• Non ci sono risultati.

I servizi pubblici locali tra apertura al mercato e affidamenti in house.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "I servizi pubblici locali tra apertura al mercato e affidamenti in house."

Copied!
221
0
0

Testo completo

(1)

INDICE

INTRODUZIONE 2

1 PROFILI GENERALI DELLA DISCIPLINA 5

1.1 IL CONCETTO DI PUBBLICA AMMINISTRAZIONE 5

1.2 SERVIZIO PUBBLICO E IL SERVIZIO PUBBLICO LOCALE 13

1.3LE MODALITÀ DI GESTIONE DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI: GESTIONE DIRETTA ED INDIRETTA 22

1.4GENESI E SVILUPPO DELLE SOCIETA’ A PARTECIPAZIONE PUBBLICA 52

2 LE SOCIETA’ MISTE NEL DIRITTO SOCIETARIO 65

2.1 PROFILI GENERALI 65

2.2 IL PARTENARIATO PUBBLICO-PRIVATO 71

2.3 LA NATURA GIURIDICA DELLE SOCIETÀ MISTE 84

2.4 IL REGIME GIURIDICO 92

2.5 IL PROCEDIMENTO COSTITUTIVO DELLE SOCIETÀ MISTE 96

2.6 RAPPORTI INTERCORRENTI TRA SOCIETÀ MISTA ED ENTE PUBBLICO PARTECIPANTE 99

2.7 NOMINA E REVOCA DEGLI AMMINISTRATORI 101

3 L’AFFIDAMENTO DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI A SOCIETÀ MISTE 110

3.1 LE DIFFICOLTÀ INTERPRETATIVE INCONTRATE NELLA DEFINIZIONE DEI SPL A RILEVANZA ECONOMICA: LA

PORTATA APPLICATIVA DELL’ART.113. 110

3.2(SEGUE) I SERVIZI PUBBLICI LOCALI PRIVI DI RILEVANZA ECONOMICA 121

3.3 LA TUTELA DELLA CONCORRENZA IN AMBITO COMUNITARIO: LA SELEZIONE DEL SOCIO PRIVATO 125

3.4 LA GESTIONE MEDIANTE SOCIETÀ MISTE: REGOLA ORDINATORIA O DEROGATORIA? 131

4 CONFRONTO ONTOLOGICO TRA SOCIETÀ MISTE E SOCIETÀ IN HOUSE: ELEMENTI DI

DIVERGENZA TRA ISTITUTI A PRIMA VISTA SIMILARI 154

4.1 GENESI E RATIO DELL’AFFIDAMENTO IN HOUSE NEL SUO CONTESTO DI ORIGINE 154

4.2 IL CONTRIBUTO DELLA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA: I REQUISITI FISSATI NELLA SENTENZA TECKAL 159

4.3 AFFIDAMENTO IN HOUSE A SOCIETÀ MISTE: IPOTESI PLAUSIBILE? 170

5 IL SERVIZIO IDRICO INTEGRATO 183

5.1 LA DISCIPLINA ANTERIORE ALL’ESITO REFERENDARIO 183

5.2 LA QUESTIONE DELLA TARIFFA 190

5.3 SPUNTI RIFLESSIVI PER UNA GESTIONE EFFICIENTE 196

6 CONCLUSIONI 203

(2)

INTRODUZIONE

Come è noto, la riforma dei servizi pubblici locali detiene il primato di storia accidentata, giunta persino ad assumere i tratti di una vera e propria tela di Penelope1

tanto è stato lo snodarsi estenuante dei tentati processi di liberalizzazione e privatizzazione che hanno visto servizi pubblici locali come protagonisti assoluti. L'obiettivo principale che si è sempre imposto il legislatore avrebbe dovuto realizzare gestioni più efficienti ed efficaci, in grado di soddisfare i bisogni dei cittadini, con tariffe sotto controllo e di restituire loro, appunto con tariffe più basse, quanto guadagnato in termini di efficienza2.

Nei primi tempi, ovvero nel corso degli anni ’90, complice forse la pressione corporativa delle amministrazioni locali, troppo spesso impegnate a salvaguardare i loro interessi atti ad alimentare i costi della politica, venne impostato un processo di privatizzazione che ha sì condotto al venir meno delle aziende municipalizzate, ma non ha avviato il necessario ( ed agognato ) processo di liberalizzazione.

Negli anni avvenire, invece, il cambiamento auspicato ha iniziato a materializzarsi anche, e soprattutto, per merito delle spinte europeiste sostenitrici della libera concorrenza e del mercato.

Anche la riforma stessa del titolo V della Costituzione, risentendo proprio di queste spinte, ha affermato il principio di sussidiarietà e previsto una nuova organizzazione

1 L’espressione è di G. PITRUZZELLA, Presentazione, Relazione annuale sull’attività̀ svolta nel 2011, Roma, 23 giugno

2012, www.agcm.it

2 Cfr. G. FARNETI, La nuova disciplina dei servizi pubblici locali dopo il referendum e la manovra estiva, in

(3)

della Repubblica tesa anche a riconoscere alle autonomie locali una piena responsabilità sulle spese.

Nel quadro così delineato ha inciso marcatamente la crisi economica che ormai da anni va imperversando nel nostro Paese comportando una minore disponibilità di risorse e tagli necessari che inevitabilmente si sono ripercossi sulla quantità e sulla qualità dei servizi erogati.

Ciò ha indotto il legislatore ad individuare soluzioni alternative, in un primo momento indirizzate verso l’apertura al mercato dei servizi pubblici locali e, successivamente, dato il fallimento di tale soluzione, alla previsione di maggiori controlli.

Così i controllori esterni ed interni, anche sulla base di norme specifiche, hanno cercato di essere più vigili sulla sana gestione finanziaria e la giurisprudenza tutta, nella sua evoluzione, ha altresì ravvisato nel principio del buon andamento, valutato sulla base di efficienza, efficacia ed economicità, il sentore del nuovo confine della legalità3.

L'insieme di tali fattori ha progressivamente messo in moto il processo di trasformazione della disciplina in questione che, ormai da un più di un ventennio, continua a logorarne il quadro normativo in termini di instabilità̀ e variabilità̀ di assetti che non conoscono eguali in altri settori del diritto amministrativo.

Pertanto, la presente trattazione, pur nella consapevolezza delle notevoli difficoltà derivanti dalla continua evoluzione normativa che attribuisce alla materia in questione un carattere marcatamente nebuloso, si pone l’obiettivo di ripercorrere il farraginoso iter della disciplina dei servizi pubblici locali cercando di comprenderne i

(4)

dinamismi interni attraverso una disamina critica finalizzata all'individuazione della più adeguata forma di gestione per il prossimo futuro.

In particolare, dopo aver brevemente ricordato le nozioni di fondo pertinenti ai servizi pubblici locali (capitolo 1) e descritto le peculiarità principali del modello di gestione “società mista” (capitolo 2), la discussione si sofferma sugli affidamenti mediante gara con procedure ad evidenzia pubblica e sugli affidamenti in house (rispettivamente capitoli 3 e 4) per poi proseguire con un focus sulla attuale situazione in cui versa il servizio idrico integrato (capitolo 5).

Infine, nell’ultimo capitolo, sono riportate alcune considerazioni conclusive di sintesi nonché alcuni spunti riflessivi di orientamento per il prossimo (e ormai imminente) intervento in materia.

(5)

1

PROFILI GENERALI DELLA DISCIPLINA

1.1IL CONCETTO DI PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Si ritiene opportuno, a parere dello scrivente, introdurre l’argomento oggetto del presente elaborato attraverso una analisi del tutto sommaria degli aspetti maggiormente rilevanti del concetto di Pubblica Amministrazione, al fine di agevolare il lettore in una maggiore e più semplice comprensione del testo.

Nel nostro ordinamento giuridico, nonostante l’importanza decisiva ed il ruolo cruciale riconosciuto alla Pubblica Amministrazione4, non esiste una definizione

legislativa di carattere generale del concetto in esame.

Tale lacuna è strettamente connessa all’ampia portata significativa del termine. Il concetto di amministrazione, infatti, non è di per sé un concetto giuridico bensì universale, indicante la cura in concreto di interessi.

Esso, lato sensu, può dunque essere riferito indifferentemente ad un qualsiasi soggetto (persona fisica o giuridica) che pone in essere una attività rivolta al soddisfacimento di interessi correlati ai fini preposti dal soggetto stesso.

Tuttavia, di questa attività si possono individuare differenti funzioni teleologiche in relazione a un profilo generale e ad uno particolare: ai sensi del profilo generale, comune a tutti i soggetti, ha per fine la conservazione e la ricerca delle condizioni a questa più favorevoli, invece, ai sensi del carattere particolare, è rivolta al conseguimento dei fini esterni del soggetto stesso, fini che variano all’infinito, secondo la categoria al quale il soggetto appartiene5.

4 Cfr. U. ALLEGRETTI, Amministrazione pubblica e Costituzione, Padova, 1996.

(6)

Per ovviare ai molteplici inconvenienti che sarebbero inevitabilmente scaturiti dal difetto di una generica definizione legislativa, la dottrina e la giurisprudenza, tenendo conto delle possibili sfaccettature concettuali del termine, sono giunte all’elaborazione di una nozione sommaria di P.A. sotto un duplice profilo, ovvero soggettivo ed oggettivo.

In senso oggettivo, la P.A. costituisce una funzione pubblica o, più dettagliatamente, la funzione amministrativa, consistente nell’attività volta alla cura degli interessi della collettività e dunque di interessi pubblici, predefiniti in sede di indirizzo politico, esattamente così come la legislazione e la giurisdizione costituiscono le altre due funzioni dello Stato6 .

Tale attività può essere agevolmente individuata a livello empirico, mentre non può dirsi altrettanto per l’elaborazione di una definizione che riguardi i caratteri essenziali della stessa.

Infatti, la pacifica commistione che si realizza tra le funzioni statali, per cui l’attività amministrativa è certamente spiegata anche dagli organi dei poteri legislativo e giudiziario, ha reso del tutto vana la circostanza che questa attività promana dal potere esecutivo ai fini di una “identificazione meramente subiettiva e formale”, volta pertanto a qualificare, in termini di eguaglianza esclusiva, l’amministrazione quale attività del potere esecutivo.7

L’espressione “potere esecutivo” può essere fuorviante poiché si presta ad indicare, in qualità di caratteri essenziali, elementi che qualificano l’amministrazione come mera attività di esecuzione ( nel nostro caso della legge ) quando, in realtà,

6 Cfr. G. ZANOBINI, op. cit., 234.

(7)

l’amministrazione si caratterizza per una discrezionale libertà di determinazione in ordine alla scelta del miglior modo di conseguire i fini individuati dal potere politico8.

Ed è proprio sulla base di questa peculiarità che la dottrina ha evidenziato i caratteri sostanziali dell’amministrazione, condensandoli nella definizione che la distingue come “l’attività pratica che lo stato dispiega per curare, in modo immediato, gli interessi pubblici che sono naturalmente nei suoi fini, o che egli volontariamente assume come tali”9.

Accanto alla discrezionalità possiamo ravvisare i profili della concretezza, immediatezza e spontaneità, attributi in base alla cui sussistenza, nonché grado di presenza, è possibile operare una distinzione tra amministrazione, legislazione e giurisdizione10.

A questo punto si può procedere con l’analisi di alcune distinzioni teoriche di matrice dottrinaria, ma non prive di concreta applicazione , all’interno del concetto generale di attività amministrativa.

La prima vede contrapporsi l’attività giuridica e l’attività sociale della pubblica amministrazione.

Per attività giuridica si intende quell’insieme coordinato di atti preposti alla conservazione dell’ordine pubblico, dell’esistenza e della salute dei consociati11.

Tutti gli atti adottati in questa categoria rappresentano la manifestazione dei poteri di coercizione e sovranità tipici della funzione giurisdizionale, si tratta pertanto di atti

8 Cit. U. FORTI, op. cit., 405. 9 Cit. G. ZANOBINI, op. cit., 235.

10 Per un maggiore approfondimento U. ALLEGRETTI, op. cit. e F. CARINGELLA, L. DELPINO, F. DEL

GIUDICE, Diritto amministrativo, Napoli, 1998.

11 Si ricorda che alla conservazione del diritto oggettivo, ossia dell'ordinamento giuridico, provvede sempre lo

(8)

che si contraddistinguono per uno spiccato profilo di coercizione ed imperium che non ha eguali in altri atti amministrativi.

Invece, per attività sociale si intende quel “complesso di prestazioni dell’amministrazione verso i privati che solo eccezionalmente dà luogo ad atti di limitazioni e sovranità”12finalizzato al progresso civile.

La distinzione fra i due tipi di attività appare del tutto evidente sotto il profilo teleologico ( conservazione per una e sviluppo sociale per l’altra ) mentre non può dirsi altrettanto per le relative attività.

In tal caso, infatti, il confine è piuttosto labile per l’esistenza di alcune funzioni ( si pensi ad esempio a quella sanitaria ) necessitano talvolta sia di mezzi di limitazione e coercizione, sia di forme di assistenza e prestazione.

Un’altra distinzione intercorre fra funzioni e servizi pubblici.

Tradizionalmente la dottrina ha inteso per funzione pubblica l’’esercizio autoritativo di una potestà giuridica da parte dello Stato o di altro ente pubblico e per servizio pubblico l’attività svolta dai medesimi soggetti in campo prevalentemente economico e produttivo senza manifestazione di potere sovrano13(si rinvia al paragrafo

successivo per una definizione esaustiva di servizio pubblico).

Occorre comunque precisare che si tratta di una distinzione che a causa della progressiva estensione della nozione di servizio pubblico, giunta a ricomprendere attività tese a realizzare fini sociali o a promuovere lo sviluppo civile ( prive quindi di contenuto economico-produttivo in senso stretto) è andata scemando nel corso del

12 Cit. G. ZANOBINI, op. cit., 237.

13 Cit. P. ROSSINI, Considerazioni sull’esternalizzazione delle funzioni amministrative nelle autonomie locali, in

(9)

tempo sotto il profilo della economicità, mentre permane tutt’oggi limitatamente al contenuto autoritativo.

In senso soggettivo, invece, è l’insieme dei soggetti preposti all’esercizio di tale funzione.

Autorità, agenti e organi vengono raggruppati, sulla base della materia cui sono preposti, in organismi crescenti al cui vertice è collocato un dicastero amministrativo; l’organizzazione gerarchica pone poi all’apice di tutto il sistema il Consiglio dei ministri, organo esecutivo che riunisce tutti i dicasteri.

L’amministrazione dello Stato non è presente soltanto a livello centrale, ma anche a livello locale su tutto territorio nazionale quale appendice della stessa secondo il modello del decentramento burocratico.

Appare del tutto evidente il carattere complementare di ambedue i profili, in quanto l’esistenza dell’uno non può prescindere da quella dell’altro anche se, occorre precisare, i rispettivi ambiti di azione non sono coincidenti poiché non tutta l’attività amministrativa è svolta dall’organizzazione amministrativa e perché quest’ultima non svolge soltanto attività amministrativa.

Ulteriori studi in materia hanno avvalorato la complementarietà dei due profili evidenziando come “organizzazione e attività non siano due fenomeni distinti, ma due aspetti dello stesso fenomeno”14.

Basti pensare a una qualsiasi organizzazione e al suo significato terminologico, essa non si contrappone all’attività bensì ne costituisce il momento di predisposizione,

14 Cit. M, NIGRO, Amministrazione Pubblica ( organizzazione giuridica dell’ )( voce ), in Enciclopedia Giuridica Treccani,

(10)

coordinamento e razionalizzazione, si potrebbe dunque dire che l’organizzazione sia l’anima che assiste ed accompagna l’attività dalla sua predisposizione in poi.

Si realizza così una sorta di continuità fra i due aspetti della P.A. tale da rendere del tutto labile e di difficile demarcazione il confine fra gli stessi, pertanto molti degli istituti di diritto amministrativo possono essere letti sia in chiave di organizzazione che in quella di attività; esempio emblematico di questa doppia chiave di lettura è il procedimento amministrativo che può essere al contempo attività amministrativa e organizzazione, ossia coordinamento di uffici, interessi e competenze.

Ciò detto, ponendo comunque l’accento sul carattere oggettivo, è possibile abbandonare la astrattezza teorica del duplice profilo per avvicinarsi ad una definizione più concreta di P.A., ossia pensare alla stessa come “una realtà molto estesa e diffusa che incontra la vita quotidiana dei cittadini svolgendo un ruolo essenziale nel dare forma e sostanza alle relazioni sociali”15.

Nel nostro ordinamento si configura come apparato organizzativo preposto all’esercizio dell’azione amministrativa ed al contempo strumentale al soddisfacimento dei bisogni della collettività; essa rappresenta il punto di contatto tra i cittadini e lo Stato, difatti le spetta l’arduo compito di interpretare i bisogni delle comunità di riferimento e dare loro una risposta attraverso l’erogazione di servizi pubblici, attuando in questo modo gli obiettivi ed i programmi definiti dall’autorità politica.

Le profonde trasformazioni economiche, sociali e culturali che hanno caratterizzato la seconda metà del sec. XX hanno portato con sé la nascita di bisogni nuovi ed interessi

(11)

prima non avvertiti, così, a titolo esemplificativo, si potrebbe sostenere che se in passato un cittadino si accontentava di ricevere, come risposta alla sua istanza, una semplice prestazione ( ad es. un documento amministrativo ) oggi, invece, richiede che tale prestazione sia assistita da ulteriori servizi ( ad es., per continuare quello precedente, la facilità di accesso ai documenti amministrativi e la celerità dell’acquisizione ).

La P.A. non è certo rimasta immune a queste nuove spinte progressiste, ma al contrario si è perfettamente inserita nel dinamismo evolutivo che ha profondamente riformato la società.

Inoltre, l’apertura ai mercati, ovvero ai soggetti in essi operanti (utenti, lavoratori ed imprenditori), ha inevitabilmente contribuito alla realizzazione di una nuova organizzazione degli assetti della P.A. alla luce dei nuovi principi di efficacia, efficienza, economicità e trasparenza dell’azione amministrativa.

In particolare si possono ricordare i tre aspetti più importanti della nuova realtà politico-sociale che hanno contribuito alla formazione delle rigenerate strutture amministrative sia dal punto di vista quantitativo sia ( soprattutto ) da quello qualitativo.

In primis, il nuovo ruolo assunto dallo stato in qualità di immediato partecipatore dell’assetto economico e sociale ha condotto al progressivo ampliarsi e modificarsi dei suo compiti, trasformandoli da mere funzioni di ordine e controllo a veri e propri compiti di assistenza, protezione sociale e integrazione economica.

(12)

Si è dunque potuto assistere ad un cambiamento graduale della stessa da semplice soggetto dispensatore di prestazioni a responsabile della fornitura di servizi16.

In secondo luogo, si assiste al dipanarsi congiunto di spinte diametralmente opposte: inizia ad affievolirsi la netta separazione fra stato e società che aveva permeato le istituzioni amministrative del periodo liberale, e contestualmente inizia a svilupparsi il lambiccato processo di integrazione fra stato e società, per cui, da un lato, gli aspetti di quest’ultima hanno iniziato a pubblicizzarsi e, dall’altro, i poteri pubblici hanno iniziato a radicarsi nella società.

Da ultimo, ma non per importanza, deve essere accennato il più ricco status economico e sociale degli individui che ha indotto gli stessi a prendere maggiore coscienza dell’importanza della partecipazione politica ed amministrativa, ad essere più sensibili verso i diritti di libertà e più accorti ed interessati alle loro garanzie di tutela nei confronti dell’esercizio dei pubblici poteri.

Si tratta di fenomeni che hanno contribuito a cambiare radicalmente la fisionomia della pubblica amministrazione sotto una pluralità di aspetti, in particolare in relazione al regime giuridico e alla pluralizzazione dell’amministrazione, e al rapporto fra struttura politica e amministrativa ed infine in relazione a quello fra amministrazione e comunità17.

16 Cfr. F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo , Milano, 2008; E.CASETTA e F. FRACCHIA, Manuale

di diritto amministrativo, 2011; F. CARINGELLA, L. DELPINO e F. DEL GIUDICE, Diritto amministrativo, Napoli,

1998.

(13)

1.2SERVIZIO PUBBLICO E IL SERVIZIO PUBBLICO LOCALE

I servizi pubblici sono ricompresi nelle attività amministrative18.

La nozione di servizio pubblico ha suscitato nel corso degli anni una attenzione sempre maggiore da parte dei cultori del diritto, tanto da attribuirle il titolo di nozione giuridica “tra quelle più tormentate”19 e “di incerta definizione”20 dell’intero

panorama del diritto amministrativo; il motivo di un interesse così sentito è da rinvenire nell’importanza sempre più crescente che questo tipo di gestione produttiva ha progressivamente assunto in relazione a quelle attività preposte alla cura di interessi economici e sociali, attività la cui importanza è divenuta di primario ordine con l’avvento del Welfare State.

L’ampia portata significativa della nozione rende possibile una delimitazione dei suoi confini meramente in astratto, tanto da renderla un vero e proprio banco di prova per l’abilità di giuristi.

Le non poche difficoltà cui va incontro lo studioso del diritto nel tentativo di approntare una definizione esaustiva e sufficientemente dettagliata di servizio pubblico, scaturiscono dal fatto che il legislatore ha ampiamente utilizzato tale espressione nelle disposizioni legislative21 senza però preoccuparsi di improntarne

18 Cfr. G. E. BERLINGERIO, Studi sul pubblico servizio, Milano, 2003, 49 e ss. 19 Cit. M. S. GIANNINI, Il pubblico potere, Bologna, 1986, 69.

20 Cit. G. ROSI, Dove inizia il pubblico servizio: avvio di una riflessione, in Riv. giur. quadrim. dei servizi pubblici, 2000, n. 2,

7.

21 A questa impostazione lacunosa fa eccezione il codice penale e la L. 12 giugno 1990 n. 146. L’art. 358 c.p.

comma 2, stabilisce che, agli effetti della legge penale, “per pubblico servizio deve intendersi una attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, caratterizzata però dalla mancanza dei poteri tipici di questa ultima e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale”. La succitata definizione, benché circoscritta al solo ambito del diritto penale e priva di qualsivoglia indicazione circa il contenuto concreto del servizio pubblico, risulta essere comunque di primaria importanza in quanto rappresenta la prima esplicitazione, seppur succinta, di matrice legislativa. Il legislatore, con

(14)

anche la definizione22 ( la Carta Costituzione stessa cita i servi pubblici all’art. 43 senza

però definirli ).

Di conseguenza, dei servizi pubblici tanto è stato detto e scritto ma le diverse teorie dottrinali elaborate sino ad oggi non hanno condotto ad una delimitazione ben precisa della categoria stessa.

L’unico punto fermo è rappresentato dalla attività svolta: quando si parla di servizio pubblico si fa riferimento ad una attività economica oppure sociale, ossia un insieme minuziosamente coordinato di operazioni, il cui fine consiste nel far conseguire utilità che vengono messe a disposizione della collettività per il soddisfacimento dei propri bisogni23.

In sintesi, per servizio pubblico “ si intende qualsiasi attività che si concretizzi nella produzione di beni o servizi in funzione di un’utilità per la comunità locale, non solo in termini economici ma anche in termini di promozione sociale, purché risponda ad esigenze di utilità generale o ad essa destinata in quanto preordinata a soddisfare interessi collettivi”24.

Ciò detto, non bisogna però cadere nell’errore di concepire il servizio pubblico e l’attività in un’ottica di corrispondenza biunivoca, poiché non tutte le attività sono, ovviamente, da intendersi come servizi pubblici.

la legge 12 giugno 1990, n. 146, art. 1, è intervenuto nuovamente assumendo, questa volta, la nozione di servizio pubblico e provvedendo, invece, a fornire un elenco degli stessi di carattere teleologico, ricomprendendovi “quelli rivolti a garantire il godimento dei diritti della persona costituzionalmente tutelati alla vita, alla salute, alla libertà e alla sicurezza, alla libertà di circolazione, all’assistenza e alla previdenza sociale, all’istruzione e alla libertà di comunicazione”.

22 Cfr. F. MERUSI, Servizio pubblico, in nuovissima d.i. XVII 1970 pag. 215 e ss. Inoltre, stante l’opinione

dell’autore, una ricerca sulla nozione di servizio pubblico risulta essere “del tutto inutile ed oziosa posto che essa altro non è che un riflesso congiunturale di concetti elaborati dalla scienza economica.”

23 Cfr. Il concetto di servizio pubblico: generalità in www.economia.unict.it

(15)

È indispensabile individuare ulteriori elementi di qualificazione: occorre fare riferimento alla nozione di “pubblico”, l’aggettivo che per l’appunto accompagna e connota il servizio, che può essere riferito sia alla natura del soggetto titolare del servizio sia a quella della sua destinazione.

Sulla base di questa possibile bipartizione la dottrina ha elaborato le due storiche teorie della materia in esame: la teoria soggettiva e la teoria oggettiva25.

La teoria soggettiva, nella sua prima elaborazione, si fondava precipuamente sul profilo soggettivo della imputazione di una attività produttiva ad un soggetto pubblico26 e, dunque, considerava come elemento qualificante del servizio pubblico

l’assunzione e la gestione, da parte di un pubblico potere, di una determinata attività produttiva27.

Il carattere pubblico del servizio veniva relazionato alla scelta di un soggetto pubblico di ricomprendere nella sfera delle proprie competenze istituzionali una determinata attività, in quanto intesa di interesse esclusivamente collettivo.

Una impostazione dottrinale così squisitamente soggettivo-pubblicistica che aveva riconosciuto nelle finalità sociali perseguite direttamente dallo Stato, tramite attività non autoritative riferibili intrinsecamente all’ente pubblico, l’essenza primaria del

25 Tra gli autori più accreditati delle teorie in esame si ricordano in primis: A. DE VALLES, I servizi pubblici in

Primo trattato completo di diritto amministrativo, diretto da V. E. ORLANDO, Milano, 1924, ove viene ricostruita la

teoria soggettiva; U. POTOTSCHNIG, I pubblici servizi, Padova, 1964, ove invece viene esposta la teoria oggettiva; a seguire: S. CATTANEO, Servizi pubblici in Enciclopedia del diritto, XLII, Milano, 1990; F. MERUSI, Servizio pubblico in Nuov. dig. Ita., XVII, 1970; G. CAIA, La disciplina dei servizi pubblici in L. MAZZAROLLI, G. PERICU, A. ROMANO e F. G. SCOCA ( a cura di ) Diritto amministrativo, Bologna, 2001.

26 Cfr. F. MERUSI, op. cit., 218 e ss, l’autore concepisce i servi pubblici come attività materiali svolte dalla P.A.

senza l’utilizzo di poteri pubblici.

27 Per servizio pubblico si intendeva l’esercizio da parte di un soggetto pubblico, in modo diretto o attraverso

specifiche articolazioni quali aziende autonome o mediante concessione, di un’attività imprenditoriale offerta in modo indifferenziato al pubblico.

(16)

servizio pubblico, era pienamente in sintonia con la concezione di Stato allora dominante28: non è un caso che la teoria in esame sia stata elaborata durante il

periodo della municipalizzazione ( assunzione in capo agli enti locali della gestione di determinate attività di interesse generale ) e della nazionalizzazione ( assunzione da parte dello Stato di servizi pubblici a carattere nazionale )29.

Tuttavia, tale impostazione ideologica non è rimasta esente da critiche poiché a contraddirla vi sono, da un lato, le attività di impresa che l’amministrazione pone in essere nei settori più vari, ma che spesso non hanno alcuna connessione con le finalità proprie dei servizi pubblici, e, dall’altro, le attività che hanno caratteristiche materiali perfettamente simili ai servizi pubblici, ma che sono gestite dai privati e non da una amministrazione.

La fondatezza delle critiche ha rivelato la necessità di una definizione oggettiva di servizio pubblico che ricomprendesse attività economiche latamente intese, ovvero caratterizzate dalla soggezione ad un particolare regime per la rilevanza sociale degli interessi perseguiti, prescindendo completamente dall’imputazione soggettiva ad un soggetto pubblico.

Accanto alla teoria soggettiva ha progressivamente iniziato a prendere campo una ricostruzione oggettiva della nozione di pubblico servizio.

28 Cfr. S. CASSESE, Cultura e politica del diritto amministrativo, Bologna, 1971 . Appare opportuno ricordare che

all’epoca lo Stato era concepito come unica fonte di pubblicità, unico soggetto che assommava in sé ogni potere con l’eventualità di poterli affidare ad altri enti pubblici.

29 Cfr. S. VARONE, Servizi pubblici locali e concorrenza, Torino, 2004, 3. L’autore scrive “La visuale soggettiva

sembra d’altronde armonizzarsi perfettamente con il modello tradizionale del servizio pubblico e sull’idea, a lungo radicata, della riserva alla mano pubblica delle attività dirette alla relativa produzione”.

(17)

La teoria oggettiva prende le mosse dal dettato costituzionale e focalizza l’attenzione sulla natura della attività e sulla consonanza della stessa all’interesse generale.

Il fulcro dell’elaborazione teorica è l’art. 43 Cost. dal quale si può evincere l’esistenza di attività ( rectius: servizi pubblici essenziali ) fornite da imprese prive sia di legami istituzionali con la P.A. sia di specifica concessione da essa rilasciata, qualora sussistano i particolari requisiti previsti nell’art. 41, comma 3, Cost.; tali attività risulterebbero già qualificate come servizi pubblici ancorché non riservate e trasferite in mano pubblica per fini di utilità generale30.

Il servizio pubblico, dunque, viene a ricomprendere ogni tipo di attività soggetta a programmi e controlli necessari per indirizzarla e coordinarla ai fini sociali, indipendentemente dalla natura pubblica o privata del soggetto gestore.

Si è improntata in tal modo una definizione eccessivamente lata che rappresenta al contempo la peculiarità e la criticità della teoria, nella quale finivano per essere ricomprese anche attività economiche del tutto avulse dall’esercizio di un pubblico potere sebbene soggette a programmi e controlli, basti pensare ad esempio alle attività assicurative e creditizie.

Tale criticità indusse a predisporre una nuova elaborazione teorica che prese le mosse da una rivisitazione dell’ormai surclassata teoria soggettiva; rivisitazione che venne condotta in un ottica completamente diversa da quella precedentemente seguita: mentre in passato la pubblicità del servizio era sostanzialmente ricondotta alla natura pubblica del soggetto gestore, adesso, nella nuova prospettiva, l’attenzione viene

(18)

focalizzata sulla natura del soggetto titolare del servizio a prescindere da quella del soggetto chiamato concretamente a gestirlo.

In breve, “un’attività viene considerata come servizio pubblico quando un’amministrazione la assume tra le proprie finalità istituzionali, rendendola connessa alle esigenze di sviluppo e di benessere della collettività”31.

A ben vedere, tale nuova impostazione si è limitata a realizzare una sintesi dei presupposti di fondo di ambedue le teorie soggettiva ed oggettiva.

Successivamente la dottrina, sulla base di tale nuova elaborazione dominante ed amalgamando le molteplici sfaccettature teoriche, è giunta ad individuare gli aspetti peculiari dei servizi pubblici condensandoli nella contestuale presenza di tre presupposti imprescindibili: a) il risultato della attività deve consistere in una prestazione; b) per la gestione del servizio deve esistere un’organizzazione stabile con un controllo pubblico che assicuri un livello minimo di erogazione; c) l’attività deve essere diretta alla soddisfazione immediata dei bisogni dell’utenza.

Inoltre è opportuno precisare che la qualifica pubblicistica di un servizio promana sempre da scelte discrezionali di istituzioni pubbliche, soltanto la legge può infatti condurre un’attività ad assurgere a servizio pubblico in virtù della utilità sociale della stessa.

E poiché la scelta, discrezionale, è il frutto della volontà politica del soggetto che in quel momento rappresenta lo Stato e del coesistente contesto culturale e sociologico di fondo, ne consegue, data appunto la probabile mutevolezza di entrambi gli

31 Cit. F. MIGNELLA CALVOSA ( a cura di ), La governance degli enti locali nella gestione dei servizi pubblici, Roma,

(19)

elementi, la non opportunità di considerare i servizi pubblici come categoria “chiusa” bensì “aperta”, suscettibile di adeguarsi alle eventuali evoluzioni dei bisogni avvertiti dalla comunità.

In questo senso il concetto di servizio pubblico potrebbe essere inteso come concetto strettamente legato al momento storico-temporale in cui viene espresso, difatti ciò che in passato era qualificato come servizio pubblico potrebbe non esserlo in futuro, e viceversa.

Da questa prima disamina del concetto di servizio pubblico, avente ad oggetto entrambe le sue connotazioni, emerge chiaramente il carattere generico e mutevole dell’istituto tale da rendere tutt’oggi strettamente necessario un continuo rinvio alla specifica normativa in cui viene disciplinato ai fini di una maggiore e sostanziale delimitazione della categoria stessa32.

Dalla nozione generale di servizio pubblico è possibile individuare, con riferimento agli enti territoriali, quella più specifica di servizio pubblico locale.

La normativa di riferimento è rappresentata dall’art. 112 del Testo Unico degli Enti Locali che stabilisce “Gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali”33.

32 Cons. Stato, sez. V, 3 aprile 1990, n. 319. La nozione di servizio pubblico non può essere definita in astratto,

esclusivamente in relazione al tipo di attività cui esso si riferisce e a prescindere da un contesto normativo qualificante. Cons. Stato, sez. V, 3 aprile 1990, n. 319.

33 L’art. 112, in cui è stato trasfuso l’art. 22, l.8 giugno 1990, n. 142, è la disposizione di apertura del titolo V del

d.lgs. n. 267 del 2000, recante una disciplina organica dei servizi e degli interventi pubblici locali, con l’intento di mettere ordine nel succedersi travagliato delle varie discipline in materia.

(20)

Da una mera analisi del tenore letterale del succitato articolo risulta che la definizione34 ivi contenuta, benché di primaria importanza in quanto delimita l’ambito

applicativo di tutta la normativa contenuta nel Titolo V del Tuel35 , non fornisce

elementi sufficienti per una individuazione sostanziale del servizio pubblico locale 36,

ma si limita a definirlo unicamente sulla base degli elementi essenziali, ovvero l’imputazione dell’attività ad un ente locale ( comune o provincia ), l’oggetto ( produzioni di beni e attività ), ed il fine ( promozione dello sviluppo economico e civile delle comunità di riferimento).

Tale definizione puramente elastica è il frutto di una scelta legislativa adottata non solo in ossequio al concetto di ente locale inteso come ente a fini generali37, ma anche

in ragione dei mutamenti che il concetto è destinato a subire nelle diverse epoche storiche in relazione alle diverse dottrine economiche, politiche e sociali38.

Dunque l’art. 112 del Tuel ripropone una visione del servizio pubblico nella quale il ruolo dell’amministrazione è forte e finalizzato all’espletamento di un compito suo proprio, essendo connotato in termini di responsabilità della erogazione del servizio,

34 Definizione non del servizio quanto invece delle attività oggetto del servizio, F. LIGUORI, I servizi pubblici locali,

Torino, 2007, 8.

35 TAR Valle d’Aosta, 14 maggio 1999, n. 91 “l’applicabilità dell’art. 22, comma 3°, l. 8 giugno 990, n. 142 – che

conferisce all’ente locale la scelta delle forme di gestione delle attività che lo stesso può decidere liberamente di assumere o svolgere – presuppone il verificarsi di due condizioni, concorrenti e non alternative, e cioè che si tratti di attività riconducibile alla nozione di servizio pubblico locale, nonché di servizio pubblico diretto a realizzare il fine specifico individuato dal primo comma dell’art. 22”.

36 Cfr. A. POLICE, La nozione di servizio pubblico locale tra limiti territoriali e principio di sussidiarietà in Quaderni del

pluralismo, n. 2, 1998

37 Cons. Stato, sez. 5a, 13 dicembre 2006, n. 6325.

38 Cfr. V. PARISIO, Servizi pubblici e monopoli in E. PICOZZA ( a cura di ) Dizionario di diritto pubblico dell’economia,

(21)

in conseguenza della scelta legislativa o autonoma di assunzione di un’attività come servizio pubblico39.

La norma in questione è il risultato ( riadattato e rimodificato ) di un secolo di intensa normazione che ha assistito al succedersi di numerosi provvedimenti diretti a disciplinare la materia in esame: la legge 29 marzo 1903, n. 103 ( legge Giolitti ), il T.U. approvato con r.d. 15 ottobre 1925, n. 2578 ( sull’assunzione diretta dei servizi pubblici non solo da parte dei comuni ma anche, per definiti settori delle attività, delle province ), gli artt. 265 – 268 del T.U. per la finanza locale approvato con r.d. 14 settembre 1931, n. 1175 ( concernente la concessione dei servizi ), il d.p.r. 4 ottobre 1986, n. 902 ( regolamento di esecuzione del T.U. del 1931 ), per poi giungere alla legge 8 giugno 1990, n. 142 sull’ordinamento delle autonomie locali.

(22)

1.3LE MODALITÀ DI GESTIONE DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI: GESTIONE DIRETTA ED INDIRETTA

Il carattere marcatamente mutevole dell’argomento oggetto del presente elaborato, tale da rendergli il primato in fatto di continuità nei processi di riforma, rende necessario un succinto excursus storico delle varie discipline succedutesi nel tempo per meglio comprenderne le attuali problematiche ed i profili di maggiore criticità. Il processo evolutivo è avvenuto all’insegna del progressivo superamento della dicotomia riserva/mercato e, di conseguenza, dell’abbandono generalizzato della gestione diretta40 a favore di quella indiretta41 attraverso l’introduzione della

possibilità di procedere all’affidamento dei servizi, esclusivo o prevalente, tramite gare secondo i principi di concorrenza.

È tuttavia doveroso precisare che, sebbene l’evoluzione normativa degli stessi sia avvenuta in un’ottica di apertura al mercato, ad oggi, come avremo modo di analizzare nel proseguo, a fronte del brusco arresto dovuto all’esito referendario, non è ancora ben chiaro quale sia ( e quale sarà ) il regime giuridico di dettaglio a cui è soggetta la gestione dei servizi pubblici locali; anche se, tuttavia, giova sin da subito anticipare che il recente intervento della Commissione Europea in materia lascia ben sperare in un imminente nuovo tentativo di apertura al mercato.

40 La gestione diretta ricomprende tre forme di gestione: in economia, con affidamento diretto e tramite

istituzione. L’elemento comune a queste modalità gestionali consiste nel fatto che l’ente locale provvede in proprio alla gestione ed erogazione del servizio pubblico, senza ricorrere alle logiche della contendibilità del mercato.

41 La gestione indiretta, chiamata anche esternalizzazione o outsourcing per utilizzare una terminologia anglofona,

consiste “nella realizzazione di una attività, precedentemente svolta direttamente dall’Ente Locale, ad opera di un soggetto terzo al quale tale svolgimento sia stato – a vario titolo – attribuito dall’Ente stesso.”cit. G. DI

GASPARE, Servizi pubblici locali in trasformazione, Peschiera Borromeo – Mi, 2010, 82. Ai fini dell’esternalizzazione occorre distinguere tra attività amministrative a contenuto autoritativo ed attività di prestazioni di servizio, in quanto ovviamente solo queste ultime possono divenire oggetto di gestione da parte di terzi.

(23)

L’indagine, pertanto, deve essere condotta tenendo presente l’andamento tendenzialmente sinusoidale che ha caratterizzato i servizi pubblici locali per più di un secolo e li ha visti all’origine privati ( o comunque dati in privativa in regime per lo più monopolistico), poi pubblici ( a partire dal 1903 ), infine nuovamente riassegnati al settore privato ( ma in regime concorrenziale ) per poi intraprendere una insolita alternanza tra affidamento mediante gara con evidenza pubblica ed affidamento in house ( rectius: fra apertura alla concorrenza e limiti al ricorso al mercato ) in termini di regola ed eccezione42.

I servizi pubblici sono stati disciplinati per la prima volta in modo organico più di un secolo fa dalla legge 19 marzo 1903, n. 103 ( c.d. legge Giolitti ) che apportò grandi innovazioni in tema di municipalizzazione.

La legge affrontò in un momento particolarmente fecondo di legislazione sociale il problema della produzione ed erogazione comunale di quei beni e servizi ritenuti strettamente necessari per dare risposta ai nuovi bisogni avvertiti dalla collettività locale come conseguenza ai mutamenti di ordine economico, urbanistico e culturale allora in atto, determinando in maniera chiara l’estraneità del settore alla concorrenza e al mercato43.

In quegli anni il clima politico e culturale44 aveva già espresso il proprio appoggio alla

pubblicizzazione, basti pensare alla legge 20 marzo 1865 n. 2248 che qualificò come “spese obbligatorie” a capo di comuni e province alcune funzioni, tra cui l’istruzione

42 Cfr. A. BARBERA, Il diritto costituzionale e i servizi pubblici locali, in Quale ordinamento per gli enti locali?

Organizzazione servizi pubblici e “federalismo fiscale”, Bologna, 2009, 77.

43 Cfr. D. MASSARO, L’apertura alla concorrenza dei servizi a rilevanza industriale, in Travi ( a cura di ), La riforma dei

servizi pubblici locali, 2003, 22.

(24)

per i primi e l’assistenza ai malati di mente per le seconde, che sarebbero diventate le colonne portanti del Welfar state, a cui fece seguito la nazionalizzazione delle ferrovie e della telefonia, avvenute rispettivamente nel 1905 e nel 190745.

Poiché l’intervento pubblico era considerato indispensabile data l’entità dei valori in gioco e la necessità di una risposta speciale all’imponente bisogno di diffusione territoriale dei servizi pubblici, il disegno di legge fu impostato sul progressivo trasferimento della gestione dei servizi ai comuni, non a caso concepiti quali tutori naturali degli interessi dei cittadini, e sulla contestuale sottrazione alle imprese private, restie invece alla riduzione dei prezzi e all’introduzione di agevolazione per i cittadini46.

L’obiettivo preposto consisteva nel trovare una soluzione idonea a soddisfare tali esigenze emergenti senza la necessità di ricorrere obbligatoriamente all’appalto o alla concessione ai privati.

La soluzione venne individuata nella municipalizzazione dei pubblici servizi quale forma di intervento da parte dei comuni che intendessero intervenire nella gestione diretta del servizio nell’ambito dell’economia pubblica, e il modello gestionale sul quale venne focalizzata l’attenzione era l’azienda speciale, organizzazione dotata di autonomia amministrativa e contabile nonché di propria capacità di compiere atti e negozi giuridici, ma priva di personalità giuridica.

All’azienda speciale erano affiancate altre due forme di gestione: l’esercizio in economia, ovvero direttamente da parte dell’amministrazione senza la necessità di una organizzazione differenziata ad hoc ( ma limitatamente ai soli servizi di non

45 Cfr. A. BARBERA, op. cit., 78. 46 Cfr. F. LIGUORI, op. cit., 10.

(25)

grande entità ), e la concessione ( “all’industria privata” come recita l’art. 26 ), la quale venne a rappresentare l’unico istituto idoneo a consentire il coinvolgimento nella gestione dei servizi pubblici di soggetti privati.

La legge Giolitti pose così le basi istituzionali per una imprenditorialità pubblica locale italiana ed aprì nuove prospettive connesse in primis alla scelta dell’assunzione della gestione diretta dei servizi per infrangere gli effetti negativi del monopolio, alle politiche di agevolazione di carattere finanziario per i comuni nel caso di assunzione diretta dei servizi pubblici, ed infine alla ricerca di un ambito idoneo di utenza attraverso la possibilità per i comuni di costituirsi in consorzi per assumere direttamente l’impianto e/o l’esercizio di questi servizi considerati di interesse comune47.

La legge Giolitti approntò un elenco non tassativo dei servi soggetti al nuovo regime, tra i quali si ricordano l’erogazione del gas e dell’energia elettrica, la gestione del trasporto locale, la distribuzione di acqua potabile, la costruzione di fognature, la rimozione della nettezza urbana e l’esercizio di farmacie.

L’impianto così delineato venne sostanzialmente confermato nei suoi tratti salienti in epoca fascista dal T.U. n. 2578 del 1925 e dal successivo decreto di attuazione, il d.p.r. n. 602 del 1926.

Eppure tale sistema gestionale non tardò a manifestare la propria incapacità nell’organizzare in modo sufficientemente accettabile quei servizi pubblici tecnicamente più impegnativi, costringendo in questo modo la legislazione nazionale a sottrarre spazio agli enti locali attraverso la nazionalizzazione del servizio

(26)

telefonico, del servizio di energia elettrica e del servizio ferroviario, settori in cui l’organizzazione dei poteri locali non era riuscita a creare un valido bacino di utenza e per i quali si rese pertanto necessaria la costituzione di aziende di dimensioni nazionali48.

Le problematiche avvertite a livello nazionale si rinvennero anche a livello locale, tant’è che le grandi privatizzazioni e liberalizzazioni nazionali contribuirono, offrendosi quali termine di paragone, allo sviluppo del processo di privatizzazione e liberalizzazione dei servizi pubblici locali ove era per l’appunto avvertita l’esigenza di fornire un’impronta manageriale alla gestione dei servizi, al fine di favorire la nascita di mercati sino ad allora caratterizzati dalla presenza di barriere legislative che ne ostavano il dipanarsi49.

Nel corso degli anni ’90 i problemi dell’economia pubblica e di quella locale vennero dunque percepiti come problemi connessi all’inefficienza, inefficacia e diseconomicità dei servizi pubblici locali, causati da un intervento pubblico troppo spesso esteso ed invadente, da un sistema di finanziamento inadeguato ( mediante la tecnica dei ripiani ex post ), e da sistemi di controllo e responsabilità troppo spesso inefficaci50.

I modelli gestionali così definiti rimasero sostanzialmente immutati assieme ai loro difetti sino agli inizi degli anni ’90 quando, dopo una lunga gestazione, venne approvata la legge 8 giugno 1990, n. 142, ovvero la legge di riforma delle autonomie locali.

48 Sul punto, ampiamente: L. VASQUES, I servizi pubblici locali nella prospettiva dei principi di libera concorrenza, Torino,

1999.

49 Cfr. L. VASQUES, op. cit., 37. 50 Cfr. F. LIGUORI, op. cit., 14.

(27)

In particolare, l’art. 22 comma 3 della suddetta legge riporta un elenco tassativo delle forme gestionali individuandole in:

a) gestione diretta in economia, “quando per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio non sia opportuno costituire una istituzione o una azienda”.

Tale forma di gestione va a costituire una ipotesi di gestione diretta del servizio che viene gestito con l’esclusione di un apparato organizzativo distinto da quello dell’ente locale, pertanto può essere utilizzata in presenza di servizi di modeste dimensioni e aventi caratteristiche tali da rendere non opportuna e non conveniente la creazione di un apposito organismo di gestione.

Le peculiarità istituzionali della gestione in economia, ovvero l’esistenza di una articolazione interna dell’ente locale con personale ad esso dipendente preposta all’espletamento dei servizi, il ricorso a provvedimenti tipici dell’ente locale, e dunque sottoposti alla relativa disciplina, e l’assenza di un proprio bilancio, ne palesano l’inadeguatezza per una gestione produttiva dei servizi, tant’è che si ricorre alla stessa per i soli servizi di carattere generale ed istituzionale ed a costi non divisibili51;

b) gestione in concessione a terzi, “quando sussistono ragioni tecniche, economiche e di opportunità”.

Il modello organizzativo in esame ha rappresentato per lungo tempo la forma di gestione preminente dei servizi pubblici locali dando vita ad il solo strumento di gestione indiretta del pubblico servizio52.

51 Cfr. F. SPIEZIA, P. MONEA ed E. IORIO, I servizi pubblici locali, Milano, 2004, 54-55.

52 Concezione possibile se si sostiene che lo schema societario realizzi un’ipotesi di gestione diretta, tale

(28)

Le ragioni di natura tecnica ed economica richiamate nell’articolo 22 lettera b), attengono, da un lato, alle difficoltà di reperire personale specializzato e tecnologie appropriate per lo svolgimento delle attività e, dall’altro, ai probabili risparmi di spesa che si dovrebbero conseguire; le ragioni di opportunità sociale devono invece essere valutate di volta in volta in relazione al singolo servizio53;

c) a mezzo di azienda speciale “quando lo svolgimento del servizio implica un’attività imprenditoriale, anche relativa a più servizi, caratterizzata da snellezza, managerialità ed economicità”.

L’azienda speciale viene ad assumere la configurazione di un ente strumentale dell’ente locale, dotata di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e di un proprio statuto;

d) a mezzo di istituzione.

L’istituzione è anch’essa una struttura strumentale dell’ente locale, volta specificamente all’esercizio di servizi pubblici privi di rilevanza imprenditoriale, ma, a differenza dell’azienda speciale, non è provvista di personalità giuridica potendo disporre semplicemente di autonomia gestionale ;

e) a mezzo di società per azioni a prevalente capitale pubblico, che rappresenta indubbiamente la novità più significativa introdotta dal legislatore in materia.

Dovendo trarre delle conclusioni, si potrebbe evidenziare che l’art. 22, legge n. 142/1990, sebbene abbia ad oggetto “attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali”, permette una

23 marzo 2005, n. 1543 ).

(29)

gestione del servizio pubblico nelle sole forme che comportano comunque una titolarità del servizio in capo all’ente locale54.

Per cui, rimarcando la titolarità pubblica del servizio, il legislatore non ha aperto direttamente alla concorrenza, ma ha posto l’obiettivo di distinguere i ruoli del titolare e del gestore, prevedendo la forma societaria per immettere maggiori risorse e logiche imprenditoriali in un mercato che rimane comunque riservato.

I modelli di gestione brevemente analizzati pocanzi sono stati oggetto di innumerevoli ripensamenti legislativi e giurisprudenziali che nel corso dell’ultimo ventennio ne hanno riformato, talvolta drasticamente, la relativa disciplina ed ambito di applicazione.

Di seguito si riporta una ricognizione sintetica di tali interventi con particolare riguardo alle forme di gestione tout court considerate, mentre si rinvia al paragrafo 3.4 per un’analisi capillare di quelli concernenti la forma di gestione societaria.

Negli anni immediatamente successivi, con legge 8 agosto 1992, n. 359 ( nota come legge Amato ) si dà avvio a livello nazionale al processo di privatizzazione formale, finalizzato a trasformare la forma giuridica delle aziende di servizi, direttamente per effetto di legge o attraverso una procedura amministrativa, da pubblicistica a privatistica mediante l’adozione di strumenti privatistici di gestione dell’attività stessa ( gli Enti pubblici economici ENEL, ENI, IRI e INA vengono trasformati in S.p.a. ). Il processo prosegue con la legge 23 dicembre 1992, n. 498 ( attuata con d.p.r. 16 settembre 1996, n. 533 ), che permette la costituzione di S.p.a. senza il vincolo della proprietà maggioritaria pubblica, permettendo così l’inserimento di più forti elementi

(30)

di privatizzazione sostanziale ( ossia una vera e propria dismissione dell’attività di erogazione dello Stato e dell’Ente pubblico )55.

Il panorama delle forme di gestione societaria viene in seguito arricchito con l’introduzione delle S.r.l. ad opera della legge 15 maggio 1997, n. 127.

Di pari passo si prosegue con il processo di liberalizzazione che viene posto in essere attraverso quattro fondamentali interventi legislativi di settore: la legge 31 luglio 1997, n. 249, e il D.p.r 19 settembre 1997, n. 318, in materia di telecomunicazioni e radiotelevisioni; il D. lgs. 16 marzo 1999, n. 79, attinente il settore elettrico; infine il D. lgs. 23 maggio 2000, n. 164, di liberalizzazione della filiera del gas.

Questa inversione di tendenza , anche se non porta alla totale evaporazione del servizio pubblico, si riflette sui servizi pubblici locali, specie su quelli in cui il confine fra livello centrale e livello locale sembra essere piuttosto labile ( ad esempio i servizi concernenti il gas )56.

Dopo un decennio di intensa normazione si approva il D. lgs. 18 agosto 2000, n. 267, meglio noto come Testo Unico degli Enti Locali, che riassume e coordina con gli originari artt. 22 e 23 della legge 142/1990 tutte le disposizioni legislative successive a quest’ultima.

Il quadro normativo risultante, poiché il Tuel rappresenta sostanzialmente un intervento finalizzato alla mera sistemazione organica di tutta la materia57, continua

ad essere caratterizzato da una eccessiva frammentazione ed incompletezza,

55 Cfr. F. LIGUORI, op. cit., 21 e ss.; saggio La regolamentazione dei servizi pubblici locali

56 Cfr. D. IEIO, La gestione di reti ed impianti e la separazione tra reti e servizi, in I servizi pubblici locali. Guida operativa, a

cura di Italia, Milano, 2003, 112.

57 Per quanto concerne le innovazioni, il Tuel si è limitato fornire una definizione più analitica della forme di

gestione nell’art. 113, soffermandosi in particolare sulla disciplina della spa nell’art 116, dove per la prima volta trova espressa previsione quella a capitale pubblico minoritario.

(31)

soprattutto sotto il profilo ( particolarmente apprezzato a livello europeo ) della concorrenza, tanto da rendere auspicabile, nell’immediato, una riforma organica dell’intero settore58.

Riforma che non tarda a sopraggiungere anche ( e soprattutto ) per merito dei rilievi mossi in sede comunitaria59ai modelli di gestione previsti nel nostro ordinamento: la

legge 28 dicembre 2001, n. 448 ( legge finanziaria per il 2002 60) pertanto ridisegna

radicalmente la disciplina degli affidamenti dei servizi pubblici locali mediante la previsione della distinzione fra servizi a rilevanza industriale e servizi privi di tale rilevanza, conferendole di fatto una impostazione ideologica i cui tratti salienti permangono a tutt’oggi.

Il dibattito politico che ha accompagnato l’iter di approvazione della riforma è stato animato da due differenti linee di pensiero, da un lato vi era chi riteneva necessaria la piena apertura al mercato ( almeno per i servizi locali non sociali ) e la trasformazione degli enti locali in soggetti di regolazione, e dall’altro chi invece sosteneva che gli enti locali avrebbero dovuto continuare a gestire i servizi locali attraverso le società partecipate.

58 Già nel corso della XIII legislatura vengono presentati vari progetti di riforma, si segnalano, in particolare, il

disegno di legge Bassanini-Napolitano ed il progetto di iniziativa della maggioranza recante le firme di Gasparri-Zacchera-Migliori; successivamente durante il dibattito interviene anche il parere dell’Agcm e viene presentato il disegno di legge Vigneri, diretto a introdurre una maggiore concorrenza nel settore.

59 In data 8 novembre 2000, viene presentata la lettera di messa in mora ( D108243 ) con cui si contesta alla

Repubblica Italiana la violazione ad opera dell’art. 22 legge n. 142/1990 degli obblighi imposti dalle direttive 92/50/CEE e 93/38/CEE nonché gli art. 49 es. del Trattato CE ed i principi di non discriminazione. Si segnala, a tal proposito, l’indirizzo ormai consolidato della Corte di Giustizia ( da ultimo ribadito nella sentenza del 7 dicembre 2000, C-324/98 Telaustria ) con cui si rimarca che il principio di non discriminazione in relazione alla nazionalità richiede in capo all’amministrazione aggiudicatrice un obbligo di trasparenza a vantaggio dei potenziali offerenti che consiste nel garantire livelli minimi di pubblicità, tali da permettere la partecipazione al mercato secondo i principi di concorrenza e il controllo sulle imparzialità delle procedure di aggiudicazione.

60 La scelta di inserire la riforma in una legge finanziaria non è stata causale, in questo modo si è potuto definire il

(32)

Benché prevalga la visione prevalentemente liberista, l’art. 35, legge n. 448/2001,rappresenta comunque il punto di bilanciamento fra i due filoni di pensiero poiché, se assicura l’apertura del mercato dei servizi pubblici locali nonché il rispetto dei principi comunitari della libera circolazione delle merci, della libera prestazione dei servizi e soprattutto della libera concorrenza, ne circoscrive anche l’applicabilità ai soli servizi aventi rilevanza industriale e demanda ad un regolamento ( in realtà mai adottato ) l’individuazione concreta dei servizi.

Per quanto concerne i servizi a rilevanza industriale, il legislatore ha inteso operare una segmentazione del complesso sistema di produzione del servizio per potervi introdurre differenti livelli di competizione tra gli operatori economici di quel settore, infatti il neo art. 113, D. lgs 267/2000, prevede la separazione della proprietà degli impianti e delle reti, spettante agli enti locali, dall’erogazione del servizio, da svolgersi necessariamente “in regime di concorrenza”61.

Nello specifico si dispone che quando è pubblica, la proprietà̀ delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali, è incedibile, salvo il suo conferimento a società di capitali a maggioranza pubblica, con quota di maggioranza anch’essa incedibile. Queste società hanno poi l’obbligo di porre le reti, gli impianti e le altre dotazioni patrimoniali a disposizione dei gestori incaricati della gestione del servizio oppure, nei casi in cui è possibile la gestione separata delle reti62, dei gestori di quest’ultima,

dietro versamento di un canone; inoltre alle società proprietarie l’ente locale può̀

61 Art. 35, comma 5, legge 28 dicembre 2001, n. 448.

62 Le discipline di settore stabiliscono i casi nei quali l’attività di gestione delle reti e degli impianti può essere

(33)

assegnare la gestione stessa delle reti, nonché́ il compito di espletare le gare, con procedure di evidenza pubblica, per l’erogazione del servizio.

Se la gestione delle reti è separata dall’erogazione del servizio, l’ente locale può scegliere tra l’affidamento diretto della stessa a società di capitali a partecipazione pubblica maggioritaria oppure a imprese selezionate mediante gara.

Ciò significa che il novellato art. 113, D. lgs n. 267/2000, affida la gestione delle reti e degli impianti esclusivamente a società di capitali, vietandone la gestione diretta ( in economia o a mezzo di azienda speciale ) che permane invece quale possibile forma di gestione per i servizi privi di rilevanza industriale.

Tuttavia la nuova disciplina non è comunque in grado di garantire un effettivo mercato concorrenziale poiché non obbliga le amministrazioni a ricorrere alle gare per l’affidamento della gestione, ma tale procedura è posta come alternativa all’affidamento diretto63.

Un’ulteriore novità degna di nota è rappresentata dalla disciplina dell’erogazione del servizio che sostituisce alla regola dell’affidamento diretto della gestione del servizio quella contrapposta dell’obbligo generale di una procedura di evidenza pubblica. I servizi privi di rilevanza industriale sono anch’essi disciplinati da un articolo ad hoc, il 113-bis che in sostanza ha trasfuso la disciplina previgente per cui il servizio è affidato a soggetti riconducibili più o meno direttamente all’ente titolare, e nel solo caso in cui sussistano ragioni tecniche, economiche o di utilità sociale, a soggetti terzi mediante gara64.

63 Cfr. V. LEPORE, La normativa sui servizi pubblici locali dopo la sentenza della Corte n. 199 del 2012 in Amministrazione

in cammino.

(34)

La disciplina testé riportata ha evidenziato molteplici profili di criticità.

Anzitutto l’espressione “erogazione del servizio da svolgere in regime di concorrenza” può essere fuorviante, infatti con essa il legislatore non ha inteso affermare che l’attività oggetto della prestazione del servizio sia liberamente esercitabile nell’area del servizio pubblico da parte di ogni operatore idoneo in concorrenza con tutti gli altri65.

Il sistema, difatti, prevede che vi sia un solo affidatario ( o comunque un numero chiuso ) per ciascun ambito territoriale, di solito coincidente ( salvo iniziative associative non obbligatorie ) con i confini comunali.

Per cui, nonostante l’esplicito riferimento alla concorrenza nel mercato, nel sistema delineato può esservi soltanto concorrenza per il mercato.

Ulteriori perplessità sono connesse al fatto che il requisito della maggioranza assoluta non garantisce l’effettiva governance pubblica della società, in questo senso sarebbe stato da preferire il requisito del controllo; inoltre, la partecipazione di soggetti privati, ancorché in posizione di minoranza, rende di fatto giuridicamente ammissibile la cessione, sebbene parziale ed indiretta, delle strutture per l’erogazione del servizio. Desta infine non pochi interrogativi la possibilità per l’ente locale di conferire la gestione delle gare per l’affidamento del servizio alle società proprietarie delle reti, società nelle quali la presenza di privati non si concilia affatto con la funzione di stazione appaltante in quanto manca una norma che vieti a quest’ultimi di essere al contempo soci anche delle società aspiranti alla gestione del relativo servizio66.

istituzioni, aziende speciali anche consortili, società a capitale interamente pubblico e gestione in economia.

65 Cfr. F. LIGUORI, op. cit., 41.

(35)

Dunque, sebbene le modifiche introdotte dall’art. 35 rappresentino un notevole passo in avanti nel campo delle liberalizzazioni, rivelano comunque di essere di non facile comprensione, troppo spesso contraddittorie ed inconcludenti.

L’attuazione della nuova disciplina è pertanto ostacolata non solo dalle molteplici contraddizioni interne ma anche ( e soprattutto ) dalla mancata approvazione del regolamento governativo, dai nuovi moniti mossi dalla Commissione europea e dai numerosi ricorsi presentati dalle Regioni alla Corte Costituzionale per lesione della potestà legislativa ex art.117 Cost. così come riformato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.

Di particolare importanza appare poi il contenzioso con la Commissione Europea, dal quale si può evincere una netta presa di posizione a favore di una razionalizzazione dell’impiego degli affidamenti diretti piuttosto che di un perentorio divieto a procedervi.

Il legislatore italiano è perciò intervenuto nuovamente ed in rapida successione con due provvedimenti normativi: il d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con legge 24 novembre 2003, n. 326, e la legge 24 dicembre 2003, n. 350 ( legge finanziaria per il 2004 ).

La riforma in esame, privilegiando la scelta degli enti locali piuttosto che la liberalizzazione dei servizi, segna un punto di rottura rispetto al percorso iniziato nel decennio precedente67.

unico degli enti locali, in La riforma dei servizi pubblici locali di rilevanza economica ( atti del convegno Vallo della

Lucania, 26 giugno 2009 ).

(36)

Una prima modifica consiste nell’introduzione di una nuova distinzione fra servizi a rilevanza economica e servizi privi di rilevanza economica, in questo modo il legislatore ha superato il nebuloso criterio della “rilevanza industriale”, concernente il mero contenuto dell’attività, per approdare ad un criterio più generale volto a ricomprendere le attività normalmente destinate a produrre utili ( per una analisi più dettagliata del significato di economicità si rinvia al paragrafo 3.1 del presente elaborato ).

È comunque possibile ravvisare una linea di continuità fra le due riforme ( del 2001 e del 2003 ) in merito alla scissione assetto proprietario/profilo gestionale delle reti e degli impianti, difatti il neo art.113 non si limita a rimarcare bensì rafforza il vincolo della proprietà pubblica delle reti e degli impianti, stabilendo che la stessa possa essere conferita non più a società a partecipazione pubblica maggioritaria, ma soltanto a società a capitale interamente pubblico ed incedibile.

Inoltre, quanto alla gestione delle reti, rimane immutata la normativa precedente poiché non sussiste l’obbligo di separazione rispetto all’erogazione del servizio, ipotesi che viene stabilita dalle discipline di settore.

L’elemento di maggiore innovazione è indubbiamente rappresentato dalla previsione dell’affidamento in house.

Ove infatti le attività di gestione delle reti e di erogazione del servizio siano separate, l’ente locale può optare discrezionalmente fra affidamento in house, ovvero direttamente a società a capitale interamente pubblico purché sussistano i requisiti delle strutture omonime, e il ricorso all’evidenza pubblica per la scelta di imprese idonee.

(37)

L’erogazione del servizio deve essere invece necessariamente separata dalla proprietà delle reti e degli impianti, ma può essere affiancata alla loro gestione. Nello specifico, l’erogazione avviene secondo le discipline di settore e nel rispetto della normativa dell’Unione Europea68con conferimento della titolarità del servizio69

a:

a) società di capitali individuate attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica;

b) società a capitale misto pubblico-privato nelle quali il socio privato venga scelto tramite l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica;

c) società a capitale interamente pubblico a condizione che l’ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano.

Attraverso i due interventi del 2003 il legislatore ha inteso dare risposte alle questioni sollevate sia in sede comunitaria sia innanzi alla Corte Costituzionale.

Per quanto concerne i profili comunitari la Commissione, dopo l’entrata in vigore della legge n. 448 del 2001, non ha esitato a trasmettere all’Italia una ulteriore messa in mora ricordando in primis la soggezione degli appalti e delle concessioni alle regole di pubblicità e concorrenza, ex artt. 43 e 49 del Trattato, e, di conseguenza, la

68 La formula ha eliminato il riferimento alla concorrenza del previgente comma 5 dell'art. 113; tale scelta è

conforme alla modifica introdotta in tema di affidamenti diretti, anche se, come già sottolineato, di concorrenza nel mercato non era possibile parlare neanche nel sistema precedente.

69 Occorre specificare che con tale locuzione si intende la titolarità della gestione del servizio, poiché è la titolarità

Riferimenti

Documenti correlati

In premessa è stato delineato il mandato della legge finanziaria regionale che ora, quale strumento essenziale per la manovra 2003-2005 contenente rifinanziamenti, definanziamenti

VISTO il Decreto del Direttore Centrale Lavoro, Formazione, Istruzione e Famiglia n. In relazione alle Disposizioni indicate in premessa ed a seguito della valutazione dei

In questo programma ricadono gli interventi di incremento della lunghezza dei binari di stazione al fine di incrementare la lunghezza dei treni che possono circolare sulla linea.

(2) Gli attuali commi secondo, terzo, quarto e quinto sono stati aggiunti dall’art.. Fino alla data di entrata in vigore della legge prevista dall’articolo 12 dello Statuto

b) le modalita' di intervento congiunto operativo volto alla ricerca di persone disperse. La convenzione e' sottoscritta dai soggetti coinvolti per le parti di competenza.

11 (Norme in materia di comunicazione, di emittenza radiotelevisiva locale ed istituzione del Comitato regionale per le comunicazioni (Co.Re.Com.)). La Regione promuove

b) siano in possesso della ricevuta del versamento all'unione del contributo giornaliero, determinato dalla giunta regionale in misura non inferiore a 5 euro. Il versamento

Se, infatti, la legge elettorale che il Consiglio regionale dovesse approvare avrà ottenuto la sola maggioranza assoluta dei voti espressi, il referendum potrà essere indetto se