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Sacro Cuore di Gesù

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Academic year: 2021

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RETORIO Rione Castro Pretorio

La costruzione della chiesa parrocchiale del Sacro Cuore di Gesù in via Marsala nel fu promossa da Pio IX che, all’indomani della breccia di Porta Pia, acquistò un terreno presso la nuova stazione ferroviaria, con l’intenzione di innalzarvi un tempio dedicato a s. Giuseppe, eletto l’8 dicembre del 1870 patrono della Chiesa universale. La titolazione originale fu ben presto abbandonata per la rilevanza politica, in chiave antiliberale e filopontificia, che andava acquisendo a livello internazionale la devozione del Sacro Cuore. I lavori e la cura del nuova edificio, consacrato il 14 maggio del 1887, furono affidati a don Giovanni Bosco e alla Società di San Francesco di Sales da lui fondata. L'11 febbraio 1921 Benedetto XV elevò la chiesa al grado di basilica minore e il 5 febbraio 1965 Paolo VI al grado di diaconia. Alla festa principale del 4 giugno, giorno consacrato al Sacro Cuore, si aggiunsero la festa di s. Francesco di Sales, patrono dei salesiani, e la festa di s. Maria Ausiliatrice il 24 maggio.

Con l’erezione della basilica del Sacro Cuore a Castro Pretorio si inaugura a Roma quella precipua categoria di chiese denominate “tempi votivi internazionali”, una inedita forma santuariale volta a celebrare devozioni che avevano ricoperto a partire dalla seconda metà del XIX secolo un importante ruolo nella rivendicazione e nell’affermazione delle prerogative pontificie. Il modello era l’erigenda basilica del Sacré-Cœur de Jésus a Montmartre concepita come vœu nationale per riparare i peccati della Francia, dopo la guerra franco-prussiana e il conseguente abbandono di Roma nelle mani dell’esercito italiano, e ottenere la liberazione del pontefice “prigioniero in Vaticano”. In quegli anni nuovo impulso era stato dato alla devozione del Sacro Cuore grazie alla beatificazione nel 1867 di Margherita Maria Alacoque, le cui visioni diedero il via alla fortunata iconografia del cuore attorniato dalle fiamme e dai simboli della passione di Cristo, e alla propaganda del gesuita Henry Ramière che sulle pagine del «Messager du Sacré-Cœur de Jésus» impresse alla devozione una decisa connotazione politica. In Italia fu soprattutto il barnabita Antonio Maria Maresca, direttore italiano dell’Apostolato della Preghiera, a rilanciare il culto sulle pagine del «Messaggero del Sacro Cuore»: nato come traduzione dell’opuscolo francese, la rivista assunse ben presto una sua autonomia promuovendo nel 1871 la consacrazione delle diocesi italiane al Sacro Cuore, sull’esempio di quanto avevano fatto due anni prima i vescovi del Belgio, e formulando il proposito di innalzare a Roma un tempio votivo in onore del «Divin cuore». Si legge nel diario del liberale Giuseppe Manfroni, ispettore di polizia a Borgo: «Ho saputo che uno zelantissimo capo dell’Associazione Piana, il cav. M... [Mencacci], volendo emulare i clericali francesi, in un suo indirizzo propose di erigere in Roma una Chiesa dedicata al Sacro Cuore di Gesù, in riparazione delle ingiurie cche da noi si facevano alla Chiesa Cattolica, alla Religione ed al Santo Padre. Pio IX rispose esaltando la fedeltà dei suoi sudditi ed approvando l’idea della Chiesa espiatoria» (cit. in De Giorgi, p. 408). La proposta del Mencacci veniva raccolta dall’arcivescovo di Bologna Lucido Maria Perocchi che vi dedicava la lettera pastorale del 1878 vedendo nel nuovo santuario collocato in un rione «dove gran gente, lontano dalle antiche basiliche e dalle chiese, vive sitibonda della parola di vita», l’antidoto alle «conventicole de’ protestanti» e ai cenacoli dei “Novatori” (Parocchi, p. 298). Il ripensamento di Pio IX in merito alla titolazione della chiesa viene così rievocato da una lettera del salesiano don Colussi indirizzata a Leone

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XIII: «Avendo a proprie spese già fatto acquisto di un tratto di terreno sull’Esquilino per costruirvi una Chiesa da dedicare a S. Giuseppe, che egli da poco aveva dichiarato Patrono della Chiesa universale, dispose che su quell’area medesima sorgesse il tempio, lieto che da quel punto più elevato della città il Cuore di Gesù, come da un trono avesse a benedire a Roma e al mondo» (cit. in Coniglione, p. 25).

Quando il 16 agosto del 1879 il cardinale vicario Monaco La Valletta pose la prima pietra della nuova chiesa, da realizzarsi su progetto dell’architetto dei Sacri Palazzi Apostolici Francesco Vespignani, il luogo era in realtà già circondato dai palazzi della nuova Roma capitale e di lì a poco il nuovo rione sarebbe diventato uno dei più densamente abitati e più poveri di Roma, con una popolazione in continuo mutamento e con forti tensioni sociali. Motivi di carattere socio-religioso dunque, ma anche la risaputa abilità di don Bosco nel reperire i fondi sufficienti per i lavori di costruzione della fabbrica, interrotti nel 1880, indussero Leone XIII su suggerimento dell’arcivescovo di Torino Gaetano Alimonda, ad affidare ai salesiani le sorti della nuova parrocchia. Il prete torinese inviò nel marzo del 1881 una lettera circolare ai vescovi e ai giornalisti cattolici in cui si chiedevano fondi non solo per la chiesa «monumento all’immortale Pio IX», ma anche per «un giardino di ricreazione» per i fanciulli, per le scuole serali e le scuole diurne e infine per l’Ospizio «in cui siano istruiti nella scienza, nelle arti e ne’ mestieri quei fanciulli, che vagano per le vie e per le piazze» (Dalmazzo, pp. 12-14).

Nelle mani di don Bosco il progetto dunque si ampliava ulteriormente con l’acquisto dell’area limitrofa dove trovò posto l’Ospizio che nel 1896 ospitava oltre 400 giovani interni che frequentavano la scuola e apprendevano «l’arte del tipografo, del legatore di libri, del falegname, del sarto, del calzolaio» (Laureri, p. 34). Per finanziare la nuova struttura e il mantenimento degli ospiti, fu istituita la «Pia opera del Sacro Cuore di Gesù», approvata sotto il titolo provvisorio della «Divina Provvidenza» il 27 giugno del 1888, con lo scopo di radunare i benefattori, i quali in cambio di una donazione del costo di una lira potevano usufruire di sei messe di suffragio per sé o per i propri defunti. Tutto ciò allo scopo di non gravare sui finanziamenti destinati alla chiesa i cui lavori proseguivano non senza difficoltà: nel 1882 furono infatti nuovamente sospesi e solo nel 1884 poterono essere aperti al pubblico il presbiterio e il coro. Nei racconti salesiani il contributo costante e inatteso dei benefattori assume i connotati di un racconto miracoloso incentrato sulla fiducia di don Bosco nella Provvidenza, ma anche sulla forza propagandistica di un Ordine che aveva fatto della comunicazione sociale e della «buona stampa» un tratto caratterizzante del suo apostolato. Tra gli espedienti usati ci furono una lotteria con migliaia di premi in palio, tra i quali erano annoverate le donazioni di Leone XIII e di re Umberto I, e il voto nazionale al Sacro Cuore per la costruzione della facciata, il cui lancio fu affidato il 9 agosto 1885 a «L’Unità Cattolica»: il quotidiano torinese annunciava che le diocesi che avessero contribuito alla realizzazione della facciata del santuario avrebbero avuto inciso su marmo il proprio nome accanto a quello del pontefice. Un’operazione che sarà replicata pochi anni dopo nella realizzazione della chiesa di S. Gioacchino in Prati di Castello omaggio del mondo cattolico alla figura di papa Pecci in occasione del suo giubileo sacerdotale.

Il 14 maggio del 1887, festa di San Gioacchino e onomastico di papa Leone XIII, dopo l’arrivo delle reliquie della santa culla, degli apostoli Pietro, Paolo e Giacomo, di San Lorenzo e di San Francesco di Sales per l'altare maggiore, fu celebrata da Lucido Maria Parocchi, divenuto nel frattempo Vicario di Roma, la consacrazione della chiesa, annunciata,

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raccontano le biografie del santo, da alcune guarigioni miracolose attribuite a don Bosco. Le omelie dei tre fratelli Scotton di Bassano, esponenti di spicco dell’integralismo cattolico, che con don Bosco condividevano una spiccata vena antiliberale e antiprotestante, diedero certamente un timbro polemico all’intera manifestazione. Di contro il «Messaggero» di Roma

scriveva: «I preti sono in baldoria da tre giorni per l’inaugurazione

solenne di questa nuova bottega» e metteva in ridicolo il sindaco di

Roma Prospero Colonna che aveva partecipato al rito. I contrasti tra clericali e anticlericali non si esaurivano nei pulpiti o nelle pagine dei quotidiani, ma avevano una ricaduta sulla vita pastorale di una parrocchia tra le più frequentate di Roma come si evince da un rapporto del Procuratore di Roma datato 9 ottobre 1893 in cui si denunciava che «da molto tempo e specialmente nella Quaresima e nei mesi di Maggio e Giugno tutti i giorni o quasi, parecchi giovani, [...] disturbavano e offendevano gravemente la popolazione che accorreva numerosissima alla chiesa del S. Cuore al Castro Pretorio, facendo studiatamente forti e prolungati rumori coi bastoni, colle sedie e colle panche in tempo di Messa, di Predica e di Benedizione» (cit. in Coniglione, p. 19).

Nel 1887 la fabbrica poteva dirsi conclusa: Francesco Vespignani, aveva fermamente voluto per la chiesa uno stile neoclassico “bramantesco”, con pianta a croce latina a tre navate e un campanile in travertino sul quale nel 1931 sarà posta la grande statua di bronzo dorato del Sacro Cuore dono degli alunni salesiani dei collegi argentini. Sull’imponente altare maggiore era stata collocata la tela commissionata da don Bosco al pittore Franz de Rohden che rappresentava la terza apparizione del Sacro Cuore di Gesù a santa Margherita Alacoque. La composizione fu ideata dallo stesso don Bosco: il Cristo è posto al centro con il cuore fiammeggiante in mano con intorno una schiera di angeli e un cherubino regge un cartiglio con scritto “Praebe, fili mi, cor tuum mihi”. In basso vi è una predella con due tondi in cui sono raffigurati san Francesco di Sales e santa Margherita Alacoque. Anche gli affreschi della cupola affidati a Virginio Monti richiamano il culto titolare del tempio, con il Redentore contornato da santi adoranti a partire dall’Alacoque e dalla beata Caterina da Racconigi, Francesco di Sales e poi via via altri santi e beati che sfumano in una moltitudine indistinta posta sullo sfondo. La statua di Pio IX di Francesco Confalonieri e l’altare dedicato a S. Giuseppe, ritratto da Giuseppe Rollini nell’atto di benedire la Basilica Vaticana, fanno memoria della prima titolazione e del pontefice che volle avviare la fabbrica dell’Esquilino. La figura di don Bosco è ricordata sia nell’altare a lui dedicato nel 1934, anno della canonizzazione, con una tela di Giuseppe Crida che lo ritrae insieme al suo alunno santo Domenico Savio, sia dalla stanza dove dimorò nel suo ultimo soggiorno romano che conserva cimeli e reliquie del santo.

Un importante polo cultuale all’interno della basilica è rappresentato dall'altare di Maria Ausiliatrice, donato dal principe Torlonia a don Bosco che vi fece realizzare dal suo alunno Giuseppe Rollini il quadro della Vergine Auxilium Christianorum, titolo con cui la Madonna è venerata nel celebre santuario salesiano di Valdocco-Torino. L’immagine fu coronata dal Capitolo Vaticano il 31 maggio 1963 ad opera del cardinale Paolo Marella, arciprete della basilica vaticana.

Bibliografia: L.M. Parocchi, Di un tempio in Roma al Sacro Cuore di Gesù, in «La Scuola Cattolica», 12 (1878), pp. 295-300; A. Maresca, Il santuario del S. Cuore

di Gesù al Castro Pretorio in Roma. Monumento di riconoscenza, di riparazione, di speranza, Bologna 1878; Voto nazionale degli italiani al Sacratissimo Cuore di Gesù, in «L’Unità Cattolica», 185, 9 agosto 1885, p. 1; La nuova chiesa del Sacro Cuore in via S. Lorenzo, in «Il Messaggero», 15 maggio 1887, p. 3; F. Dalmazzo,

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Il santuario del S. Cuore di Gesù al Castro Pretorio in Roma, monumento di riconoscenza all’immortale Pontefice Pio IX, Roma 1887; [T. Laureri], Cenni sul Santuario ed Ospizio del Sacro Cuore di Gesù al Castro pretorio in Roma, Roma

1896; O. Iozzi, La chiesa votiva internazionale del Sacro Cuore di Gesù a Castro

Pretorio in Roma, Roma 1900; Cinque lustri dell’Opera di D. Bosco al Castro Pretorio in Roma. 1880-1905, Roma 1905; L. Càstano, La Basilica del S. Cuore di Gesù al Castro Pretorio in Roma. Cenni storici nel 50° della Consacrazione,

Roma 1937; Armellini-Cecchelli 1942, pp. 1021 e 1285; L. Càstano, Nel LXX

della Basilica del S. Cuore di Gesù al Castro Pretorio. L’unica messa celebrata da S. Giovanni Bosco all’altare di Maria Ausiliatrice, Roma 1957; L. Càstano, La basilica del S. Cuore al Castro Pretorio, Roma 1961 (Le chiese di Roma illustrate,

62); Ceschi 1963, pp. 135-136; Dejonghe 1967, pp. 357-360; M. Grechi, Il tempio

internazionale del Sacro Cuore di Gesù al Castro Pretorio in Roma, Roma 1987;

C. Coniglione, Presenza salesiana nel quartiere romano di Castro Pretorio

(1880-1915), in «Ricerche Storiche Salesiane», I (1984), pp. 3-91; F. De Giorgi, Forme spirituali, forme simboliche, forme politiche. La devozione al S. Cuore, in «Rivista

di Storia della Chiesa in Italia», 48 (1994), pp. 365-459, in part. D. Harvey, La

construction de la basilique du Sacré-Cœur: le monument et le myth, in «Cahiers

du Centre de recherches et d’études sur Paris et l’Ile-de-France», 53 (1995), pp. 125-148; G. Azzolin, Gli Scotton. Prediche, battaglie, imboscate, Vicenza 1998, p. 357; D. Menozzi, Sacro Cuore. Un culto tra devozione interiore e restaurazione

cristiana della società, Roma 2001 (Sacro/Santo n.s. 5); Nuzzo 2005, pp. 498-501.

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