A nno
XV.
S a l e r n o ,30 Gennaio 1883.
N.‘ 1,
2
e 3.
GIORNALE D’ISTRUZIONE E D’EDUCAZIONE
PREMIATO CON MEDAGLIA D’ ARGENTOAL V II CONGRESSO PEDAGOGICO.
Il giornale si pubblica tre volte al mese. Le associazioni si fanno a prezzi antici pati mediante vaglia postale spedito al Direttore. Le lettere ed i pieghi non francati si respingono: nè si restituiscono manoscritti — Pr e z z o: L. 5; sei mesi
L. 3; un numero separato di otto pagine, Cent. 30; doppio Cent. 50.
Giornali, libri ed opuscoli in dono, s ’ indirizzino — A lla D irezione del Nuovo Isti tutore, Salerno.
SOiMMARIO — Le solite chiacchiere a' L ettori — D i qualche piaga lettera ria —
Gli stu d ii classici e i filo lo g i moderni — L'insegnam ento d ell’ italiano ne' Gin- nasii e ne’ L ic e i, lettera - circolare — O sservazioni sulla lettera-circolare — Un idillio — Cronaca d ell’ istruzione — Annunzii — Carteggio.
AI LETTORI.
Altro che storie! Ho alm anaccato un buon pezzo fra
me e me se non fosse proprio il caso di levarvi l’incomodo
e di far punto e basta. La tentazione è stata f o rte , e le
ragioni molte e varie. Ve 1' ho forse da contare, lettori miei
riveriti? F arei le lamentazioni di Geremia, e noi concede
rebbe il solenne rito ; chè sol di rosei sogni, di liete spe
ranze, di larghe promesse oggi si ragiona, e non si apre
bocca, nè si muove penna, da cui non piovano benedizioni,
augurii di prosperità e cantici e inni di letizia e di lode.
Quand’ ero giovane, cantavo anch’ io la mia parte, e senza
m ontar sulle fiorite vette del Parnaso, eli’ è la stanza deli
ziosa delle Muse, come voi sapete, mi dilettavo di canticchiar
da basso, t r a ’ cespugli, fra 1’ erba e i fiori, nelle valli om
brose, come appunto fanno certa specie d’ uccelli, che gor
gheggiano fra le siepi e le m acchie, e non amano 1’ aria
sottile dei monti. Ma ora con ta n t’ anni sulle spalle, cpn
tanti capelli bianchi sulla testa, con tanti nuvoloni scuri per
aria, ho d’ altro voglia che di fare il canterino e di g ratta re
il saltero. Giusto ! — P eraltro qualcosa conviene annaspare,
tanto per non levar l’uso : e dice il dettato, uccello in gabbia,
se non canta per am o r, canta per rabbia. Intendete con
discrezione, ve’; chè nè gabbia nè rabbia hanno punto da
vedere con m e , che non sono uccello, come credeva del
pappagallo il b rav ’uomo di Cuneo. È così nota la storiella !—
Dunque, statemi a u dire, e se non dirò tu tto , nè sarà un
canto in piena regola ; pure qualche nota aspra scapperà e
qualche cosa voi la leggerete fra le linee.
Sono parecchi anni, eh’ è fatta l’ Italia ; ma gl’ Italiani
dove sono ? Abbiamo provato e riprovato ordini e sistemi
diversi di studii e di discipline educatrici: abbiamo fatto e
disfatto leggi e regolam enti: abbiamo mutato e rim utato
concetti, uomini e cose: abbiamo messo sossopra mezzo
mondo ; ma che n’ è uscito da questo continuo ro te a r di
macchine stridenti e assordanti, da sì grande rim escolìo,
da questo ballo vertiginoso di p ro g ram m i, di m etodi, di
sistemi e di leggi? Dopo tanto strepito, tanto chiasso e tanto
rum ore, chi ha cuore italiano e gentilezza di se n tire , dia
un’ occhiatina alla relazione del Carducci sull’esito della gara
d’ onore, peschi fra le cifre dell’ ultimo censimento il numero
degli Analfabeti in Italia; e provi, se può, a serbar fresco
e sereno il viso e 1’ animo tranquillo e lieto.
Ma poco male, che i giovani, lisciati, carezzati e tirati
su co’ gingilli e le moine, s’ infemminiscano e s’ adusino a
m endicar dalle grazie m inisteriali, con 1’ efficacia de’ piagni
stei e delle raccomandazioni, ciò che dovrebb’ esser m erito
di forti studii e trionfo di durate fatiche : poco male eh’ essi,
nuovi tra le meraviglie di Rom a, si smaghino fra le bellezze,
e non sappian poi raccogliere le forze dell’ ingegno dinanzi
a un ponderoso tem a , che avrebbe fatto sudare più d’ uno
degli esam inatori ; e poco male in fin e, che nella grande
scuola de’ popoli europei ci tocchi a sedere quasi al banco
degli asini, essendo in coda a moltissimi Stati per m aggior
numero d’ analfabeti, e sol di poco vincendo la Spagna e
l’ U n g h e ria 1. Tutto questo non ci fa, certo, onore e g loria;
m a non è il peggior g u a io , nè il m aggiore sconforto. Nel
fatto di m o ra lità , di rettitudine di sentire e d’ o p e ra re , di
saldezza di convinzioni e di propositi, di carattere, insomma,
e di robustezza di fibra, come n ’ abbiamo avuti tan ti e tanti
splendidi esempii nella P atria nostra, anche a’ tempi poveri
e tristi ; oh ! guardiamoci bene attorno, c’ è forse da consolar
la vista e da rin fran car 1’ animo allo spettacolo lie to , che
ci si p ara innanzi ? La g io v en tù , eh’ en tra nelle scuole e
quella che n ’ e sce, ci dà essa cagione a bene sperare ? Di
1 L eggi in sul proposito le assennate e bellissime considerazioni del Martini peli a D omenica L ettera ria , a. c.
quali entusiasmi generosi è accesa, di quali nobili speranze
nutrita, di quali splendidi ideali vagheggiatrice ? A che crede ?
in che spera? dove aspira? quale fiamma d’ affetti generosi
le scalda l’anima, quale serietà di pensieri le agita la mente?
E le dottrine signoreggianti in basso e in alto , le decla
mazioni tribunizie de’ rifo rm a to ri, che co’ capelli irti e la
barba arru ffata, con l’ occhio fulmineo e il fiero cipiglio
fanno piazza netta e pulita d’ ogni cosa e annunziano, con
1’ aria d’ inspirati, i nuovi Vangeli tra il plauso del
seroum
p ecu s;
ci aflìdan forse che rifioriranno gli studii, m igliore
ranno i costumi, rinvigoriranno gli anim i, spunteranno i
veri, gli aspettati, i forti Italiani ? Con questo continuo rin
ghiare e la tra re contro tutto e tutti, educheremo virilm ente
i giovani all’ osservanza del do v ere, al culto della v irtù ,
all’amore della Patria, all’ ardito e forte operare ? Chi semina
vento, raccoglie tem p esta, dice un adagio volgare; e pur
troppo le tempeste ci rum oreggiano sul capo e scoppian di
tra tto in tratto. Onde ci tocca assistere al doloroso spet
tacolo di vedere a quando a quando una mano d’ audaci o di
m atti scapestrati levare il campo a rumore, turbare la pub
blica pace, m ettere a repentaglio le sorti della P a tria , in
solentire contro le leggi, e tro v a r nella stampa e fra gli
um anitarii dalle larghe maniche perfino chi li loda o pietoso
ne piglia il patrocinio e ne pallia le colpe e gli errori. E
fra ’ dissennati tumulti di piazza e l’ inverecondo baccano,
nè ultimi nè pochi i ragazzi delle scuole e gli studenti delle
U niversità, da cui si seminano le nuove dottrine. Bell’ avve
nire davvero si apparecchia all’ Italia !
I
cavalli generosi, diceva Socrate, quando sian domati
da piccoli, riescono di bonissimo uso ed o ttim i, essendo
animosi da natura e violenti, e riescon poi sfrenatissimi e
pessim i, quando non siano domati. Diceva pure: que’ cani
che sono d’ottima n atu ra e laboriosi e pronti ad assaltare
le fiere, se siano bene educati, riuscire ottimi per la caccia
e utilissim i; ma se non siano istruiti, diventare inutili, fu
riosi e disubbidientissimi K 11 simile è de’ giovani, che con
viene bene allevare ed educare, perchè la lor naturale vivacità
non iscapestri e il fuoco delle passioni non ditam pi in
dannosi incendii — Ma che Socrate d’Egitto! che cavalli e
cani! che domare e non domare mi stai contando tu Istitutore,
nuovo soltanto nel titolo, ma vecchio e barbogio con tanto
di grinze? Vatti a riporre, core mio! A questi lumi di luna
venirtene con Socrate, con Platone e Senofonte? Si vede
1 Senofonte, M em orabili d i Soerate, pag. 174, trad. del GiaComelh, Milano Gui' goni, 1874,
proprio che non sei
all’altezza
de’ tem pi! — Olà, que’ signori:
e chi ve lo nega? Ecco un’ altra ragione per la quale volevo
lasciarvi libero il campo e brontolare il
cursum consum avi
eccetera. Mi capite ? E volevo andarm ene p u r e , p e rc h è ,
( l ’ ho da d ire ? ) dopo gli stenti e le fatiche di un an n o ,
tro v a rsi alla fine con un grosso peso sullo stom aco,'com e
dire un debitaccio col Tipografo ; non piace nè può piacere
a nessun fedel m inchione. Sarà anche questo un progresso
de’ nuovi tempi e il frutto delle nuove dottrine, gittarsi dietro
le spalle i proprii doveri, far lo g n o rri a’ continui richiam i,
e condannare un povero galantuomo a una vergognosa pi
toccherìa? Se sfilo la*corona!
Ma orm ai è tempo di finire ; chè se il sacco non 1’ ho
preso pe’ pellicini, una buona sca p p a te lla gliel’ ho data; e
v o i, lettori m iei, avrete visto già scapparne fuori quelle
ombre n ere, che mi susurravano nella testa il pensiero
abbrunato del panno m ortuario. Non si canzona, ve’. O r,
trattandosi di conchiudere, vo rrei ru b arla a Virgilio una
chiusa classica, so n o ra , m agistrale. V orrei poter dire con
lui o con Anchise, che to rn a lo stesso:
V l C I T 1 AMOR PATR1AE LAUDUMQUE IMMENSA CUPIDO !
Però il guaio è, che, nell’averm i fatto m utar di proposito,
non c’ entrato, nè c’ en tra neppur per sogno,
I ’a m o r d i p a t r i a e l ’ i m m e n s o d e s ì o d i l o d i .Questi luoghi comuni non son
fatti per noi, ma pe’
B ru ti
vecchi e nuovi. Non vi ricorda
del Bruto Toscano, Lorenzino o Lorenzaccio, che si fece
appunto bello del verso virgiliano, poiché ebbe spento il
cugino tiranno, e salvato eroicam ente la pelle con la fuga?
Oh la P a tria ! quante prodezze non fa fare, e quante pazzie,
senza saperne nulla, non ricopre spesso di pietoso ammanto?!
A sentir certa gente, non fanno uno starnuto se non pel
bene e l’ onore della P a tria ; e anche quando ne dicon corna,
è l’ am ore che li move e li fa cantare ! Benedetti loro ! Io li
guardo trasecolato e allocchito, e dico e ripeto che nel caso
mio non c’ en tra un cavolo 1’ aflàr delle lodi e della patria.
Starebbe proprio fresca l’ Ita lia , se avesse a reggersi su
tal so rta di puntelli ! — Sicché Virgilio può stare in pace e
dorm ir tranquillo fra due guanciali, che il verso non glielo
r u b o , nè lo scrivo al sommo della m ia bandiera. Invece
glielo raffazzono o storpio così:
V lC IT AMOR VITAE MUSARUM AC SACRA VOLUPTAS.
1 LI, nel Sesto dell*Eneide, Anchise, squarciando del futuro il celarne, u sa V is* c e t , che non fa una grinza. Ma in bocca m i a ne farebbe di sicuro, e perciò m’ è convenuto di mutare in Vicit. Questo lo dico e fo sap ere, perchè se mai qualche squisita o casta orecchia avverta lo strappo, non mi giudichi e accusi irriverente ”ftrso i classici.
Non av rà l’arm onia piena e soave del suo babbo, nè l’ ordine
misurato de’ dattili e degli spondei, che rintronano sì dol
cemente negli orecchi; ma ha il pregio di non zoppicare e
di dire per appunto la verità. Non è il secolo dei
veristi?
P eraltro non la dice tu tta , perchè con sei piedi so li, quanti
n’ ha 1’ esametro, (scusate se dico di queste piccinerie) non
si può far lungo cammino, e bisogna sedersi dopo pochi
passi. Se volete saperla intera, aggiungete all’ istinto naturale
della vita e al dolce diletto degli studii anche la gentile
violenza degli am ici, la speranza di più lieto avvenire e
1’ augurio di un anno meno birbone di questo eh’ è passato,
e non ci m ancherà un’ ette. L’ è andata proprio così.
R esta che le speranze non siano fallaci, e che 1’ anno
nuovo sia più galantuomo degli a ltri per me e per voi:
ecco gli augurii secchi secchi che fa il Nuovo
I s t i t u t o r e .Ram m entatevi che ve li da per la quindicesima volta, che
potrebb’ esser l’ultima, se gli v e rrà meno la vostra preziosa
benevolenza e vi piacesse di lasciarlo solo nelle péste. Ma
am or con amor si paga,
o meglio:
Amor, che a nulVamato
am ar perdon a,
non vi farà
abbandonare
il
Nuovo Istitutore,
e così camperete insieme altri cent’ anni, e crepi l’invidia!
Il Capo d’ anno del 1883.
Il Nuovo Istitutore.
P i -QUALCHE PIAUA LETTERARIA.
È chi per esser suo vicin soppresso Spera eccellenza, e sol per questo brama Ch’ el sia di sua grandezza in basso m esso.
Da n t e, Purg. Cant. 17, v . 115.
Sia pur delizioso, sia coltivato con assidua cura e con arte g en tile un giardino adorno dei fiori più peregrini e più v a g h i, ricco di frutti pregiati e gustosi; in esso tuttavia qualche m a lv a , qualche la pazio trova pur lu o g o , se bene ap p artato e riposto , ove a dispetto del giardiniere germ ina e cresce. Non vi è bel volto m uliebre, sia pur quello di B eatrice, o di L aura, famosi ornai per la beltà che vi scor sero gl’ innam orati loro c a n to ri, nel quale un acuto osservatore non trovi qualche neo, o non si accorga come fra alcune delle parti, q u an tunque tutte belle in se s te s s e , m anchi poco od assai quella giusta proporzione, quell’ ordine e quell’ arm onia, onde il bello essenzialm ente
resulta. N on v’ è uomo, date pure che sia fornito di mille pregi, dot trinato, gentile, virtuoso, nel quale tu ttav ia non si ritrovi qualche di f e tt o , qualche m a c c h ia , qualche abito non del tutto lodevole. A ltri vegga se accada ciò affinchè si conosca che in questo nostro pianeta non si trova nulla di assolutam ente perfetto , o perchè dai difetti di alcune fra le varie parti di un aggregato meglio spicchi e si ammiri ciò che altre hanno in sè di eccellenza e di perfezione. Cosi appunto come il pittore pone le om bre nel quadro , acciocché più vistosi ap pariscano gli altri colori.
Non vi è insomma cosa um ana, che non sia difettosa o eccessiva. L a scienza stessa, dono am m irabile conceduto da Dio a lla prediletta sua creatura, accoglie spesso, per abuso di um ana ragione, pernicio sissim i errori. Sono pur frutti di una scienza m anchevole ed orgo gliosa i fallaci sistem i, le assurde teoriche, che or ti fan ridere , ora t’ inorridiscono, e d’ onde pullularono come da pu trida fungaja i m a terialisti, gli ateisti, i sognatori circa l’ origine delle specie, e via via tanti e tanti altri, che disconoscono i limiti, entro a ’ quali è contenuta la scienza. E le lettere ? questo soave co n fo rto , questo dolce e nobil sollievo da tante m iserie, da tan te b ru ttu re, da tan te um ane nefandità, non hanno esse pur da lag narsi di molti nè lievi guai? A ncor esse h an pur troppo le loro p iag h e: e fin d’ ora vo’ dir cosa, che mi scon forta a pensarvi. Ma è pur necessario che io m anifesti l’ animo m io, e confessi non senza dolore, che tali piaghe son divenute quasi incu rabili non che di difficile m edicatura. A si dolorosa confessione mi inducono 1’ esperienza propria, quella che si tra e d alla storia, le cure spese vanam ente da medici e s p e r ti, e le inutili operazioni di valenti chirurgi. A chi conosce la storia delle nostre le tte r e , dal loro riso r gimento fino a ’ giorni nostri, non p a rrà esagerato il nostro lam ento.
M a perchè ( vi s a rà di certo chi mi dom anda ) ti poni dunque a spender parole, d’ onde non isperi tu stesso alcun benefico effetto? — P e r isfogare ( io rispondo ) qualche poco la m ia a m a re z z a , p e r p ro curarm i quella soddisfazione, che si sente nell’ adem piere il dovere di riprovare il m ale e di opporvisi alla meglio che si può ; ed a n c h e , voglio esser sin cero , p er una tal quale lontana s p e ra n z a , s e la non sia forse lu sin g a , che una almeno di quelle piaghe ( dacché di m iti g arle tutte non che di ris a n a rle , si deve orm ai disperare ) non inci prignisca e non divenga cancherosa.
Quando noi dicemmo piaghe letterarie, non intendem m o g ià di si gnificare che le lettere abbiano in se stesse delle m aligne affezioni : m a siccome esse sarebbero, diciam così, un’ astrazione ove non vi fosse chi le coltiva e le adopra, così gli s c o n c i, a cui porgono o c c a sio n e , non altro si deve intender che siano se non difetti, intem peranze, di sordini, m alignità e passioni degli uomini, che troppo spesso abusano
di un dono tanto caro e prezioso. Convien perciò volger 1’ occhio an ziché alle lettere a coloro che le professano. Ma qui vogliam dichia rare che nelle brevi considerazioni che noi faremo, abbiamo in animo
di p arlare più genericam ente che sia p o ssib ile, senza perciò prender di m ira fatti particolari e molto meno persone. Se poi a qualcuno ve nisse fatto di riferire le nostre parole a qualche caso speciale, prote stiamo con tu tta la sincerità dell’animo nostro che nessun poco benevolo intendimento ci siamo proposti: m a tu ttav ia nel p arlar di abusi e di difetti av verrà facilmente che dobbiam ripeter cosi: noi facciam gli abiti alla meglio che possiam o; che se vi ha chi confessa che tornan bene al suo dosso, tal sia di lui.
Opera non che troppo lunga m a quasi sto per dire infinita im pren derebbe chi tutte volesse indagare le piaghe e piaguzze, di cui hanno a dolersi le lettere : e non di rado avverrebbe eh’ ei ripetesse ciò che da altri è stato già scritto ; im perocché qualche medico pietoso si è pur dato pensiero di scoprirne qualcuna e di prenderne cura. Noi per tanto sarem o per ora contenti di accennarne una soltanto, di cui con intendimenti troppo particolari e spesso faziosi si è pur molto scritto e parlato, anziché col fine di m ostrare quanto sia generalm ente dan nosa alla n ostra letteratura. Nè si creda che noi vogliamo allarg ar molto i confini delle nostre considerazioni. Diremo poche cose, le quali tuttavia anziché accennare a m eschine gare provinciali, si riferiranno o almeno si studieranno di riferirsi al generale avanzam ento delle lettere.
L a piaga, intorno alla quale intendiamo di spendere poche parole, è quella delle fazio n i, piaga pestifera che fino ab antico travagliò e tenne divise non che le province d’ Italia, m a anche ogni città e ogni borgata. A’ giorni nostri può quasi dirsi eh’ esse siano politicam ente cessate, o che almeno abbian cangiato n atu ra: ma tuttavia non hanno punto rim esso della malefica loro influenza nelle lettere. Da ciò h a o- rigine anche letterariam ente quello sconcio detto oggidì reg io n a lism o con vocabolo pullulato testé dal fermento del putridum e politico e am m inistrativo, come appunto da putrido terreno pullula quel fungaccio, che i nostri cam pagnuoli con adiettivo sostantivato e pronunziando stretta la e chiam ano m alèfico.
Come non ogni terreno è naturalm ente disposto a ricevere e ali m entare qualunque m aniera di sem enta, cosi non in ogni regione allignan del pari, barbicano, germinano e fruttificano tutte le delicate e schiz- zignose pianticelle, ond’ è sì bello e vario il giardin delle lettere. Non accade che ne indaghiam qui la cagione, sia eh’ esso derivi da qualche varietà anche lieve del clima, o da antiche tradizioni, o da inveterati costum i, o da condizioni politiche. Agli statisti e ai filosofi noi lasciam 1’ ufficio di sì fatte indagini. Che che sia di ciò, è un fatto orm ai con
ferm ato dall’ esperienza che vi è sta ta in Italia qualche re g io n e , ove le lettere potean chiam arsi indigene, e dov’ esse crescevano e prospe ravano, quasi di per sè, più rigogliosam ente che in a ltra parte. È vero nondimeno che da qualche tempo questa d isparità è an d ata avventu rosam ente diminuendo m ercè del progresso fatto dalla civiltà, m ercè delle m utate condizioni politiche, e sop ra tutto m ediante le cure inde fesse e il lungo studio che le genti meno da n a tu ra privilegiate hanno adoprato e adoprano tuttavia per giungere a quella m e ta , cui i più fortunati toccaron già molto prim a e con tanto m inor fatica.
Le cause nondimeno di questa disparità non sono anco ra tu tte sparite, ed operan tuttavia queste a favore degli uni, quelle a pregiu dizio degli altri. Ma i primi esagerano e talo ra abusano i propri van taggi ; i secondi si ostinano a disconoscere la loro m en fortu nata co n dizione. Quelli confidano soverchiam ente nei doni della n a tu ra , e p re tendono che sia incontrastata la loro suprem azia le tte ra ria : q u e s ti, fidati nelle teoriche soltanto e negli studii p e rs e v e ra n ti, si danno a credere non solo di raggiungere i primi, m a pur di av an zarli, riform ando ciò che di poco regolato e di licenzioso si è fra essi introdotto per abuso e per soverchia confidenza.
( Continua) A. Ba r t o l i n i.
GLI STUDI CLASSICI E I FILOLOGI MODERNI.
Il C arm en didaetiou m del prof. Millunzi testé pubblicato dal N u ovo Istitu to re mi fe’ venire a m ente un articoletto che di questi giorni lessi nel D ir itto circa all’ insegnam ento delle lingue classiche. Come prim a presi a leggere quell’ articolo, confesso che provai un sentim ento non so s’ io debba dire di rabbia o di dispetto, non m ica per lo scrittore, che alla perfine avea ragione da vendere, m a sì per il fatto che dopo la bellezza di venti anni e più che la cosa s ’ è per ogni verso ventilata e d is c u s s a , siamo ancora ad alm anaccar di program m i e di metodo. Non è già che a me non piaccia la discussione, ch è, viva Dio, non sono della scuola delPipse d ix it, e desidero quanto ogni altro, che non abbia affatto il cervello di b o r r a , che le quistioni si discutano con am piezza, con g rav ità e, sto per dire, con iscrupolo; m a m’ è pena di coltello il dover leggere sem pre le stesse cose, senza che alcuno buon frutto se ne vedesse. E di fatto, io non ho gli occhi foderati di prosciutto che non vegga com e, non ostante quelle discussioni, lo stato delle scuole classiche non sia punto m igliorato, in guisa che spesso e vo lentieri non ne escano dei giovani, che non sanno fare un 0 con un
Cui di bicchiere; e i quali quando pur si provino a colorire un’ id ea, non dico già nel latino o nel greco, m a nella m aterna lor lingua, non riescono a cucire un periodo, che non che nei costrutti, m a nelle parole conservi form a e fisonomia italiana. Nè per avventura il m ale è p a r ticolare di questa o quella Provincia, chè gli sperim enti testé fatti in Italia negli esam i m ostrano che esso è generale e si estende dal Cenisio al Capo P assero. Del quale fatto però non è a dire che siasi m o strata indifferenza o n oncuranza; perocché gli è un bel pezzo che solenni m a e s tri, accorgendosi che gli studi andavan giù per la c h in a , non rifinivano di grid are a chi reggeva la Pubblica Istruzione: M a la via tien i; m a fu come dire al muro. P e r la qual cosa, oggi com’ oggi che il m ale è entrato, come si dice, nel periodo acuto, al grido di quei valentuomini s’ è aggiunto anche il vociare del volgo dei letterati, i quali, sfoggiando tutto il lusso delle loro dottrine didattiche e pedagogiche, tirano b ra vam ente a prescrivere il metodo curativo, dispensando ancora con una disinvoltura, che è un p iace re, patenti di asinità a chi m ostra di non credere all’ efficacia della loro terapia. Nondimeno gli studi classici vanno peggio che peggio ; nè alcuno, eh’ io sappia, è riuscito come che sia a raddrizzare le gam be ai cani. Vero è che a volte s ’ è tentato d’ introdurre nell’ insegnam ento classico delle riforme che parevano voler dare agli studi un ordinam ento più razionale, m a non ne fu n u lla; perocché la furia d’ innovar sem pre senza la prudente cautela di con servare quel v’ h a di buono nel v ec ch io , h a m esso tutto sossopra e scombuiate in siffatta guisa le menti, che pur beato chi sappia tenersi ritto in piedi o non incespichi negli errori più badiali. Che giova dunque lo scalm anarsi a proporre questa o quella riform a, se gli studi vanno sem pre giù a ro tta di collo? Qui verrebbe bene in taglio di dire: D u m R o m a e con su litu r, S a g u n tu m ex p u g n a tu r. Ma quello che fa assai più dispetto che m araviglia si è che i satrapi dell’ istruzione, m entre hanno fatto buon viso alle riform e c h e , scam bio di riordinare gli studii, ne hanno peggio che peggio ag g rav ato le condizioni, non vollero poi m ai accogliere quelle, che eran richieste dalla necessità e dal giudizio di persone autorevoli e competenti. Così non è alcuno che non sappia come da venti anni in qua fu ripetuto a sazietà che 1’ am piezza dei program mi si oppone al gradevole avanzare dell’ ingegno, e che meglio tornerebbe se quelli si contenessero in più brevi e m odesti confini ; m a fu voce nel deserto ; chè a marcio dispetto della n atu ra che suole procedere per gradi, si volle che i giovani corressero il palio dell’ en ciclopedia, bevendo come se fosse un uovo il vasto program m a delle letterature classiche, e sforzando le m enti'non ancora provette a darsi ragione dei problemi più ardui di filosofia, di fisica e delle scienze esatte. L a speciosa e , lasciatem i dir così, stolta pretensione di voler che i giovani, m ediante il talism ano dei program m i, uscissero dalle
scuole, come M inerva dal capo di Giove, arm ati di una sapienza pari a quella dei sette savi della G recia, non dovea produrre altro che il tristissim o effetto di scrittori sciatti e senza gusto in le tte r a tu r a , e sognatori di teoriche stram palate in filosofia. N è poteva essere a ltri m enti , essendo che i giovani in sul primo en trare che fanno nella p alestra degli studi, m isurando il vasto campo da p ercorrere, rim angono come sgom enti, e sospinti dalla via lunga, passano, p er tace r d’ altro, in furia dinanzi ai m onum enti dell’ a rte , senza ferm arsi più che tanto a g u stare la peregrina bellezza che da quelli traluce e sfavilla. E dire che quel birichino di Orazio sogghignando con un cotale am m iccare malizioso non rifina di ca n ta re la zolfa : Vos e x e m p la r ia G ra eea n octu rn a ve rsa te m a n u , versate d iu rn a . S ì, s ì, è proprio il tempo di stillarsi il cervello dietro autori che sanno di ranci do e di muffa le mille miglia! V orrebbero essere stren n e, A lb u m , giornali di m ode! E d anche questi è g ra n m ercè se non si sfoglino tra lo spum ar dei bicchieri e in mezzo al fumo dei c r e p ita n ti p a stic c in i. Che Orazio per voglia di sm altire il buon um ore m essogli in corpo dal generoso F alern o g rid i: N u n c ped e libero p u ls a n d a te llu s , è cosa che può p a s s a re ; anzi noi gli battiam o le m ani, chè alla fine è dei nostri. Ma che poi s ’ affibbii la giornea e venga a cantarci all’ orecchio la tiritèra di studio notturno e diurno , questo è un po’ troppo, e si vede che an ch ’ egli h a d’ an d a r tra i fer ravecchi. E qui a lc u n o , che si sentirà forse una pulce nell’ orecch io , o sserv erà che non c’ è m estieri l’ ironia, che io sono un g ran bel m atto se le sballo di così m a rc h ia n e , o che per lo meno sogno ad occhi aperti. E sai com’ è, ei dirà, tu m ’hai fradicio con le tue n en ie; io non so di program m i e non program m i. C erta cosa è che oggi il fervore degli studi, se altro fu mai, è alla più alta tem p eratu ra, e tu, dato che non sii un m atto o un so g n ato re , devi almeno non e sse re uscito mai della cesta del topo. Quando m ai infatti il precetto del tuo p oeta ve- nosino fu adem piuto con m aggiore esattezza e scrupolosità di quella che s’ u sa oggidì dai nostri filologi ? Chi è che non veg ga come ora i classici sono vagliati e rifru sta ti che quasi non c’ è sillaba che non cad a sotto il coltello anatom ico della filologia m oderna? G ià , lo so , tu vorresti che la faccenda degli studii an dasse come ai tem pi dei tempi. Oibò, oggi va spacciato il vecchium e; le cicale d’ oro ateniesi, che uscivano dalla crisalide delie vecchie scuole non debbono più aleggiare nei campi dell’ arte. — Bene sta: m a , pur di dare a divedere che non ho m esso, grazie a Dio, 1’ appiggionasi all’ ultimo piano, e che non m ’ accad e di sognare se non quando dormo, dirò che è vero ve rissim o che la filologia m oderna non v’ h a codice d’ auto re antico che non prenda a spigolare e studiare a fo n d o , vagliandone i p e rio d i, i costru tti, le parole e , ca sp ite rin a, anche le sillabe, così come si usa jin G erm ania. Anzi, perchè non sem bri eh’ io viva in tutto nel mondo
della lu n a , vo’ aggiungere che uno di questi filologi, in cerettati alla tedesca, vid’ io p u re , anni sono, nella Biblioteca N azionale a Napoli. Egli era li come im pietrito dinanzi ad uno scartafaccio senza m uover palpebra; 1’ avresti detto Archim ede o Galileo inteso alla scoperta d’un qualche g ran vero. A quella v ista confesso che sentii una specie di stizza contro di me m edesim o, che non sapevo fare altrettanto. Ma quando la stizza fu vinta dalla curiosità di sap ere che e di chi fosse quello scartafaccio, m ’ accorsi ch’ era un codice m anoscritto di non so quale antico a u to re , ai m argini del quale eran certi s e g n i, che io lì per lì battezzai p er quei g h irig o ri, onde i fanciulli sogliono im b rattare il frontespizio dei loro quaderni. Eppure su questi ghirigori appunto o sigle che fossero erano inchiodati gli occhi di quel valentuomo, il quale parea risoluto di non lasciare quel codice se prim a non gli venisse fatto di decifrare quei segni. Or bene, se così va inteso lo studio dei classici, chi è che sappia dirmi il vantaggio che ritrag gan o i giovani dalle fatiche che durano quest’ instancabili cacciatori di sillabe ? Mi venne da ridere quando, giorni sono, lessi d’ un professore, che in una nostra grande U niversità tenne un’ ora e mezzo gli alunni a discutere se era da m ettere o no la particella m en in un passo dell’ autore greco che si studiava. Bellino quel professore! E non era forse meglio n o tar le bellezze del dir franco e disinvolto, e la robustezza dei pensieri e la proprietà delle voci del greco id io m a , studiandosi di trovare le corrispondenti nell’ italiano? Ma no: questo è m estiere da pedanti; ed un professore che s’ atten tasse a far ciò nella sua scuola, omettendo di citare ad ogni pie’ sospinto una dozzina di filologi tedeschi, sarebbe bello e spacciato. E s’ h a il coraggio di dire che m ai come ora furono studiati i classici? A dire la v e rità , la squisita coltura classica onde risplendono le scuole m oderne, p a r fatta a posta per incoraggiare a se guire le orme dei nostri filologi, e S ’ io dico ver, V effetto n o i nascon de. B asta consultare la Commissione C entrale degli esami per vedere di quanti solecismi e sgram m aticature, a dir poco, impei'lino i loro scritti gli allievi di questi sapientissim i filologi. Vorranno dopo ciò aprire gli occhi i sopraintendenti alla Pubblica Istruzione in Italia? D ii f a x in t! P u r, le scuole dei tempi che osano chiam are barbari, contro a cui si g rida oggidì a squarciagola, com echè non arch itetta te col compasso dei program m i, davan fuori tu ttav ia dei giovani che per solidità di dottrina e gusto squisitamente italiano erano sì eccellenti, che ben è da dolere che ce ne sien pochi in tem pi che dicono civili. A quei dì si tirav a giù a studiare alla buona badando a perfezionare il gusto sui capolavori dei nostri classici, e, avvezzi come s’ era al cibo casalingo, nessun intingolo fore stiere inuzzoliva il palato dei giovani. M a oggi eh’ è venuta in usanza la moda di scim iottare i Tedeschi non ci ha, quasi direi filologo, che, pur di vedere come fosse fatta un’ opera letteraria, non cerchi di m etterne
a nudo le parti, notomizzandone gl’ incisi, le parole e perfino le sillabe. Il qual modo di ridurre a sbrandelli le opere di a r te , to rn a , chi ben consideri, di danno non lieve all’ arte m edesim a; perocché la bellezza eh’ è l’ effetto della varia arm onia delle p a r ti, s ’ a p p a n n a , anzi fugge e sp arisc e, dove avvenga che quelle si presentino disgiunte e senza alcuna relazione col tutto. Così d’alcuni corpi s’ è visto che fusi son trasparenti, m entre ridotti in polvere diventano opachi. Così della Venere M edicea o dell’ Apollo di B elvedere io non sap rei concepir la bellezza, se qui mi si m o strasse un b ra ccio , là il tronco ed in altro luogo la testa. C iascuna p arte per avv en tu ra sarebbe bella in sè s te s s a , ma cercheresti indarno l’ im m agine di bellezza idoleggiata dalla fan tasia dell’ artefice. Eppnre il metodo di dare a g u stare gli autori in trito li, disposti ed acconci per bene in vassoi di eleganti antologie, condite bene spesso di spezie fo re s tie re , è siffattam ente in voga oggidì, che anco nei libri dei prim i rudim enti gram m aticali, se ne vede un buono e largo vestigio. Se entriam o infatti in una scuola dei nostri g in n asi, ed apriam o non che altro una g ram m atica d’ un a lingua classica p u r che sia, non peneremo molto a vedere un vero teatro d’ autopsia filo logica: qui parole sp arate nei loro temi e radici e che so io , là un visibilio di frasucce staccate, che pure chiam ano temi, m esse lì a ri badire le regole morfologiche e di sin tassi; da p er tutto poi la cu ra d’ im itare i tedeschi nelle m inuterie d’ ogni parola, d’ ogni sillaba. Molti, lo s o , mi grideranno la croce addosso perchè io non mi m ostro co si tenero dei metodi tedeschi, e condanno alla libera i loro im itatori; m a non c’ è che fa re, ognuno h a i suoi gusti. I m aterialisti e gli a ltri so gnatori circa alla origine delle specie, vantandosi di discendere d al cimpansó di Guinea o dal gorilla di Gabon, potranno tro v are per a v ventura naturalissim o che s’ imiti quello che si p ensa ed opera sotto le nebbie del setten trio n e; m a io che non mi credo un a scim ia e c h e fui educato ad una scuola che non è ligia agli s tra n ie r i, non posso p er nessun modo m enar buono tutto ciò che non sia conforme all’ in dole delle classiche tradizioni italiane. E però fo voti che l’ Italia r a n nodi ben presto il filo di tali tradizioni, sm ettendo un a buona volta i falsi metodi che o ra si seguono, e tornando al culto degli antichi, co sì come era professato dai grandi m aestri dell’ arte, D ive n ite an tico e s a rete g r a n d e , scriveva il P erticari al Conte Terenzio M am iani, il q u a le , com e abbia saputo tra r profitto di quel consiglio, ben lo m ostrano le sue scrittu re che sono un modello di stile e di eleganza. Così g io vasse l’ illustre esempio !
L’ INSEGNAMENTO DELL’ ITALIANO
NEI GINNASI E NEI LICEI.C ircolare m in isteria le del 12 n ovem bre 1 8 8 2 a i p r e s id i e d ire tto ri d ei licei e g in n a si.
« F ra gli uomini egregi, onde fu com posta la Giunta giudicatrice, della g a ra tra i licenziati d’ onore dai lic e i, scelsi una Commissione alla quale affidai il m andato di studiare il modo migliore di provve dere alle necessarie riforme dell’ insegnam ento dell’ italiano nei gin nasi e nei licei.
La Commissione non fu di avviso che il M inistero facesse subito nuove e sostanziali mutazioni, sia perchè 1’ ordinam ento degli studi , istituito col regio decreto 16 giugno 1881, e svolto coi successivi p ro grammi del no v em b re, è troppo recente ; sia perchè 1’ ordinam ento medesimo, anche nella p arte che concerne lo studio dell’ italiano, recò in atto m iglioram enti notevoli rispetto all’ ordinam ento anteriore.
Nondim eno, la Commissione additò alcune norm e da seguire sin da ora, e sono queste, che formano oggetto della presente nota.
P er lo studio dell’ italiano nelle classi inferiori del ginnasio si dee dar la preferenza agli scrittori m oderni, i quali per la lingua, per lo stile e le idee si conform ano meglio agli usi odierni della vita. Perciò lo studio dei trecentisti, prescritto sin dalla prim a c la sse , dovrà com inciare solo nella seconda, continuare con m aggiore estensione nella t e r z a , e non omettersi nelle due classi superiori. L a parte arcaica di quelle scrit ture è m alagevole a intendersi da giovanetti usciti appena dalle scuole elem entari, perciò sforniti dei rudim enti della coltura ginnasiale e delle cognizioni necessarie ai raffronti tra il parlare antico e il moderno.
Nelle prim e due classi inferiori, alla lettura dei novellieri moderni, che per sè sola sarebbe m onca , si dovrà aggiungere una giudiziosa scelta di n a rra z io n i, descrizioni e le tte re , la quale va poi continuata nella classe terza. In questa si principierà la lettu ra dell’ O sservatore del Gozzi, per proseguirla nella quarta c lasse , quando l’ intelligenza degli alunni s a rà meglio p re p a ra ta ad intendere i più alti componi menti di quello scrittore, relativi alla critica letteraria ed alla m orale pratica. A lla stessa q uarta classe converrà rim andare lo studio delle Lettere di A nnibai Caro.
N ella classe quinta , dei discorsi di M achiavelli sulle D e c h e , si leggono i capitoli m en difficili e che illustrino meglio i fatti della storia romana, la quale si spiega nelle due classi superiori.
Lo studio delle S to rie fio re n tin e dee cominciare soltanto nella prima classe liceale; s ia perchè allora ne è più facile l’ intelligenza , sia perchè quella lettu ra si collega con la storia del Medio-Evo.
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Si vuole che gli alunni intraprendano sin dalle classi inferiori del ginnasio lo studio della poesia sopra giudiziose scelte di brevi e fa cili componimenti e di passi tolti da gran di po eti; quello studio ben si confà ai fervidi ingegni dei giovanetti , ed è opportunissim o per esercizi di lingua, di stile e di m em oria e p er ecercizi com parativi col linguaggio in prosa.
N elle due classi superiori, agli altri libri di testo si aggiungeranno l’ Ilia d e tra d o tta da Vincenzo Monti e 1’ E n eid e trad o tta da Annibai Caro, utilissim e anche a fa r conoscere tan ta p arte dell’ antichità c la s sica: è lo studio sulla versione del C aro utile altre si pei raffronti col testo latino che si viene spiegando.
Poiché nella prim a classe liceale è scarso il tem po p er far cono scere sufficientemente 1’ O rlan do fu rio so e la G eru salem m e lib era ta ,
del primo di questi due poemi si dee com inciare la lettu ra sin d alla quinta ginnasiale, e dare ad esso m aggiore studio p er l ' incom parabile eccellenza di stile e d’ arte.
I m etodi d’ insegnam ento delle gram m atiche g r e c a , latin a e ita liana debbono essere m essi m eglio in arm onia tra loro e la nom en clatu ra re sa uniforme , p er quanto è p o ss ib ile , a fine di evitare la gran de confusione che nelle m enti dei giovanetti recano le differenze dei nomi dove le cose sono identiche. È necessario perciò che g l’ in segnanti di queste lingue negl’ istituti classici si pongano d’ accordo p er tro v are i modi più atti a rag g iungere il desiderato intento.
O ccorre che lo studio dei precetti di le tte ra tu ra sia ordinato m e glio e costituisca un’ istruzione organica con applicazioni continue agli a u to ri, dai quali i precetti stessi possono agevolm ente trarsi. N elle classi superiori del ginnasio debbono darsi am m aestram enti circa le qualità generali del discorso , il linguaggio figurato , e intorno allo stile ed alle forme del com porre. N el liceo p o i, gli am m aestram enti sui generi della p rosa e della poesia debbono form are un tutto con l’ insegnam ento della storia letteraria.
N ei precettti di g ram m atica e in quelli di retto rica si usi gran parsim onia e si adoperi som m a cura di non im pigliare e m ortificare le m enti dei giovani fra le sottigliezze della linguistica e le astru serie dell’ estetica. In questo difetto , per ciò che rig u ard a l’ insegnam ento g ra m m a tic a le , s’ incorre più specialm ente nelle scuole di greco e di latino. In molte di esse l’ insegnam ento delle regole suole occupare la m assim a p arte del tempo assegnato p er le lingue classiche, a sc a pito del commento degli a u to r i, scarso e condotto quasi sem pre con un fine troppo alieno dall’ arte. E non di rado avviene che gli e se r cizi di m em oria, utilissimi quando siano fatti sui classici, si facciano invece sulle pagine delle g ra m m a tic h e , con g rande noia e poco pro fitto degli alunni.
In fin e , all’insegnam ento linguistico e letterario italiano conferirà moltissimo lo studio dei classici greci e latini, fatto con acconcio m e todo com parativo e con esercizi di larg a letteratura.
L ’ esito della g a ra fra i licenziati col diploma d’ onore h a già pro dotto un utile effetto m orale, m assim e nei professori dei ginnasi e dei licei. Così dai program m i e dalle istruzioni del 1881, come da queste norme, gl’ insegnanti, sulla cui dottrina e solerzia fo pieno affidamento, trarran n o guida ad un migliore indirizzo degli studi classici.
Prego la S. V. di d ar com unicazione di questa nota ag l’ insegnanti delle discipline classiche in cotesto istituto, e di rad un arli per d eter m inare il modo pratico di porre efficacemente in atto le disposizioni contenute nella nota stessa.
I l M in istro — G. Ba c c e l l i. »
LA NOTA MINISTERIALE 12 NOVEMBRE 82
E L ’ INSEGNAMENTO DELL’ ITALIANO NEI GINNASI.Il Ministro d ella Pubblica Istruzione, instancabile ed ardito nova tore degli studi seco n d ari in Italia, ha, con N ota dei 12 novem bre 82, fatto alcune modificazioni ai program m i ginnasiali e lic e a li, e dice essere stato indotto a ciò d all’ aver fatto studiare alla Giunta giudica trice della g a ra fra i licenziati d’ onore dai Licei il modo migliore di provvedere alle riform e dell’ insegnam ento dell’ Italiano nei Ginnasi e nei Licei.
L asciando stare le modificazioni che riguardano i Licei, io trovo da osservare qualcosa per quelle del Ginnasio : si è badato a c u rar la superficie, non la sostanza dell’ insegnam ento dell’ Italiano. P e r la l . a ginnasiale vien prescritto dalla surriferita N ota lo studio degli sc ritto r i m o d e r n i, i q u ali p e r la lin g u a , p e r lo stile e le idee si con form an o m eglio a g li u si o d ie rn i d e lla vita.
O ra, domando io, am m esso il g ra n disparere che disgraziatam ente, in fatto di lingua, re g n a in Italia fra i professori delle diverse scuole, si potrà sp erar m ai che si faccia da tutti una buona scelta di scrittori moderni ?
Q uesta modificazione in sè stessa è lodevole p er una l . a ginnasiale. Ma si può pensare che sa rà ben a ttu a ta da tutti g l’ insegnanti ? Da alcuni sì, da tutti no, credo io. Quei tali che hanno una cieca ad o ra zione alle scritture del 300, rim piangeranno di non poter più trattenersi coi lorò alunni nella disam ina di quell’ aurea sem plicità ed eleganza delle scritture a n tic h e , e nelle scritture m oderne non troveranno di che contentarsi e di che far le loro m eraviglie ; anzi non sapranno ad
dirittura che farsi di esse, come quelle che non potranno m ai condurre i loro alunni a fraseggiare. A questi tali quindi non p a rrà m ai vero che il Ministro abbia pensato da senno nel risolversi a scacciare dalla 1.® ginnasiale gli scrittori del 300. Si acconceranno a q uesta benedetta modificazione, m a in cuor loro grideranno al vandalism o. E degli altri, che vi si acconciano di buon grado, si può asserire con certezza che sapranno tutti sceglier bene gli scrittori che vuole la N ota M inisteriale? L a risposta è tanto più in trig a ta , p er quanto è s ta ta ed ò tu ttav ia in trig ata la quistione della lingua e dello stile in Italia. B isognerebbe, prim a di tutto, accordare su tale quistione gl’ insegnanti, che debbono scegliere per le loro classi gli scrittori moderni ; il che non è molto facile, come sem bra a primo aspetto — Il miglior modo dunque, a mio credere, sarebbe stato di prescrivere lo stesso M inistro i libri moderni da sostituire a quelli del 300. In tan to , se si va a vedere in tu tte le prim e classi ginnasiali d’Italia, sa rà nato un caos: dove si s a rà scelto il M anzoni, dove il G iusti, dove il T h o u a r, dove il C arc an o , dove il De A m icis, dove l'A n to lo g ia d i p r o s e m o d e rn e del P u ccian ti, dove il D’Azeglio ecc. ecc. E fin qui meno m ale, anzi è il fior fiore delle s c rit tu re m oderne. M a temo che, in questa occasione, anche qualche libro di lettu ra per la 3.a e 4.a elem entare abbia fatto la sua en tra ta trionfale nella 1.® classe del Ginnasio. Ci si pensi dunque.
O ttim a poi parm i la modificazione a rre c a ta di far in trap rend ere sin dalle classi inferiori del Ginnasio lo studio della poesia sopra giu diziose scelte di brevi e facili componimenti e di passi tolti da gran d i poeti. Questo stu dio, dice la N o ta , ben si co n fà a i f e r v i d i in g e g n i d e i g io v in e tti ed è o p p o rtu n a p e r e s e rc izi d i lin g u a , d i stile e d i m e m o ria e p e r e s e rc izi c o m p a r a tiv i co l lin g u a g g io in p r o s a . Ottimo dunque tal provvedim ento, perchè la poesia è più acconcia ad inform are il cuore dei giovani a nobili e gentili affetti, tiene più ferm a la loro attenzione, s’ imprime meglio nella m em oria ed è a tta più che la prosa a ris v e gliare il sentim ento estetico e m orale ad un tempo. Ma ciò pure non basta, se l’ insegnante non sappia m ettere in chiaro le recondite bel lezze e le intime attinenze della form a col pensiero, e se non si badi sin da principio ad abituare i discenti a distinguere i pregi dai difetti, il natu rale dal volgare, l’ elegante dal m anierato; non già che si debba m ettere nelle m ani dei giovani alunni di 1.® e 2 .a ginnasiale un tra tta to di arte poetica, m a i professori dovranno essi stessi fa r rilevare ai loro alunni tutte queste cose. E invece io son sicuro che molti, i più restii a sm ettere il fardello della reto rica antica, si saranno g ittati a d epre dare le favole del Pignotti e simili. È quistione di g u sto , e de g u stibu s questa volta era il caso di doversi prim a disputare. E intanto il rim e dio qual sarebbe ora? U n’ ottim a scelta di p o esie, per le due prime classi ginn asiali, fa tta e com m entata proprio per queste classi dai mi
gliori intendenti. P el resto delle classi può servire benissimo la
Cre
stom azia p o etica di Leopardi.M a , m esso pure che v ada bene tutto questo, non si o tte rrà mai nulla di buono, se non si badi seriam ente ad un’ a ltra cosa im portante. Si lam enta da tutti che i gio v an i, non ostante lo studio dei c la s sic i, non riescano a scriver bene. E la colpa si dà sem pre ai giovani che non vogliono studiare come si co n v ien e, che non riflettono , che non sanno d ar nè o rd in e, nè colorito ai loro scritti. Ma quale indirizzo , quale aiuto hanno avuto essi p er tutte queste operazioni della m ente ? Nessuno. Il principio del Manzoni, p e n sa rv i su , che dovrebb’ essere il motto d’ ordine di tutte le scuole, è interam ente trascu rato nelle classi ginnasiali, salvo qualche ra ra eccezione. Nei lavori che si assegnano, si bada soltanto all’ uso delle parole e dei costrutti e non all’ arte del pensare e del riflettere, arte che non deve in queste classi essere r i vestita di tutto il suo apparato scientifico, m a dev’ essere invece un lavoro latente degl’ insegnanti, i quali hanno l’ obbligo di vigilare sul processo delle facoltà m entali dei loro alunni, saperne rilevare a tem po i difetti e correggerli col richiam arli all’ uso costante della rifles sione. Si fa tutto questo? Niente affatto. E con tutte le leg g i, i pro gram m i e le modificazioni non si o tterrà mai nulla di b u o n o , se non si educa nei g io v an i, sin dalle prim e classi del G inn asio , la vita dei pensiero e del sentim ento nella forza contem perata della ragione, della fantasia e dell’ affetto.
Un altro difetto gravissim o è nelle nostre scuole secondarie, la indifferenza con cui certi professori trattano i loro alunni — Tutto il compito educativo di cert’ insegnanti si racchiude nel seg nare i punti di merito o demerito ne’ registri di scuola — Non un pensiero m ai di creare nei giovani ottime abitudini agli studi; quasi nessuno ricorda a sè stesso l’ opera efficacissima di A ndrea Francioni sul G iusti; quasi nessuno si fa una guida costante delle parole che lo stesso Giusti lasciò scritte del suo F rancioni:
A n d r e a F ra n c io n i f u il p r im o e d è stato V unico che m i abbia messo nel cuore il bisogno e l’ am ore a g li stu d i. O h ! m eglio a ssa i che im bottire la testa d i latin i, d i storiucce e d i f a v o le ! F ate am are lo stu d io , anche sen za in seg n a r n u lla, questo è il bu silli. E finché non si baderà a questo, la scuola sa rà sem pre un gravissim o tedio per insegnanti ed alunni. B isogna che certi professori, che an co ra si cullano nei beati riposi del De Colonia, si m ettano al corrente delle m oderne teorie sull’ arte per poter guidare i loro alunni ad un rigoroso ed efficace metodo di o s servazione sulla re a ltà esterna e sull’ attività dello spirito. Il resto v errà dopo senza dubbio.
N ocera Inferiore — Gennaio 1883,
uh
imu*iò
Con questo titolo il
F anfulla
riferisce il seguente fatto,
che non ha bisogno di commenti e di lodi.
A B urolo, paesello vicino a Iv re a , vive un vecchio di 85 anni per nome Giacomo Bertoldo.
Cominciò la vita tra le angustie della povertà, m angiando il duro pane del servitorello di cam pagna in un paese vicino. Si procacciò poi col lavoro coscienzioso ed assiduo, con una frugalità p atriarcale, col rigido risparm io una m odesta fortuna e la volle con secrata a totale beneficio dei Burolesi.
Egli intendeva dapprim a fossero eredi suoi i giovani coscritti di ogni anno che giungono ai reggim enti senza sussidio della loro famiglia.
Poi riflettendo come giovasse meglio a tutto il paese la buona educazione di quei bambini, offerse all’Asilo infantile buona p arte dei suoi ris p a rm i, non riservandosene che il frutto necessario al sosten tam ento della sua vita, e dispose che il resto venga di poi dato alla istituzione.
Sua M aestà il R e , informato recentem ente dal suo primo se g re tario p er 1’ Ordine M auriziano della benem erenza dell’ onesto operaio, volle di m otu p r o p r io decorarlo delle insegne di cavaliere della Corona
d’ Italia.
Il decreto del Re fu firmato il 4 corrente, giunse il 6 a Burolo, e la croce, fresca fresca, fu consegnata il dì appresso al B ertoldo colla m aggiore solennità che fosse possibile in un paesello.
L a festicciuola è ra cco n tata con molto garbo in una lettera del cavaliere F elice B oratti, benem erito parroco di B urolo, a uno dei de putati del Collegio che ce la comunica. E ccola:
B u ro lo , 7 d el 1 8 8 3, (sera). « Carissim o nostro B enefattore,
« L e g r a n d évén em en t de B u ro lo s ’ è compiuto colla m assim a so lennità, con tu tta l’ espansione della gioia, dell’ affetto d’ una popola zione. Un po’ di cronaca in fretta in fretta perchè non ti giunga in ritardo.
« Diploma e croce doveano esser offerti dai bam bini dell’ asilo beneficato. N ’ è vero ? Perciò all’ asilo fu disposto sotto un bel padi glione im provvisato il seggiolone per il nostro vecchio. F u m andato a prendere in vettura, e coperto, im bacuccato con ogni riguardo portato sul suo trono m entre la gente era ancora ai Vespri.
« U sciti: Il comune colla sua bandiera, il consiglio am m inistrativo della Congregazione di carità e dell’ asilo con a capo I’ umile scrivente,
poi tu tta la Società operaia colla sua bandiera e una vera onda di popolo chiam ata dallo sparo di m o rta re tti, dal suono a festa delle campane, da un po’ di musica irnprovvisata del paese, si m osse all’asilo.
« Vi fu aperto il p lic o col D ip lo m a , e letto ad alta voce. I bambini dissero al neo-cavaliere un complimento fatto im parare sul tam buro tra ieri sera e stam an i, poi, fatta una c a n ta ta , gli sfilarono innanzi toccandogli la mano e dicendogli: E vviva.... Poi la Società operaia lesse il suo com p lim en t e sfilò anch’ essa innanzi al povero vecchio, che era là trem ante , cogli occhi umidi di pianto e colla parola im pacciata. Disse un grazie di cuore — nulla di più.
« Io affrettai per tem a che la troppa commozione (la notizia stessa della croce gliel’ avevo d ata in due tempi) gli nuocesse. Lo accom pa gnammo alla vettura, e seguito dal Comune, dalla Società, ecc., ecc... lo portammo a casa. Donde lo m ostrai ancora una volta colla splen dida cro ce, appuntata al vei vestì che porta nella sua fotografia. F u un evviva solo di tutti. Poi m usici, e soci e consiglieri vennero in parrocchia e bevvero tutti alla salute del neo-cavaliere. »
L a D o r a B a lte a d’ Ivrea, nel dare un cenno della festa, aggiunge: « Niuno ebbe dal Bertoldo nè i rinfreschi, nè i regali d’ uso. »
È proprio il caso di dire che, in questa occasione, tutto è stra o r dinario.
E o ra , per com pletare il racconto, m ettiam o qui le belle parole lette a nome della Società operaia:
« Caro nostro C avaliere,
« È la prim a volta che un Burolese viene decorato delle insegne cavalleresche. — E noi facciam festa perchè questo onore ambito tocca ad un nostro popolano, ad un figlio del lavoro, ad un operaio che volle consecrati alla buona educazione dei nostri figli tutti i sudori della sua lunga vita.
« Unanimi diciamo grazie alla bontà del nostro Re che di p r o p r io moto onorando Voi onorò Burolo, onorò il lavoro, il risparm io, la virtù. Grazie a quello tra i nostri D eputati che segnalò alla M aestà del Re la vostra benem erenza. — Grazie alla autorità am m inistrativa che ve ne rese testim onianza bella e cara. — Voi, o Cavaliere Giacomo B er toldo, vivete lunghi anni ancora tra noi, am ato, riverito, benedetto.— Poi resti sem pre nei nostri cuori il vostro n o m e , stimolo a virtù p a ziente e severa, incitam ento ad opere sante di carità.
« Di nuovo un Evviva al primo C avaliere di B u ro lo , un Evviva al Re.
( Voci d e i bam bin i: )
« Pensasti a noi Figlioli tuoi: Pensò a Te Il nostro Re. »
Non fa venire i luccioloni un fatto così bello, così ge
neroso, così patriarcale? Oh! anime nobili ce ne sono an
cora e cuori generosi ne battono ancora sotto le umili vesti
dell’ operaio ! Viva il primo cavaliere di Burolo ! Queste sono
davvero azioni e ro ic h e , e non sono certam ente frutto nè
della
morale in dipen den te
, nè del moderno positivismo!
Cronaca
istruzione,
Scuola d’ a r t i e m e s tie ri — Il T del corrente m ese fu aperta, e con buoni auspicii, questa scuola, sì lungam ente attesa. È frequentata da molti giovani o p e ra i, e la valentìa delle persone a cui è affidata la direzione e l’ insegnam ento, e lo zelo del Consiglio direttivo, ci affi dano che sa rà per dare buoni ed utili risultam enti.
F e sta scolastica — Sulla B adia di C ava il giorno 11 di questo m ese fu fa tta solennem ente la premiazione scolastica a’ giovani di quel Liceo-ginnasiale. E rano p resenti mons. Sanfelice, Arcivescovo di N a poli, il Prefetto e il R. P rovveditore agli stu d ii, l’Ab. Ordinario M or- caldi, il P reside del Liceo T asso con alcuni professori, il Sindaco di Cava, cav. T rara-G enoino, i professori tutti della B ad ia, ed alquante signore e padri di famiglia. Il prof. D. B enedetto Bonazzi riferì dello andam ento degli studi e del profitto ricavato dai giovani durante l’ anno p. p. E spose le condizioni delle scuole, toccò de’ m etodi d’ insegnam ento, dello zelo de’ professori, delle cure sollecite e am orose dell’Ab. M or- caldi, dell’ impegno de’ giovani, e lodandosi in generale dei buoni frutti ottenuti accennò alle spese dovute sostenere, perchè l’ istituto rispo n desse alla cresciuta fiducia dei p adri di fa m ig lia , alla num erosa fre quenza dei giovani e ad una soda e verace educazione. Le parole del Bonazzi, cosi sobrie e giudiziose, furono vivam ente applaudite. Anche il p. D. M auro Schiani rivolse nobili e generose parole a ’ giovani, r i cordando loro antiche e illustri glorie e confortandoli ad ornarsi l’animo di gentili virtù e di verace sapere. Aggiunse che 1’ opera della buona e civile educazione dev’ essere l’ am oroso e incessante studio della vita e conchiuse che l’uomo qu anto p iù sa e f a , tan to m eno stim a d i sa p ere e d i o p era re, e che quindi bisognava non a rre sta rsi giam m ai nella via del progresso. Il discorso fece bella im pressione, e l’ orato re se n ’ ebbe plauso e lode — Furono suonati m aestrevolm ente scelti pezzi di m usica col pianoforte e con V H arm on iu m , cantato un inno dai giovani, e così ebbe fine la ce rim o n ia, che fu assa i b e ll a , o rdinata e commovente.
U na sch ietta paro la di lode a quegli egregi p. B enedettini, che si consacrano con tanto zelo all’ educazione dei giovani ed hanno si bello e fiorente istituto.
11 M inistro in g le se G ladstone e il prof. G iu lia n i — Ci piace di riportare una bella letterina, che il Gladstone, Presidente del Consiglio dei M inistri della R egina V itto ria, scrisse di suo pugno al benem erito prof. G. B. Giuliani, per ringraziarlo di un lavoro dantesco, cioè D a n te spiegato con D a n te. Ecco la lettera :
« Illustre signore,
« Contuttoché io abbia perduto la p ra tic a della lingua ita lia n a , nondimeno bisogna che io le re n d a grazie tan te e tan te della bontà
colla q uale e lla mi h a m andato il su o b el lavoro D a n te spiegato con
D ante.
« Ella si è degnata chiam are quel sommo P oeta un solenne m ae stro per me. Non sono vote queste parole. La lettura di Dante non è soltanto un piacere, uno sforzo, una lezione; è una disciplina fortissim a del cuore, dell’ intelletto, dell’uomo. N ella scuola di Dante ho im parato una grandissim a parte di quella provvisione mentale , sia pure molto m eschina, colla quale ho fatto il viaggio della vita um ana fino al ter mine di quasi settan tatrè anni.
« E vorrei anche stendere la sua bella parola; dicendo che chi serve a D a n te serve a ll’Ita lia , al cristianesim o, al mondo.
Suo se rvito re m olto rispettoso
G u g l . E. G l a d s t o n e . »
10; Downing Street, Whitehall, dio. 26-82.
La voce del T r i b u n a l i — N ell’ inaugurazione dell’ anno giuri dico , il comm. Oliva disse fra l’ altro che è doloroso vedere che il delitto reclutò i suoi proseliti principalm ente fra i minori di età. R am mentò il suicidio di un giovanetto di 14 anni che recidivo in reato di furto per la quarta volta si strangolò in carcere. « Educazione ci vuole, disse, più che istruzione! È stato un danno non rafforzare il sentim ento religioso. I libelli e i giornali che predicano ogni dì l’ ateism o, oscenità e ribellione, sono la peste m orale d’ Italia. » P arole santissim e!
Più innanzi ricordò la gu erra da lui fa tta alla stam pa ponografica, dicendosi lieto dei risultati. Lode a lui!
(D all’E du catore I ta lia n o ) G i orn al e degli E r u d it i e Curiosi —Abbiamo ricevuto il 12.° numero del G io rn a le d e g li E r u d iti e C u riosi che si pubblica a Padova. F ra i nomi che figurano a piedi delle risposte sonvi quelli di C esare Cantù, Giacomo Zanella, M axime Du C am p , Giosuè Carducci ecc. In altri num eri vedemmo risposte firm ate dal D’A n c o n a, dal B e lg ra n o , dal Renier, dal Prom is, dal Manno, senza parlare di certe iniziali 0 . G. che provenendo da Bologna, m andano un forte profumo steechettian o. Il giornale, come si sa , è fatto a domande e risposte ed a tutti è lecito il dom andare. Se in Italia 1’ am ore agli studi non è spento , le casse del giornale devono essere riboccanti di oro e d’ a rg e n to , perocché non sappiam o chi sia quell’uomo, anco m ezzanam ente colto, che avendo venti lire da spendere voglia far a meno di un giornale dove potrebbe proporre domande sopra ogni m ateria di erudizione colla speranza che alle domande sue risponda un C a n tù , un Z a n e lla , o qualcuno degli altri illustri succitati.
Annunzi bibliog-rafici.
T h om ae V a lla u rii de scrip to rib u s L a tin is sedulo p erleg e n d is atqu e im i- ta n d is, a cro a sis 1 ec.
R iporto l’ in trodu zione d el d isco r so Con una n ota, p erc h è a p p arisca chiaro il p en siero d e ll’ illu stre scrittore e si v e g g a c h e 1* em in en te l a
-t a-t/poocffu vox graeoa, quae audi-tionem significa-t, e-t a La-tinis usurpa-tur prò
erudito sermone, seu disputatione, quae a magiatro alioujus artis coram multis au* dientibus habetur, et ( ut vim vocis exprimamus ) audiendo percipitur. V. Lexicon