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Tra campi di fragole e simpatia per il diavolo: la letteratura giapponese contemporanea a tempo di rock

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Academic year: 2021

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Tra campi di fragole e simpatia per il diavolo: la

letteratura giapponese contemporanea a tempo di rock

GIANLUCA COCI

Il mio dio è il rock’n’roll. È un potere oscuro che ti può cambiare la vita.

(Lou Reed)

Intro (’Cause You Can’t Rock Without Rock)

In Eli, Eli, lema sabachthani, film di Aoyama Shinji del 2005, il nostro pianeta, in un futuro molto prossimo, è minacciato da un terribile virus che colpisce il nervo ottico e induce al suicidio. L’unica speranza di sconfiggerlo risiede nella musica noise composta dai due protagonisti, impersonati dall’attore, e talvolta musicista, Asano Tadanobu e dallo scrittore, musicista e attore Nakahara Masaya (del quale si parlerà più avanti). In questa pellicola estremamente poetica e sperimentale, alla musica, nello specifico al rock – e va qui specificato che, in ambito rock, il noise giapponese occupa una posizione preminente sulla scena internazionale, grazie a band come Violent Onsen Geisha, Ruins, Zeni Geva e diverse altre – viene affidata un’importante funzione salvifica.

Sappiamo bene che la musica rock, a partire dagli anni Sessanta, ha esercitato un’influenza notevole su molti artisti e scrittori negli Stati Uniti prima e in Europa e in Giappone poi. Il motivo, senza dilungarci troppo su questo aspetto che richiederebbe una trattazione approfondita, va ricercato in quel contesto culturale molto ampio relativo a quella frattura epocale, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, su cui dibattono

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spesso Frederic Jameson e altri teorici del postmodernismo. Una frattura in cui è ravvisabile la fine della modernizzazione e la nascita di nuovi generi nei vari campi dell’arte: basti pensare alla pop art e all’iperrealismo, a Godard, alle sperimentazioni di John Cage e Philip Glass, e infine al rock’n’roll e quindi al punk. Il rock, in quanto elemento costitutivo dell’epoca postmoderna, non poteva non influenzare la creatività di quegli scrittori nel pieno della gioventù in quel periodo di grandi mutamenti, ed è infatti difficile, se non impossibile, pensare a un Richard Brautigan o a un William Burroughs senza il movimento di controcultura esploso a San Francisco negli anni Sessanta, con i grandi Festival rock e l’LSD; così come è impossibile, venendo all’Europa e all’Italia, immaginare, circa un decennio dopo, l’opera letteraria di un mai abbastanza apprezzato Pier Vittorio Tondelli senza il rock, a cui lo scrittore emiliano faceva sovente riferimento nei suoi romanzi e saggi (da ricordare, su tutti, Un week-end postmoderno – Cronache dagli anni Ottanta, raccolta di saggi del 1990). E oggi sono tantissimi gli scrittori italiani e stranieri, da Brizzi a Evangelisti, da Hornby a Easton Ellis, tanto per citare i più famosi, che vivono e scrivono “a pane e rock”.

In Giappone, l’influenza della musica rock sulla letteratura è parte integrante di quella grande frattura che, poco dopo la metà degli anni Settanta, sancì l’esplosione di una nuova generazione di autori capace di allineare in via definitiva la scrittura con il presente, contribuendo alla demolizione della barriera tra letteratura pura e letteratura di massa: in termini di critica letteraria postmoderna, si potrebbe descrivere questo evento come il momento clou di passaggio dal modernismo avanzato al postmodernismo. Principali artefici di questo passaggio-frattura, dopo il modernismo avanzato di autori come Ōe Kenzaburō e Abe Kōbō, sono Murakami Ryū e Murakami Haruki, i quali sconvolsero l’establishment letterario nipponico rispettivamente con Kagirinaku tōmei ni chikai burū (Blu quasi trasparente), nel 1976, e Kaze no uta o kike (Ascolta la canzone del vento), nel 1979. Prima di analizzare questi due capolavori e il loro rapporto con il rock, va detto che chiari riferimenti alla “musica

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del diavolo” si ritrovano, ormai da circa tre decenni a questa parte, in molti romanzi giapponesi, persino in quelli di alcuni scrittori della generazione precedente, ad esempio Abe Kōbō (Abe era un fan dei Pink Floyd e collezionava tutti i loro dischi, soprattutto nel periodo in cui si adoperava in prima persona, servendosi di un sintetizzatore Moog, per scrivere la musica delle sue opere teatrali più sperimentali, ovvero quelle comprese tra il 1976 e il 1979). Il protagonista di Kangaru nōto (Il quaderno canguro, 1991), suo ultimo romanzo, cita proprio i Pink Floyd, descrivendo così la lunga suite intitolata Echoes:

«Echoes dei Pink Floyd è uno dei miei brani preferiti. Nelle notti in cui ero stanco e non riuscivo a dormire a causa della tensione, quella canzone funzionava a meraviglia: musica per tranquillizzare la pazzia (Abe, 2000, p. 186).»

La stessa immagine portante del romanzo, vale a dire il protagonista che viaggia a bordo di un lettino d’ospedale nel sottosuolo, ovvero nell’inferno buddhista, è ispirato a un altro pezzo dei Pink Floyd e alla fotografia di copertina dell’album A Momentary Lapse of Reason. Il protagonista, a bordo del suo letto sulle rive del Sanzunokawa, pensa: «Forse sta arrivando una barca… Il tranquillo cigolio dei remi, lo sciabordio dell’acqua contro la fiancata di legno. Sembra la parte introduttiva di Sorrow dei Pink Floyd» (Abe, 2000, p. 104).

A dimostrazione di quanto il rock possa essere influente e soprattutto di quanto faccia parte del tessuto culturale odierno, si può citare una nota autrice contemporanea, solitamente poco legata a questo genere musicale, perlomeno nei suoi romanzi: Kirino Natsuo. In Tōkyōjima (L’isola dei naufraghi, 2008), il cane di uno dei protagonisti si chiama Zuppa, nome dovuto nientemeno che a Frank Zappa. Nello stesso romanzo, viene menzionata Santa Klaus is coming to Town di Bruce Springsteen, a evocare nei naufraghi il ricordo del Natale. Inoltre, in un momento topico della narrazione, un gruppo di naufraghe, le quali fanno parte di una band gospel filippina chiamata The Goddess, canta a cappella alcune canzoni pop

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molto famose, da Dancing Queen degli Abba a A Natural Woman di Aretha Franklin.

Dopo gli insospettabili Abe Kōbō e Kirino Natsuo, proveremo qui a passare in rassegna alcuni dei “rockers” più convinti della letteratura giapponese contemporanea, a cominciare da Yoshimoto Banana, con la sua dichiarata passione per i vari Red Hot Chili Peppers, Leonard Cohen, Joni Mitchell, Neil Young e, udite, udite, anche per i Nirvana, come si può desumere da un racconto che ha per titolo il nome della rock band simbolo del grunge, incluso in una raccolta di short short stories dedicata ai sogni, Yume ni tsuite (Sui sogni, 1994), in cui la scrittrice confessa di essersi innamorata a prima vista di Kurt Cobain vedendolo in TV, mentre si accingeva a registrare un programma di musica rock per un amico: Banana scrive di essere rimasta incantata dalla sua voce, dal viso, dall’aspetto, dal carisma e naturalmente dalle canzoni, tanto da non aver potuto fare a meno di correre a comprare tutti i CD del gruppo (Yoshimoto, 1997, pp. 23-24).

Tornando ai due Murakami, in primis a Haruki, in Ascolta la canzone del vento, il rock e la musica in genere svolgono un ruolo funzionale fondamentale, come forse in nessun altro romanzo dell’autore di 1Q84. Verso l’inizio del racconto, il deejay dedica California Girls dei Beach Boys al protagonista/io narrante, specificando che la richiesta viene da una misteriosa ragazza (il protagonista è avvertito preventivamente, mediante una telefonata da parte dell’emittente radiofonica). Questo escamotage narrativo innesca nel protagonista la volontà di mettersi sulle tracce della ragazza, con ogni probabilità una ex compagna di liceo dalla quale cinque anni prima, in cambio di un certo favore, aveva ricevuto in prestito un disco dei Beach Boys (Summer Days, and Summer Nights) che avevo poi mancato di restituire. Dopo aver cercato invano il nome della ragazza nell’elenco telefonico, si reca in un negozio di dischi per cercare l’LP in questione (nel frattempo lo aveva regalato a qualcuno, o forse lo aveva perduto). Lo trova e lo compra, insieme a un disco di Miles Davis e a un concerto per pianoforte di Beethoven (da

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notare, nell’universo musicale murakamiano, la pacifica convivenza di rock, jazz e classica), che regala all’amico Topo per il compleanno, con un mese di anticipo. Jay del Jay’s bar (locale che il protagonista frequenta assiduamente, dove campeggia un juke-box), la ragazza senza mignolo del negozio di dischi e il deejay hanno tutti a che fare con la musica: fungono da tramite tra il protagonista – e dunque il lettore – e l’altro mondo, al quale appartengono la misteriosa ex compagna di classe, Topo e una bambina ricoverata da lungo tempo in ospedale, la quale ascolta continuamente la radio ed è incapace di muoversi. Inoltre, va aggiunto che i “cadeau musicali” svolgono una funzione illuminante e taumaturgica: la dedica di California Girls al protagonista, il regalo di quest’ultimo a Topo, la lettera della bambina malata all’emittente radiofonica e la conseguente risposta del deejay.

Si potrebbe continuare a lungo a disquisire sul ruolo della musica nei romanzi di Murakami Haruki, a cominciare ad esempio dall’azione taumaturgica esercitata su Tōru dal “concerto-funerale” in onore di Naoko, organizzato da Reiko nel finale di Noruei no mori (Norwegian Wood. Tokyo Blues, 1987) e incentrato su cinquanta canzoni dei Beatles; o si potrebbe semplicemente discutere a proposito della straordinaria eterogeneità musicale di questo autore, come dimostra uno speciale elenco di citazioni contenuto nel sito Internet di Random House a lui dedicato, alla voce “music”1.

Tuttavia, in questa sede, preferiamo rivolgere la nostra attenzione ad alcuni romanzi meno conosciuti dal grande pubblico e completamente imperniati, più che i libri musicalmente eterogenei di Haruki, sul rock. Si tratta, nello specifico, di romanzi (spesso concepiti da autori che sono essi stessi musicisti professionisti o quanto meno dilettanti) accostabili ai decenni fondamentali della storia del rock, a partire dai mitici Sixties.

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1. Il diavolo e l’acqua santa: Murakami f***ing rocking Ryū e Ashihara la-la-la-la-la Sunao

Murakami Ryū è un autore che non ha bisogno di presentazioni, ma è fondamentale mettere in evidenza alcuni elementi del suo background culturale – soprattutto in relazione alla sua cittadina d’origine, Sasebo, nel Kyūshū – per poter discernere al meglio i suoi due romanzi rock per antonomasia: Blu quasi trasparente e 69 (Sixty-nine, 1987). In passato sede di un’imponente base navale della marina imperiale giapponese, Sasebo è divenuta, dopo la seconda guerra mondiale, un’importante base militare americana. La casa natale di Ryū, come la maggior parte delle abitazioni dei cittadini di Sasebo, era situata sul versante della collina ad anfiteatro prospiciente la gigantesca base navale, ubicata grossomodo al centro della baia. Nel saggio American dorīmu (American Dream, 1985), Murakami Ryū (1985) racconta che da ragazzino, al mattino e alla sera, udiva risuonare l’inno americano e scorgeva la bandiera a stelle e strisce salire e scendere lentamente lungo un altissimo pennone. Dalle finestre della sua aula, alle elementari e alle medie, si potevano vedere i soldati americani baciare le ragazze giapponesi, e ogni volta gli insegnanti, accorgendosene, si precipitavano a chiudere le tende. Al liceo, le sue compagne di classe si truccavano di tutto punto per attrarre l’attenzione dei marines. Ryū ricorda che una volta gli capitò addirittura di scorgere un soldato americano e una donna giapponese fare sesso in una casa. A tutte le ore del giorno e della notte, si udiva il fragore assordante dei Phantoms in fase di decollo. E intanto, nei bar e nei club del centro, una moltitudine di soldati di colore ascoltava Elvis, Gene Vincent e gli altri eroi del rock’n’roll. Siamo in un momento chiave della storia del rock in Giappone: nel giugno del 1966, i Beatles si esibiscono al Budōkan e scoppia il boom dell’ereki (acronimo giapponese di electric guitar) e delle folk song. Il giovane Ryū resta affascinato dalla musica rock in questo preciso frangente, mentre frequenta l’ultimo anno della scuola media. Al liceo, nel 1967, entra a far parte del club di rugby della scuola, ma torna sui propri passi

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dopo appena sei mesi, perché disgustato dall’eccessivo fanatismo degli atleti. In compenso, fonda con altri studenti il club del rock e diventa batterista dei Coelacanth (aprile 1967), cover band di Rolling Stones, Beatles, Animals e così via. Il primo pezzo che Ryū e compagni suonano dal vivo è Ginza Lights dei Ventures. Il loro repertorio comprende diversi brani dei Ventures e dei Walker Brothers, e anche Satisfaction degli Stones. Solo in un secondo momento aggiungono qualche pezzo dei Beatles, dato che gli accordi erano più complessi e difficili da imparare. Ryū e i suoi Coelacanth provavano negli scantinati, nei magazzini abbandonati e nei cimiteri (!), e cantavano Can’t buy me Love a squarciagola sognando di essere John Lennon. Si esibivano soprattutto nei bar per stranieri di Sasebo, frequentati per lo più da uomini di colore che richiedevano pezzi soul, più che brani dei Beatles; mentre i bianchi volevano cose più blues, tipo Animals e Them, oppure gli Stones: Out of Time, 19th Nervous Breakdown, Time is on my Side ecc. Ed è qui che l’interesse di Ryū si allontana dal quartetto di Liverpool e vira verso Mick Jagger & soci: era suppergiù il periodo in cui uscivano il White Album e Beggar’s Banquet. In Giappone spopolavano le ragazze in minigonna, i go-go kissa2, gli hippies. Erano gli anni del movimento studentesco: sull’onda delle proteste e degli scontri con la polizia in occasione dell’arrivo della portaerei Enterprise nel porto di Sasebo (gennaio 1968), nonché alla notizia della partecipazione di Mick Jagger al maggio parigino, Ryū, dopo lo scioglimento dei Coelacanth, partecipa con entusiasmo alle attività del club di giornalismo del liceo e scrive articoli di protesta al vetriolo. Mentre in tutto il mondo si manifesta contro la guerra in Vietnam e l’invasione sovietica in Cecoslovacchia, in Giappone un Phantom si schianta contro un edificio dell’Università del Kyūshū e gli studenti occupano per un giorno la stazione ferroviaria di Shinjuku a Tokyo. Nell’estate del 1969, Ryū e i suoi compagni si barricano sul tetto del liceo e

2 Tipo di locale in cui si suonava musica dal vivo, fornito di bar e pista da ballo per il pubblico.

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tappezzano i muri con striscioni e volantini colmi di slogan pacifisti. Nel 1970, dopo essersi diplomato, il giovane ribelle di Sasebo mette insieme una nuova rock band, gira un cortometraggio in 8 mm, fonda una compagnia teatrale e organizza ben tre festival rock. Nello stesso anno si trasferisce a Tokyo, dove si iscrive alla scuola d’arte della Gendai shichōsha. Vive per circa quattro mesi a Fussa, città sede della base aeronautica statunitense di Yokota, dove fa esperienze di droga, alcol e sesso (le racconterà più tardi in Blu quasi trasparente). Nel 1972 si iscrive all’Università d’arte di Musashino, e poco dopo si getta nella prima stesura del romanzo d’esordio (il cui titolo originario era Kuritorisu ni batā o [Burro sul clitoride]).

Blu quasi trasparente è un romanzo generazionale, un vero e proprio spartiacque a base di sesso, droga e rock’n’roll. Ne sono protagonisti il giovane Ryū (l’autobiografismo è evidente) e un gruppo di suoi coetanei residenti nei pressi della base americana di Yokota, i quali trascorrono il loro tempo dedicandosi a orge, sesso estremo, alcol e stupefacenti di ogni tipo. In poche parole, si tratta di una storia violenta di giovani vite allo sbando, uno straordinario manifesto di puro nichilismo anarchico, con un background musicale ovviamente rock, in cui giganteggiano i Doors e gli Stones.

Il volto di Okinawa mi appare contorto e coi lineamenti sfuocati, come il sole quando lo guardi attraverso l’ombrellone, d’estate, disteso sulla spiaggia. Ho la sensazione di essere diventato una pianta. Una pianta che all’ombra richiude le sue foglie di un colore grigiastro, che non dà fiori ma libera semplicemente al vento le spore avvolte in filamenti morbidi, una pianta dimessa, come la felce.

La luce si è spenta. Sento i rumori che fanno Okinawa e Reiko spogliandosi. Il volume della musica è aumentato. Soft Parade dei Doors, nelle pause tra le canzoni mi arrivano alle orecchie fruscii di sfregamenti contro il tappeto e dei gemiti soffocati di Reiko (Murakami Ryū, 1993, p. 27).

Mick Jagger ha iniziato a cantare a un volume pazzesco. È una canzone di parecchio tempo fa, Time Is on My Side. Moko mette una gamba sulle mie ginocchia, ormai parla in modo disarticolato: «Non devi raccontare balle, Ryū, non dire che non è vero! Sono venuta

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quattro volte, quattro volte dico, stai sicuro che non me lo dimentico!».

Reiko si è alzata pallida in viso. «Che ore sono adesso? Che ore sono?» ha mormorato senza rivolgersi a nessuno in particolare è si è diretta con passo incerto verso il bancone, ha preso il whisky dalle mani di Kei e ne ha mandato giù un sorso, e le è preso subito un violento attacco di tosse (Murakami Ryū, 1993, p. 38).

Blu quasi trasparente ricorda a tratti Altri libertini (1980) di Pier Vittorio Tondelli, le cui parole in merito al proprio romanzo d’esordio, manco a farlo apposta, calzano a pennello al romanzo di Murakami Ryū:

Nei racconti di Altri libertini c’era il rifiuto di qualsiasi ideologia, di qualsiasi tentativo di imporre alla propria vita delle direttrici, e un senso di scoperte molto personali delle occasioni della vita, dei propri progetti, di ciò che si è. Altri libertini in fondo non è altro che un libro di giovani. Dei ragazzi di vent’anni scoprono che il mondo in un certo senso si scaglia contro di loro e cercano percorsi individuali per opporsi a questo. Percorsi che possono andare verso l’abbrutimento, il masochismo, la tossicomania per esempio, ma anche verso una vena molto poetica d’assunzione di un immaginario collettivo giovanile che è molto vitale (Tondelli, 2001, p. 949).

In Sixty-nine, scritto undici anni dopo il lavoro d’esordio, Ryū fa un passo indietro nel tempo e racconta il periodo della sua adolescenza a Sasebo, non in maniera cinica e diretta, bensì con il distacco disincantato e nostalgico tipico della maturità. Rispetto a Blu quasi trasparente, romanzo anarchico fondato sulla disillusione del periodo post Summer of Love e sulla furia nichilista del punk dei Seventies, Sixty-nine risulta molto più romantico e beatlesiano, un vero e proprio trionfo della cultura Love & Peace. Yazaki Ken è il diciassettenne protagonista che, grazie a una sconfinata passione per la musica rock, il cinema sperimentale (soprattutto Godard) e l’ondata di novità sollevata dai moti studenteschi di fine anni Sessanta, porta un nuovo alito di vita nella provinciale Sasebo. Ken è anche la voce narrante della vicenda e, con coinvolgente malinconia, senza mai scadere nel melenso e nell’autocelebrazione, ci rende partecipi della sua piccola rivoluzione. Con l’aiuto del fidato Adama

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(nomignolo dovuto alla vaga somiglianza con il cantante francese Adamo) e di altri compagni di classe organizza l’occupazione del liceo e un festival di arte e musica rock, arricchito da uno spettacolo teatrale e dalla proiezione di un film autoprodotto. Il tutto per dare una pennellata di colore al grigiore della quotidianità e per conquistare il cuore di Lady Jane (come la canzone dei Rolling Stones), soprannome della ragazza di cui è follemente innamorato. I riferimenti al rock sono chiari fin dai titoli dei singoli capitoli. Difatti ben nove su sedici costituiscono un omaggio al rock e alla musica in generale: Iron Butterfly, Lady Jane, Just Like a Woman, Cheap Trills, Wes Montgomery, Led Zeppelin, April Come She Will, Velvet Underground, It’s A Beautiful Day (gruppo californiano di rock psichedelico di fine anni Sessanta). L’incipit del romanzo, esplosivo, preannuncia in pompa magna i toni del racconto:

Il 1969 è l’anno in cui gli studenti giapponesi occupano l’Università di Tokyo. I Beatles incidono il White Album, Yellow Submarine e Abbey

Road, e gli Stones scalano le classifiche con il loro più grande hit, Honky Tonk Women. I giovani chiamati hippies portano i capelli

lunghi e invocano pace e amore. A Parigi, De Gaulle rassegna le dimissioni, in Vietnam perdura la guerra (Murakami Ryū, 1987, p. 5). La musica e la cultura rock sono onnipresenti. Quando finalmente Ken riesce ad avvicinare la sua Lady Jane, prova a metterla sul piano musicale, nel tentativo di vincere l’imbarazzo: le chiede il perché di quel soprannome e se le piacciano gli Stones. Lei dichiara di adorare Lady Jane ma di non conoscere molto bene i Rolling Stones, e in più rivela che i suoi artisti preferiti sono i Beatles, Dylan e soprattutto Simon and Garfunkel. Al che Ken si dice subito d’accordo e si vanta, mentendo, di avere tutti i loro dischi. Così, quando lei gli chiede di prestarle Bookends, lui pensa subito di comprarlo ricorrendo a una colletta. Quanto all’idea del festival (il nome è alquanto singolare: “Festival delle erezioni mattutine”) organizzato da Ken e compagni, essa è chiaramente ispirata agli happening di San Francisco nella stagione della Summer of Love. I giovani

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protagonisti, mentre si preparano al live, discutono ossessivamente di chitarre elettriche e di altri strumenti musicali, citando le loro marche preferite e i loro idoli.

Dopo l’avvento di Elvis, la chitarra diventò l’oggetto del desiderio di tutti i ragazzi della nazione. Quelli che non potevano permettersene una, ripiegavano sull’ukulele, il che provocò un certo interesse per la musica hawaiana. All’epoca in cui frequentavo la scuola media, le chitarre elettriche erano l’argomento del giorno: chitarre Teisco, amplificatori e pedali Guyatone, batterie Pearl. E poi, ma soltanto nelle fotografie pubblicitarie delle riviste specializzate, c’erano i magnifici strumenti Gibson, Fender, Music Man, Roland e Paiste. Infine, quando i Ventures passarono di moda ed ebbe inizio l’era dei Beatles e delle altre bands vocali, tutti presero a sognare una Rickenbacker come quella di John Lennon (Murakami Ryū, 1987, p. 49).

Spinto dal desiderio di stupire i suoi compagni e l’intera Sasebo, Ken opta per una scenografia molto particolare, con tanto di galline a scorrazzare sul palco durante il concerto. Spiega ad Adama e agli altri componenti della band che intende ispirarsi ai Velvet Underground, mostrando la fotografia di un loro concerto a New York con maiali, pappagalli, topi e persino una tigre in gabbia sul palco. Sottolinea che in tal modo Lou Reed ha voluto simbolizzare il caos regnante nel mondo terreno. Il primo dei tre set dei Coelacanth (altro evidente segno autobiografico) al Festival delle erezioni mattutine inizia con Whole Lotta Love, classico dei Led Zeppelin, con un gruppo di ragazze che danzano sul palco coi capelli al vento. Nell’intervallo tra i vari set, c’è spazio per la proiezione del film in 8mm girato da Ken e per una rappresentazione teatrale, il tutto all’insegna del pacifismo e della lotta contro il sistema. E intanto, durante il secondo set della band, viene raggiunto il climax dell’intera vicenda, quando Ken intona As Tears Go By degli Stones scambiandosi sguardi appassionati con la bellissima Lady Jane.

Seishun dendekedekedeke (Gioventù dendekedekedeke, 1990), vincitore del premio Naoki nel 1991, è un lungo

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romanzo di Ashihara Sunao diviso in tre parti (“1965-1966”; “1966-1967”; “1967-1968”) e costellato, più di ogni altro romanzo giapponese, di riferimenti al rock. Ne sono stati tratti un film (1992, regia di Ōbayashi Nobuhiko) e un manga (2007, Sadakane Aiko in collaborazione con lo stesso Ashihara) omonimi. Nel corso dei vari capitoli, ognuno dei quali prende in prestito il titolo di una canzone, viene raccontata la storia di quattro adolescenti di una cittadina di provincia dello Shikoku i quali, durante i tre anni di liceo, fondano una rock band, i Rocking Horsemen, ispirandosi dapprima a gruppi come i Ventures e successivamente ai Beatles. A parte la storia adolescenziale, tra l’altro molto appassionante, l’autore racconta nel dettaglio e con piglio da critico musicale l’evolversi del rock in Giappone negli anni del cosiddetto ereki boom. Parallelamente alle vicende che vedono coinvolti i quattro ragazzi della band, si ripercorre l’intera storia dei primi due decenni del rock and roll, passando da Elvis al beat dei primi Beatles, agli Stones e infine alla psichedelia. La similitudine con Sixty-nine è evidente, solo che qui si insiste molto di più sull’aspetto storico e documentaristico, rinunciando a qualsiasi accenno di carattere politico e sessuale. L’incipit descrive l’illuminazione rock del giovane protagonista all’ascolto delle note iniziali di un famoso pezzo dei Ventures (si tratta, nello specifico, del tremolo-glissando di Pipeline, brano surf del 1963), band di Tacoma di rock strumentale molto famosa in Giappone, protagonista di una tournée trionfale nel 1965. Il ragazzo – Yoshiwara Takeyoshi, soprannominato Chikkun – si risveglia da un incubo mattutino ascoltando alla radio le prime note di Pipeline e restandone incantato: di colpo avverte come «una scossa elettrica mai sperimentata in precedenza e un’energia straripante (Ashihara, 1998, p. 12).» Fino al giorno prima, Chikkun studiava il violino da autodidatta e amava soprattutto la musica classica, pur apprezzando il rock dei vari Ventures, Astronauts e Beatles. In pratica considerava la prima come la musica vera, autentica, e il secondo come un puro e semplice divertimento. Poi, quella scossa di primo mattino gli suggerisce che la sua strada è quella del rock. A

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quindici anni – siamo nella primavera del 1965 –, all’approssimarsi del primo anno di liceo nella cittadina di Kan’onji, nello Shikoku (rispetto alla Sasebo di Murakami Ryū, si tratta di un’area di provincia molto più estrema), Chikkun comincia ad ascoltare quotidianamente un programma rock alla radio e conosce le band e i protagonisti musicali dell’epoca. Il suo nuovo sogno è comprare una chitarra elettrica e un amplificatore, ma il problema è che non sa come racimolare il denaro necessario. Nella sua piccola cittadina natale è molto difficile procurarsi un lavoro part-time e, come se non bastasse, deve fronteggiare l’opposizione dei genitori e degli insegnanti. Al pari di tanti suoi coetanei in quel periodo rivoluzionario, ignorando gli adulti che non fanno altro che dargli del vagabondo, si fa crescere i capelli, scimmiotta il look dei musicisti rock e trascorre decine e decine di minuti davanti alle vetrine dell’unico negozio di dischi e strumenti musicali del paesino. A poco a poco, senza mai darsi per vinto, Chikkun riuscirà a mettere su la sua band e sognerà di sfidare il mondo al ritmo della musica di Ventures, Astronauts, Beatles, Animals e altre famose band d’oltreoceano.

2. Deconstructing Simon & Garfunkel: il caso di Hashimoto Osamu

S & G Gureitesuto hittsu + 1 (Simon & Garfunkel Greatest Hits + 1, 1984) di Hashimoto Osamu è un libro decisamente unico, mai tradotto e passato inosservato in Occidente, ma spesso citato fra i migliori esempi di pop bungaku (letteratura pop giapponese). Antesignano del romanzo adolescenziale sul disagio giovanile tipico degli anni della grande bolla speculativa e di quelli immediatamente successivi, è composto da una serie di episodi incastonati in una struttura narrativa ben precisa: ogni singolo racconto reca lo stesso titolo ed è disposto nello stesso ordine delle canzoni di Simon and Garfunkel’s Greatest Hits, prima raccolta ufficiale di Simon & Garfunkel, uscita nel 1972; inoltre il contenuto di ognuno di essi è ispirato,

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in maniera più o meno evidente, al testo delle canzoni stesse. Si tratta di quattordici racconti suddivisi in due parti, “Side A” e “Side B”, più un racconto finale (quel “plus 1” del titolo) aggiunto a mo’ di bonus, ispirato a un pezzo del famoso duo folk-rock newyorkese non incluso nella raccolta sopra citata: 7 O’clock News/Silent Night. Il contenuto delle singole storie è in genere molto cupo, sovente costellato di morti e suicidi, a voler riprodurre il lato oscuro che caratterizza una parte della gioventù degli ultimi decenni, spesso priva di punti di riferimento importanti, e a sottolineare la nostra epoca del tardo capitalismo, in cui i grandi sogni e gli ideali degli anni Sessanta e Settanta sono stati ridotti all’osso, all’insegna di una uniformazione via via più massificante. Per esempio, protagonista di The Boxer (“I’m just a poor boy” recita il primo verso della malinconica ballata di Simon & Garfunkel che racconta di solitudine e povertà) è Masato, un liceale che soffre le pressioni della famiglia e della società: padre e nonno, entrambi professori dell’Università di Tokyo, si aspettano da lui grandi cose; la nonna, arcigna e inflessibile, lo sorveglia in ogni situazione. Solo la madre si mostra comprensiva nei suoi confronti e gli regala una chitarra, provocando le ire del nonno. Depresso e avvilito, Masato se ne va spesso in giro per le strade di Tokyo, in un mondo tutto grigio, fasullo e monotono, in cui la sua unica fonte di sollievo è rappresentata da una palestra di boxe, dove gli sembra di scorgere un’atmosfera diversa e autentica. Ogni giorno annota in un diario le sue sensazioni e le difficoltà, sia a casa sia a scuola, dove di tanto in tanto è vittima di episodi di bullismo. Scrive anche dell’imbarazzo che prova nel masturbarsi e della consapevolezza di soffrire del complesso di Edipo. Poi si scopre che all’origine dei suoi problemi c’è la notizia traumatica, appresa circa un anno prima, di un padre che ha ammazzato il figlio incapace di superare gli esami di ammissione all’università. Masato si rivede in quel ragazzo e infine, quando si accorge che la nonna leggeva di nascosto il suo diario, scoppia la tragedia: in un raptus di follia, brandisce la chitarra a mo’ di bastone e la ammazza. Cerca rifugio preso la sua amata palestra di boxe, ma anche lì viene ignorato e

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allontanato. In preda allo sconforto più totale, getta il diario nel fiume, sale sul tetto di un edificio e si lascia cadere nello stesso corso d’acqua. The Boxer è uno dei racconti più intensi e drammatici dell’intera raccolta, un affresco del mondo adolescenziale nipponico odierno, anticipatore di romanzi come Riaru wārudo (Real World, 2003) di Kirino Natsuo, Kokuhaku (Confessione, 2008) di Minato Kanae e Hebun (Heaven, 2009) di Kawakami Mieko.

In The Sound of Silence, il giovane protagonista si sveglia e ha la sensazione di essere morto, mentre una voce misteriosa gli sussurra che tutto è finito. Come ogni mattina, si alza e si prepara per andare all’università, ma percepisce qualcosa di diverso, come se si stesse osservando dal di fuori. Intorno a sé regna un silenzio insolito, tutte le cose sembrano aver perso colore. Poi avverte un senso di pesantezza e si accorge di non essere in grado di muoversi, quanto meno fisicamente, e difatti non è più in possesso del proprio corpo. Si guarda allo specchio e scopre che al suo posto c’è una roccia! Il racconto, dai toni kafkiani e simile a certe storie di Abe Kōbō degli anni Cinquanta, racconta malinconicamente il disagio giovanile attraverso l’estrinsecazione di un’esperienza post-mortem.

S & G Gureitesuto hittsu + 1 ha origine dalla proposta di un redattore della rivista letteraria Yasei jidai, il quale nel 1978 chiese a Hashimoto di scrivere una serie di racconti rifacendosi alle canzoni di un album dei Beatles. Non avendo una particolare predilezione per il quartetto di Liverpool, Hashimoto si recò in un negozio di dischi in cerca di ispirazione, in compagnia di quello stesso redattore. A quanto pare, fu folgorato dalla copertina di S & G Greatest Hits e in particolare dai titoli delle canzoni. La genesi dell’opera è alquanto lunga e complicata: una parte dei racconti (per la precisione fino ad Amerika, interrotto a metà) fu serializzata, dal 1978 al 1981, nelle pagine di Yasei jidai. A distanza di circa due anni, il progetto fu completato e pubblicato in edizione hardcover da Yamato shobō, nel 1984. Infine, nel 1989, il librò uscì nei tascabili Chikuma, in una nuova edizione riveduta e corretta. A proposito degli hits di Simon & Garfunkel, Hashimoto ha

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dichiarato in diverse occasioni di non amare più di tanto l’arcinota The Sound of Silence e di preferire pezzi come I am a Rock, The Boxer, Scarborough Fair, Bridge over troubled Water, El Condor Pasa e Amerika. E forse proprio nei racconti succitati emerge prepotentemente il fine ultimo dell’intera raccolta: scrivere racconti sugli adolescenti, soprattutto nella forma del monologo interiore, come a voler perlustrare la coscienza dei giovani maschi giapponesi, ben più impenetrabile di quella delle ragazze («Questa raccolta di nuovi racconti giovanili è figlia della nostra epoca» recitava la fascetta della prima edizione). S & G Gureitesuto hittsu + 1 è quasi una versione maschile del romanzo d’esordio di Hashimoto Osamu, Momojiri musume (Una ragazza irrequieta, 1978). Nell’animo delle ragazze, Hashimoto aveva individuato esuberanza, ribellione e un’energia vitale straripante, mentre nei loro coetanei maschi ha trovato soprattutto fragilità e disperazione.

3. Gabba Gabba Hey: Go, Write and Play! – Machida Kō e Nakahara Masaya

Il punk, dopo il ripiegamento estetizzante e il tecnicismo barocco del progressive, riporta l’attenzione sulla controcultura urbana, ora permeata di violento nichilismo, anche in segno di reazione alla poetica del Love & Peace dei Sixties. Il punk è il nonsense divenuto musica, è pura anarchia: chitarre aspre e iperveloci, accordi rudimentali, voci urlate e cacofoniche.

Due scrittori (e musicisti) giapponesi influenzati dall’estetica punk sono Machida Kō e Nakahara Masaya. Il primo è nato nel 1961, il secondo nel 1970, dunque rispettivamente a circa dieci e venti anni di distanza dalla generazione dei due Murakami, di Ashihara Sunao e Hashimoto Osamu.

Machida Kō, con lo pseudonimo di Machida Machizō, è stato uno dei massimi artefici della nascita della scena punk giapponese: nel 1981 incise con il suo gruppo, gli INU, il mitico LP Meshi kuu na, un album ricco di sonorità non propriamente punk tout court, ma piuttosto post-punk, con chiari riferimenti

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al post-punk inglese anarchico di band come Gang of Four e Pop Group, nonché al pop sperimentale dei primi XTC. Non a caso, Ishii Sōgo gli ha ritagliato una parte nel suo Bakuretsu toshi (Burst City, 1982), film manifesto sulla scena punk giapponese. Machida ha inciso in tutto circa venti album, con diverse band e come solista, oltre a pubblicare raccolte di poesie e romanzi che lo hanno imposto all’attenzione della scena letteraria giapponese, non solo underground (Ōe Kenzaburō lo considera uno dei migliori scrittori emergenti del Giappone). Nei suoi romanzi sempre estremamente originali, grazie all’uso del dialetto del Kansai e a una prosa molto ritmata simile a quella del rakugo e del kōdan3, nonché alle storie metropolitane imperniate sul nonsense e su una comicità tragica, questo autore riesce a dare vita a un insieme molto musicale. Leggendo i suoi lavori, si ha quasi l’impressione di ascoltare una musica suonata con le parole, un po’ come accade nel caso di Blu quasi trasparente di Murakami Ryū. Con il secondo romanzo, Kiregire (Frammenti, 2000), Machida si aggiudica il prestigioso premio Akutagawa, dopo essere stato finalista con il lavoro d’esordio: Kussun Daikoku (Il Daikoku ridente, 1997). I protagonisti di questi due romanzi sono assai simili, tanto che si potrebbe trattare dello stesso personaggio: un ex artista tra i trenta e i quarant’anni che decide di allontanarsi dalla società e vivere ai margini, un dropout sognatore dedito ai piaceri dell’alcol. Del resto, già nei testi delle sue canzoni, Machida prende spesso di mira la nostra società alienante. In Fade Out, pezzo d’apertura di Meshi kuu na, immagina di rivolgersi a un comune impiegato:

Hai solo desideri vaghi

Non sai che fartene dei tuoi desideri vaghi Sempre inchiodato davanti alla TV

Non puoi fermarti, anche se sei stanco morto

3 Il rakugo è un monologo a carattere comico, il kōdan è un genere di narrativa orale di ispirazione storica; entrambi sono caratterizzati dalla presenza di un unico interprete: nel primo caso il declamatore è sul palco seduto alla giapponese su di un cuscino; nel secondo caso ha anche davanti a sé un piccolo tavolo sul quale batte il tempo con alcuni attrezzi di scena.

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Il tuo corpo svanisce e sta per sparire Oggi è il seguito di ieri Domani è il seguito di oggi

Sei sempre occupato per questioni di poca importanza La polvere della stanchezza ti si accumula sulle spalle Sai che questo non va bene

Ma il volume del tuo mal di testa è sempre al massimo Per liberarti in qualche modo dalla rabbia

Non ti resta che morire tranquillo.

In Kiregire, sulla falsariga di Fade out e di altre canzoni e poesie scritte da Machida in passato, il trentenne protagonista e io narrante vaga da un angolo all’altro della città, da un lanpab4 all’altro, sospeso in una dimensione onirica e accompagnato solamente dal flusso dei suoi pensieri, stralci di conversazioni e vecchi ricordi. Si tratta di un loser metropolitano che ha abbandonato il liceo senza diplomarsi, odia il lavoro e la società ma possiede una fantasia straordinaria e una voglia sfrenata di vivere (naturalmente a modo suo). Così recita l’incipit di questa storia, che definire stravagante è poco:

Una parata di divinità celesti volteggia su nel firmamento. Ci sono tutti, non manca nessuno: Daikokuten, Kichijōten, le ninfe celesti e gli altri al gran completo. L’acqua sgorga a cascate dalle finestre dei palazzi che fiancheggiano la strada; le ovazioni della folla sui marciapiedi si fondono in un’unica massa che s’innalza verso l’alto in turbinii ululanti. Si direbbe che il dio della fame mi stia giocando un brutto tiro. Pioggia di petali di fiori. Banderuole al vento. Tutto ciò mi riporta alla mente quella volta in cui avevo preso un taxi all’hotel della All Nippon Airways e mi dirigevo verso Shin Ichinobashi. C’era questo enorme viso femminile, al pianterreno di un edificio, sulla sinistra, che mi fissava dall’alto con cipiglio. Mmh, di sicuro non apparteneva al nostro mondo – l’ho capito al volo. Non ho chiuso occhio per una notte intera, ho una fame da lupi e la sensazione che la faccia mi si stia dilatando fino a raggiungere le proporzioni di quel viso femminile: non è per niente piacevole, ma proprio per niente!

4 Contrazione di “lingerie pub”: locale in cui le cameriere servono da bere abbigliate di soli indumenti intimi.

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Dalla terrazza di un grande magazzino, sciami umani si lanciano nel vuoto con gaudio festoso. Intanto, simile a un immenso pallone, la mia faccia si è librata in volo e domina la strada. C’è ancora qualcuno che si lascia cadere dalla terrazza, e io lo vedo precipitare in picchiata ai miei piedi: ma quella… era mia moglie! Come tutti gli altri, ha gridato: vadooo!, o qualcosa del genere. Caspita, nemmeno un briciolo di originalità: indossava una camicetta bianca e una gonna rossa plissé fino al ginocchio, che gonfiandosi lasciava intravedere le gambe fasciate da un paio di collant neri: era oscena (Machida, 2004, pp. 9-10)!

Nakahara Masaya è un musicista molto apprezzato della scena noise, agli esordi notato addirittura da Thurston Moore dei Sonic Youth, band newyorkese a dir poco seminale con la quale lo stesso Nakahara ha in seguito avuto occasione di collaborare. È il leader/factotum dei Violent Onsen Geisha e degli Hair Stylistics, band che suonano noise/post-rock e vantano alcune collaborazioni con Jim O’Rourke, in anni recenti membro aggiunto dei Sonic Youth ed eminenza grigia della scena post-rock mondiale. Gli estremismi sonori di Nakahara vanno ben oltre quelli di Machida, così come ben oltre va la sua letteratura, puro espressionismo rumorista tradotto in parole. Il suo libro più rappresentativo, soprattutto in chiave rock, è forse Mari & Fifi no gyakusatsu songubukku (Il Song-book del massacro di Mari & Fifi, 1998), composto da dodici brevi racconti violenti ed estremi a base di nonsense e nichilismo metropolitano. Si tratta di bozzetti avanguardisti legati dal filo rosso dell’avant-pop: terrorismo culturale, slang e dialettismi, iperrealismo onirico. Prive di costruzioni strutturali aprioristiche, le storie si dipanano così come nascono nella mente dell’autore, in un’ambientazione che deforma all’ennesima potenza e con verve hardcore la quotidianità del Giappone odierno: studenti indiavolati che sognano di massacrare gli insegnanti; impiegati in giacca e cravatta che si danno al volontariato aizzando innocenti vecchietti alla pornografia; maratoneti stanchi che si svegliano sniffando secrezioni burroughsiane di vagine umane; part-timer che sognano di essere come gli omini delle opere di Keith Haring;

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infermiere ciccione assistite da cani parlanti che accudiscono scrittori e attori infiacchiti dallo Star System.

Per rendere l’idea del contenuto di questi piccoli capolavori non c’è niente di meglio che descriverne brevemente la trama. In Robō no boseki (Una tomba sul ciglio della strada), un ragazzo prossimo alla trentina ricorda, come fosse un incubo, un episodio risalente ai suoi diciassette anni: l’incontro casuale con i suoi insegnanti, in un bar, i quali lo rimproverarono duramente perché si assentava spesso da scuola. Il ragazzo era riuscito a trattenere solo a stento gli istinti omicidi nei confronti degli odiati professori, con i quali non esisteva dialogo. In Sōsharu wākā no tanjō (Nascita di un assistente sociale), un impiegato stufo della solita routine decide di “redimersi” dedicandosi alla cura degli anziani e dei disabili, regalando loro perle di saggezza pornografica. In Ano Tsutomu ga shinda (Tsutomu è morto), un ragazzo ricorda la morte del suo miglior amico, Tsutomu, massacrato da una banda di teppisti, lui che era un gran sognatore e immaginava di essere come uno degli omini delle opere di Keith Haring. In Tobidase, boshikatei (Scappa, figlio senza padre!), Tsutomu, protagonista del racconto precedente, si ritrova dinanzi a una casa disabitata sulla cui porta campeggia una frase misteriosa scritta col sangue, frase che lo spinge a riflettere sul concetto di morte: Tsutomu aveva perso il padre all’età di tre anni ed era poi scappato di casa per dedicarsi al teatro underground, sua grande passione. In Tsutomu yo, furyō daigaku no tobira o tatake (Tsutomu, bussa alla porta dell’università corrotta!), il solito Tsutomu è impiegato presso un negozio di articoli sportivi (vi ci si reca ogni mattina a cavallo di un enorme chiave volante!) e deve sopportare i racconti scurrili di un cinquantenne dall’alito pestilenziale che lavora nel negozio di scarpe adiacente; non potendone più, decide di iscriversi all’università, con la speranza di migliorare il suo livello culturale e trovare un lavoro migliore, ma dopo tre mesi scappa via disgustato. In Hitorigoto wa, ningen o yori kodoku ni suru dake da (I soliloqui rendono l’uomo estremamente solo), un maratoneta in crisi, il quale si sveglia al mattino sniffando l’odore acre emanato da

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una vagina umana appiccicata sulla copertina di un libro (!), sogna ossessivamente di essere inseguito e divorato da due enormi dobermann. In Reinbō dokkusu – myōnichi e no chōsenjō (Rainbow Docks – una sfida al domani), un gruppo di giovani insegnanti delle medie discute animatamente, intorno al tavolo di un bar e bicchiere di bourbon alla mano, del gap generazionale con i nuovi teenagers. Alla fine, questi docenti rivoluzionari decidono di istigare i ragazzi alla rivolta creativa contro la società, utilizzando i nuovi strumenti della cultura informatizzata, nel segno di un puro spirito avant-pop.

4. Riot J-grrrls: Nirei Akiko e Tsumura Kikuko

A partire dagli anni Novanta, sulla scia del successo di Yoshimoto Banana, siamo stati travolti da una nuova ondata di scrittrici giapponesi, privilegiate nelle traduzioni in lingue occidentali rispetto ai colleghi uomini. Non sono però mai state tradotte due autrici molto vicine, soprattutto in alcuni dei loro romanzi, all’estetica del rock: Nirei Akiko (classe 1961) e Tsumura Kikuko (classe 1978).

L’esordio di Nirei Akiko, che all’epoca del liceo suonava in una punk band, è Chūrippu no tanjōbi (Il compleanno dei tulipani, 1993). Racconta di Yūri, studentessa di terza media appassionata di musica rock e assidua frequentatrice di una live house gestita dall’ex leader di un gruppo punk degli anni Settanta, Mihara. Il locale è soggetto a una politica decisamente particolare, in quanto Mihara, oltre a selezionare i gruppi da fare esibire, decide anche quali spettatori fare entrare e quali no, in base al loro aspetto e all’atmosfera che evocano. Prende in gran simpatia Yūri e le suggerisce di provare a suonare il basso (dato che è alta e carina, come si addice a una bassista rock). La ragazza, dopo aver convinto i genitori (dietro promessa di frequentare con profitto il liceo), si fa accompagnare a Shinjuku da un ragazzo conosciuto al locale: compra un basso e impara a suonarlo grazie al suo aiuto. Una sera, dopo circa sei mesi, Mihara le annuncia che le procurerà un’audizione per suonare

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con le Chelsea Girls, una band femminile in cerca di una nuova bassista. Yūri suona meglio delle altre pretendenti, ma c’è il problema dell’età e della scuola, al che il manager (il gruppo ha già pubblicato due CD e suona regolarmente in diversi locali di Tokyo e dintorni) le promette che indosserà giacca e cravatta e andrà a parlare con i genitori. Li convince, anche perché la madre di Yūri nota la serietà della cosa e si fida molto di sua figlia. Yūri debutta sul palco, là dove era sempre stata solo una spettatrice: felice come in un sogno, guarda dall’alto i ragazzi ballare all’altezza delle sue ginocchia. Intanto comincia a frequentare il liceo con buon profitto, dividendosi tra lo studio e la musica. Le altre componenti delle Chelsea Girls, più grandi, le insegnano a truccarsi, a fumare e a bere, senza mai esagerare, come fossero le sue sorelle maggiori. Una sera, dopo aver assistito al live di una band inglese, Yūri viene avvicinata da un tipo mezzo sbronzo, il quale la scambia per una prostituta. Lei reagisce colpendolo con un pugno, e alla fine lui si scusa e vanno a bere insieme vodka e whiskey. Il ragazzo, Fujishima, ha ventitré anni ed è originario di Hiroshima. Si tratta di un romantico sognatore, un bravo ragazzo. Yūri se ne innamora e trascorre buona parte del proprio tempo a casa sua, si sente per la prima volta a suo agio con un ragazzo. Una sera Fujishima rientra con un fascio enorme di tulipani: li regala a Yūri, insieme a un anello, dicendo che sono per il suo compleanno, anche se molto in anticipo. I tulipani (Fujishima le dice che le assomigliano, lei che è alta e snella) sono ventidue, come gli anni che lui presuppone Yūri dovrà compiere. Ma quando lei gli confessa di aver mentito e di avere solo sedici anni, lui va su tutte le furie e la caccia via di casa. Yūri, delusa ma coccolata dalle amiche della band, sfila alcuni tulipani dal mazzo e li lascia infilati in un muretto, di modo che ne restino sedici, come la sua vera età: c’è tempo per crescere.

Nella postfazione all’edizione tascabile, l’autrice scrive che il romanzo è ambientato a inizio anni Novanta, quando la crisi economica non era ancora cominciata e non era ancora in atto il boom dei telefoni cellulari. C’era però il boom delle rock band: tutti gli adolescenti pensavano di mettere su una band,

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andavano ai concerti e si vestivano grunge. Il rock, a differenza dei decenni precedenti, non era più una cosa per pochi e soprattutto era una cosa adatta anche alle ragazze. Nirei Akiko (2007, pp. 224-230) afferma che le piace ascoltare ogni tipo di musica e andare a ogni tipo di concerto, ma che solo il rock continua ad assicurarle una sensazione di pura estasi.

Myūjikku buresu yū (Music Bless You, 2008) di Tsumura Kikuko, ancor più del romanzo di Nirei Akiko, è grossomodo la cronaca quotidiana della vita della diciassettenne Azumi, dalla fine dell’ultimo anno di liceo all’esame di ammissione all’università. Carina, alta e coi capelli colorati di rosso fuoco, Azumi (anche lei!) suona il basso in un gruppo di punk melodico e ha una sola grande passione: la musica rock e i CD. Non si separa quasi mai dal suo CD walkman e dalle preziose cuffiette, e trascorre le sue giornate tra negozi di dischi, pomeriggi nei caffè di Osaka in compagnia degli amici e mattinate presso la scuola di preparazione all’esame di ammissione. Azumi e i suoi amici vivono alla giornata, apaticamente, senza sogni particolari, senza stimoli e interessi specifici – a parte il rock, è ovvio, di cui conoscono alla perfezione passato e presente. La musica costituisce il loro unico rifugio, in una società monotona, che minaccia seriamente di inaridire i loro cuori. Quando, in seguito a una lite, Azumi lascia la band di cui fa parte, la sua quotidianità diventa ancor più monocorde. Lei si sente viva solo quando chiacchiera di musica (vengono citate cult band di tutto rispetto quali XTC, Bad Religion, Blink 182 ecc.) con i suoi coetanei o quando si perde tra gli scaffali dei negozi di CD. Alla fine, il gruppetto di amici si scioglie, in quanto tutti, tranne la protagonista, vengono ammessi presso università lontane da Osaka. Bocciata all’esame, Azumi avrà un altro anno di tempo per decidere il suo futuro, ammesso che il futuro potrà un giorno far parte dei suoi interessi.

Sia Il compleanno dei tulipani, sia Music Bless You riflettono la decadenza di ideali nella cultura rock odierna, o meglio da inizio anni Novanta in poi, in seguito alla piccola grande rivoluzione post-grunge, quando il successo planetario

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di una band indipendente come i Nirvana ha scatenato la corsa delle major per mettere sotto contratto gruppi fino a poco tempo prima legati al circuito indipendente, radendo quasi al suolo il fertile sottobosco underground e causando una degenerazione commerciale estrema. Le protagoniste dei due romanzi presi in esame suonano in una band essenzialmente perché è cool, un po’ come la protagonista del noto manga di Yazawa Ai, Nana (2000). Gli ideali dei Sixties, ben descritti da Murakami Ryū, Ashihara Sunao e altri autori ora sessantenni sono solo un lontano ricordo. Perché la gente ascolta i Duran Duran, si chiedeva Pier Vittorio Tondelli, quando ci sono in giro gente come gli Everything But The Girl e gli Smiths? Perché, possiamo aggiungere noi, al giorno d’oggi molti adolescenti pensano che i Tokio Hotel siano un grande gruppo rock e non si accorgono che si tratta solo di una band costruita a tavolino? Simon Frith, uno dei più autorevoli critici ed esperti di musica popolare, nel suo famoso Sociologia del rock (1978), individua una grave contraddizione alla base di questo genere/movimento, che da genuino è divenuto elemento conciliante tra ribellismo e capitale (Frith, 1982), nel senso che il rock è stato sfruttato commercialmente fino all’inverosimile – e questo è vero oggi più che mai, dopo il fenomeno grunge –, in questa nostra epoca del tardo capitalismo e della globalizzazione spietata.

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