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SPAZIO APERTO

E luce fu (

)

And there was light

Cristina Sbarra (∗∗)

ISS Valle, Via T. Minio 13, 35134, Padova, Italia

“In principio [...] le tenebre coprivano gli abissi e un vento impetuoso soffiava

su tutte le acque. Dio disse ‘Vi sia la luce!’ e apparve la luce. Dio vide che la luce era bella e separ`o la luce dalle tenebre. Dio chiam`o la luce Giorno e le tenebre Notte [...] Dio cre`o l’uomo simile a s´e, lo cre`o a immagine di Dio, maschio e femmina li cre`o. Li benedisse con queste parole: ‘siate fecondi, diventate numerosi, popolate la terra’ [...] E Dio vide che tutto quello che aveva fatto era davvero molto bello.”

[Dal libro della Genesi, In Principio, Inno a Dio Creatore]

Le scale sembrava non finissero mai e salirle, cercare di mantenere lo stesso ritmo, richiedeva un atto di potenza. Quella stessa potenza che davano l’impressione di avere tutti i giovani uomini che, con vigore, la stavano superando passandole di lato. Marirose si sentiva battuta in partenza, dal momento che sarebbero arrivati quasi tutti prima di lei e avrebbero di sicuro scelto le posizioni migliori, davanti alla cattedra. Era abbastanza in anticipo, ma la situazione era gi`a molto pesante per lei. Si sentiva sotto osservazione, guardata con sorrisetti dai ragazzi che la superavano sulle scale. Si sentiva una infiltrata, dal momento che non faceva parte di quel gruppo. Purtroppo, aveva anche la brutta impressione di essere fuori posto in quel momento, in quel luogo, in cui tutti erano maschi. Le era stato chiesto per`o di andare da suo fratello Alfred e lei lo stava facendo per lui; anche un po’ per se stessa, a dire il vero: era felice di dover ascoltare le spiegazioni del professore, in quell’aula del College.

Alfred sapeva che quella lezione sarebbe stata la pi`u illuminante, cos`ı come aveva loro preannunciato il professore nella lezione precedente, ma quel giorno non era in grado di muoversi, perch´e ammalato.

Non voleva chiedere aiuto ai suoi compagni di corso, o meglio, avrebbe chiesto loro gli appunti, successivamente, ma aveva bisogno di sapere di pi`u.

() Racconto riprodotto con permesso dalla raccolta omonima “E luce fu” del presente autore (Piazza editore) 2016.

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Voleva che qualcuno gli riproducesse l’atmosfera, la suspense, le preziose note colo-rate, insomma tutti quei dettagli che, oltre alla sostanza, possono rendere splendida una lezione universitaria. Come quando si assiste a un’avvincente rappresentazione teatrale.

E il Professor James Clerk Maxwell, quella mattina, ne sarebbe stato l’attore prin-cipale. Marirose aveva una naturale predisposizione ad imitare le persone, a cogliere i lati pi`u singolari e caratteristici delle atmosfere, dell’umore, delle parole degli altri. Marirose era anche brava: stava laureandosi in matematica e conosceva sia il formali-smo usato dal professore, che gli argomenti di cui egli aveva parlato, perch´e il fratello amava raccontarle ogni lezione.

Lui desiderava confrontarsi con lei, perch´e cos`ı riusciva a capire certi aspetti matema-tici, che gli riuscivano ancora oscuri. Era ansioso di avere la sua opinione, perch´e lei stessa era molto interessata all’argomento e mostrava di intuire velocemente i passaggi del professore. Insomma, parlandone con Marirose, Alfred assimilava fino in fondo la lezione che aveva appena ascoltata. E sapeva anche di renderla felice: Marirose, infatti, avrebbe voluto fare fisica, pi`u che matematica; ma le giovani ragazze erano gi`a fortunate se studiavano, ancora di pi`u se si cimentavano nelle materie scientifiche, e dovevano seguire le indicazioni dei loro tutor e dei loro padri.

A lei era stato detto “sei portata per la matematica, e farai matematica. Diventerai cos`ı una calcolatrice, al servizio di sua maest`a, lavorerai nel team dell’osservatorio di Cambridge!”. Il suo tutor e suo padre erano due sognatori. Il tutor, Mr. Opkins, era un sapiente astronomo, che aveva lavorato all’osservatorio per diversi anni, fino a che una malattia della moglie lo aveva costretto a stare pi`u vicino a lei, accettando il pi`u tranquillo lavoro di tutor dei figli del suo amico Lord Breton.

Mr. Opkins, dunque, sapeva che il lavoro di analisi dei dati osservativi era molto ripetitivo e macchinoso: “Adatto per una donna!” avevano detto tra colleghi astro-nomi. Adatto, cio`e, secondo loro, a chi sa svolgere compiti spesso ripetitivi e poco edificanti, ma in cui l’attenzione e la capacit`a di calcolo sono necessari. Quindi il tutor confidava che Marirose avrebbe potuto andare a lavorare come ’assistente cal-colatrice’ all’osservatorio di Cambridge, in cui si doveva analizzare una elevata mole di dati, visto che lei era particolarmente dotata per i calcoli scientifici. Lui l’avrebbe preparata a dovere, fornendole gli strumenti opportuni, e lei sarebbe stata accettata anche grazie alla sua intercessione. Il padre di Marirose era un Lord di ampie vedute e con un debole per le scienze, in particolare per l’astronomia. Da giovane avrebbe voluto cimentarsi nello studio, ma aveva dovuto prendere in mano la tenuta di fami-glia e impiegare il suo tempo nel gestire la propriet`a. Si era sposato per amore con la bellissima Sofie, donna di fine cultura e di origini francesi, la quale aveva impresso ai figli un’educazione aperta e densa di stimoli. Amava circondarsi di amici musicisti e lei stessa era una raffinata pianista. Sofie era poi morta prematuramente, di tisi. I figli erano stati allevati da fide governanti e da Mr. Opkins, che si era occupato della loro istruzione. Lord Breton voleva che entrambi i figli avessero la stessa educazione. Fu cos`ı che Marirose e Alfred, di soli due anni di et`a di differenza, studiarono insieme, le stesse cose. Erano entrambi attratti dalle materie scientifiche: Marirose pi`u portata per i calcoli matematici e per la teoria, Alfred pi`u per la pratica, le applicazioni, gli

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esperimenti. Entrambi avevano superato brillantemente la High School, accingendosi poi a compiere studi universitari. Era per`o un atto di coraggio, da parte di una donna, entrare all’Universit`a. Infatti, in Inghilterra, le universit`a avevano ammesso le donne solo da dieci anni. Era l’anno 1875, e Marirose all’Universit`a di Cambridge, in tre anni aveva superato brillantemente tutti gli esami del corso di laurea in matematica, tanto da riuscire a chiedere la tesi di laurea, in quello stesso anno.

Il fratello Alfred, che aveva iniziato dopo di lei, adesso stava cimentandosi nell’esame di Fisica sperimentale, di cui Maxwell era appunto il docente, a Cambridge.

Quella mattina il professore avrebbe descritto le equazioni generali del campo elet-tromagnetico, una delle sue pi`u importanti scoperte teoriche. Marirose si pot´e sedere nella fila davanti alla cattedra, perch´e un bel ragazzo dagli occhi verdi le aveva la-sciato galantemente il posto. Si sentiva imbarazzata, ma accett`o di buon grado, ringraziandolo con un sorriso.

Il professore inizi`o:

“Siamo arrivati a certe equazioni che esprimono alcune propriet`a del campo elettro-magnetico. Procediamo ora a ricercare se queste propriet`a di ci`o che costituisce il campo elettromagnetico, dedotte solo dai fenomeni elettromagnetici, siano sufficienti a spiegare la propagazione della luce attraverso la stessa sostanza...”

Cos`ı dicendo, aveva riscritto le equazioni a cui erano arrivati alla lezione precedente. Lei le conosceva bene. Erano quattro equazioni. Apparentemente quasi simmetriche, nei campi elettrico e magnetico. Erano equazioni alle derivate parziali, nello spazio e nel tempo, lineari. Lei le aveva riscritte e commentate a casa, col fratello.

Adesso il professore sembr`o giocare con le equazioni scritte, si apprest`o a fare quasi il prestigiatore, moltiplicava e sommava i pezzi, quasi divertendosi.

Andava dicendo: “se combiniamo le equazioni della forza magnetica con quelle delle correnti elettriche” e, dopo alcuni passaggi, continuava “se differenziamo la terza di queste equazioni rispetto a y e la seconda a z, e sottraiamo, questi due pezzi scompaiono e si ottengono queste...”.

Marirose si accorse che dalle quattro equazioni iniziali, dopo i passaggi del professore, si era giunti a due equazioni sole: una per il campo elettrico e l’altra per il campo ma-gnetico, e queste erano completamente simmetriche. Potevi interscambiare il campo elettrico con quello magnetico nell’equazione stessa, ma essa era egualmente valida. James Clerk Maxwell, soddisfatto, aggiunse quindi: “tutte le equazioni danno lo stesso valore per v, cos`ı che l’onda si propaga in tutte le direzioni alla stessa velocit`a...”. E si gir`o a guardarli, infine, con gli occhi che gli brillavano.

Adesso anche Marirose si rendeva conto dell’incantesimo che era stato fatto: con la matematica, il professore aveva ottenuto, dalle equazioni scritte, una nuova entit`a vera per tutti e due i campi: un’onda elettromagnetica. Entrambe le nuove equazioni, erano insieme la descrizione di un’onda che si propaga, allo stesso modo e in tutte le direzioni, ma soprattutto, cosa pi`u incredibile, alla stessa velocit`a:

la velocit`a della luce.

Lei stessa era ancora emozionata per quello che aveva tutta l’apparenza di un miracolo. Una mano divina sembrava aver guidato quella del Professor Maxwell: quasi sentiva

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la marcia trionfale che aveva accompagnato la scrittura delle equazioni e, come per incanto, anche lei infine comprese cosa in realt`a fosse la luce.

Era ancora inebriata dalla lezione cos`ı mirabilmente conclusa, e si stava apprestando a scorrere lungo la panca di legno dell’aula, quando si accorse che il Professore se ne stava andando via in tutta fretta, passandole davanti per uscire.

Milady pu`o salutarmi suo fratello Alfred?

Era una voce amichevole quella che Marirose sent`ı, e si volt`o a guardare. Era stato il bel ragazzo dagli occhi verdi, che l’aveva raggiunta da dietro, a parlare.

S`ı, certamente. Disse lei.

Piacere di conoscerla, sono Paul, un amico di Alfred. Lui mi aveva detto che oggi lei sarebbe venuta... `E stata una lezione fantastica.

Infatti... Fece Marirose alquanto imbarazzata.

Il ragazzo era davvero carino. E sembrava anche simpatico.

Sono sicuro che lei sapr`a raccontare al meglio la lezione ad Alfred, so che `e in procinto di laurearsi in matematica.

S`ı, infatti.... Ripet´e Marirose, che in quel momento si sent`ı ancora pi`u imbarazzata. Ma si fece coraggio.

Devo dire che qui mi sentivo un po’ a disagio, dato che siete tutti uomini. Cos`ı dicendo si volle liberare un po’ dalla tensione accumulata.

`

E per noi un vero piacere, invece, avere una compagna distinta ed elegante come lei, mi creda.

Marirose si accorse che il giovane la stava accompagnando mentre, usciti dall’aula, si avviavano verso le scale. Dovevano passare ancora un corridoio.

Mi sento un po’ meglio ora che `e venuto a parlarmi lei, mi sento meno ’straniera’ tra voi compagni di corso.

Perch´e dice cos`ı, Marirose? So che lei `e un’ abile matematica, siamo noi che dovremmo imparare da lei, che qui tra i banchi dell’universit`a ormai `e di casa...

A dire il vero, infatti, conoscevo tutte le lezioni che erano state svolte in precedenza, perch´e Alfred me ne aveva parlato.

Lo so. Fece il ragazzo dagli occhi verdi. So anche che spesso ha aiutato Alfred a capire i passaggi, che poi lui ha spiegato a me! Cos`ı dicendo Paul le sorrise, in modo ammiccante. Anche lei sorrise.

Infatti, disse ancora, conoscevo bene anche le equazioni di Maxwell!

Marirose si era sentita incoraggiata e si stava sciogliendo. Paul la guardava interessato mentre lei parlava. I loro occhi erano come attratti da una forza magnetica gli uni verso gli altri. Quasi senza accorgersene i due finirono entrambi in un vestibolo. Era alquanto buio l`ı dentro e loro si fermarono per capire cosa stesse succedendo, quando udirono la voce del professor Maxwell, che stava al di l`a del paravento e evidentemente non li vedeva.

Sono molto preoccupato per mia moglie. Devo andare subito da lei, sta molto male oggi.

Il professore stava evidentemente parlando a qualcuno. Da quanto tempo sta male, James?

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Non da molto, ma i dolori la costringono a letto. I medici non capiscono granch´e... io,... io devo stare con lei adesso, ecco perch´e corro... mi capisci. S`ı, James, lo so che per te Katherine `e tutto. `E stata una donna fortunata a trovare te.

E io a trovare lei, amico.

I due ragazzi erano rimasti in silenzio e immobili per tutto il tempo. Si resero conto che avevano furtivamente ascoltato una piccola confessione d’amore da parte del professor Maxwell, da parte di un grande della Fisica contemporanea.

Anche lui era una persona normale, dopo tutto.

Era come gli altri: con le preoccupazioni familiari, con le sue tribolazioni e i problemi di salute. E anche lui era capace di amare, anche nel dolore.

Si accinsero a uscire dal vestibolo e a percorrere il corridoio che li portava alle scale. Marirose e Paul non parlavano pi`u, ma stavano allontanandosi celermente, assieme. Lui l’aveva presa sottobraccio sulle scale per aiutarla a scendere e le apr`ı con gesto elegante e deciso la porta dell’uscita del College, per farla passare avanti.

Lei si sentiva sicura, con lui accanto. Non aveva pi`u l’impressione di essere un’e-stranea, come durante la salita. Per di pi`u, Paul non le stava dando fastidio col suo comportamento, anzi. Stavano procedendo fuori dall’edificio, ma ancora insieme. Sembrava che dovessero fare la stessa strada, che combinazione!

Erano entrambi sospesi ai propri pensieri, quando a un certo punto Paul le chiese a bruciapelo: Marirose, sarebbe cos`ı gentile da accompagnarmi al concerto del coro dell’universit`a, che si terr`a venerdi prossimo, alle otto, presso la chiesa di Santa Maria? Marirose non esit`o un attimo a rispondere.

S`ı, mi farebbe proprio piacere. Disse convinta.

Verr`o a chiedere il permesso a suo padre, una sera di questa settimana. E si salutarono, lui baciandole la mano.

Se ne andarono ognuno per la sua strada, felici. Una fiamma si era accesa nei loro cuori. E luce fu.

Racconto ispirato alla storia delle “calcolatrici di Pickering”, donne studiose, abili nei calcoli e dedite alla classificazione stellare, che lavorarono presso l’Harvard College Observatory (HCO) intorno ai primi del ’900.

Riferimenti

James Clerk Maxwell, Una teoria dinamica del campo elettromagnetico, a cura di Salvo D’Agostino, collana I fondamenti della Scienza (edizioni Teknos) 1996. Lloyd Motze Jefferson Hane Weaver, La Storia della Fisica (Cappelli editore) 1996.

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