Corso di Laurea Magistrale in Lingue e Civiltà
dell’Asia e dell’Africa Mediterranea –
Curricula Giappone
(Nuovo Ordinamento, ex D.M. 207/2004)
Tesi di Laurea Magistrale
Il Giappone dell’Orrore
Un’analisi del macabro e del soprannaturale
nelle arti giapponesi dall’epoca pre-‐moderna
Relatore
Ch. Prof.ssa Silvia Vesco
Correlatore
Ch. Prof. Bonaventura Ruperti Laureanda Selene Sovilla Matricola 827245 Anno Accademico 2017/ 2018
INDICE
INDICE ...…...…... 1 PREMESSA ... 2 はじめに ... 4
1. EPOCA PRE-‐MODERNA: IL SOPRANNATURALE IN PERIODO EDO... 6
1.1 YŪREI: GLI SPIRITI NELLE ARTI E NEL TEMPO... 10
1.2 YŌKAI: CREATURE MOSTRUOSE DEL FOLKLORE ... 21
1.2.1 ONI, TENGU E SERPENTI: FIGURE RICORRENTI DI YŌKAI ... 26
1.3 UKIYOE: HOKUSAI, KUNISADA, KUNIYOSHI, YOSHIIKU, YOSHITOSHI ... 34
1.3.1 KATSUSHIKA HOKUSAI ... 38
1.3.2 UTAGAWA KUNISADA ... 44
1.3.3 UTAGAWA KUNIYOSHI ... 46
1.3.4 UTAGAWA YOSHIIKU ... 51
1.3.5 TSUKIOKA YOSHITOSHI ... 55
1.4 SHINIE: I NECROLOGI DELLO UKIYOE …... 62
2. EPOCA MODERNA: IL MACABRO CON L’EVOLUZIONE DEI MEDIA …... 73
2.1 CINEMA HORROR: L’UTILIZZO DEL TERRORE SULLO SCHERMO …... 78
2.2 MANGA E NON: L’ORRORE ILLUSTRATO…...…...……… 114
2.2.1 KAZUO UMEZU ... 128 2.2.2 SUEHIRO MARUO ... 133 2.2.3 JUNJI ITO ... 137 2.2.4 TAKATO YAMAMOTO ... 143 CONCLUSIONE …...…...…...…...…... 147 BIBLIOGRAFIA …...…...…...…...…... 151 SITOGRAFIA ... 153 APPENDICE …...…...…...…... 154
PREMESSA
La presente tesi prende in analisi le rappresentazioni e raffigurazioni del macabro e del soprannaturale nelle varie tipologie di arti visive giapponesi, in particolar modo quelle illustrate, con numerosi riferimenti alla letteratura, al teatro e soprattutto al cinema. L’elaborazione di quest’opera origina dalla convinzione dell’autrice nell’importanza di comprende la cultura dell’orrore di un dato paese, in questo caso il Giappone: capire cosa incute timore ad un certo popolo, cosa viene considerato spaventoso o fonte di pericolo e preoccupazione, e analizzare poi le modalità con cui viene rappresentato, è uno strumento essenziale per afferrare il peculiare punto di vista sociologico, psicologico e culturale di una nazione; la sua consapevolezza.
Elementi soprannaturali hanno permeato tutte le forme di espressione artistica giapponese e sono oggigiorno inglobati nella più moderna espressione di genere horror, ovvero di opere che mirano ad instillare nello spettatore un sentimento di paura, disagio o ribrezzo, ma con un fine preciso. Il macabro e il soprannaturale saranno qui considerati in quest’ambito, con l’obiettivo principale di far emergere la profondità del loro utilizzo. L’elaborato si appoggia alle parole di scritti del passato e di esperti della materia, ma si sviluppa in particolar modo attorno all’analisi delle rappresentazioni prodotte nella storia. L’opera è divisa in due capitoli, concentrati rispettivamente sull’epoca pre-‐moderna e l’epoca moderna. Il primo capitolo si suddivide in ulteriori quattro paragrafi: il primo e il secondo analizzano lo sviluppo delle figure degli yūrei e degli yōkai nella letteratura, nel teatro e nei dipinti; il terzo si sofferma sulle rappresentazioni del macabro e nel soprannaturale negli ukiyoe di epoca Edo, presentando inoltre le opere degli artisti del tempo ritenuti più rappresentativi, ovvero Katsushika Hokusai, Utagawa Kunisada, Utagawa Kuniyoshi, Utagawa Yoshiiku e Tsukioka Yoshitoshi. Il quarto paragrafo, invece, tratta degli shinie, forme di ukiyoe paragonabili ai moderni necrologi e prodotti in periodo Edo in occasione della morte di personaggi celebri, soprattutto attori di kabuki. L’autrice ha ritenuto opportuno inserirli a fini sia artistici che informativi, in quanto argomento per lo più sconosciuto e sul quale persino in Giappone ne esiste una letteratura estremamente limitata a riguardo1. Nel secondo capitolo, invece, l’opera si focalizza sul periodo moderno e
contemporaneo, discutendo dei cambiamenti susseguitesi nel genere horror, inteso come macabro e soprannaturale, con l’avvento dei media. Anch’esso è diviso in ulteriori due paragrafi, riguardanti rispettivamente il cinema e i manga, assieme alle illustrazioni, di cui si presenteranno altresì i lavori di Kazuo Umezu, Suehiro Maruo, Junji Ito e Takato Yamamoto. Si specifica che le opere e gli artisti che hanno contribuito in modo significativo allo sviluppo dell’arte giapponese di genere horror fino ad oggi sono numerosi e che coloro trattati in questo scritto sono di personale scelta e giudizio dell’autrice.
La presenza di elementi soprannaturali nella cultura giapponese è largamente esistita fin dall’antichità: nello shintō era data grande importanza ai kami e agli antenati, ai concetti di puro e impuro e di viaggio dopo la morte, e la successiva commistione degli ideali karmici di rinascita e dei relativi principi importati dal buddhismo risultò in una tradizione profondamente legata al paranormale, al trapasso e alle sue conseguenze. Tali credenze erano dunque accompagnate da specifici elementi di paura – oltre che a disparate tradizioni, culti e rituali sviluppatesi in loro risoluzione – tra le quali sono presenti una serie di creature ed esseri soprannaturali generalmente chiamate con il termine yōkai (妖怪), nonostante siano vari i termini esistenti per riferirsi a loro, come yōkai, yūrei (幽霊), bakemono (化け物) o mononoke (物の怪) per citarne alcuni. Si ritiene importante menzionare il dibattitto esistente ancora tutt’oggi tra gli studiosi in merito alla corretta categorizzazione di queste creature, a seconda della loro natura e delle loro caratteristiche; tuttavia, non si discuterà in questa tesi delle opinioni degli esperti a riguardo. Per evitare eventuali errori o complicazioni, e per semplicità, l’autrice ha giudicato opportuno utilizzare solamente i termini yōkai, in riferimento a creature dalle caratteristiche anomale e/o mostruose, e yūrei, per indicare gli spiriti di coloro che sono deceduti.
L’autrice ha cercato al massimo delle sue possibilità di lavorare in una contestualizzazione storico-‐artistica obiettiva e di fornire un’analisi quanto più accurata del macabro nell’arte giapponese, con il proposito di isolare questo ambito all’interno del vasto campo artistico nipponico e presentare una delle molte sfaccettature della cultura giapponese come fenomeno artistico capace di esistere a sé stante.
はじめに
本論文は、様々な日本の視覚的美術における、主に絵図、文学、演劇、映画、 マカブルと超自然の表象を分析するものである。マカブルと超自然的な要素は、 日本文化において元々見つけられる。現代、この要素は一般的に「ホラー」と 呼ばれるようになり、つまり、ビューアーの非常な恐怖、不安な心や嫌気のよ うな気持ちを刺激する目的がある作品である。本研究のテーマは、ある国の恐 怖文化を理解することは大切だという考えに基づく。なぜなら、人たちがどん なものに恐れ、危ないと思うものや心配するか、そしてそのものの表象を調べ ることは、国の人口の社会的、心理的、文化的な観点を理解するために大切だ からである。したがって、本論文の目的は、ホラーが浅い話題ではなく、歴史 の間に周りの現実を描写するものとして使用されていることを論証することで ある。 まず、研究は近世と近代の部分に分けられている。そして、近世という第一 章は、四つの項に分類されている。一番の項と二番の項では、文学、演劇、絵 図に「幽霊」と「妖怪」の伝統的な姿の進化を明らかにする。江戸時代に、日 本が徳川将軍家の下に統一された後、「怪談」と「百鬼夜行」というものは 人々の中で非常に人気があり、その理由で幽霊も妖怪も前よりもっと広がった。 三番の項では、江戸時代の浮世絵におけるマカブルと視覚的な表象を示し、さ らに北斎葛飾、歌川国貞、歌川国芳、歌川芳幾と月岡芳年のもっとも代表的な 作品も示す。四番の項は、浮世絵の「死絵」という図についての話である。現 代の死亡広告のように、死絵とは、幕末を中心とした近世後期から近代にかけて製 作され、主に歌舞伎役者が亡くなった際に訃報と追善を兼ねて刊行されたものであっ た。死絵には、再々幽霊や血などのマカブルと視覚的な特徴があるが、死絵につい ての研究がほとんどないので、本論文に組み込まれている。 それから、近代という第二章は、明治時代からマスメディアの進化の中でホ ラーがどう変わっているかで、二つの項に分けられる。一番の項は、映画が
日本に初めて来る時から、主に第二次世界大戦、バブル経済、テクノロジーの ような主要な時、どんなホラーの映画が作られ、歴史や社会の問題のような周 りの現実を描写するものとして使用されていたことを詳しく分析するものであ る。二番の項は、映画の話のように、漫画におけるマカブルと超自然的な特徴 の進化と歴史的、社会的な意味を研究する目的としている。さらに、ホラー漫 画の簡潔な歴史の後、楳図一雄、丸尾末広、伊藤潤二と山本タカトのもっとも 代表的な作品も示す。山本は漫画家ではないが、浮世絵のスタイルを現代的に アレンジした画家なので、論文に組み込んだ。 先に書いたように、日本では超自然主義は元々から存在している。神道には、 神、先祖、無垢と汚染の考えや後世への旅行などのものは非常に大事と考えら れた。のちに、神道が仏教の原理やカルマ法などと併合したのは、超自然的な ものと死ぬことに深くつながっている伝統を産んだ。したがって、この信念の 中には、恐れをなすこと、儀式、崇拝や特別な伝統が立てられていた。その上、 「妖怪」という超自然な生物も出ていた。実は、この生物を指すために、「妖 怪」、「幽霊」、「化け物」や「物の怪」などの様々な用語があり、現在でも もっとも正しい分類についての学者理論がまだ続いている。本論文ではその 様々な考えを論じることは目的としないので、珍しく醜怪な特徴を持っている 生物を指すためには「妖怪」が使われ、死者の霊を指すためには「幽霊」が使 用されている。確かに、歴史の間で日本美術の進化に資した芸術家は様々であ る。本論文に示した画家と作品は小さな部分のみだが、筆者の個人的な判断で 選ばれており、論文のテーマのもっとも代表的なものと考えられている。そし て、もっと明らかにする必要がある場合にイメージも付けている。 最後に、本研究は日本の大きい美術分野からマカブルと超自然のホラーを隔 て、この日本の一つの側面が自分の躯体を持っていることを説き示す目的もも っている。
CAPITOLO 1
EPOCA PRE-‐MODERNA:
IL SOPRANNATURALE IN PERIODO EDO
La produzione artistica in Giappone inizia e prosegue sin dall’antichità, con opere dal grande valore e dall’innegabile tecnica. Tuttavia, il boom artistico che avvenne dalla fine del sedicesimo secolo fino alla fine del diciannovesimo fu di significative proporzioni e vide una produzione largamente diversificata di dipinti, calligrafie, sculture e ceramiche. Questo fu dovuto soprattutto al clima di stabilità politica che si era finalmente ricreato e al conseguente aumento della domanda di opere artistiche. Prima dell’epoca pre-‐moderna, il Giappone aveva vissuto un periodo di guerre civili durato secoli: la relativa calma durata fino al dodicesimo secolo fu interrotta dal collasso della corte imperiale e dal successivo inizio di circa quattrocento anni di profonde rivalità. L’inizio dell’unificazione del Giappone, e della sua ritrovata stabilità, viene attribuita ad Oda Nobunaga, Toyotomi Hideyoshi e Tokugawa Ieyasu: fu quest’ultimo che prese il controllo del paese 1600 e venne proclamato shōgun nel 1603, dando così inizio ufficiale al periodo Edo, detto anche periodo Tokugawa. La ritrovata calma politica fece prosperare nuovamente l’economia e la produzione artistica, e arricchì soprattutto i mercanti, i quali, non potendo ostentare eccessivamente le loro ricchezze per via del loro basso livello sociale e di problemi politici del tempo, iniziarono a spendere i soldi accumulati in opere d’arte o in luoghi di intrattenimento, come i teatri kabuki 歌舞伎 o i quartieri di prostituzione. Questo nuovo clima favorì anche la comunicazione tra centri urbani e rurali, e gli spostamenti di varie personalità come artisti, cantastorie e preti itineranti. Fu dovuto anche questo motivo il grande proliferare di kaidan 怪談 e di elementi macabri nelle arti: le componenti soprannaturali erano sempre esistite nel pensiero e nell’arte giapponese, come può testimoniare anche solo l’esempio più noto, ossia quello del fantasma di Rokujō nel Genji monogatari 源氏物語 (XI sec.); tuttavia, le guerre civili avevano portato ad un generico declino artistico e letterario, ed è oltretutto ragionevole supporre che, in un periodo di così intensa guerra, l’horror potesse difficilmente essere visto come un divertimento e intrattenimento. Il termine kaidan divenne conosciuto in
occidente grazie al lavoro di probabilmente colui che viene considerato il più celebre studioso occidentale dell’ambito del diciannovesimo secolo, ovvero Lafcadio Hearn. Egli, il quale incontrò pure Enryō Inoue2, scrisse proficuamente in merito alla tradizione soprannaturale giapponese e la sua opera Kwaidan: Stories and Studies of Strange
Things, pubblicata nel 1904 poco prima della sua morte, fu la prima raccolta in lingua
inglese di kaidan tradotte da vecchi testi giapponesi.
Come menzionato sopra, opere contenenti elementi soprannaturali erano presenti già prima dell’epoca pre-‐moderna, anche se solitamente parte di un’opera più grande e non dedicate esclusivamente a quell’argomento. Oltre al Genji monogatari, ricco di simili elementi in tutte le sue parti, il primo vero e proprio esempio scritto arrivato fino ad oggi è il Nihon ryōiki 日本霊異記 (Cronache soprannaturali e straordinarie del Giappone), compilato da Kyōkai tra l’ottavo e il nono secolo e considerato la prima antologia di carattere soprannaturale: contenente centosedici setsuwa 説話 a tema buddhista, narra come atti buoni e malvagi vengano premiati e puniti in vita. Un altro esempio è il Konjaku monogatari 今昔物語 (Antologia di racconti passati e presenti), il cui termine di compilazione si data circa nel dodicesimo secolo: la raccolta include racconti dalla vasta differenza tematica, ma il ventisettesimo volume da solo ne contiene quarantacinque riguardanti demoni e spiriti maligni. Un terzo caso è lo Uji
shūi monogatari 宇治拾遺物語 (Raccolta di racconti di Uji), una raccolta di setsuwa
del tredicesimo secolo suddivisa in quindici volumi e contenente centonovantasette racconti. Le storie coprono varie tematiche e sono poche quelle originali, mentre molte sono in comune ad altri testi precedenti, come il Konjaku monogatari o il
Kojidan 古事談 (Antichi discorsi). L’Uji shūi monogatari è ambientato in Giappone,
Cina ed India, e le tematiche variano da racconti buddhisti a narrazioni secolari o folkloristiche, e raffigurano sia nobili che persone comuni.
Tuttavia, analizzando le raccolte di kaidan dell’epoca Edo, è evidente un largo processo di secolarizzazione di questi racconti: erano sempre presenti elementi buddhisti, ma l’obiettivo si era spostato dalla didattica al kai 怪, una pura ricerca di intrattenimento tramite il misterioso e lo spaventoso. Il primo esempio scritto
conosciuto di kaidan risale al 1627 ed è intitolato Kaidan zensho 怪談全書 (Scritti completi di strani racconti) e fu scritto da Hayashi Razan, uno studioso confuciano al servizio di Tokugawa Iemitsu, per intrattenere lo shōgun mentre questi era malato. La collezione è una traduzione di Razan di una serie di racconti cinesi scritti in lingua classica. È importante menzionare come anche il lato soprannaturale giapponese sia di influenza cinese: oltre ai chiari riferimenti buddhisti, giunti però molti secoli prima, anche le storie kaidan furono spesso ispirate da racconti provenienti dalla Cina. Le due raccolte più note sono Xi you ji 西遊記 (Viaggio verso ovest), scritto e pubblicato in forma anonima da Wu Cheng’en nel sedicesimo secolo, e Liaozhai zhiyi 聊齋誌異 (Racconti straordinari dello studio Liao), scritto all’incirca nel diciassettesimo secolo: il primo, corredato da elementi di mitologia cinese, folklore, buddhismo, taoismo e confucianesimo, è basato su elementi storici e narra il viaggio di un monaco buddhista dalla Cina all’India attraverso vari stati, tra cui gli odierni Kyrgyztan, Uzbekistan e Afghanistan; il secondo, invece, è una collezione di racconti che includono fantasmi, volpi, demoni e altre creature soprannaturali. Tuttavia, la tradizione cinese non presenta una cultura del soprannaturale sviluppata come quella giapponese: per quanto si possano trovare racconti affini, essi furono delle opere limitate e legate alla filosofia e al folklore, e che non si evolsero ulteriormente nella cultura popolare o nell’arte – non contando però le figure più simboliche come il drago. Il Giappone, che fu sempre a stretto contatto con la Cina, prese spunto da questi racconti, ma a seguito di una già avvenuta popolarizzazione del tema. Le storie kaidan, difatti, originano da un popolare gioco chiamato Hyakumonogatari kaidankai 百物語怪談会 (Insieme di cento racconti misteriosi), divenuto molto popolare in epoca Edo tra le persone di ogni ceto: di origine sconosciuta – ma probabilmente inventato dai samurai come prova di coraggio – il gioco consisteva nell’aggregarsi in una stanza e accendere cento candele; alla fine di ogni storia di terrore una candela veniva spenta, fino ad arrivare a cento storie e alla complete oscurità. Si credeva che durante il gioco sarebbe successo qualcosa di spaventoso e questo diede adito anche a racconti di sedute di gioco finite in modo tragico, con la comparsa di presenze maligne e paragonabili alle moderne sedute spiritiche. Il termine stesso hyaku – che in giapponese è un’espressione usata anche per indicare una grande quantità – deriva da un’altra leggenda chiamata
appunto hyakkiyakō o hyakkiyagyō 百鬼夜行 (Parata notturna dei cento demoni), presente già in periodo Heian, secondo la quale ogni anno, nelle notti estive e fino al sorgere del sole, cento yōkai attraverserebbero le strade uccidendo tutti coloro che si trovano a passare senza la protezione di un sutra. Per la precisione, era proprio lo
Onmyōryō 陰陽寮 (il Dipartimento della Divinazione) a determinare in quali notti
sarebbero usciti gli hyakkiyakō.
Fu così che l’interesse per le kaidan crebbe sempre più, aumentando la ricerca e richiesta di nuove storie, sempre più crude e spaventose. Con la diffusione della stampa in epoca Edo e l’incoraggiamento alla pubblicazione da parte di Ieyasu, gli editori presto capirono il valore della produzione di collezioni kaidan, oltre che a quella di piccoli libri economici e di facile diffusione. Alcuni tra i più noti kaidanshū 怪談集 (Raccolte di kaidan) furono lo Inga monogatari 因果物語 (Racconti di causa ed effetto), scritto dal monaco Suzuki Shōsan, pubblicato nel 1660 e fondamentalmente privo di lezioni buddhiste a scopo educativo; nel 1666, invece, il prete buddhista Asai Ryōi scrisse Otogi bōko 御伽婢子(Burattino a guanto), uno dei kaidanshū più influenti di tutti i tempi. Questo conteneva sessantotto racconti, diciassette dei quali tratti direttamente dallo Jiandeng xinhua 剪灯新话 (Nuovi racconti sotto la lampada), una collezione cinese di Qu You del 1378: Asai si ispirò ad essi e li riscrisse, adattandoli ad un’ambientazione giapponese e rimuovendo gli accenni buddhisti. Tra di esse è incluso il racconto Botan dōrō 牡丹燈籠 (La lanterna della peonia), il cui fantasma Otsuyu rimane tutt’oggi uno dei più celebri assieme ad Okiku e Oiwa: la storia narra di un samurai, Ogiwara Shinnojo, il quale si innamora di Otsuyu, una bella giovane dai lunghi capelli neri, e i due diventano amanti. Un giorno, tuttavia, un anziano vicino di casa nota Shinnojo in effusioni intime con quello che sembra essere un cadavere e, disgustato, si rivolge ad un prete buddhista. Il prete avvisa Shinnojo di essere in pericolo perché entrato in contatto con l’oltretomba e protegge la sua casa con dei
sutra; ciò nonostante, Shinnojo cede nuovamente alla tentazione seguendo Otsuyu
fuori casa e l’indomani viene ritrovato avvinghiato a lei nella sua tomba, con uno sguardo terrorizzato.
1.1 YŪREI: GLI SPIRITI NELLE ARTI E NEL TEMPO
Gli spiriti sono sempre esistiti nelle credenze popolari, sia per influenza shintoista che buddhista: oltre al timore per tutto ciò che è impuro e alla conseguente importanza data alla separazione dei morti dai vivi, i giapponesi temevano anche gli spiriti arrabbiati, ovvero spiriti di persone decedute in condizioni negative, ma anche spiriti ancora legati al mondo umano da forti emozioni, come pure l’amore, la gelosia o l’odio. Lo yūrei, tuttavia, non è un qualsiasi tipo di spirito e possiede delle specifiche connotazione, motivo per cui nella lingua giapponese si distingue anche tra yūrei e
gosuto ゴースト, termine usato per gli spiriti non giapponesi. Le caratteristiche sono
quattro: lunghi capelli neri, un kimono bianco, braccia abbandonate lungo i fianchi e la mancanza di piedi. Tale iconografia si affermerà soltanto dal periodo Edo e, come si vedrà nel corso dei successivi capitoli, sopravvive ancora oggi. Di seguito sono raffigurate due immagini, rispettivamente del 1309 e del 1515, ritraenti degli spiriti: come si può notare, in nessuna di loro sono presenti le tipiche caratteristiche elencate in precedenza; i fantasmi sono rappresentati come degli essere umani ancora in vita e l’unico elemento a differenziarli è una nuvola, una caratteristica usata in molti dipinti sia per distinguere il mondo reale dall’altro, sia come mezzo di trasporto dei defunti verso l’aldilà.
Raffigurazione dello spirito di Fujiwara no Toshimori nel Kasuga gonken gengie (Figura 1)
Nel primo dipinto, un estratto del
Kasuga gonken gengie 春日権現験
記絵 (Cronache dei miracoli delle divinità di Kasuga, Fig. 1), è raffigurato il defunto Fujiwara no Toshimori salire al cielo, guidato da una manifestazione del Buddha.
Scena del sogno nel Dōjōji engi
(Figura 2)
La leggenda del Dōjōji engi è in realtà molto conosciuta: ne esiste un celebre spettacolo per il teatro nō 能 ed è inoltre contenuta, in simili versioni, in vari testi, tra cui anche il Konjaku monogatari. Essa narra dell’amore di una donna, Kiyohime, per un monaco, Anchin: al rifiuto dell’uomo di sposarla, Kiyohime si tramuta in un serpente. Anchin fugge, nascondendosi sotto una campana del tempio Dōjōji, attorno alla quale si avvinghierà il serpente: il monaco morirà bruciato vivo e la donna suicida. In seguito, i monaci del tempio effettueranno dei rituali per dare pace ai due spiriti.
In ritorno alle caratteristiche dello yūrei nate in epoca pre-‐moderna, secondo Sara Sumpter3 il termine yūrei può indicare sia uomini che donne, nonostante gli yūrei
femminili siano di gran lunga più frequenti di quelli maschili: questo perché la donna, oltre che essere più fragile di salute e deperire più facilmente, era anche considerata più impura per via del ciclo mestruale e della gravidanza; che una donna morisse prematuramente era dunque considerato più probabile ed è anche per questo motivo che lo yūrei femmina possiede una sua iconografia classica, mancante invece per quello maschile. Tuttavia, come dimostrano i dipinti prodotti in epoche precedenti, i fantasmi di quel tempo non erano distinguibili dai vivi in termini di pettinatura o vestiti, perché considerati uguali nell’aspetto ad una qualsiasi ordinaria persona. In epoca Heian veniva data grande importanza alla cura e alla lunghezza dei capelli, ritenuti
3 Sara L. SUMPTER, From Scrolls to Prints to Moving Pictures: Iconographic Ghost Imagery from Pre-‐Modern Japan
to The Contemporary Horror Film, Explorations: The Undergraduate Research Journal, Gennaio 2006, pp. 9
Il secondo dipinto, invece, è una scena del Dōjōji engi emaki 道成 寺縁起 (Illustrazione del presagio del Dōjōji, Fig. 2) e raffigura gli spiriti di Anchin e Kiyohime riferire al monaco di essere stati salvati dai sutra e di poter quindi salire al cielo. Anche qui i due spiriti sono trasportati da una nuvola.
simbolo di bellezza e sensualità, come la stessa Murasaki Shikibu fa intendere nel suo
Genji monogatari; i rotoli raffiguranti l’opera mostrano donne dai vestiti di colori
sgargianti e dai lunghi capelli neri, sedute vicine a pettinarsi l’un l’altra. Dal periodo Edo, invece, i bijinga e gli shunga testimoniano una nuova tendenza nella pettinatura, dove non si usa più tenere i capelli sciolti, ma raccolti in complicate acconciature. Anche questo era collegato ad una visione di sensualità: non solo il collo e le spalle della donna venivano esposti, ma il poterla vedere con i capelli sciolti implicava l’aver raggiunto con lei un rapporto estremamente intimo. Ma uno yūrei non aveva più alcuna intimità da poter raggiungere e nessun motivo per prendersi cura di sé: i lunghi capelli neri e incurati di uno spirito non simboleggiano quindi femminilità, ma il suo esatto opposto, ovvero un ciclo naturale di vita interrotto prematuramente e che spesso è causa dell’infelicità stessa dello yūrei;
Dall’altro lato, il kimono bianco rappresentava invece un riferimento agli abiti bianchi che si era soliti far indossare ai defunti. In Occidente si tende erroneamente a credere che tale colore in Giappone sia il colore della morte, ma non è esatto: il bianco significava purezza e la celebrazione di essa. Nel caso dei morti, esso era simbolo della purificazione rituale a cui venivano sottoposti e un kimono bianco indossato da uno
yūrei ne era quindi un chiaro riferimento;
Come è evidente nelle opere di epoca Edo raffiguranti degli spiriti, è subito visibile lo sforzo dell’autore nell’utilizzare elementi iconici che informino l’osservatore su cosa stesse guardando. Mentre quindi le donne in vita erano dipinte con eleganti pettinature e vestiti colorati e di tendenza, spesso con in mano dei fiori, delle lettere o altre raffinatezze, gli yūrei erano l’esatto contrario. Il desiderio di distinguere donne defunte e pericolose da quelle sensuali e in salute ha portato nel tempo anche ad un’ulteriore caratterizzazione, ossia quella di mani scarne appoggiate lungo ai fianchi, senza alcun sintomo di vita o di movenza, con lo scopo di render ancor meglio l’idea di una figura spenta, malsana e priva di energia vitale;
L’ultima caratteristica, ovvero la mancanza di piedi, fu dovuto soprattutto alle opere di kabuki e alle sue tecniche di rappresentazione, per poi trovare applicazione anche nei dipinti. L’idea era quella di ricreare una figura che sembrasse meno umana possibile e da cui tenersi, quindi, distanti.
È fondamentale menzionare come la standardizzazione della figura dello yūrei e la popolarizzazione delle kaidan sia avvenuta anche grazie al teatro kabuki. Esso era una forma di intrattenimento per il popolo, per le classi sociali più basse, e si svolgeva all’interno dei quartieri di piacere; anche il livello degli spettacoli, della sceneggiatura e delle tecniche di esecuzione erano quindi meno raffinati – soprattutto se paragonati all’eleganza del nō – e proprio per le sue caratteristiche più immediate e coinvolgenti, con numerosi colpi di scena, il kabuki raggiunse un enorme successo tra le masse. Gli spettacoli spesso includevano violenza e brutalità, e varie tecniche particolari di performance, come un veloce cambio di abiti o la presenza di acqua sul palco, tutto questo per incrementare le emozioni e le percezioni dello spettatore. Le interpretazioni di storie kaidan divennero sempre più popolari tra il pubblico, che reclamava nuove trame e nuova violenza, e si creò un nuovo genere chiamato
kaidanmono 怪談物; man mano questo si evolse sempre di più, e con esso la figura
dello yūrei. Per poter quindi rendere inequivocabile la differenziazione fra personaggi vivi e defunti – oltre allo truccare in modo estremo il viso di personaggi non umani – si iniziarono ad usare delle funi per tenere sollevati da terra gli attori che impersonavano degli spettri: la combinazione con lunghi kimono che coprivano i piedi dava l’idea di un essere fluttuante che aveva perso qualsiasi connotazione umana.
L’attore di kabuki Nakamura Kankurō VI nel ruolo di onryō nello spettacolo
Funabenkei 船弁慶 (Figura 3)
È interessante notare anche la caratterizzazione del trucco: i teatri di epoca Edo non possedevano, naturalmente, luci artificiali ad illuminarli; l’illuminazione era fornita solamente da dei focolari e il pubblico con fatica poteva notare i particolari nell’aspetto degli attori. Il kumadori 隈 取 , ovvero il trucco di scena, fu sviluppato proprio per ovviare a questo problema, in quanto i colori forti e le linee spesse erano visibili fin da lontano. Ogni tipologia di personaggio aveva un suo specifico trucco e la variante per gli
In opposizione ai colori caldi utilizzati per le altre figure, a denotare il sangue e la vita che scorre in loro, le tonalità per i fantasmi erano fredde e spente: il viso era pitturato di uno spesso strato bianco, le labbra blu o nere e gli occhi erano solitamente circondati da sfumature circolari scure, a ricordare un cadavere. Erano sovente utilizzate anche folte parrucche scompigliate per accentuarne la natura di persona defunta (Fig. 3). Anche nel teatro nō la figura del fantasma non era meno rilevante e ne
sono prova gli spettacoli e le maschere. Ogni giornata di nō era suddivisa in cinque programmi: kamimono 神物 o waki nō 脇能, raffiguranti divinità; shuramono 修羅物 o
asura nō 阿修羅能; katsuramono 鬘物 od onnamono 女物, le cui protagoniste erano
donne; una quarta categoria di varie tipologie di spettacoli, tra cui gli onryōmono 怨霊 物; in ultimo, i kiri nō 切り能 od onimono 鬼物, i quali coinvolgevano mostri o demoni. Gli shuramono erano una categoria di chiara derivazione buddhista, dedicata esclusivamente a spettacoli raffiguranti fantasmi di famosi samurai morti in battaglia e imploranti salvezza a dei preti; gli onryōmono, invece, erano rappresentazioni ritraenti spiriti assettati di vendetta – conosciuti nel folklore, per l’appunto, con il nome di
onryō – e capaci di causare morte o disastri naturali. Al contrario del kabuki, però, nel nō non si utilizzava il trucco per distinguere i protagonisti ma delle maschere, diverse
per ogni tipologia di personaggi e differenti anche all’interno di ogni tipologia: le maschere usate per i fantasmi non erano, difatti, tutte uguali e non tutte possedevano connotazioni spaventose o assimilabili allo stereotipo di un defunto (Fig. 4)
Maschera deigan 泥眼 (occhi dorati), una delle maschere del teatro nō utilizzate per rappresentare degli spiriti, in questo caso uno onryō (Figura 4)
È qui però necessario evidenziare la profonda differenza tra kabuki e nō: il primo era un genere teatrale popolare destinato ad un pubblico comune e con il puro scopo di intrattenere e fare successo, senza limiti di pudore, violenza o stranezza; il secondo, invece, era un teatro di lunga tradizione, caratterizzato da eleganza e raffinatezza e dalla stessa continua ricerca di esse, da tempo oramai destinato ai ceti sociali più elevati. La presenza di figure soprannaturali nei due generi teatrali era dunque naturale, in quanto aventi le stesse radici culturali, ma non aveva lo stesso scopo: nel
kabuki erano impiegati grandi sforzi per cercare di raffigurare la paura e/o la crudeltà,
per instillare forti emozioni nello spettatore e possibilmente esaltarlo dinnanzi a ciò a cui stava assistendo; anche il nō aveva naturalmente lo scopo di piacere e di intrattenere, ma al contrario del kabuki la sua filosofia era incentrata su un’ideale di grazia e bellezza, per cui anche la più infima o spaventosa delle figure non poteva cadere nella volgarità: ne è prova il fatto che anche gli spiriti rappresentati negli spettacoli nō fossero sempre di origini aristocratiche o guerriere, o di domestiche al soldo di importanti famiglie. Zack Davisson4 condivide un’interessante osservazione
riguardo lo Ugetsu monogatari 雨月物語 (Racconti di pioggia e di luna), scritto da Ueda Akinari nel tardo diciottesimo secolo e divenuto una delle raccolte di kaidan che più hanno segnato il corso della letteratura giapponese: secondo Davisson, nello
Ugetsu monogatari sarebbe evidente una diretta influenza del teatro nō, con
l’obiettivo di distanziare l’opera dalle arti popolari del kabuki e dell’ukiyoe, e di elevarla da zoku a ga. Alcuni indizi sarebbero evidenti già nel titolo, ove “ugetsu” richiama il titolo stesso di una precedente opera nō raffigurante anche il monaco Saigyō, e “monogatari” collegherebbe lo scritto ad altri celebri testi della letteratura, come il
Genji monogatari o il Konjaku monogatari, conferendogli così un senso di importanza.
Inoltre, la struttura stessa del racconti seguirebbe lo schema di una giornata di nō5: nella prima storia (Shiramine 白峯, Shiramine), il monaco Saigyō incontra lo spirito dell’ex imperatore Sutoku; nella seconda (Kikka no chigiri 菊花の約, L’appuntamento dei crisantemi), uno studioso incontra un samurai gravemente malato; nella terza, (Asaji ga yado 浅茅が宿, La casa tra gli sterpi) una donna attende per anni il ritorno del marito, partito da casa in cerca di fortuna. Il quarto, quinto e sesto racconto
4 Zack DAVISSON, Yūrei: The Japanese Ghost, Chin Music Press, Tokyo, 2015, pp. 188-‐193 5 Si veda pp. 14 di questo scritto
rientrano nella quarta categoria del teatro nō: Muō no rigyo 夢応の鯉魚 (La carpa del sogno) rappresenta un kyōranmono 狂乱物, ossia una storia di pazzia, e narra di un monaco buddhista a cui viene concesso di vivere un giorno sotto forma di carpa;
Bupposō 仏法僧 (Ghiandaia celeste) è ambientata in tempi moderni ed è quindi una genzaimono 現在物: racconta di un monaco che, nel suo cammino attraverso il monte
Kōya, si imbatte in un gruppo di samurai morti da lungo tempo che si sfidano ad un torneo di poesie; Kibitsu no kama 吉備津の釜 (La pentola di Kibitsu), invece, è un
onryōmono e parla di un uomo che abbandona l’affettuosa moglie per l’amante,
causandone la morte. Vi sono altre tre storie nello Ugetsu monogatari, delle quali le prime due fanno parte della categoria di kiri nō e narrano di oni e yōkai, mentre l’ultima è uno shūgen 祝言, ovvero un racconto leggero e dai tratti celebratori, comparabile ad un brano di bis. Più nel dettaglio, Jasei no in 蛇性の婬 (La passione del serpente) narra di un mostruoso serpente bianco che prende forma umana per sedurre un giovane uomo; Aozukin 青頭巾 (Cappuccio blu) parla, invece, di un bonzo che, impazzito per la morte di un suo giovane discepolo, ne mangia il corpo per averlo dentro di sé e diventa così un demone; Hinpukuron 貧福論 (Discorso sulla ricchezza e sulla povertà) riporta invece il discorso tra un samurai e lo spirito dei soldi, per discutere su cosa dia più felicità tra la povertà e la ricchezza.
In riferimento ai sopracitati onryōmono, il concetto di spirito vendicativo era presente già in periodo Heian, nonostante sia conveniente denotare prima la distinzione tra
onryō e goryō 御霊: entrambi sono spiriti guidati da un senso di vendetta e rancore,
con l’unica differenza che i secondi appartenevano in vita a classi aristocratiche. Citando alcune antiche leggende, si trova traccia di onryō già nello Shoku nihongi 続日 本紀 (797 d.C.), il quale attribuisce la morte del monaco Genbō alla mano dello spirito del suo rivale polito Fujiwara Hirotsugu. Un ulteriore esempio è lo spirito di Sugawara no Michizane, un poeta, studioso e politico facente parte della corte imperiale. Dopo la sua morte in esilio, in seguito ad una serie di disordini politici, iniziarono a verificarsi svariate calamità naturali considerate conseguenza del suo spirito irato: per placare il suo fantasma gli furono quindi restituiti a postumi i suoi titoli aristocratici, cancellata ogni menzione del suo esilio ed egli reso kami dello studio, ruolo che tutt’oggi detiene
nel Giappone contemporaneo. Un ultimo esempio è il già citato fantasma di Rokujō nel
Genji monogatari: questo caso, nonostante completamente fittizio, rappresenta
un’ulteriore variante della credenza nel soprannaturale. Rokujō, infatti, non era uno
yūrei, bensì un ikiryō 生霊, ovvero uno spirito vivente: il suo sentimento di gelosia nei
confronti di Aoi era tale da averla tramutata in spirito, portandola ad uccidere tutte le sue rivali in amore. Risulta dunque ancora più evidente il profondo timore sempre esistito verso tutto ciò che non è umano, ma soprattutto verso la morte, la sua impurità e le conseguenze di un possibile contatto con i vivi. Come scrisse Lafcadio Hearn ancora un secolo fa, nella sua opera Japan: An Attempt at Interpretation: “Most strikingly did they formulate the rule of the dead over the living. And the hand of the dead was heavy: it is heavy on the living even today”.
Le leggende e i racconti continuarono ad evolversi nel tempo e uno degli onryō più conosciuti in Giappone rimane quello di Oiwa, già menzionato precedentemente assieme ad Otsuyo ed Okiku. Oiwa era la figura principale della storia Tōkaidō yotsuya
kaidan 東海道四谷怪談 (Storia spettrale di Yotsuya nel Tōkaidō), scritta nel 1825 da
Tsuroya Nanboku IV come opera per kabuki. In breve, la trama, intricata e successivamente modificata nel tempo, narra di vari intrecci amorosi. Oiwa, la moglie di un samurai chiamato Iemon, viene avvelenata da Oume, una donna invaghitasi del marito: il veleno disfigura orribilmente il viso di Oiwa, motivo per cui il marito decide di lasciarla. La donna finisce poi per morire pugnalata accidentalmente e il suo fantasma irato perseguiterà Iemon a vita, portandolo ad assassinare Oume e a morire in pazzia, isolato su una montagna, ucciso dall’ex marito della sorella di Oiwa.
Ultimo è Okiku, il terzo fantasma della triade e protagonista di una kaidan chiamata
Banchō sarayashiki 番町皿屋敷 (La casa dei piatti di Bancho), nata inizialmente come
spettacolo di burattini. Esistono varie versioni della leggenda, di cui una delle più note la vuole ambientata nel castello di Himeji; la storia narra di un samurai invaghitosi di Okiku, una domestica, e che tenta in tutti i modi di sedurla. Ai continui rifiuti della donna, il samurai le fa credere di aver smarrito il decimo piatto della preziosa collezione di casa; naturalmente Okiku non riesce a trovarlo, dopo aver contato e ricontato, e confessa la sua colpa all’uomo. Egli la ricatta proponendole di diventare sua amante, ma all’ennesimo rifiuto della ragazza la uccide gettandola in un pozzo.
Okiku si tramuta quindi in un onryō abitante il pozzo e si narra che il suo spirito si sarebbe sentito contare ogni notte fino a nove, per poi urlare orribilmente al posto del numero dieci. Oiwa, Otsuyu e Okiku sono figure di popolarità così vasta da essere chiamate con l’espressione San Oyūrei 三大幽霊, ossia i Tre Grandi Spiriti.
I personaggi delle leggende e delle kaidan hanno rappresentato alcuni dei soggetti più popolari per pittori ed editori, soprattutto negli ukiyoe. Il dipinto considerato la prima raffigurazione di uno yūrei senza piedi è attribuito a Maruyama Ōkyo (1733-‐795) ed intitolato Oyuki no maboroshi お雪の幻 (La visione di Oyuki, Fig. 5), importante anche per la sua iconografia tipica.
La visione di Oyuki
(Figura 5)
Va menzionato come esistessero varie credenze riguardo i capelli femminili: essi erano visti come simbolo di sensualità, ma erano anche considerati una potenziale fonte di pericolo ed impurità: si credeva, infatti, che in mancanza di appropriati rituali funebri, i capelli del cadavere potessero attirare kami vendicativi e prendere vita propria.
Maruyama Ōkyo fu un pittore nato nelle vicinanze di Kyoto e noto per un suo stile personale che combinava le tecniche della scuola kanō 狩野派 con tecniche cinesi e occidentali. Fu il fondatore della scuola Maruyama, conosciuta anche come scuola naturalista.
Secondo un’iscrizione di un successivo proprietario dell’opera, creata nel 1750, il dipinto nacque in seguito ad una visione di Maruyama: egli era stato profondamente innamorato di una geisha, morta giovane; una notte Maruyama si svegliò e la vide aleggiare sopra il suo letto, e al suo risveglio la dipinse esattamente come a lui era apparsa. Si notino i tipici capelli neri lunghi e scompigliati, le vesti bianche e, come sopramenzionato, la mancanza della parte inferiore del corpo.
È tuttavia probabile che esistano vari altri dipinti precedenti quello di Maruyama che rappresentano spiriti senza piedi e che il dipinto di Oyuki sia semplicemente quello che più ha influito sugli autori successivi. Kajiya Kenji – che nel suo articolo6 discute la correlazione tra fantasmi e sogni e analizza il motivo per cui dal diciassettesimo secolo la raffigurazione dello spirito cambiò, in particolar modo con la mancanza della parte inferiore del corpo – supporta questa teoria con un interessante esempio, ovvero il
Kazannoin kisakiarasoi 花山院きさきあらそい (La discussione con la regina al tempio
di Kasano, Fig. 6).
La discussione con la regina al tempio di Kasano
(Figura 6)
L’illustrazione – di autore sconosciuto ma attribuita da Suwa Haruo al drammaturgo Chikamatsu Monzaemon7 – è un pannello facente parte di un libro illustrato di uno spettacolo di burattini e raffigura, in alto a sinistra, uno spirito nel quale non compaiono né i piedi, né tutta la parte inferiore del corpo. Ciò di più rilevante è, appunto, il fatto che l’opera sia stata prodotta all’incirca nel 1673, quasi un secolo prima del dipinto di Oyuki di Maruyama.
6KAJIYA Kenji, Nihon no chūsei oyobi kinsei ni okeru yume to yūrei no shikaku hyōshō (Rappresentazione di sogni e
spiriti nel Giappone medievale e moderno), Hiroshima Shiritsu Daigaku Geijutsugaku Kenkyūka Kiyou (Rivista di
Ricerca della Facoltà e Dipartimento d’arte dell’Università Pubblica di Hiroshima), Vol. 16, Luglio 2012, pp. 37-‐44
加治屋 健司『日本の中世及び近世における夢と幽霊の視覚表象』広島市立大学芸術学部芸術学研究科紀 要、編16、7 月、2012 ページ 37-‐44
7 SUWA Haruo、Nihon no Yūrei (Spettri giapponesi)、Iwanami Shoten、Tokyo、1988, pp. 169