organica”, come afferma Cesare Molinari32, e lo considerarono lo strumento ideale per diffondere la loro ideologia vitalistica, nazionalistica e tecnocratica; ma si rilevano anche e soprattutto nella produzione teatrale russa, spesso organizzata dai gruppi agit-prop33, incentrata sulla propaganda politica ai tempi della Rivoluzione del 1917, e volta a rappresentare eventi ripresi dalla realtà politica e sociale del tempo; in seguito, si concretizzò negli Stati Uniti nel genere del Living Newspaper, termine coniato da Federal Theatre Project intorno al 1930. Ciò che spinse i russi a orientarsi verso una produzione teatrale di tale genere fu non solo la necessità di dar voce a una parte specifica di popolazione, il proletariato, ma anche l'esigenza di contrastare la sempre più crescente manipolazione dei mezzi di comunicazione di massa da parte dei potenti. Quindi, mentre in Italia l'avanguardia e il futurismo tendevano a esaltare gli aspetti più aggressivi dell'imperialismo politico ed economico, in Russia è l'operaio a diventare il protagonista della nuova civiltà industriale. In un periodo di grandi cambiamenti e sconvolgimenti globali, attraverso la drammatizzazione degli eventi si voleva dare la possibilità a tutti gli strati della popolazione di accedere alle notizie principali e rimanere in questo modo aggiornati sui fatti d'attualità, rivolgendosi in particolare a quella fetta, la più cospicua in realtà, di popolazione incolta e illetterata che i potenti miravano a far rimanere tale.

La Russia rappresentò un ideale per il teatro tedesco e in particolare per quello di Erwin Piscator (1893-1966), il quale tentò di creare un teatro autenticamente proletario che adeguasse ai fini politici non solo il contenuto dei drammi rappresentati, come avveniva nel più consueto teatro di propaganda, ma anche tutti gli altri elementi della messa in scena. Piscator infatti perfezionò negli spettacoli una serie di tecniche teatrali, una fra tante la presenza di sequenze filmate o di immagini, che sarebbero in seguito diventate tipiche del teatro epico e che servivano principalmente a sottolineare la stretta connessione tra gli eventi 32 Molinari C., Storia del teatro, Milano, Editori Laterza, 1996, p.267.

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rappresentati e la realtà contemporanea, il tutto amalgamato dall'esigenza di trasformare questi accorgimenti scenici in lotta rivoluzionaria. Quindi in Germania, così come in Unione Sovietica, il teatro divenne strumento di lotta politica. Piscator, nel suo programma per un teatro politico, sosteneva che il suo scopo non era quello di fare arte ma di fare politica, senza però disinteressarsi del tutto dei problemi formali, in quanto, come scrive Cesare Molinari, “produrre spettacoli brutti vorrebbe dire fare un cattivo lavoro e tradire così la propria missione rivoluzionaria”34. Si opponeva fermamente al naturalismo, perché, secondo il drammaturgo tedesco, questo era incapace di esprimere le esigenze delle masse. Anche se fu proprio durante il naturalismo che il proletariato venne rappresentato per la prima volta come classe sociale, esso mirava però a dare una visione realistica della società, limitandosi a constatare dati di fatto e presentando uno spettacolo teatrale che altro non era che una fedele ricostruzione della realtà in cui gli attori non dovevano mai riferirsi direttamente al pubblico. Quest'ultimo, nella messa in scena, aveva solo un ruolo passivo, dato che era considerato semplicemente come testimone casuale di un avvenimento. Lo stesso Piscator affermava che “il naturalismo non è rivoluzionario, non è 'marxista' nel senso moderno”35, perciò era necessario ricorrere a qualcosa di nuovo.

Piscator fu anche il primo esponente del teatro epico, strettamente connesso con il teatro documentario, che rappresentò l'evoluzione del dramma dopo il declino dell'espressionismo nella Germania degli anni venti. La messa in scena di Bandiere (Fahnen), dramma di Alfons Paquet ambientato nella Chicago del 1880 durante un processo di anarchici che scatenò sdegno in tutto il mondo, rappresentò il primo tentativo di spezzare lo schema dell'azione drammatica e di sostituirlo dando all'argomento uno svolgimento epico. Inoltre nell'opera coincidevano due concetti: arte e documento, di cui Bandiere tentava la sintesi. Ma, come lo stesso Piscator scrive ne Il teatro politico, la rappresentazione in cui per la prima volta il documento, in questo caso il documento politico, forma l'unica base “come testo e come scenario”36 è Ad onta di tutto! (Trotz alledem!), spettacolo originato da una rivista storica che doveva comprendere, in una forma abbreviata, i punti culminanti delle rivoluzioni della storia umana, dalla ribellione di Spartaco alla rivoluzione russa, fornendo agli spettatori un'idea generale del materialismo storico attraverso l'uso di quadri didattici. Lo spettacolo venne in un secondo momento ridimensionato, concentrandosi su un periodo che andava dallo scoppio della guerra all'assassinio di Liebknecht e di Rosa Luxemburg. La messa in scena di 34 Molinari C., Storia del teatro, Milano, Editori Laterza, 1996, p.275.

35 Piscator E., Il teatro politico, trad. Spaini A., Torino, Giulio Einaudi editore, 1960, p.27. 36 Ivi, p.59.

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Ad onta di tutto!, che consisteva in un montaggio di discorsi autentici, articoli di giornali,

manifesti, fotografie, ebbe un carattere collettivo, nel senso che nacque dalla partecipazione e dalla collaborazione tra regista, attori e collaboratori, e dalla contaminazione reciproca tra i vari elementi scenici; tutte caratteristiche che si ritroveranno nel teatro documentario di Moisés Kaufman. Piscator era un marxista radicale con una fede incondizionata nelle possibilità espressive delle nuove tecnologie. Mise il cinematografo al servizio del dramma, proiettando, durante la rappresentazione, le fotografie dei singoli personaggi e i titoli fra un episodio e l'altro. Inoltre, a scopo pedagogico, venivano proiettate, su due schermi a destra e a sinistra del palcoscenico, delle didascalie dalle quali era possibile trarre una morale riguardo a ciò che si stava rappresentando sul palcoscenico. Per “epicizzazione” del teatro si intendeva, quindi, il decentramento della drammatizzazione dall'evento scenico rappresentato in maniera naturalistica, mediante una rappresentazione in cui, grazie alle possibilità offerte dalle nuove tecnologie, venivano introdotti elementi narrativi che costituivano un vero e proprio oggetto d'attenzione con l'obiettivo di ottenere una più attenta e motivata partecipazione dello spettatore, il quale diveniva destinatario attivo, e non più passivo. L'utilizzo delle tecnologie aveva lo scopo di estendere l'argomento al di là dei limiti della scena, in modo da mettere in luce i motivi profondi dell'azione, e di presentare una vera e propria epopea per la lotta e la liberazione proletaria attraverso la diffusione epica dell'argomento.

Il modello del teatro epico fu sviluppato e messo a punto da Bertolt Brecht (1898-1956), il quale credeva fermamente nella necessità di un teatro moderno, ossia capace di farsi portatore di innovazioni tecniche e artistiche. L’obiettivo principale di Brecht era quello di abbandonare la consueta forma di teatro che egli chiamava “aristotelica”37, in cui lo spettatore era ridotto a osservatore passivo, e il corso degli eventi rappresentati era fisso e immutabile, dettato da una logica di stretta concatenazione che li legava gli uni agli altri nello sviluppo dell'opera. Egli affermava infatti che “in un'epoca nella quale la scienza è in grado di trasformare la natura al punto che il mondo appare già quasi abitabile, non è più ammissibile che si continui a descrivere all'uomo il suo simile come vittima, come oggetto passivo di un ambiente sconosciuto quanto immutabile”38. L’oggettività scientifica diventò così, in arte, oggettivamente epica, e pervase tutti gli elementi dell’opera teatrale, dalla sua struttura, al linguaggio, alla sua messinscena. Come afferma lo stesso Brecht ne Gli scritti teatrali, l'azione non costituiva più tutta l'opera e la vicenda diveniva oggetto di narrazione dal 37 Brockett O.G., Storia del teatro, a cura di Vicentini C., IX edizione, Venezia, Marsilio editore, 2005, p.541. 38 Brecht B., Scritti teatrali, trad. di Castellani E., Fertonani R., Martens R., Torino, Giulio Einaudi editore,

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palcoscenico; la scena stessa prendeva posizione rispetto a ciò che stava accadendo, “essa citava, raccontava, preparava, rammentava. […] La scena dunque non si limitava a mostrare per accenni gli spazi reali, ma con i testi e le immagini documentarie mostrava anche il grande movimento di idee in cui gli avvenimenti si svolgevano”39. Brecht, come Piscator, non solo si serviva delle proiezioni per interrompere l'azione e commentarla, ma anche per evitare un'immedesimazione totale da parte dello spettatore, il quale, come affermato in precedenza, aveva un ruolo attivo nella rappresentazione, non esistendo più la cosiddetta “quarta parete” sulla scena a separare idealmente gli attori dal pubblico. Quest'ultimo adesso era chiamato a partecipare, ma la sua partecipazione non era più emotiva, non derivava dal suo immedesimarsi con il personaggio interpretato dall'attore, ma risultava dal suo essere posto di fronte a una vicenda presentatagli come materia di riflessione, diventando così un osservatore costretto a prendere delle decisioni e a formarsi una opinione propria, caratteristica che si ritroverà nel teatro documentario. Su questo si fondava uno degli elementi più specifici del teatro epico di Brecht, l'effetto di straniamento (Verfremdung, direttamente connesso con quello dell'arte scenica cinese). Tale effetto non riguardava solo il pubblico ma anche gli attori, i quali dovevano rimanere distaccati dal personaggio che interpretavano e non immedesimarvisi, in modo da evitare di suggestionare, per “illusione”, il pubblico. Per raggiungere tale scopo, Brecht, si serviva anche della musica (cori, songs) e della scenografia (cartelli dimostrativi, proiezioni), utilizzati per indurre lo spettatore ad assumere un atteggiamento di indagine e di critica nei confronti della vicenda esposta. Inoltre, ad aumentare l'effetto straniante, contribuiva anche il fatto che gli elementi che costituivano lo spettacolo si straniavano fra di loro: le canzoni si contrapponevano al testo parlato, la scenografia alla mimica e così via. Lo spettacolo si svolgeva fra contrasti dialettici che gli spettatori dovevano considerare sempre da un punto di vista razionale; erano informati, per mezzo di cartelli, di didascalie, del contenuto della scena, non erano più in tensione per sapere come si sarebbe concluso il dramma, ma rimanevano concentrati sulle cause che determinavano l'azione. Quello di Brecht era un teatro che provava a mettere in scena la crisi politica e sociale di un'epoca cercando di stimolare un dialogo con e tra gli spettatori con l'aiuto di una forma teatrale che spaziava dal collage, all'espressionismo, al minimalismo. L'opera prettamente documentaria di Brecht fu Terrore e miseria del Terzo Reich (Furcht und

Elend des dritten Reichs) in cui, attraverso un montaggio di scene realistiche, l'autore

descriveva l'orrore della vita durante il regime nazista, basando ogni scena su dichiarazioni di testimoni o su corrispondenze giornalistiche. È importante sottolineare che, come afferma 39 Ivi, p.27.

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Timothy Youker, fu Brecht a parlare per la prima volta, nel 1926, di “great epic and documentary theatre”40 riferendosi ai lavori di Piscator.

Seguendo l'esempio di Brecht, si affidò al genere del teatro documentario Peter Weiss (1916-1982) con L'Istruttoria (Die Ermittlung). L'opera era incentrata sul processo contro un gruppo di SS e di funzionari del Lager di Auschwitz svoltosi a Francoforte sul Meno dal 20 dicembre 1963 al 20 agosto 1965. Il carattere documentaristico dell'opera di Weiss consisteva nel fatto che essa nasceva dagli appunti presi dallo stesso Weiss, il quale assistette personalmente a molte sedute del processo, e ai quali egli integrò poi anche i resoconti redatti da Bernd Naumann. Come scrive Giorgio Zampa nella sua introduzione all'opera “le combinazioni di parole ritrovate da Weiss restituiscono, con un'immediatezza a volte quasi insostenibile, non un senso, ma tutti i possibili sensi che la documentazione storica più completa può offrire [...]”41. L'opera, secondo le indicazioni di Weiss, non doveva però essere rappresentata in maniera naturalistica, riproducendo cioè realisticamente l'aula del tribunale in cui il processo ebbe luogo, dato che lo scopo non era quello di rappresentare i dibattiti di un processo perché, sottolinea ancora Zampa, “ il modo con cui questo inventario è pronunciato […] oltrepassa di gran lunga il dato naturalistico”42. Il drammaturgo e scrittore tedesco difendeva, come i suoi predecessori, l'utilità e l'importanza dei documenti, considerati come uniche armi da poter impiegare contro l'inattendibilità dei mezzi di comunicazione dell'epoca e, nel caso de L'Istruttoria, come validi mezzi per rappresentare ciò che appare impossibile da trattare come materia di elaborazione artistica, l'Olocausto. Sulla base del teatro di Weiss e sul modello de L'istruttoria, nasceranno, intorno agli anni novanta del XX secolo, quei drammi incentrati su processi e inchieste giudiziarie, conosciuti, in Inghilterra, come tribunal plays.

Intorno agli anni '20, gli Stati Uniti, che fino ad allora avevano ignorato le innovazioni artistiche introdotte nel teatro europeo, iniziano ad aprirsi a un nuovo tipo di teatralità grazie soprattutto alle attività di gruppi non professionisti. Nacquero Laboratory Theatre (1923-1930), che seguiva gli insegnamenti e il metodo di Stanislavkij, e soprattutto Federal Theatre Project (1936). Quest'ultimo, diretto da Hellie Flanagan, si impegnò particolarmente nel fronteggiare gli effetti del crollo di Wall Street attraverso il reclutamento di teatranti disoccupati ed ebbe un ruolo molto importante nello sviluppo del genere documentario: con i

40 Youker T., “The Destiny of Words”: Documentary Theatre, The Avant-garde, and The Politics of Form,

Dissertation, Columbia University, 2012, p.10.

41 Weiss P., L'Istruttoria, Torino, Einaudi Editore, 1966, p.6. 42 Ibidem.

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suoi Living Newspapers affrontava argomenti di attualità sempre diversi, argomenti che spaziavano dall'agricoltura, all'elettrificazione delle campagne, al problema dei quartieri degradati. Il tratto documentaristico delle rappresentazioni consisteva nel fatto che i dialoghi venivano tratti direttamente dai giornali dell'epoca, utilizzati come punto di partenza per porsi delle domande, avanzare ipotesi e stimolare una riflessione collettiva. Le tecniche utilizzate erano simili a quelle del teatro epico e i toni politici si facevano sempre più accesi. Un ruolo importante è quello riservato a Living Theatre, compagnia fondata a New York nel 1947 da Julian Beck e Judith Malina. Il loro era un teatro che, ancora una volta, non mirava a erudire ma voleva aggredire e provocare lo spettatore, anche attraverso l'eliminazione di ogni soluzione di continuità fra palcoscenico e spettatori43. Gli scrittori politicamente impegnati si affidavano ancora una volta al genere per esplorare tematiche importanti quali i pregiudizi razziali negli Stati Uniti o la protesta contro la guerra nel Vietnam.

Il teatro documentario si è presentato sin dal principio come un genere innovativo, pronto ad accogliere e a raccogliere nelle sue rappresentazioni forme di spettacolo e stili teatrali differenti, amalgamati attraverso l'utilizzo delle nuove tecnologie. Furono proprio queste che permisero di portare sulla scena spezzoni di vita reale autenticati dalle documentazioni ufficiali che venivano mostrate direttamente agli spettatori. Alla base di tutto questo vi era l'esigenza di riadattare il teatro e i suoi mezzi espressivi a un mondo in continuo cambiamento, per riuscire a rappresentare la realtà di eventi spesso catastrofici, tentando di renderne la potenza significativa. Le rappresentazioni di stampo documentaristico sembravano probabilmente la risposta più adeguata ai cambiamenti globali e ciò spiegherebbe l'incremento nella produzione di teatro documentaristico dopo l'undici settembre 2001. Come spiega Janelle Reinelt44, gli spettatori contemporanei, o meglio quelle nicchie di pubblico che si recano ad assistere a un'opera di stampo documentaristico, vanno a teatro perché mossi dalla convinzione che alcuni aspetti dell'opera rappresentata siano direttamente connessi alla realtà che stanno cercando di comprendere e nella quale vivono. Ciò non significa che le loro domande troveranno risposta, anzi, il compito del teatro documentario è proprio quello di indurre i suoi spettatori a porsi degli interrogativi. Di sicuro, però, i documenti alla base della performance, e dai quali essa nasce, serviranno come punto di partenza per stimolare una riflessione. È quello che la Reinelt considera come “the promise of documentary”, ovvero l'obiettivo che si pone il documentario nello stabilire una connessione tra la ricerca di verità 43 http://www.treccani.it/enciclopedia/living-theatre/

44 AA.VV., Get Real: documentary theatre past and present, a cura di Forsyth A., Megson C., Basingstoke,

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da parte degli spettatori e una realtà distante ma tutto sommato comprensibile.

L'interesse verso una maggiore documentazione su eventi attuali ha soppiantato quello per il cosiddetto “in yer face theatre”, in voga a Londra negli anni '90 e di cui i maggiori esponenti erano Sarah Kane e Mark Ravenhill. Si trattava di un teatro che per certi versi trovava nel “teatro della crudeltà” di Artaud un suo predecessore, un teatro che voleva scioccare i propri spettatori attraverso l'uso di immagini forti e violente, di un linguaggio crudo e a volte ben oltre i limiti del volgare, e attraverso scene spesso inspiegabilmente crudeli e oscene45. Si trattava quindi di un teatro basato su elementi finzionali e sulla violenza delle immagini, a differenza del teatro documentario, che può certo essere scioccante in alcune sue manifestazioni, ma fa della parola lo strumento primario di mediazione della realtà. Esso ricostruisce eventi realmente accaduti e porta sulla scena le parole realmente dette da persone reali, la cui veridicità e fondatezza è garantita dall'uso di fonti e materiali ufficiali esplicitati in scena con lo scopo di fornire al pubblico tutti gli strumenti necessari per crearsi una propria versione e per riflettere e interrogarsi su tali fatti. Tuttavia, anche se l'ideale del teatro documentario è quello di mettere in scena la realtà così com'è dandone una versione obiettiva, non bisogna dimenticare che il lavoro di selezione dei drammaturghi ha comunque un ruolo fondamentale nella ricezione dell'opera, aspetto che verrà approfondito in seguito.

Ciò che nel genere documentaristico si può considerare nuovo, rispetto alla produzione che va dall'inizio del XX secolo fino agli anni '80, è il più recente successo del teatro cosiddetto verbatim, termine utilizzato per lo più nel Regno Unito per distinguere questa tipologia di teatro dalla definizione più generale di teatro documentario. Per verbatim si intende una tecnica che va oltre il riportare in scena gli eventi così come avvengono nella realtà; essa mira a riproporre le precise parole pronunciate durante l'evento rappresentato, parole estrapolate, per esempio, da interviste registrate, lettere, mail, filmati ecc. Questo genere di teatro rientra sempre a far parte del teatro documentario, ma, a differenza di quest'ultimo, il verbatim fonda le proprie garanzie di veridicità nel riportare le parole realmente dette da persone reali:

The words of the real people are recorded or transcribed by an interview or research process, or are appropriated from existing records such the transcripts of an official enquiry. They are then edited, arranged or recontextualised to form a dramatic presentation, in which actors take on the caracters of the real individuals whose words are being used.46

45 Per fare un esempio, basti pensare a Blasted di Sarah Kane.

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Il verbatim è una valida risposta all'esigenza di molti drammaturghi di contrastare la sempre più diffusa manipolazione dei mezzi di comunicazione, come anche la cultura dell'immagine e della spettacolarizzazione mediatica, e lo si potrebbe definire come una forma di giornalismo nuova e indipendente. Se è vero che questa tecnica presuppone quindi un maggior grado di fedeltà alle proprie fonti, orali o scritte, tuttavia anche nel verbatim è presente l'elemento creativo: è sempre il drammaturgo a decidere quali brani estrapolare dalle fonti a disposizione e in che modo montarli all'interno della rappresentazione, è suo il compito di editing sui testi. Detto ciò, il drammaturgo deve sempre trovare il giusto equilibrio tra scrivere un buon play e rimanere fedele alle interviste e ai materiali a disposizione: come affermato in precedenza, è suo il compito di decidere quale e quanto materiale usare per la rappresentazione, materiale spesso molto complesso e variegato, nonché corposo. È quindi inevitabile l'intervento di

editing del drammaturgo, operazione che ha suscitato non poche critiche al teatro verbatim,

accusato anche di trattare in maniera troppo riduttiva questioni di una certa importanza. Una risposta appropriata e sufficientemente esplicativa a riguardo la fornisce Nicolas Kent, che afferma:

Verbatim theatre's always going to be simplified because it is only a number of views – it can never be the whole picture. It's political theatre and it's engaging with contemporary society, and dealing with incredibly complex issues. If you are going to put complex issues into two hours or an hour and a half you're going to have to simplify them, that is certainly true so I accept that criticism.47

L'obiettivo principale del teatro documentario, ma in particolare del verbatim, è quindi quello di fornire allo spettatore una versione quanto più imparziale dell'evento rappresentato, imparziale nel senso che non dovrebbe essere realizzata secondo il punto di vista del regista o degli attori stessi, ma dovrebbe, al contrario, tentare di fornire una visione “multiprospettica” dell'evento rappresentato.

Nell'ambito del teatro verbatim si possono riscontrare diversi filoni d'interesse: vi è quello che mette in scena episodi d'attualità, come il terrorismo in Talking to Terrorists di Robin Soans o la privatizzazione della rete ferroviaria britannica in The Permanent Way di David Hare, entrambi diretti da Max Stafford-Clark; un altro è quello dei tribunal plays, come quelli rappresentati al Tricycle Theatre di Londra, che mettono in scena processi e inchieste

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giudiziarie importanti dando la possibilità, anche a chi non è esperto del settore, di venire a conoscenza dei dettagli di tali vicende. Bisogna però prestare molta attenzione nel definire il genere di appartenenza di un'opera teatrale in quanto, parlando di teatro verbatim e documentario, il confine tra le due categorie può essere molto labile e spesso poco chiaro. Un esempio è Stuff Happens di David Hare, in cui si descrivono gli eventi politici che hanno portato gli Stati Uniti e l'Inghilterra a invadere l'Iraq nel 2003. Nelle note all'opera, l'autore conferma l'autenticità di ciò che si sta rappresentando, affermando che “nothing in the narrative is knowingly untrue”48, e contemporaneamente dichiara di aver immaginato le scene verificatesi a porte chiuse, come l'incontro tra Bush e Blair avvenuto in Texas nell'aprile del 2002. Secondo Bottoms, Hare “muddies the water of the 'real'”49utilizzando le stesse tecniche di presentazione sia per le scene di verbatim, sia per quelle inventate e afferma che in Stuff

Happens, nonostante le premesse dell'autore che assicura la fondatezza storica degli episodi

rappresentati, diventa di fatto impossibile per lo spettatore riuscire a stabilire se stia assistendo a un evento realmente accaduto o a una congettura del drammaturgo, per quanto fondata e autenticata dalle fonti.

I tribunal plays, come accennato in precedenza, vengono generalmente inclusi nel filone

verbatim, ma portano in scena principalmente tematiche relative ai processi giudiziari.

Bisogna distinguere inoltre tra le opere incentrate sui trials, come lo è Gross Indecency, in cui una delle parti cerca di far prevalere la sua versione dei fatti, la sua innocenza sull'altra parte, cercando in questo modo di indurre la giuria verso il verdetto sperato, e una inquiry, il cui obiettivo è quello di scoprire e stabilire la versione dei fatti più corretta. Lo scopo primario dei tribunal plays è quello di portare alla luce la verità, verità spesso occultata o manipolata dai mezzi di comunicazione di massa. Il teatro diviene così il mezzo con il quale rendere il pubblico consapevole e informato. Il già citato Tricycle Theatre, diretto da Nicolas Kent, mette in scena nel 1994 un dramma di Richard Norton Taylor, giornalista del Guardian, intitolato Half the Picture, il primo di una lunga serie di tribunal plays. L'obiettivo è quello di far luce sulla violazione, da parte del Governo, degli accordi che regolavano la vendita di armi all'Iraq. Altri tribunal plays sono stati prodotti dal Tricycle, ognuno dei quali parte dalle trascrizioni ufficiali dei processi, da documentazioni ufficiali, a volte anche riservate e fornite direttamente dal governo, da lettere o mail, da materiali quindi che vengono raccolti e condivisi, spesso per la prima volta, con il pubblico, e che arrivano ad assumere un significato

48 Bottoms S., “Putting the Document into Documentary: An Unwelcome Corrective?”, TDR: The Drama

Review, Vol. 50, N. 3, Fall 2006, p.60.

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nuovo, grazie a una rappresentazione coerente che vuole essere un'estensione, migliorata, del giornalismo.

Nonostante Gross Indecency sia incentrata su dei processi, si possono riscontrare diversi elementi in contrasto con i tribunal plays. Innanzitutto, a differenza dei drammi rappresentati al Tricycle, Kaufman non può basarsi sulle trascrizioni e sui verbali ufficiali dei processi, dato che questi non vennero mai pubblicati perché ritenuti scabrosi e compromettenti. Prende come punto di riferimento un resoconto degli appunti stenografici dei processi redatto da H.Montgomery Hyde, che difficilmente può essere considerato un documento totalmente attendibile. In realtà, infatti, come verrà specificato in seguito, l'opera di Hyde è una ricostruzione dei processi basata su resoconti personali di chi conosceva Wilde e su articoli di giornale dell'epoca. Inoltre lo scopo di Kaufman non è prettamente politico, anche se, trattando di processi, questo è un elemento imprescindibile, e non è nemmeno quello di rendere più consapevole il pubblico sul ruolo delle autorità, o per lo meno non è questo lo scopo primario.

Kaufman torna ancora al genere verbatim, ad esempio con il successivo The Laramie

Project, l'opera rappresentata nel 2000 con la compagnia Tectonic Theatre Project e dalla

quale verrà prodotto l'omonimo film due anni dopo. Si tratta di un interview-based piece sulla morte di uno studente gay, Matthew Shepard, pestato e lasciato morire legato a un recinto a Laramie il 6 ottobre 1998. Ciò che interessa alla compagnia non è tanto rappresentare l'omicidio di un ragazzo gay, quanto capire in che modo questa vicenda ha influito, e continua a influire, sulle vite degli abitanti di Laramie. Per questo motivo la compagnia si reca una seconda volta nella cittadina del Wyoming nel 2008, indagando su come questa sia stata cambiata dall'incidente. Come in Gross Indecency, anche in The Laramie Project si vuole indagare sulla maniera in cui la storia, o una storia, venga recepita e come ognuno la recepisca in maniera personale e soggettiva. Le interviste condotte dai membri della compagnia vengono rappresentate in scena dagli attori, che cercano di riprodurre le caratteristiche vocali e gestuali degli intervistati. In un mosaico di frammenti, a volte contrastanti, altre volte divertenti, si documenta la complessità della comunità di Laramie, senza dimenticare di riproporre la frenesia mediatica che aveva caratterizzato i giorni seguenti l'omicidio.

Un ruolo importante nella produzione documentaristica è rivestito dalla drammaturga americana, Anna Deavere Smith, i cui lavori assomigliano, nell'uso delle tecniche e dei metodi di rappresentazione teatrale, a quelli di Kaufman. In particolare in opere come Fires in

the Mirror e Twilight, che rappresentano dei violenti conflitti razziali verificatisi negli Stati

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