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Prove sperimentali della dilatazione relativistica dei tempi

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Academic year: 2021

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(1)

 

 

 

 

 

 

PROVE SPERIMENTALI DELLA  

DILATAZIONE RELATIVISTICA  

DEI TEMPI

  

Il candidato inquadri storicamente e concettualmente l'argomento all'interno della teoria   einsteniana. Concentri la propria discussione sulle prove del fenomeno derivanti da  

esperimenti con particelle cosmiche, trattando in modo particolare la legge di   decadimento e il significato di vita media di una particella. Analizzi il grafico del   decadimento utilizzando i mezzi matematici necessari. Discuta in particolare il concetto  

di integrale definito e di integrale improprio. Svolga una ricerca riguardo ai dati   riscontrati in esperimenti storicamente rilevanti. Descriva qualche applicazione concreta  

della dilatazione temporale nel funzionamento di apparati strumentali.     

 

Candidato: Marra Leonardo Victor

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(2)

INTRODUZIONE STORICA

 

 

Verso la metà del XIX secolo, J.C. Maxwell riuscì, partendo dalle sue equazioni, a       ricavare matematicamente il valore della velocità della luce, noto da tempo con una       discreta precisione. Essa dipendeva da due costanti universali,      ε 0  e μ   0 , che quindi la         rendevano a sua volta costante nel vuoto. Nei decenni successivi, quindi, numerosi         scienziati si misero alla ricerca dell’ etere , il mezzo in cui la luce si sarebbe dovuta         propagare. All’epoca infatti era più che mai accettata la visione di uno spazio assoluto :         la velocità della luce quindi era costante proprio in questo medium che doveva fungere       da riferimento “privilegiato”, mentre avrebbe potuto assumere altri valori in riferimenti       in movimento rispetto a questo. Grazie alle osservazioni di Bradley (cioè la       constatazione della presenza di un angolo di aberrazione stellare) si intuì che la Terra       era in movimento rispetto a questo etere immobile. A. A. Michelson, con l’aiuto di E.       Morley, ideò uno strumento che avrebbe dovuto dimostrare la presenza di questo etere -       quello che oggi chiamiamo interferometro .  

Esso consisteva in una fonte di luce che veniva riflessa contro vari specchi, a loro volta       posti su due bracci perpendicolari. Attraverso una serie di calcoli, si ricava che la luce       impiega tempi diversi in base all’orientamento del braccio rispetto all’etere - ruotando       l’apparato di 90 gradi, quindi, dovremmo osservare una nuova figura di interferenza. Ciò       però non successe assolutamente, e l’esperimento fu un completo fallimento.  

Molti scienziati quindi si adoperarono per tentare di preservare le leggi della meccanica       classica e della relatività galileiana tentando di modificare ad hoc le equazioni di                 Maxwell.   

Einstein, al contrario, rifiutò completamente la teoria dell’etere, ponendo due postulati       nell’introduzione al suo articolo del 1905 S ull’elettrodinamica dei corpi in movimento                 ( Zur Elektrodynamik bewegter Körper)       :  quello di relatività, che constatava la simmetria       delle leggi fisiche nei sistemi inerziali, e quello di costanza della velocità della luce .    Proprio grazie a quest’ultimo è possibile dar vita al concetto di dilatazione temporale e       calcolarne il fattore di dilatazione: esso può essere ricavato tramite le trasformazioni di       Lorentz, ma più semplicemente attraverso l’ orologio a luce .   

Poniamo   due   specchi   parallelamente   l’uno   di   fronte all’altro e, sapendo         che c      0 è costante, contiamo     un “tic” ogni volta che la luce       tocca B. Se immaginiamo         l’orologio in moto rispetto ad       un osservatore (b) e fermo       rispetto ad un osservatore         (a),   possiamo   osservare   qualcosa   di   molto   particolare:  

Applichiamo il teorema di Pitagora nel caso (b).   

L

2

= D

2

+ ( )

x2 2

 

Sostituendo:  

(

cΔt2b

)

2

= (

)

2 cΔta 2

+ (

)

2 vΔta 2

 

Quindi:   

(1

)

(Δt )

b 2

cv2 2

= (Δt )

a 2

 

(3)

↓  

t

Δt

Δ

b

= γ

a

 

L’orologio (a) quindi è più lento di quello (b)  

 

DECADIMENTO PARTICELLARE

 

 

La dilatazione temporale, predetta dalla teoria della relatività ristretta, è spesso       verificata usando come strumento la vita media delle particelle. Gli orologi di un       sistema, in movimento rispetto ad un osservatore, dovrebbero infatti misurare un tempo       dilatato rispetto ad un orologio fermo; più precisamente di un fattore pari a      

 

( −

1

cv2

)

.

2 1 2

/

  Questa dilatazione è percepibile solo per velocità impossibili da sperimentare nella vita       quotidiana - da qui la necessità di osservare particelle instabili, il cui decadimento può       essere usato come orologio, e che allo stesso tempo possono essere accelerate a velocità       altissime, rendendo più apparenti - e quindi misurabili con molta più facilità - gli effetti       previsti dalla teoria di Einstein.   

Tutto ciò è possibile anche in relazione al fatto che il decadimento particellare è un       evento stocastico: l’età della particella non altera in alcun modo la probabilità del suo       decadimento, così come non incide in alcun modo qualsiasi fattore esterno -       temperatura, pressione, velocità, o campi di vario tipo.   

Consideriamo un qualsiasi elemento instabile - il decadimento di un nucleo è totalmente       casuale nel tempo, ed è impossibile prevedere quando un singolo nucleo andrà incontro       ad esso. Tuttavia, è ugualmente probabile che questo decada in qualsiasi istante nel       tempo. Pertanto, il numero di eventi di decadimento -dN che ci si aspetta si verifichino       in un piccolo intervallo di tempo dt è proporzionale al numero di nuclei presenti N:     

dtdN

∝ N

→ R =

dtdN

= λ

N

[1]

 

 

 

dove R è la rapidità del decadimento e è la costante di decadimento ,                 λ           caratteristica di ogni elemento radioattivo.  

La [1] non è altro che un’equazione differenziale del primo tipo, ed è risolvibile       separando le due variabili.  

 

N

λdt

dtdN

= λ

N dN

= ⁻

 

dNN

=

λdt

ln(N)

= ⁻ + c

λt

 

N

(t)

= N e

0λt

[2]   Dove N 0 = e c , imponendo N(0) = N 0     

Quest’ultima descrive il numero di nuclei ancora in vita all’istante t. La rapidità del       decadimento è inoltre proporzionale a N per [1], cioè è soggetta alla stessa legge  

 

R

(t)

= R

0

e

λt 

(4)

La   curva   presenta   il   tipico   andamento   esponenziale.   Considerare t<0 è chiaramente         illogico - per t=0 invece è naturale       che N=N 0 .  

Essendo la rapidità di decadimento       R (i.e la derivata) proporzionale ad       N, inizialmente avremo un numero       molto elevato di decadimenti. Per t       che tende a valori sempre più elevati       avremo un valore della derivata che       tende a 0 (la curva si “appiattisce”),       infatti    

(R e )

lim

t→∞ 0 λt

= 0

 

La curva presenta quindi un asintoto orizzontale y = 0.    

Con l’equazione [2] possiamo calcolare il tempo di dimezzamento , una seconda                 grandezza che caratterizza ogni elemento e che indica il tempo dopo il quale il numero di       nuclei si è dimezzato. Nell’equazione [2] poniamo N= N 21 0

   

21

N

0

= N

0

e

λt

→ e

λt

=

21

→ t

1 2

/

=

ln2λ

 

 

L’ultima grandezza fondamentale è la vita media (indicata con              

τ

), cioè il tempo medio       necessario affinché un nucleo decada. Come intuibile dal nome, questa è derivabile dalla       media pesata della variabile tempo t.  

τ =

e dt

∞ 0

N

0λt

e dt

∞ 0

tN

0λt

=

λ2 N0 λ N0

=

λ

1

 

Per calcolare 𝛕 abbiamo utilizzato uno operatore matematico noto come integrale,   rappresentato dal simbolo ∫. L’integrale, nel caso di una funzione di una sola variabile a   valori reali non negativi, associa alla funzione l'area sottesa dal suo grafico entro un   dato intervallo [a,b] compreso nel dominio della funzione stessa, che chiamiamo   trapezoide.  

 

INTEGRALE DI DARBOUX

 

 

L’integrale di Darboux è una delle tante possibili definizioni di integrale, ed è tra le più       comuni insieme a quella data da Riemann e quella di Lebesgue. Dividiamo il trapezoide       in tanti poligoni, nello specifico rettangoli, le cui aree siamo in grado di calcolare.  

 

Consideriamo una funzione limitata f: [a,b] - suddividiamo l’intervallo in una partizione   P = {x 0 , x 1 , …, x n-1, x n |x 0 =a < x 1 < … < x n-1 < x n =b} in N intervalli [x i-1 , x i ] ⊂ [a,b].   

(5)

      Definiamo:     up{f(x) ∣ x x , ]} Mi = s ∈ [ i 1 xi     nf{f(x) ∣ x x , ]} mi = i ∈ [ i 1 xi          

Analogamente, definiamo la somma superiore di Darboux, di f relativa alla partizione P:    

S(f, P) =

n (x , ) i=1

Mi i 1 xi    

E la somma inferiore di Darboux, di f relativa alla partizione P:     s(f, P) =

n (x , ) i=1 mi i 1 xi     Quindi:   s(f, P )≤ S(f, P ) in quanto mi(x , )i 1 xi ≤ Mi(x , )i 1 xi    

È possibile dimostrare che s(f, P )≤ S(f, Q), dove Q è una partizione più “fine” di Q, nel   senso che tutti i punti di P sono anche contenuti in Q; in quel caso:   

 

(f, P )S ≥ S(f, Q) s(f, P )≤ s(f, Q) [3]  

 

Siano P 1 , P 2 due partizioni dell’intervallo [a,b] e sia P=P1∪P2 la loro unione. Allora:    

s(f, P )1 ≤ s(f, P )≤ S(f, P )≤ S(f, P )2 [4]    

 

Segue che ogni somma inferiore s(f, P )1 è minore o uguale di ogni somma superiore   , qualunque siano le partizioni P 1 e P 2 .

(f, P )

S 2  

Possiamo quindi aumentare il numero di intervalli N all’interno della partizione; per [3]   sappiamo che più intervalli equivalgono ad un’approssimazione migliore e per [4] che la   somma inferiore sarà sempre ≤ a quella superiore.  

(6)

 

Definiamo quindi l’integrale superiore e inferiore, rispettivamente:    

I inf (f) = sup {Tutte le somme inferiori s(f, P), P ∈ ρ  } I sup (f) = inf {Tutte le somme superiori S(f, P), P ∈ ρ  }  

dove denota l’insieme di tutte le possibili partizioni di dell’intervallo [a, b]. ρ    Per la [3] sappiamo che entrambi gli integrali si otterranno per N → ∞  .

  Quindi:  

Iinf(f)≤ Isup(f)   

Una funzione f limitata sull’intervallo [a,b] è integrabile sullo stesso se Iinf(f)= Isup(f).   In questo caso, il numero in comune è rappresentato da   

  (x)dxb a f    

Se Iinf(f)< Isup(f) la funzione non è integrabile. Un esempio è la funzione di Dirichlet:        {1 se x è razionale   f(x) ={   {0 se x è irrazionale    

Se scegliamo una qualsiasi    partizione P = [x , ... , x ]0 n :  

   

m i = 0 , perchè sicuramente almeno un numero irrazionale è compreso in [x , x ]i 1 i   M i = 1 , perchè sicuramente almeno un numero razionale è compreso in [x , x ]i 1 i     Segue che   (f, P ) x ) s =

n i=1 0 · (xi 1i = 0     (f, P ) x ) S =

n i=1 1 · (xi 1i = b − a    

In questo caso quindi non è possibile che sup{s(f, P )}= inf{S(f, P )}, cioè Iinf(f)= Isup(f).  

(7)

INTEGRALE IMPROPRIO

 

 

A questo punto possiamo chiederci se è possibile estendere la definizione di integrale a   funzioni illimitate nell’intervallo [a, b] o definite su intervalli illimitati. Si parla in   questo caso di integrali impropri. Consideriamo una funzione continua tale per cui:  

  (x) lim

x→∞f = b  

Integriamo quindi tra a e t, con lim (x)dx. Nel t→∞

t a

f  

caso del calcolo di tao abbiamo quindi abusato   della notazione dell’integrale, in quanto per   funzioni o intervalli illimitati è sempre   necessario calcolare il limite rispetto   all’intervallo stesso.         

PROBLEMA

 

 

Come illustrato all’inizio, la verifica sperimentale di questi fenomeni di dilatazione       temporale è avvenuta attraverso l’uso di particelle instabili, in particolare i muoni ,         particelle simili agli elettroni che si generano dall’interazione tra i raggi cosmici e       l’atmosfera terrestre. A differenza di questi ultimi, però, la loro massa è molto maggiore       ( ≈200 m   e ), il che permette ai muoni di attraversare la nostra atmosfera e arrivare in       grandi numeri sulla superficie terrestre. Un’altra caratteristica che rende i muoni adatti       a questo tipo di esperimenti è il loro (relativamente) lungo tempo di decadimento, cioè       ≈2.2 μm. (   Altre particelle elementari instabili, come il tauone per esempio, hanno tempi      

di decadimento dell'ordine di 10−12secondi).  

Ora, supponiamo che questi muoni attraversino l’atmosfera a una velocità di 0.995c. Il       numero dei muoni che collidono con la superficie viene misurato per un’ora a due       altitudini diverse - 1900m e sul livello del mare. In quota vengono osservati 560 muoni -       quanti muoni saremmo in grado di misurare nel secondo caso? Trattando il moto dei       muoni come un semplice moto rettilineo uniforme e utilizzando le leggi classiche,       troveremmo che:  

N

mare

= N

(1.9km)

e

t τ

 

dove 𝜏 ≈2.2μm, mentre t = (s/v) = (1900m/0.995c) = 6.37 μs  

Il risultato è che, in teoria, al livello del mare dovremmo essere in grado di rintracciare       solo ~30 muoni .   

Proviamo ora ad applicare le leggi relativistiche: il muone è in movimento rispetto al       sistema Terra con una velocità di 0.995c - calcoliamo la dilatazione temporale che il       muone dovrebbe subire.   

 

Δt

0

=

Δtγ

= Δ

t(1

vc2

)

.64μs

2 1 2

/

= 0

 

 

Se nel nostro riferimento il muone impiega 6.37μs per toccare terra, in quello del muone       il tempo impiegato è poco più di un decimo. Quindi:

 

(8)

N

mare

= N

(1.9km)

e

τt  

dove t = 0.64μs  

Il risultato questa volta è che a quota zero dovremmo misurare la presenza di ~419         muoni.  

 

Ma cosa avvenne nella realtà?  

 

ESPERIMENTO

 

 

Uno dei primi esperimenti a fornire risultati - pur qualitativi - in accordo con le teorie       della relatività di Einstein fu quello di Rossi-Hall (1941), i quali misurarono la velocità       dei muoni (>0.99c) e mostrarono la validità delle leggi relativistiche della dinamica.       Prendendo spunto da quest’esperimento, David H. Fritsch e James H. Smith ne idearono       uno molto più preciso che attuarono nel 1962, e che dimostrava inequivocabilmente la       dilatazione temporale di un orologio in movimento rispetto ad un osservatore, come       predetto da Einstein quasi 60 anni prima. La dilatazione dei tempi può essere osservata       in due modi: il primo è quello di misurare la rapidità dei decadimenti a diverse velocità,       il che era già stato fatto in diversi acceleratori di particelle, ma che in questo caso       presentava numerose difficoltà data la scarsa intensità dei fasci dei muoni. Il secondo       consiste nel misurare il numero di particelle decadute, in movimento a velocità note, in       due punti distinti - e fu quello scelto da Fritsch e Smith. Innanzitutto i due rilevarono il       numero di muoni in grado di raggiungere la cima del Monte Washington, in New       Hampshire - 1900 metri di quota. Per far ciò utilizzarono uno scintillatore , un         materiale in grado di emettere impulsi di luce quando attraversato da fotoni o particelle       cariche.   Questi   impulsi   sono   assolutamente impercettibili a occhio         nudo,   e   per questo vengono      

amplificati   da   un  

fotomoltiplicatore .   Entrambi   vengono avvolti per evitare che la       luce naturale disturbi gli strumenti.  

Ai nostri scopi non sono però utili tutti i muoni,       ma solo quelli che viaggiano a una certa velocità.       Per questo l’apparato viene inserito al di sotto di       uno strato di ferro spesso circa 70 cm - in tal      

modo, solo i muoni con una velocità compresa tra 0.9950c e 0.9954c sono in grado di       arrivare allo scintillatore e fermarsi al suo interno. Ogni qualvolta un impulso di luce       viene rilevato dal fotomoltiplicatore, esso viene tramutato in un segnale elettrico e       spedito ad un oscilloscopio . Ciò non impedisce però ai muoni più veloci di passare         comunque attraverso lo scintillatore - il che non è tuttavia un problema, in quanto i       segnali causati dai muoni che effettivamente decadono, produrrano nell’oscilloscopio due       picchi anzichè uno.   

(9)

Lo strumento può quindi essere quindi calibrato in modo da nascondere il primo picco,       mostrando solo gli elettroni che vengono prodotti dal decadimento.  

                     

L’asse x della scala è usato per misurare l’intervallo temporale tra i due picchi, cioè il       tempo trascorso tra il muone che entra nello scintillatore e il suo decadimento - ad ogni       tacca corrisponde un microsecondo. Fritsch e Smith contano quindi il numero di muoni       che decadono per 60 minuti:  

  Ne rilevano un totale di 568 . Ora, conoscendo la velocità dei muoni con una discreta         precisione, possiamo provare a prevedere quanti muoni dovremmo essere in grado di       rilevare al livello del mare. Per percorrere 1900m, un muone che va ad una velocità di       0.9954c impiegherebbe circa 6,37       μs - dal grafico possiamo notare come solo una trentina       di muoni sopravvive tra i 6 e i 7μs.   

Lo stesso esperimento, quindi, viene effettuato a Cambridge, a pochi metri sul livello del       mare, nelle vicinanze del monte Washington.  

Per compensare i 1900 metri d’aria, circa 30 cm       di ferro vengono rimossi dalla copertura dello       scintillatore, in modo da mantenere costante la       velocità dei muoni in entrata. Ripetendo gli       stessi passaggi effettuati sul monte Washington,       per altri 60 minuti vengono conteggiati i muoni       andati incontro a decadimento all’interno       dell’apparecchio.   Ebbene,   questo numero     ammontava a 412 muoni : l’orologio del muone               misura quindi il tempo molto più lentamente       rispetto ad uno nel sistema di riferimento Terra.      

(10)

Sempre dalla distribuzione illustrata sopra, Fritsch e Smith ricavarono che un numero       tale di muoni ancora in vita era riscontrabile per tempi vicini a 0.7μs. L’orologio del       muone è circa 9 volte più lento di quello terrestre. Dal punto di vista del muone invece, il       suo orologio scorrerebbe normalmente, mentre sarebbero le lunghezze terrestri ad essere       contratte, sempre secondo un fattore pari a      

Utilizzando le formule del

1 )

( −cv2 2 1 2/

         

decadimento e della relatività ristretta,       otterremmo un numero di muoni pari a 425,       coerente al margine d’errore, e ben lontano dai       30 previsti. Sebbene non sia un qualcosa che       sperimentiamo direttamente sulla nostra         pelle, la dilatazione temporale è un qualcosa       che ci riguarda molto più di quanto       normalmente si pensi.  

 

APPLICAZIONI

 

 

Esistono numerosi apparecchi che quotidianamente usiamo e che devono tenere conto di       effetti relativistici: tra questi il più fondamentale è sicuramente il GPS (Global       Positioning System).  

Esso consiste in una rete di satelliti in orbita intorno alla Terra, in orbita a un'altitudine       di circa 20.000 km ad una velocità di circa 14.000 km/ora. Ogni satellite trasporta un       orologio atomico che "ticchetta" con una precisione nominale di 1 nanosecondo (1       miliardesimo di secondo). Un ricevitore GPS (montato su un aereo, per esempio)       determina la sua posizione attuale e la sua rotta      

confrontando i segnali temporali che riceve dai       satelliti GPS attualmente visibili e trilaterando       sulle posizioni note di ogni satellite. La precisione       raggiunta è notevole: anche un semplice ricevitore       GPS portatile può, in pochi secondi, determinare       la propria posizione sulla superficie terrestre con       un errore di      ~ 15m. Per raggiungere questo livello       di precisione, i ticchettii dell'orologio dei satelliti      

GPS devono essere conosciuti con una precisione di 40-50 nanosecondi (15 m/c).       Tuttavia, poiché i satelliti sono costantemente in movimento rispetto agli osservatori       sulla Terra, gli effetti previsti dalle teorie della relatività devono essere considerati per       raggiungere la precisione desiderata. Prendendo in considerazione la relatività ristretta,       poiché un osservatore a terra vede i satelliti in movimento rispetto a sé, quest’ultimo       dovrebbe vedere i loro orologi ticchettare più lentamente di circa 7 microsecondi.  

 

I satelliti sono poi in orbita, dove la curvatura dello spaziotempo dovuta alla massa       terrestre è inferiore a quella della superficie terrestre. Per questo dovremo prendere       anche in considerazione gli effetti della relatività generale - gli orologi più vicini a un       oggetto massiccio sembreranno ticchettare più lentamente di quelli situati a distanze       maggiori. Gli orologi di ogni satellite GPS dovrebbero quindi essere più veloci di quelli a       terra di 45 microsecondi al giorno.  

 

La combinazione di questi due effetti relativistici significa che gli orologi a bordo di ogni       satellite dovrebbero ticchettare più velocemente rispetto a quelli terrestri di circa 38      

(11)

microsecondi al giorno (45-7=38). Potrebbe sembrare un errore da poco, ma 38       microsecondi corrispondono a 38.000 nanosecondi. Se questi effetti non fossero presi in       considerazione in modo adeguato, gli errori nelle posizioni globali continuerebbero ad       accumularsi al ritmo di circa 10 chilometri ogni giorno: l'intero sistema sarebbe       completamente inutile per la navigazione in tempo reale.  

 

BIBLIOGRAFIA

 

 

Spivak Michael, Calculus, Capitolo 13  

Sasso Leonardo, La Matematica a Colori - Edizione Blu per il quinto anno , Unità 9  

https://home.aero.polimi.it/lastaria/archivio/2015_integrali_1.pdf  

Experimental testing of time dilation - Wikipedia  

David H. Frisch and James H. Smith - Measurement of the Relativistic Time Dilation   using 𝜇-Mesons (1962) - Video  

The Theory of Relativity and Applications: A Simple Introduction  

GPS and Relativity  

Error analysis for the Global Positioning System - Wikipedia, the free encyclopedia  

Why does GPS depend on relativity?  

E le dispense gentilmente fornite dalla professoressa De Bernardi.                                    

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