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L'innovazione aziendale e la ridefinizione dei business models in un'ottica strategica

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Academic year: 2021

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Corso di Laurea specialistica (ordinamento ex

D.M. 509/1999)

in Economia e gestione delle imprese

Tesi di Laurea

L’innovazione aziendale e la

ridefinizione dei business models

in un’ottica strategica

Relatore

Prof. Sergio Faccipieri

Laureando

Veronica Civiero

Matricola 811559

Anno Accademico

2011 / 2012

(2)

2

Indice

-

Introduzione

-

Capitolo I. Selezione di alcuni contributi all’innovazione

1.1

Introduzione

1.2

J.A. Schumpeter

1.3

C.Freeman

-

Il pensiero neo-schumpetriano

-

Tassonomia delle innovazioni

-

I fattori che determinano l’innovazione

1.4

Abernathy e Clark

-

La Transilience map

-

Transilience map e skills manageriali

1.5

Abernathy e Utterback

-

Evoluzione dell’innovazione e sviluppo dell’impresa: il

modello proposto

-

Fase fluida

-

Fase di transizione

(3)

3

1.6

C. Christensen

-

Disruptive innovation – sustaining innovation

-

I fattori che possono ostacolare l’innovazione

-

Come implementare una disruptive innovation

-

L’innovazione auspicata risponde alle necessità del mercato?

-

Elementi che permettono di implementare in modo profittevole

l’innovazione

-

Capitolo II. Business model ed innovazione

2.1 Introduzione: il concetto di business model e la sua

rilevanza negli anni

-

Ghanziani and Ventresca’s reserach

-

Amit, Zott and Massa’s research

2.2 Definizioni di business model

2.3 Classificazioni di business model

2.3.1 Activity system perspective / Dynamic perspective

-

Activity perspective

-

Definizioni e letteratura

-

Composizione: design elements e design themes

-

Vantaggi dell’activity system perspective

(4)

4

-

Il gap tra l’activity system perspective e il

transformational approach

-

La prospettiva di E.Penrose

-

Il framework RCOV

-

Vantaggi della dynamic perspective

-

Conclusioni

2.3.2 Massa,Amit.Zott approach

-

Metodologia

-

Business model come e-business model

-

Business model e strategia

-

Business model e innovazione

-

Capitolo III. Casi aziendali: tre casi di innovazione

aziendale e rivoluzione del business model

3.1 Taplast

-

La storia

-

I prodotti

-

Un business model innovativo

-

L’attenzione per l’ambiente quale driver di innovazione

(5)

5

3.2 Snaidero

-

Da un’impresa ad un gruppo: i fatti

-

Da un’impresa ad un gruppo: le tappe dell’evoluzione

-

Il gruppo Snaidero

-

La cucina Orange

3.3 Valcucine

-

La filosofia Valcucine

-

Le innovazioni

-

Bioforest

-

I riconoscimenti

-

La comunicazione

-

Il modello di business

-

Gabriele Centazzo a Ca’Foscari

3.4 Mobile payments: la rivoluzione di un settore

-

Introduzione

-

Attacco al business dei pagamenti

-

Il mondo delle transazioni mobili

-

Attacco alla raccolta

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6

-

Conclusioni

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7

Introduzione

Questo lavoro ha l’obiettivo di analizzare lo stretto rapporto esistente tra innovazione di prodotto/servizio e business model aziendale al fine di comprenderne le dinamiche di relazione.

Per ottenere tale obiettivo si è proceduto analizzando, in primis, i contributi della letteratura in tema di innovazione, attraverso una lettura storica di come si è evoluto nel tempo il concetto di innovazione in ambito aziendale e di quali sono stati gli approcci utilizzati per studiarla. Tale analisi è cominciata dallo studio dei contributi di

Schumpeter, primo economista a scrivere di innovazione nonché autore del modello di sviluppo dinamico ed ideatore della prima distinzione tra innovazione ed invenzione. Le sue teorie hanno apportato un contributo fondamentale in quest’ambito, ma, non di meno sono state anche criticate costruttivamente da altri economisti come Freeman, il quale ha introdotto il concetto di innovazione incrementale e ha approfondito i fattori scatenanti l’innovazione. Il lavoro si è poi concentrato sui contributi di Albernathy e Clark, i quali hanno aggiunto un ulteriore, e fondamentale, elemento di analisi:

l’ambiente competitivo. Essi hanno studiato l’influenza dell’innovazione su quei fattori che sono ritenuti fondamentali per ottenere un vantaggio competitivo. Lo stesso

Albernathy, con Utterback, ha poi approfondito la dinamica delle innovazioni nel tempo. Ognuno degli autori citati ha analizzato il fenomeno dell’innovazione sotto una luce diversa e l’insieme dei loro contributi permette di avere una visione ampia ed esaustiva del concetto. Il quadro si completa aggiungendo i recenti contributi di Christensen, che ha ripreso e approfondito i concetti di “sustaining innovation” e “disruptive innovation” e, soprattutto, ha iniziato ad evidenziare quanto sia essenziale che l’innovazione sia sostenuta da un business model idoneo. A tal proposito egli ha dimostrato che anche lo stesso business model può essere oggetto d’innovazione e che questo tipo di innovazione sia uno dei driver principali di creazione di vantaggio competitivo.

Il contributo di Christensen, quindi, introduce il concetto di innovazione de business model che viene poi approfondito nel secondo capitolo della tesi. Su quest’ambito esistono numerose ricerche ed articoli di riviste specializzate e, come sottolineato da Ghanziani e Ventresca, la letteratura in materia è sconfinata. Si è scelto quindi di

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8

concentrarsi sui due approcci di studio del business model che appaiono come più completi e strutturati:

• Il primo scaturisce dall’integrazione di due prospettive di analisi complementari: quella statica dell’Activity system perspective e quella dinamica individuata dalla Dynamic perspective. Quest’ultima prospettiva suggerisce che la

trasformazione delle imprese è causata dal business model stesso, il quale quindi assume il ruolo di strumento per compiere innovazione. Queste due prospettive sono state sviluppate distintamente, ma si è preferito presentarle in questo lavoro insieme e non separate, poiché cosi esse riescono a dare una visione esaustiva di che cosa si intenda per business model e delle sue caratteristiche. Il loro

connubio consente di rafforzare i loro punti di forza e di smussare quelli di debolezza, formando un così uno strumento utile per una comprensione approfondita e completa del concetto di business model.

• Il secondo approccio riprende la classificazione esposta da Massa, Amit e Zott che definiscono le caratteristiche di un business model a seconda che esso venga utilizzato per approfondire il mondo e-business, per trattare problemi strategici quali la creazione di valore e di vantaggio competitivo o per comprendere le dinamiche dell’innovazione. Quest’ultimo punto è ritenuto particolarmente rilevante ai fini della tesi e pertanto è stato approfondito ulteriormente, esplicando il duplice ruolo che può avere il business model nei confronti dell’innovazione: esso può esserne l’oggetto, nel caso in cui si presenti come un’architettura che permette all’azienda di creare innovazione, o il soggetto, nell’ipotesi in cui, invece, sia esso stesso a subire una rivoluzione.

La letteratura accademica, in conclusione, ha evidenziato l’importanza del business model per la creazione di innovazione e la rilevanza dell’innovazione dello stesso modello di business per la creazione di vantaggi competitivi. Il presente lavoro ha cercato quindi di apportare un contributo alla discussione analizzando tre casi aziendali. Le tre imprese presentate sono Taplast, impresa vicentina produttrice di tappi per la GDO, Snaidero e Valcucine entrambe players del settore mobiliare. Esse, pur avendo avuto dinamiche di sviluppo differenti e mission eterogenee, hanno come minimo comune denominatore quello di aver ripensato il proprio business model. Questo

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9

cambiamento, in tutti e tre i casi, è stato il driver fondamentale che ha poi permesso di proporre soluzioni innovative alla propria clientela e, in ultima analisi, di perseguire i propri obiettivi strategici. Dalla lettura dei casi si comprende quanto la messa in discussione dei business model sia importante per le imprese in generale e, a maggior ragione, per quelle che fanno dell’innovazione un fattore distintivo.

Il rischio che corrono le imprese che difficilmente mettono in discussione il proprio business model è evidenziato dall’analisi di ciò che è successo nel mondo dei

pagamenti, parte finale del terzo capitolo. Il modello delle banche tradizionali, infatti, è stato rivoluzionato da players tecnologici che hanno attaccato il settore con nuovi modelli di pagamento, quali ad esempio i mobile payments supportati dalle nuove tecnologie NFC, comportando gravissime conseguenze per le banche in termine di raccolta e di guadagni.

Questo lavoro vuole quindi porre in evidenza quanto importante sia considerare

l’innovazione in modo correlato al business model che la sostiene e come ciò non possa prescindere da una continua analisi e revisione del modello di business aziendale. Solo mettendo continuamente in discussione il proprio assetto di business si potrà produrre un flusso di innovazioni continuo nel tempo e scaturente da solidi vantaggi competitivi.

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10

Capitolo I.

Selezione di alcuni contributi all’innovazione

1.1

Introduzione

1.2

J.A. Schumpeter

1.3

C.Freeman

- Il pensiero neo-schumpetriano - Tassonomia delle innovazioni

- I fattori che determinano l’innovazione

1.4

Abernathy e Clark

- La Transilience map

- Transilience map e skills manageriali

1.5

Abernathy e Utterback

- Evoluzione dell’innovazione e sviluppo dell’impresa: il modello proposto - Fase fluida

- Fase di transizione - Fase di maturità

1.6

C. Christensen

- Disruptive innovation – sustaining innovation - I fattori che possono ostacolare l’innovazione - Come implementare una disruptive innovation

- L’innovazione auspicata risponde alle necessità del mercato?

- Elementi che permettono di implementare in modo profittevole l’innovazione

(11)

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1.1

Introduzione

In materia di innovazione si possono trovare in letteratura un numero infinito di contributi, tutti i più famosi economisti e tutte le diverse scuole di pensiero economico, infatti, si sono espressi sul tema, arricchendo la letteratura di definizioni e classificazioni differenti. Tale numerosità comporta l’impossibilità di presentare tutti i principali scritti, anche le classificazioni sviluppate negli anni hanno raggiunto ormai una numerosità tale che la loro presa in considerazione condurrebbe ad una visione caotica, privandole del loro principale scopo, ovvero quello di dotare il lettore di una visione semplificata e chiara. Assodata quindi l’impossibilità di presentare tutti i contributi, si è deciso di concentrarsi su quelli di taluni autori che, grazie alla loro differente prospettiva in tema di innovazione, si completano l’un l’altro e ne ampliano la visione.

Il primo capitolo inizia, pertanto, con J.A.Schumpeter, dal quale non si può prescindere in quanto è stato il primo economista ad introdurre il tema di innovazione nel 1912, egli propone la visione di un sistema dinamico, animato da fasi di distruzione creatrice, oltre a ciò distingue per la prima volta i concetti di invenzione ed innovazione considerate, fino a quel momento, in modo indistinto. C. Freeman sviluppa il pensiero schumpteriano presentandone alcune critiche ed ampliandone la visione, egli sottolinea, ad esempio, l’importanza dell’innovazione incrementale, dell’interazione tra innovazione ed invenzione durante la fase della loro diffusione ed affronta il problema dei fattori che determinano l’innovazione. Viene poi proposta la prospettiva di Abernathy e Clark, ritenuta rilevante in quanto aggiunge un ulteriore elemento d’analisi: l’ambiente competitivo; essa, infatti, studia l’influenza dell’innovazione su quei fattori che sono ritenuti fondamentali per acquisire un vantaggio competitivo. Oltre a ciò, lo stesso Abernathy ha sviluppato un lavoro con Utterback che riprende la differenziazione proposta da Schumpeter tra innovazione di prodotto ed innovazione di processo andandone però a studiare il differente sviluppo nel tempo. Questo contributo, pertanto, è di grande aiuto per un’analisi della dinamica delle innovazioni nel tempo. Infine, viene proposta la teoria di Christensen, economista attuale, che, oltre ad approfondire la distinzione tra “sustaining innovation” e “disruptive innovation”, riprendendo così tutte le teorie passate, sottolinea l’importanza sostanziale che l’innovazione sia sostenuta da

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un modello di business coerente alla sua evoluzione e fa poi notare come il business model stesso possa essere oggetto di innovazione.

1.2

J.A.Schumpeter

Il primo economista a trattare il tema di innovazione in modo ampio è Joseph Alois Schumpeter che fornisce alla letteratura un contributo di indubbio valore, a partire dal quale si sviluppano tutte le successive teorie riguardanti l’innovazione.

J.A.Schumpeter, nel 1912, in “Teoria dello sviluppo economico” definisce lo sviluppo come “un fenomeno distinto, completamente estraneo a quello che può essere osservato nel flusso circolare e nella tendenza verso l’equilibrio. Esso è lo spontaneo ed improvviso mutamento nei canali del flusso, la perturbazione dell’equilibrio che altera e sposta lo stato di equilibrio precedentemente esistente” [Schumpeter, 1934, p.49]. Con questo testo egli supera il modello statico di equilibrio economico generale proposto dall’economista Leon Walras, introducendo una concezione dinamica dell’economia. Questa teoria ha la capacità di cogliere i cambiamenti discontinui che la teoria di equilibrio economico generale non è in grado di spiegare ma che, secondo Schumpeter, sono da ritenersi essenziali in quanto rappresentano il nocciolo dello sviluppo economico. Secondo la concezione dinamica, l’imprenditore, grazie ai capitali che i suoi creditori mettono a disposizione, soddisfa l’evoluzione della domanda di mercato introducendo nuovi prodotti, aprendo nuovi mercati, utilizzando nuove tecnologie e cambiando modalità di produzione. L’innovazione quindi, assume il ruolo di determinante principale del mutamento industriale, di forza che distrugge il vecchio contesto competitivo per crearne uno completamente nuovo.

L’autore, nello sviluppo della sua teoria, si concentra inoltre sulla dinamica dei flussi d’innovazione. Egli osserva che questa dinamica non risulta costante nel tempo, secondo l’economista, infatti, taluni periodi di tempo si caratterizzano per la sopravvenienza di molteplici innovazioni a causa di determinati trend tecnologici. Quest’abbondanza innovativa genera una fase economica espansiva, cui succede, terminato il beneficio traibile dalle innovazioni precedentemente introdotte, una fase di stasi. Le fasi di passaggio dai periodi di espansione a quelli di stasi vengono definite di

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“distruzione creatrice”, intendendo con questo termine quella particolare dinamica che consente la nascita di nuove imprese (che portano sul mercato soluzioni innovative) ma che, contemporaneamente, ne conduce alla deriva altre, le quali non riescono a reagire alle novità apportate e perdono così clienti e guadagni. L’innovazione è quindi “una risposta creativa che si verifica ogniqualvolta l’economia, un settore od alcune aziende di un settore, offrono qualcosa di diverso, qualcosa che è al di fuori della pratica esistente” [Schumpeter, 1934, p.68]. Essa si differenzia dall’invenzione che, invece, consiste nella messa a punto di una scoperta a carattere prevalentemente scientifico e tecnologico che è solo potenzialmente utile dal punto di vista economico. L’attenzione dell’inventore è quindi in scienza e tecnologia come patrimoni di conoscenze. Inoltre l’innovazione non deriva necessariamente da un’invenzione e, a differenza di quest’ultima, consente di trarre un vantaggio commerciale definito come rendita monopolistica da innovazione. Questa rendita rimane costante nel tempo solo se l’attività innovativa dell’impresa è continua, in caso contrario essa svanisce a causa della reazione competitiva delle altre imprese. L’innovatore è quindi colui che è in grado di combinare diversi tipi di conoscenze, competenze e risorse che consentano di trarre un beneficio economico dall’innovazione. Per Schumpeter l’imprenditore è l’innovatore per eccellenza, colui che combina in modo diverso i mezzi di produzione “per fare qualcosa di nuovo” e ricavarne una rendita. Gli imprenditori, infatti, integrano in modo creativo impianti, competenze e materiali per realizzare un nuovo prodotto, sperimentare nuovi metodi produttivi o sfruttare nuovi mercati.

Le tre tematiche sopra esposte, ovvero la differenza tra innovazione ed invenzione, il profitto temporaneo risultante dall’innovazione e la definizione di imprenditore quale innovatore, sono quelle per cui Schumpeter viene maggiormente ricordato dalla letteratura economica. Tuttavia, il profondo studio svolto dall’economista sull’intero processo innovativo, gli ha permesso di consegnare alla letteratura economica altri importanti contributi:, tra cui si ricordano:

- il concetto di innovazione come evento ad esito incerto. Egli scrisse “l’innovazione può essere compresa solo ex-post mentre non lo può essere quasi mai ex-ante, vale a dire che non può essere compresa applicando le regole ordinarie di inferenza dei fatti preesistenti, (…), essa non è un elemento insito

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nel concetto di attività economica razionale né una cosa ovvia ma un processo distinto che necessita una particolare spiegazione” [Schumpeter, 1934, p.32], - il concetto di imprenditore come soggetto a razionalità limitata. L’imprenditore

non può infatti comprendere esaurientemente tutti gli effetti e le ripercussioni dell’innovazione nei cicli economici dell’impresa, ciò è al di fuori delle sue possibilità cognitive;

- il raggruppamento delle innovazioni nel tempo e negli specifici settori. L’autore scrisse che le innovazioni “non rimangono eventi isolati e non sono distribuite in modo uniforme nel tempo, ma tendono al contrario ad ammassarsi, a sorgere in grappoli. Le innovazioni non sono in nessun momento distribuite casualmente in tutto il sistema economico, ma tendono a concentrarsi in certi settori e nei loro dintorni” [Schumpeter, 1934, p.63]. Il fenomeno innovativo ha quindi un carattere irregolare la cui concentrazione ricade in settori di volta in volta legati alla dinamica industriale;

- la sottrazione di risorse al “vecchio” da parte dell’innovazione. La maggior parte delle volte, infatti, le nuove combinazioni innovative non utilizzano risorse inutilizzate, bensì sottraggono risorse a vecchie combinazioni;

- la maggior facilità dell’innovazione a scaturire dall’azione di nuovi attori piuttosto che da quella di attori presenti nel mercato da diverso tempo. L’autore scrive “non è il padrone delle diligenze ad introdurre le ferrovie” [Schumpeter, 1934, p.123]. intendendo con questa frase la possibilità che le nuove combinazioni non siano introdotte dai gestori dei processi produttivi che vengono soppiantanti, bensì da nuovi attori innovativi capaci di creare nuove opportunità di impresa. Ogni impresa, appena nasce, inevitabilmente minaccia la struttura esistente della sua industria o settore;

- la suddivisione tra imprese “giovani” ed imprese “vecchie”, come accennato l’economista crede ci sia una stretta dinamica tra l’età dell’impresa e la sua caparbietà ad innovare. Infatti egli scrive : “Le innovazioni emergono in primo luogo nelle imprese giovani, le imprese vecchie mostrano di regola sintomi di ciò che eufisticamente viene chiamato conservatorismo” [Schumpeter, 1934, p.123]. Secondo Schumpeter, il conservatorismo porta le imprese a morire, in

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quanto esse non sono in grado di tenere il passo con l’innovazione che esse stesse avevano contribuito a creare nel periodo di loro vitalità;

- l’innovazione supply push. Schumpeter, pur affermando che l’attività di impresa debba avere come fine ultimo quello della soddisfazione dei bisogni, ritiene che “le attività innovative non avvengano in modo tale che prima sorgono spontaneamente nei consumatori nuovi bisogni e poi, sotto la loro pressione, l’apparato produttivo riceve un nuovo orientamento (…). E’ invece il produttore che di regola inizia il cambiamento economico e i consumatori, se necessario, sono da lui educati” [Schumpeter, 1934, p.133].

Il contributo di Schumpeter allo studio dell’innovazione risulta quindi decisamente ampio e strutturato ma, tuttavia, è influenzato dall’obiettivo ultimo dell’autore: lo studio del sistema capitalistico e non dell’innovazione di per sé. Ciò fa sì che in Schumpeter ci sia più una descrizione del processo innovativo e un’analisi delle sue conseguenze sul sistema economico che una descrizione delle determinanti dell’innovazione.

1.3

C.Freeman

-

Il pensiero neo-schumpetriano

-

Tassonomia delle innovazioni

-

I fattori che determinano l’innovazione

-

Il pensiero neo-schumpteriano

Freeman, economista inglese e fondatore dello SPURU (Science and technology policy

reserach), ha contributo notevolmente al pensiero neo-schumpteriano, nelle sue

pubblicazioni, infatti, egli riprende svariati concetti proposti da Schumpeter muovendone alcune critiche.

Egli riconosce a Schumpeter la capacità di cogliere la distinzione concettuale tra innovazione ed invenzione ed il merito di aver indicato una differenziazione che ha poi influenzato tutte le teorie successive. Se secondo Schumpeter, però, innovazione ed

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invenzione seguono sviluppi singolari, distanti uno dall’altro, Freeman crede che questa idea sia errata e fuorviante. Egli ritiene che innovazioni ed invenzioni, infatti, interagiscano tra di loro sovrapponendosi e completandosi l’un l’altra. Una volta che un’innovazione viene immessa nel mercato, iniziando così il suo processo di diffusione, il suo sviluppo potrà essere segnato da successive invenzioni, l’autore scrive : “Come nel processo di diffusione si hanno ulteriori innovazioni incrementali, così la fase di sviluppo delle innovazioni è spesso associata a nuove invenzioni”. Un esempio sono i brevetti che possono nascere posteriormente ad alcune innovazioni per poterle migliorare o proteggere, questi, nel loro complesso, interagiscono e formano il processo di crescita e modifica dell’innovazione iniziale. La fase di sviluppo di un’innovazione comporta quindi una diffusione, contraddistinta a sua volta da nuove invenzioni. La conclusione a cui giunge Freeman è quindi che innovazioni, invenzioni e processi di diffusione abbiano un elevato grado di interazione e non seguano gli sviluppi che aveva ipotizzato Schumpeter. Le teorie dei due economisti sono quindi contrapposte, secondo l’ottica di Schumpeter, innovazione ed invenzione si diffondono seguendo percorsi autonomi, secondo la visione di Freeman in cui, invece, l’innovazione è in interazione continua con le molteplici invenzioni e da ciò scaturisce la loro diffusione.

Freeman sviluppa poi un’altra critica, strettamente legata alla precedente e riguardante la valenza che dà Schumpeter al processo di diffusione dell’innovazione e ai cambiamenti che avvengono al suo interno; l’economista sostiene che la diffusione consista nel trarre dei profitti dall’innovazione grazie al suo inserimento nel mercato e che le innovazioni incrementali, che possono nascere successivamente all’innovazione iniziale, abbiano un ruolo secondario. Freeman fa notare come questo ragionamento non corrisponda però alla realtà, infatti, non solo il processo di diffusione di un’innovazione è da ritenersi basilare in quanto ricco di innovazioni ed invenzioni successive, ma, la maggior parte delle volte, accade che innovazioni incrementali aumentino notevolmente l’importanza dell’innovazione iniziale, o le perfezionino in modo tale da renderla irriconoscibile e da cambiarne il posizionamento nel mercato. L’autore propone l’esempio dei microprocessori e dei calcolatori degli anni novanta che si ispiravano a “Zuse”, il primo calcolatore inventato ed usato dai progettisti degli aerei Henschel nella seconda guerra mondiale; le prestazioni dei calcolatori successivi a “Zuse” lo superavano di gran lunga grazie a svariate modifiche nei componenti, nelle unità

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periferiche, nell’architettura e nel fabbisogno energetico, inoltre essi erano indirizzati ad una clientela molto diversa dai progettisti degli aerei che invece utilizzavano “Zuse”. Questa critica assume una notevole importanza nel contesto attuale, in cui le innovazioni sono perpetuamente soggette a mutamenti incrementali. Secondo Freeman, quindi, la focalizzazione di Schumpeter sulle innovazioni radicali e sugli elementi di discontinuità fa sì che egli non colga i concetti altrettanto importanti di innovazione incrementale e di dinamismo continuo che sono invece elementi chiave del pensiero freemiano.

- Tassonomia delle innovazioni

Un contributo importantissimo che Freeman fornisce alla letteratura economica è la classificazione delle innovazioni proposta, egli le suddivide in:

- innovazioni incrementali; - innovazioni radicali;

- mutamenti di sistema tecnologico;

- mutamenti di paradigma tecnico-economico (le rivoluzioni tecnologiche).

- Innovazioni incrementali

Freeman le definisce come “la conseguenza di invenzioni e perfezionamenti suggeriti da tecnici o da persone direttamente impegnate nel processo produttivo, oppure la conseguenza di iniziative e proposte degli utilizzatori” [Freeman, 1994, p.33], l’importanza di queste innovazioni è stata dimostrata da diversi studi empirici come quello di Hollander che ha analizzato l’aumento di produttività nelle fabbriche di rayon della DuPont [Hollander, 1965, p.23]. Singolarmente, in termini di conseguenze sul mercato, esse sono meno potenti rispetto alle innovazioni radicali ma il connubio di più innovazioni incrementali può portare a dei risultati da non sottovalutare. Esse si manifestano in modo maggiore nei periodi di sviluppo che fanno seguito ad un’innovazione rivoluzionaria, spesso comportano una progressiva espansione degli impianti o dei miglioramenti qualitativi di prodotti e servizi destinati a varie applicazioni specifiche. L’effetto di queste innovazioni si manifesta nella crescita costante di

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produttività. Freeman ritiene che alle innovazioni incrementali sia stata data maggiore attenzione ed importanza a partire dai successi conseguiti dalla “lean production” e dalle industrie automobilistiche giapponesi che hanno fatto del concetto di “kaizen”, ovvero di miglioramento continuo, una delle colonne portanti della loro teoria.

- Innovazioni radicali

Freeman definisce innovazioni radicali quelle che sono in grado di rivoluzionare completamente il mercato ed i prodotti e servizi esistenti; esse avvengono in modo discontinuo e sono distribuite irregolarmente nei diversi settori, spesso derivano da programmi di ricerca e di sviluppo di imprese, laboratori universitari o parchi scientifici. Le innovazioni radicali rappresentano le basi per lo sviluppo di nuovi mercati, infatti, per definizione, quando nascono non hanno un mercato già costituito, bensì solo un mercato potenziale a cui è possibile fare riferimento durante la fase del loro sviluppo. Infine, Freeman puntualizza che, per la ragione appena esposta, l’influsso della domanda sulle innovazioni radicali è inferiore rispetto a quello sulle innovazioni incrementali che, invece, spesso sono trainate dai bisogni della clientela.

- Mutamenti di sistema tecnologico

Con questo termine Freeman si riferisce ai “mutamenti tecnologici di vasta portata che incidono su uno o più settori dell’economia o che danno origine a settori del tutto nuovi; essi si basano su un complesso di innovazioni radicali ed incrementali, associate ad innovazioni organizzative riguardanti un numero consistente di imprese” [Freeman, 1994, p.87]. I mutamenti di sistema tecnologico sono quindi frutto di un melting-pot di fattori economici, tecnologici, sociali, culturali ed istituzionali; essi possono dare origine ad interi nuovi settori e coinvolgono una molteplicità di attori. Questo concetto riprende quello che Keirstead ha chiamato “costellazioni di innovazioni” cioè l’insieme delle diverse tipologie di innovazioni che sono economicamente e tecnicamente interconnesse [Keirstead, 1948, p.77]. Freeman propone come esempio di mutamento di sistema tecnologico l’insieme delle tecniche per la produzione di

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materiali sintetici, introdotte negli anni trenta, che hanno causato innovazioni a catena nel settore petrolchimico, nel settore dei macchinari oltre ad un gran numero di innovazioni applicative.

- Mutamenti di paradigma tecnico-economico (rivoluzioni tecnologiche)

Quest’ultimo gruppo rispecchia le “ondate di distruzione creatrice” al centro della teoria schumpteriana, sono infatti mutamenti che hanno impatti non solo su determinati settori ma sull’andamento generale dell’economia; essi rappresentano rivoluzioni i cui effetti ridondano da settore in settore e che portano con sé conseguenze importanti. Affinché un nuovo paradigma si stabilizzi possono passare decenni poiché la sua diffusione è un percorso lungo e tortuoso. Esempi di quest’innovazione sono la diffusione dell’energia elettrica o il complesso delle innovazioni riguardanti l’informatica. La complessità delle rivoluzioni tecnologiche, oltre che da Freeman, è stata analizzata da moltissimi altri autori che, per descriverla, hanno utilizzato una terminologia diversa: Dosi, ad esempio, fa riferimento ai “mutamenti di paradigma tecnico-economico” [Dosi, 1988] mentre Nelson e Winter per parlarne hanno introdotto il concetto di “linee di sviluppo generalizzate” [Nelson, Winter, 1977].

Le diverse definizioni esposte portano a comprendere che, pur utilizzando terminologia diversa, moltissimi economisti oltre a Freeman si sono occupati di questo genere di innovazione e ciò è dovuto alla loro importanza discendente dalla loro capacità di stabilire nuove regole e rivoluzionare l’esistente.

- I fattori che determinano l’innovazione

Freeman, inoltre, affronta il dibattuto problema di individuazione dei fattori che determinano l’innovazione nelle società industrializzate. Per dare una risposta, egli cerca di riassumere i vari punti di vista sviluppati negli anni, ritenendo che i diversi contributi non siano classificabili per scuole ideologiche, bensì possano fare riferimento a due diversi filoni di pensiero, ovvero :

1. la tesi di trazione della domanda;

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Fanno parte del primo filone tutti coloro che credono siano soprattutto il mercato e altri fattori economici e sociali a determinare l’intensità e l’orientamento delle attività innovative ed inventive. L’idea alla base di questo filone è che le informazioni ed i segnali provenienti dal mercato siano colte dal lato dell’offerta, in quanto ritenute attendibili e quindi sviluppabili per la nascita di innovazioni pertinenti con i desideri dei consumatori.

Al contrario, il secondo filone di pensiero ritiene che dal mercato si possano trarre esclusivamente informazioni imprecise, che possono portare solo a previsioni vaghe dell’effettiva domanda di mercato. Secondo gli economisti sostenitori di questa tesi, è dalla spinta scientifica e tecnologica che scaturisce l’innovazione, essi ritengono esistano delle “linee di sviluppo tecnologico” che hanno origine dalle grandi scoperte scientifiche e tecnologiche e che conducono alla nascita di nuove innovazioni.

Come anticipato, secondo Freeman, i due filoni di ricerca non sono il riflesso di due diverse scuole di pensiero, all’interno di una stessa scuola possono essere presenti sia sostenitori della prima tesi sia sostenitori della seconda.

Un esempio sono Hessen e Bernal, entrambi economisti di scuola marxista, scontratisi in quanto il primo ritiene che sia la trazione della domanda la scintilla dell’innovazione, mentre Bernal evidenzia che la ricerca prosegue in maniera autonoma e distinta rispetto al mercato ed è ciò che dà vita a scoperte scientifiche ed industrie del tutto nuove. Freeman, infine, presenta quelli che ritiene essere i due maggiori contributi ai due filoni di pensiero, ovvero quello di Schmookler e quello di Walsh.

Il contributo di Schmookler proviene dalla sua opera principale “Invention and economic growth” in cui ha dimostrato che negli Stati Uniti ai massimi e ai minimi dell’attività innovativa sono corrisposti i massimi e i minimi degli investimenti nelle industrie. Secondo l’economista da ciò si deduce che la principale spinta all’innovazione scaturisce dal mutamento della domanda [Schmoockler, 1966], tutta la sua analisi si basa sulla correlazione tra investimenti e attività innovative in talune industrie. Questo suo lavoro è stato poi il punto di partenza per una serie di ulteriori studi finalizzati a dimostrare che innovazione ed invenzione sono la conseguenza delle variazioni della domanda di mercato.

A questi contributi si contrappone quello di Walsh, che, seguendo i metodi impiegati da Schmoockler, pone in relazione le statistiche dei brevetti e delle pubblicazioni

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scientifiche con i dati riguardanti la produzione, gli investimenti e le vendite, spinto dalla volontà di dimostrare una stretta interdipendenza tra sviluppo tecnologico, scientifico e il mercato [Walsh 1992]. L’analisi quantitativa di Walsh sembra confermare che le scoperte scientifiche e tecnologiche sono la scintilla da cui nascono le innovazioni che poi subentrano nel mercato. Così come per Schmoockler, anche la ricerca di Walsh è stata poi seguita da secondarie ricerche satellite finalizzate a confermare la sua tesi.

Freeman raggruppa le diverse ricerche svolte da svariati economisti in due filoni di pensiero “Tesi di trazione della domanda” e “tesi di trazione della spinta scientifica e tecnologica”. Egli però non prende posizione e si limita ad esporre le diverse possibilità, lasciando al lettore lo sviluppo della sua interpretazione.

1.4 Abernathy – Clark

- La Transilience map

- Transilience map e skills manageriali

- La Transilience map

Abernathy e Clark, nel 1984 con il paper “Innovation: mapping the winds of creative destruction” [Abernathy, Clark, 1984] perseguono lo scopo di formulare un framework finalizzato a categorizzare le innovazioni e ad analizzare il diverso ruolo che esse ricoprono in ambito competitivo.

Nella parte iniziale del loro lavoro, gli autori identificano dei criteri per categorizzare le innovazioni in base alle possibilità che queste hanno di ottenere un vantaggio competitivo rispetto ai propri concorrenti. Per capire ciò, l’assunto di partenza è che l’ottenimento o meno di un vantaggio competitivo dipenda dall’acquisizione e dallo sviluppo di determinate abilità, relazioni e risorse. L’innovazione gioca un ruolo importante nell’ottenimento di queste skills da parte dell’impresa, ed il peso positivo o negativo che essa avrà nel fare ciò ne determinerà l’importanza.

Per spiegare al meglio questo processo, Abernathy e Clark considerano la posizione competitiva di un’impresa in base ad una varietà di aspetti caratterizzanti un determinato prodotto/servizio. Ogni prodotto dell’impresa è infatti composto da caratteristiche eterogenee. L’impresa si confronterà con i propri concorrenti per ognuna

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delle caratteristiche possedute dal prodotto, ad esempio, si scontrerà con il design dei prodotti competitors, con la loro facilità d’uso, con i loro costi iniziali, con la loro rispettiva disponibilità immediata nel mercato e così via. Il vantaggio competitivo rispetto ai propri concorrenti scaturirà quando l’impresa eccellerà in una di queste dimensioni o in una loro combinazione rispetto agli altri prodotti offerti. Gli autori evidenziano come sia importante non confondere la fonte di questo vantaggio con le caratteristiche del prodotto o con la posizione occupata dall’impresa, entrambe, infatti, sono il risultato di qualcosa di interno all’impresa, ovvero del connubio delle risorse materiali, delle capacità umane e relazionali, ciò rappresenta l’insieme che gli autori chiamano “competitive ingredients” ovvero le componenti grazie a cui l’impresa costruisce la propria offerta. I competitive ingredients sono quindi la vera fonte del vantaggio competitivo su cui l’innovazione può impattare aumentandolo o diminuendolo in virtù di quella che Abernathy e Clark chiamano “transilience” ovvero la capacità dell’innovazione di influenzare le risorse, le conoscenze e le abilità detenute dall’impresa. La Figura 1.1 rappresenta il procedimento esposto.

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Figura 1.1: Innovazione, transilience e fattori competitivi:

La capacità dell’innovazione di influenzare i fattori dei prodotti/servizi dell’impresa, portando così ad una conseguente crescita/diminuzione del suo vantaggio competitivo nei confronti dei prodotti/servizi concorrenti.

L’idea di quali sono i più importanti “competitive ingredients” e di come essi possono venire influenzati dall’innovazione viene proposta la seguente tabella:

Tabella pagina 5 Paper

Nella prima colonna della tabella i fattori sono divisi in due sezioni, la prima metà, denominata “Technology/Production”, comprende i fattori che rappresentano la capacità dell’impresa in campo tecnologico e produttivo. Da questi fattori discende la capacità del prodotto/servizio di competere dal punto di vista delle sue performance, del suo lato estetico, della qualità, dei suoi costi, etc. La lista di questi fattori, infatti, include sia i

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componenti tradizionali della produzione, come le materie prime, il lavoro, gli impianti di produzione, etc. sia le conoscenze rilevanti per il design e la produzione. La seconda metà della tabella, chiamata invece “Market/Customer”, fa riferimento a tutti i fattori che possono essere ricollegati al mercato e alle relazioni con la base di clienti, essi sono suddivisi tra le conoscenze necessarie per utilizzare il prodotto e le caratteristiche che esso offre ai clienti.

La seconda e la terza colonna della tabella descrivono gli effetti che l’innovazione può avere sui suddetti fattori, essi non sono da ritenersi come gli unici possibili, bensì indicano le estremità del range riguardante quell’effetto, la seconda colonna, infatti, elenca gli effetti conservatori che l’innovazione potrà avere sul prodotto, la terza, invece, indica i possibili effetti radicali.

La presenza della seconda colonna evidenzia il pensiero degli autori che l’innovazione possa rafforzare e valorizzare le competenze dell’impresa, portando ad un miglioramento della sua posizione competitiva senza stravolgerla. Puntualizzano “Clearly, all technology innovation impose change of some kind, but change need not be destructive” [Abernathy, Clark, 1984, p.6] . Ad esempio, un’innovazione di processo può richiedere nuove procedure per la gestione delle informazioni che possono venire implementate attraverso l’utilizzo più efficiente delle conoscenze già detenute. Questo cambiamento rafforza le conoscenze e le abilità dell’impresa nella gestione delle informazioni rendendole più difficili da sviluppare per gli ipotetici nuovi entranti. Quest’innovazione migliora quindi il posizionamento competitivo dell’impresa nei confronti delle imprese concorrenti.

Al polo opposto del range considerato, vengono prese in considerazioni tutte le innovazioni che hanno la capacità di distruggere e stravolgere il quadro competitivo rendendolo obsoleto. Queste innovazioni sono quelle che Schumpeter definisce “distruzioni creatrici”, considerate dall’economista veicolo di crescita. L’effetto di questo genere di innovazioni sulla competizione è quello di ridefinire ciò che è necessario per ottenere un vantaggio competitivo.

Sia l’effetto migliorativo/rafforzativo che quello rivoluzionario/distruttivo possono riguardare due dimensioni: quella dei fattori di mercato e quella dei fattori che invece riguardano la tecnologia ed il sistema di produzione. La combinazione entità

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dell’effetto-fattore fa scaturire quattro diversi scenari che Abernathy e Clark hanno riassunto in una mappa chiamata “Transilience map” e rappresentata in figura 1.2.

Figura 1.2: Transilience map, [Abernathy, Clark, 1984, p.8]

La sua dimensione verticale dà un’indicazione circa quanto un’innovazione influisce sui fattori che riguardano il mercato mentre, la sua dimensione orizzontale, rappresenta il range di quanto un’innovazione impatta sui fattori concernenti la tecnologia e il sistema di produzione. La mappa, con le due dimensioni indicate, forma quattro quadranti, ognuno dei quali rappresenta un tipo di innovazione diverso, essi sono:

- architectural; - niche creation; - regular; - revolutionary;

Si procede con la descrizione di ognuno di essi.

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Questo genere di innovazioni introduce nuove tecnologie che porteranno l’impresa a creare relazioni con nuovi clienti e nuovi mercati, da esse può infatti scaturire la nascita di un mercato completamente nuovo, oppure possono riconfigurare un mercato già esistente. Il nome “architectural innovation” deriva proprio dalla loro capacità di azzerare l’architettura di un’industria creandone una di nuova. Le innovazioni architetturali scaturiscono dal confronto tra individui che detengono un’ampia esperienza nel campo delle tecnologie ed un mercato in cui esistono delle necessità latenti e ovviamente non ancora soddisfatte. Gli autori, descrivendo questo tipo di innovazioni, pongono l’attenzione su due loro caratteristiche che sono onnipresenti ovvero:

- la loro capacità di rompere il collegamento con la prassi precedente, e ciò è conseguenza della loro potenza e della loro capacità di rivoluzione;

- la loro durabilità nel tempo, infatti la nuova architettura apportata dall’innovazione diverrà lo standard nel periodo di tempo successivo alla sua immissione.

Queste innovazioni, quindi, non solo hanno la capacità di azzerare le convenzioni vigenti fino al loro arrivo, ma sono inoltre in grado di apportare dei cambiamenti permanenti nel tempo.

- Niche creation

Quest’innovazione si basa sulla possibilità di creare nuove nicchie di mercato grazie all’uso di tecnologie esistenti. Gli effetti che queste innovazioni comportano sulla tecnologia e sui sistemi di produzione, infatti, sono abbastanza limitati in quanto esse conservano e rafforzano la tecnologia esistente. L’effetto più consistente, invece, si ha per quanto riguarda i collegamenti e le relazioni con il mercato ed i clienti essendo essi nuovi per l’impresa. Un’innovazione di questo tipo, per ottenere successo, richiede di rispondere alle necessità del nuovo segmento a cui fa riferimento. L’innovatore dovrà poi scontrarsi con i competitors che subentreranno nella nuova nicchia di mercato velocemente, in quanto, per farlo, non sarà per loro necessario acquisire nuove competenze tecnologiche o di produzione.

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Il terzo quadrante è composto da tutte quelle innovazioni che gli autori chiamano “regular innovation”, esse sviluppano competenze ed abilità tecnologiche e di sistemi di produzioni già esistenti, relazionandosi con un mercato e dei clienti che già detengono. Per questo motivo esse vengono anche denominate “innovazioni invisibili”, che possono essere difficili da cogliere dall’esterno perché agiscono dietro le quinte dell’offerta dell’impresa, apportando consistenti modifiche ai suoi costi ed alla sua performance; ciò può portare a rafforzare la fedeltà dei propri clienti e, conseguentemente, la sua posizione competitiva nei confronti dei concorrenti. Questi effetti non sono immediati, bensì verranno conseguiti dopo un discreto periodo di tempo nel corso del quale i miglioramenti attuati dall’innovazione verranno percepiti dalla clientela. Le innovazioni di questo genere, pur non venendo spesso prese in considerazione a causa della loro modesta visibilità, possono essere fondamentali per l’acquisizione di un vantaggio competitivo duraturo nel tempo poiché, agendo dietro le quinte dell’offerta, non sono facilmente replicabili dai competitors.

- Revolutionary innovation

Nel quarto e ultimo quadrante sono posizionate tutte le innovazioni che propongono al mercato esistente una nuova offerta, basata su una nuova tecnologia o un nuovo sistema di produzione. I clienti di riferimento sono quindi gli stesse e quindi queste innovazioni non richiedono particolari abilità di relazionarsi con mercati sconosciuti. Se da una parte esse sono in grado di rivoluzionare la posizione competitiva dell’impresa grazie alla novità apportata, dall’altra, nel caso in cui esse non incontrassero i bisogni del mercato, porterebbero l’impresa a peggiorare la propria posizione competitiva. Ciò, infatti, significherebbe aver sviluppato un prodotto da cui non sarebbe possibile trarre un profitto, in quanto esso non corrisponderebbe ai desideri del mercato.

- Transilience map e skills manageriali

La transilience map non è proposta dagli autori come una semplice categorizzazione delle innovazioni, infatti, grazie ad essa, Abernathy e Clark individuano le diverse skills che l’organizzazione ed il management devono avere per implementare ognuno dei quattro casi. Si procede con una loro descrizione:

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- Nel caso delle “architectural innovations”, caratterizzanti il primo quadrante della “transilience map”, il management deve essere in grado di stimolare l’implementazione di una raccolta e di una successiva integrazione delle informazioni riguardanti le necessità dei clienti, a ciò si devono aggiungere le indicazioni circa le possibilità di sperimentare ed utilizzare nuove tecnologie. Il connubio di queste informazioni è ciò che consente di attuare un’innovazione architetturale. Il management deve quindi essere in possesso di una consistente dose di creatività che gli consenta di cogliere ciò che fino a quel momento non è mai stato letto, ovvero dei bisogni insoddisfatti del mercato, oltre a consentirgli di elaborare l’idea di rispondere ai bisogni identificati attraverso nuove tecnologie. Per attuare il collegamento nuovi bisogni-nuove tecnologie è inoltre necessario che il management abbia un’elevata propensione al rischio, poiché quest’attuazione porta all’esplorazione di campi del tutto nuovi sia in ambito tecnologico-produttivo sia in ambito commerciale. I risultati potenziali di un’architectural innovation sono pertanto del tutto incerti fino a quando essa non viene immessa nel mercato.

- Nel quadrante “niche creation”, la capacità chiave che il management deve possedere è quella di saper individuare nuovi segmenti di mercato interessati a delle tecnologie che l’impresa già possiede. Oltre a ciò, il management deve essere in grado di immettersi in questi segmenti in tempi rapidi, ovvero prima che i competitors lo precedano, azzerando così la possibilità di cogliere il vantaggio competitivo che si era intravisto.

- Per quanto riguarda le “regular innovations”, invece, la competenza chiave da detenere è la pianificazione metodica, costante e coerente delle proprie attività di ricerca e di miglioramento continuo della propria offerta. Per fare ciò è necessaria un’organizzazione forte e stabile, che non subisca gli imprevisti esterni ed interni che possono entrambi impattare sulla volontà di voler rafforzare la propria offerta attraverso miglioramenti costanti ed incrementali. - Infine, la “revolutionary innovation” è dominata dalle spinte tecnologiche. Il

management, perciò, deve investire in ricerca tecnologica ed innovativa per poter cogliere e poi sfruttare tutte le più giovani innovazioni in questo campo.

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Abernathy e Clark aggiungono un contributo importante alle teorie sviluppate dalla letteratura in tema di innovazioni, in quanto arricchiscono le classificazioni proposte con un ulteriore elemento di analisi, ovvero l’effetto delle ripercussioni delle innovazioni in ambito competitivo. Con la transilience map gli autori propongono agli imprenditori uno strumento per capire che effetti avrà una determinata innovazione nel loro contesto competitivo e che skills dovranno sviluppare per poterla implementare.

1.5 Abernathy – Utterback

- Evoluzione dell’innovazione e sviluppo dell’impresa: il modello proposto - Fase fluida

- Fase di transizione - Fase di maturità

- Evoluzione dell’innovazione e sviluppo dell’impresa : il modello proposto La differenziazione tra innovazione di prodotto e innovazione di processo, proposta per la prima volta Schumpeter nel 1934 in “Teoria dello sviluppo economico”, è ripresa da Abernathy e Utterback che, nel loro lavoro “Patterns of industrial innovation”, propongono un modello in cui le innovazioni di prodotto e le innovazioni di processo evolvono in maniera interdipendente segnando tre fasi distinte, ognuna della quali si differenzia per la struttura del settore e per quelle che possono essere le fonti di vantaggio competitivo [Abernathy, Utterback, 1988]. Abernathy e Utterback, trattando il tema riguardante la correlazione tra ambiente competitivo ed innovazione, riprendono il lavoro che lo stesso Abernathy aveva sviluppato insieme a Clark, donandogli però maggiore dinamicità. Il modello si rivela infatti interessante sia per la dinamicità che dà ai concetti innovazione di prodotto ed innovazione di processo, sia per la capacità che ha di collegare strettamente tra di loro queste innovazioni all’ambiente competitivo e alla struttura organizzativa.

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Figura 1.3: Il modello di Abernathy e Utterback, [Abernathy, Utterback, 1988]

La figura 1.3 rappresenta il modello la cui asse verticale descrive il tasso di innovazione, mentre l’asse orizzontale rileva lo scorrere del tempo. Gli autori analizzano in dettaglio ognuna delle tre fasi evidenziate che sono rispettivamente:

- Fase fluida;

- Fase di transizione;

- Fase di maturità (o fase specifica);

Ognuna di queste si distingue per un livello differente di innovazioni di processo ed innovazioni di prodotto.

- Fase fluida:

In questa prima fase prevalgono le incertezze ambientali del mercato e della tecnologia, pertanto nessuna impresa è in grado di imporre uno standard, esistono svariati piccoli cambiamenti che portano nel mercato diverse soluzioni innovative, ognuna delle quali soddisfa segmenti ristretti. Ogni impresa propone al mercato la propria offerta ed i risultati possono variare significativamente da impresa ad impresa in quanto non c’è un’omogeneizzazione delle diverse proposte; in questa fase, pertanto, la competizione è basata sulla differenziazione dei prodotti, inoltre, non c’è quasi nessuna innovazione di

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processo. Il processo produttivo, infatti, si basa su manodopera altamente qualificata e su attrezzature di uso generale. La competizione non sarà così agguerrita come nelle fasi successive, in questo momento le imprese non conoscono ancora quali saranno le applicazioni che si potranno articolare dall’innovazione proposta, né le risposte che si otterranno dal mercato di riferimento e nemmeno le direzioni in cui il mercato potrebbe crescere. Il potere contrattuale dei fornitori è basso, in quanto per la produzione non vengono utilizzate risorse specifiche. La principale minaccia proviene dalla vecchia tecnologia e dal potenziale ingresso di nuovi operatori che potrebbero cogliere l’opportunità di sviluppare una nuova offerta.

In questa fase l’impresa può seguire due strategie:

- la prima è quella più radicale e consiste nel tentare di imporre il proprio prodotto come standard di riferimento precedendo tutti i concorrenti, per fare ciò è però essenziale effettuare degli investimenti di marketing che influenzino la percezione dei consumatori e consentano di stringere forti rapporti con i distributori;

- la seconda, invece, preved di attendere la comparsa del design dominante per basare il proprio vantaggio competitivo sui canali di fornitura, quelli di distribuzione, le tecnologie complementari, l’offerta di servizi a maggior valore aggiunto, etc.

Tabella 1.1: Sintesi delle caratteristiche della fase fluida [Abernathy, Utterback, 1988]

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In questa fase le varie tecnologie nate nella prima fase collimano verso un design dominante che diventerà la soluzione standard di riferimento e, pertanto, ridurrà la grande incertezza della tecnologia e del mercato presenti nella prima fase. La conoscenza che i produttori hanno delle caratteristiche della soluzione dominante aumenterà, così come la consapevolezza dei bisogni dei clienti, tutti i produttori saranno portati a conformarsi allo standard emerso. Utterback conferma ciò scrivendo: “The dominant design product has features that competitors and innovators must adhere if they hope to command significant market share following” [Utterback, 1994]. Precedentemente al raggiungimento della maturità di questa fase, le imprese, se vogliono ottenere rendite monopolistiche, devono porsi l’obiettivo di vincere la battaglia imponendo la propria soluzione come dominante, trasformando così la propria offerta nel prodotto/servizio di riferimento. Nel caso ciò non avvenga, ogni impresa può comunque iniziare a sviluppare prodotti complementari o versioni migliorative del prodotto/servizio divenuto dominante. La figura 1.3 mostra come, in questa fase, gli investimenti in innovazioni di processo superino quelli in innovazione di prodotto, continuando a crescere fino ad un punto in cui l’impresa crede di aver fatto ogni sforzo perseguibile per ottenere dei miglioramenti nei processi produttivi. La minaccia di nuovi entranti in questa fase è presente, ma questi incontreranno maggiori barriere all’entrata rispetto alla fase precedente.

Tabella 1.2: Sintesi delle caratteristiche della fase di transizione [Abernathy, Utterback, 1988]

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33 - Fase specifica

Nella fase specifica le imprese competono sulla performance del prodotto e sui suoi costi, le innovazioni di processo saranno quindi dominanti rispetto alle innovazioni di prodotto. Le imprese hanno un’idea chiara dei segmenti di mercato a cui poter fare riferimento, dei loro bisogni e del modo più idoneo per soddisfarli in termini di servizi e modalità di relazione. Le attrezzature impiegate sono altamente specializzate, l’impiego di manodopera qualificata è meno importante, grazie alle maggiori conoscenze detenute dall’impresa e date dalle economie di apprendimento. Ciò comporta un aumento del potere contrattuale dei fornitori. In questa fase la concorrenza si fa più intensa ed il mercato si muove verso un oligopolio. Essa terminerà nel momento in cui una nuova innovazione subentrerà nel mercato rivoluzionandolo e riportandolo alla fase fluida e quindi verso la sperimentazione di nuove soluzione non standardizzate.

Tabella 1.3: sintesi delle caratteristiche della fase specifica/di maturità

[Abernathy, Utterback, 1988]

Al modello sono state avanzate alcune critiche, ad esempio quella di essere troppo generico non consentendo così un’analisi a livello della singola impresa, o ancora quello di basarsi su un approccio troppo deterministico del processo evolutivo delle innovazioni nel tempo, che invece, nella realtà segue andamenti meno regolari di quelli ipotizzati dal modello.

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Pur soffrendo di questi limiti, il modello di Abernathy e Utterback è stato di grande contributo alla letteratura grazie alla capacità che ha avuto di sviluppare una correlazione tra tipologia di innovazione, il suo tasso di sviluppo ed il tempo. Esso rimane un ottimo punto di partenza per un’analisi dello sviluppo dell’impresa e delle sue innovazioni negli anni.

1.6 Clayton M. Christensen

- Disruptive innovation – sustaining innovation - I fattori che possono ostacolare l’innovazione - Come implementare una disruptive innovation

- L’innovazione auspicata risponde alle necessità del mercato?

- Elementi che permettono di implementare in modo profittevole l’innovazione

Clayton M. Christensen è un economista americano i cui lavori si concentrano principalmente sui temi della disruptive innovation e dell’innovazione dei modelli di business. Si prosegue con la trattazione dei concetti principali esposti dall’autore.

- Disruptive innovation – sustaining innovation

Con il termine “disruptive innovation” egli intende fare riferimento a tutti quei prodotti o servizi che inizialmente s’indirizzano ad una nicchia di mercato, ma poi riescono ad espandersi in tutto il mercato complessivo, spodestando i prodotti o servizi che avevano occupato il ruolo di leader fino a quel momento. Questo concetto è stato introdotto dall’economista per la prima volta nel 1997 ma, pur essendo passato diverso tempo, esso rimane tuttora valido anche grazie alla sua capacità di riprendere concetti basilari delle più importanti passate; è possibile, infatti, rapportarlo all’architectural innovation presentata nel modello di Abernathy e Clark, così come al concetto schumpteriano di distruzione creatrice. A differenza di quest’ultimo, però, la disruptive innovation non è vista dall’autore come un evento singolare la cui esistenza prescinde dalla volontà e dai piani dall’impresa, al contrario, Christensen incoraggia gli imprenditori a ricercare l’implementazione di questo genere di innovazione nel momento in cui l’impresa ha a che fare con talune condizioni di mercato. La dinamicità del mercato, infatti, può far sì che i problemi che un’impresa deve affrontare evolvano, l’ambiente competitivo si

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modifichi in virtù dei nuovi entranti ed i bisogni dei clienti finali si sviluppino, modificandosi rispetto a quelli che l’impresa ha affrontato fino ad allora. In una situazione di questo tipo, è essenziale che l’impresa sappia mettersi in discussione e si chieda se il modo in cui ha risposto ai problemi fino a quel momento e le risorse che ha utilizzato per farlo, possano essere ancora idonei per gestire i nuovi cambiamenti. Per le imprese di successo questo può essere molto difficile, in quanto, nel momento in cui determinate skills sono integrate da tempo nei processi dell’impresa ed aggregate ai suoi valori, metterle in discussione può divenire complesso. Questo genere di imprese, d’altro canto, risultano essere perfettamente capaci di affrontare i cambiamenti evolutivi ovvero quelli che non richiedono di stravolgere la propria operatività, di utilizzare risorse e abilità differenti e di relazionarsi con mercati sconosciuti. Le imprese di successo, solitamente, affrontano i cambiamenti evolutivi attraverso l’implementazione di quelle che Christensen chiama “sustaining innovations”, ovvero le innovazioni che sfruttano abilità, capacità, valori e processi già sedimentati all’interno dell’impresa e che permettono ad un prodotto o ad un servizio di ottenere migliori performance nel mercato tradizionale. Sono quasi sempre le imprese leader di settore ad introdurre le “sustaining innovations” ma queste stesse imprese, nel momento in cui una disruptive innovation sarebbe idonea per rispondere ai cambiamenti avvenuti, non riescono a rinnovarsi e lasciano così spazio a tutte le start-up ed ai nuovi entranti che, invece, sanno cogliere cambiamenti importanti con maggiore flessibilità e rapidità. L’autore scrive: “It’s no wonder that innovation is so difficult for established firms. They employ highly capable people and then set them to work within processes and business models that doom them to failure. But there are ways out of this dilemma”[Christensen, 2000, p.2] .

- I fattori che possono ostacolare l’innovazione

Con il lavoro “ Meeting the challenge of disruptive change” Christensen propone ai managers un framework che permetta loro di capire, innanzitutto, che genere di cambiamenti la loro impresa è in grado di implementare e quali invece sono da ritenersi al di fuori delle loro possibilità . Compreso ciò, sarà possibile avere un’idea più chiara del genere e dell’entità delle modifiche di cui l’impresa necessita.

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Come prima cosa, l’autore propone di analizzare in modo approfondito ognuno dei tre fattori che, in base alle sue ricerche, egli ritiene essere ciò che influenza quello che un’impresa può e non può fare. Essi sono:

- Le risorse: l’analisi delle risorse deve concentrarsi sia su quelle tangibili, ovvero le persone, le tecnologie, gli impianti, la disponibilità finanziaria, etc. sia su quelle intangibili cioè le relazioni con i clienti, i fornitori ed i distributori, il potere dei marchi detenuti, la relazione con i competitors, etc. Senza dubbio un’abbondanza di entrambi i tipi di risorse indicate e un buon livello nella loro qualità possono favorire la capacità dell’impresa di affrontare i cambiamenti, d’altro canto, però, la sola esistenza di queste non garantisce che l’impresa sia capace di gestire le modifiche necessarie;

- i processi: intesi come il modello di interazioni, di comunicazioni, di decisioni e sistemi di coordinamento che vengono utilizzati per trasformare le risorse impiegate in prodotti e servizi di maggior valore; Christensen li differenzia poi tra quelli visibili, come ad esempio la logistica, lo sviluppo prodotti, il servizio clienti, etc. e quelli invisibili, ovvero i processi di background che supportano le decisioni riguardanti dove e come investire risorse;

- i valori: essi sono diffusi in tutti i livelli dell’organizzazione e sono di fondamentale importanza in fase di cambiamento poiché stabiliscono ciò che un’organizzazione può o meno fare. Spesso accade che le imprese scartino determinate iniziative perché non le ritengono soddisfacenti rispetto a delle metriche consolidate all’interno dell’organizzazione. Un esempio tipico deriva dal fatto che alcune aziende utilizzano, per la valutazione delle nuove opportunità, metriche e valori derivanti dall’esperienza nel proprio business, come ad esempio il margine lordo. In tali contesti, se l’innovazione oggetto di valutazione non raggiungere quel livello minimo, essa viene completamente scartata. Christensen ritiene che le imprese debbano stare particolarmente attente nel considerare questi valori come strumenti di valutazione validi a prescindere dalla specificità della situazione, in quanto ciò può portare il management a sottovalutare, e di conseguenza non sviluppare, innovazioni che potrebbero essere concretizzate da players esterni. Certamente le grosse imprese necessitano di valori di riferimento che aiutino a velocizzare e strutturare i processi ma,

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d’altro canto, ciò può far perdere occasioni importanti all’impresa ed è necessario quindi porre elevata attenzione nel momento in cui questi procedimenti vengono posti in atto.

L’analisi di questi tre fattori porterà l’impresa a comprendere cosa può ostacolarla nel rinnovarsi, successivamente, una volta individuati i fattori critici, potrà provare a modificarli.

- Come implementare una disruptive innovation

Quando i cambiamenti di mercato, la situazione competitiva e le evoluzioni dell’ambiente di riferimento richiedono di attuare una disruptive innovation, l’impresa necessiterà di nuove capacità, nuovi valori e nuovi processi sostenuti da risorse diverse rispetto a quelle utilizzate fino ad allora. Secondo l’autore esistono tre modi per attuare questi cambiamenti:

1) creare una nuova struttura organizzativa all’interno dei confini dell’impresa nella quale i nuovi processi siano sviluppati e nella quale siano presenti i nuovi valori richiesti;

2) fare sbocciare dalla vecchia impresa un’impresa indipendente che sviluppi le capacità richieste per affrontare il cambiamento auspicato;

3) acquisire un’impresa esterna i cui valori, i cui processi e le cui risorse siano coerenti con quelli richiesti dl cambiamento.

Per capire quale di queste tre strade percorrere l’autore sviluppa una matrice che suggerisce agli imprenditori come fare ad effettuare un cambiamento in base ai processi esistenti nella loro impresa e in base ai valori detenuti.

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Figura 1.4: Metodi di implementazione di una disruptive innovation [Christensen, 2000]

Nella matrice rappresentata in figura 1.4 l’asse delle x si riferisce alla possibilità o meno che i valori dell’impresa consentano di allocare delle risorse al cambiamento auspicato, l’asse delle y, invece, determina se con i processi in essere nell’impresa si possa o meno alimentare il nuovo cambiamento.

Queste due dimensioni stabiliscono quindi l’esistenza di quattro regioni, in ognuna delle quali è proposta una soluzione differente per affrontare il cambiamento.

- L’innovazione auspicata risponde alle necessità del mercato?

Una volta compresi quali possono essere gli ostacoli che impediscono all’impresa di rinnovarsi e quale sia la strada migliore per poterlo fare è necessario chiedersi se l’innovazione disruptive che si vorrebbe implementare possa rispondere ai bisogni dei clienti finali.

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