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IL METODO XRD PER LA QUALIFICAZIONE DELLE SUPERFICI IMPLANTARI IN ODONTOIATRIA

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Academic year: 2021

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1 1. RIASSUNTO

Questa tesi ha voluto sintetizzare quelle che sono le potenzialità della tecnica XRD

(Diffrattometria a raggi X) in ambito odontoiatrico al fine di effettuare uno studio morfologico e qualitativo delle superfici implantari. È stato fatto un preliminare studio bibliografico nel quale è stato ricercato l’uso che è stato fatto della Diffrattometria a raggi X in ambito implantologico odontoiatrico. La maggioranza degli studi analizzati hanno mostrato un utilizzo di tipo

prevalentemente qualitativo di tale tecnica anche se in alcuni casi la diffrattometria è andata oltre effettuando speculazioni di tipo quantitativo e volumetrico.

La tesi è costituita inoltre da una componente sperimentale vera e propria. Sono stati infatti sottoposti ad analisi XRD due campioni di Titanio sottoposti a trattamento acido. È stat fatta un’elaborazione numerica (Fit) dei principali picchi presenti nei diffrattogrammi ottenuti. Tale operazione ha consentito un studio più accurato del campione. Al fine di verificare la c orretta esecuzione dell’operazione di fit è stato effettuato un controllo di consistenza interna relativo ai soli picchi attribuibili al Titanio basato sull’andamento della FWHM in funzione della tg2 . Ciò ci ha permesso di chiarire ed approfondire incertezze sollevatesi in studi precedenti.

Infine è stata effettuata l’interpretazione dei dati ottenuti. Sono stati quindi identificati tutti i picchi appartenenti al titanio. Sono inoltre stati riscontrati tracce di composti del Titanio derivanti dal processo di acidificazione (ossidi ed idruri di Titanio).

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2 2. INTRODUZIONE ED OBIETTIVI

Negli ultimi anni la ricerca in ambito implantologico ha sempre più focalizzato l’attenzione sull’importanza dell’interfaccia osso-impianto ed in particolare in che modo la topografia implantare influenza i processi di guarigione che si verificano a livello del peri -impianto. Questo orientamento giustifica la varietà delle superfici implanatri che oggi sono in commercio. Per capire quali sono i benefici ed i limiti di come una superficie può influenzare i processi biologici è preliminarmente necessario conoscere approfonditamente ed intimamente tale superficie. Esistono diverse metodiche ad oggi che ci permettono di effettuare lo studio di una superficie, ognuna di esse dotata di particolari vantaggi e svantaggi. Questa tesi ha adottatola tecnica della diffrattometria a raggi X (XRD). Tra tutte è sicuramente l’unica ad avere una risoluzione spaziale dello stesso ordine dei diametri atomici (Ångstrom). Essa ci consente inoltre, grazie al supporto di particolari software, di effettuare valutazioni di diverso tipo: dall’analisi qualitativa dei componenti superficiali, allo studio quantitativo di tali componenti, alla valutazione della rugosità superficiale.

È proprio questa capacità che è stata utilizzata in questo studio, il quale si è posto l’obiettivo di approfondire alcuni risultati ottenuti in precedenti studi85, 86 e che erano stati lasciati in sospeso per ulteriori e successive verifiche.

È stato per questo effettuato lo studio di un campione di Titanio, precedentemente sottoposto a trattamento acido.

Il corpo centrale di questa tesi è articolato in 4 sottoparagrafi.

Il primo (§ 3.1) riassume quelli che sono i principi dell’osteointegrazione; elenca ed illustra i principali tipi di superfici implantari ed il loro riscontro clinico; indica le metodiche che ci consentono di effettuare lo studio di una superficie ponendo l’accento sui vantaggi che offre la tecnica XRD e ne spiega brevemente i principi.

Un secondo capitolo (§ 3.2) contiene una revisione dell’utilizzo in letteratura odontoiatrica della diffrattometria a raggi X. Sono stati presi in esame 39 articoli e sono stati studiati e sintetizzati. Il capitolo successivo (§ 3.3) spiega il metodo che è stato utilizzato per effettuare l’elaborazione matematica dei dati grezzi provenienti dal diffrattometro. È stato utilizzato un software

dedicato, DIASVAR96 (centroid DISplacement and peak VARiance). È un pacchetto numerico scritto in C++ che realizza il monitoraggio strumentale, calcolando gli effetti sistematici che alterano la posizione del centroide e la variazione di picchi di diffrazione.

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3 Infine (§ 3.4) è riportata la parte sperimentale vera e propria della presente tesi. Vengono descritti i campioni utilizzati, due dischi in titanio acidificati, che sono stati sottoposti a scansione diffrattometrica. Una volta ottenuto il diffrattogramma sono stati presi in esami i picchi principali e attraverso il software DISVAR96 è stato fatto il fit degli stessi.

Successivamente è stata fatto uno studio qualitativo delle specie del titanio presenti sulla superficie implantare. Per raggiungere tale obiettivo sono stati paragonati i picchi presenti sui diffrattogrammi ottenuti con i cartellini PDF relativi al Titanio ed ai suoi principali ossidi ed idruri. In questo modo siamo stati in grado di individuare tutti i picchi appartenenti al Titanio. Ciò ci ha consentito di effettuare un controllo di consistenza interna dei diffrattogrammi, basato sull’andamento della FWHM di tali picchi in funzione della tg2 . Tale controllo di consistenza interna ci ha permesso di assegnare ad ogni picco la appropriata appartenenza al componente chimico (fase) presente sulla superficie. Di conseguenza, il miglioramento della conoscenza del diffrattogranna ha co nsentito di individuare picchi minori relativi e relativi ad ossido di Titanio (Anatase) e all’idruro di Titanio TiH2. Questi composti risultano formati sulla superficie del titanio

conseguentemente al processo di acidificazione subito dal campione. L’indagine bibliografica eseguita conferma i risultati che sono stati ottenuti

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3.QUALIFICAZIONE DELLA SUPERFICIE IMPLANTARE A MEZZO

XRD

3.1 Sintesi dello stato dell’arte

Al fine di rimpiazzare elementi dentari perduti sono stati utilizzati differenti tipologie

implantari: impianti sottoperiostei, impianti fibroincapsulati ed impianti endossei con diretto contatto osseo (osteointegrati). Schroeder definisce questa interfaccia osso-impianto “anchilosi funzionale”.

Il passato dell’implantologia dentaria e ortopedica ha visto l’utilizzo di diversi tipi di materiali implantari come il carbonio, l’ossido di alluminio, il biovetro, le ceramiche di fosfato tricalcico. Ad oggi il materiale più diffuso nell’implantologia osteointegrata è il Ti. Esso si distingue da ogni altro materiale per la sua biocopatibilità, biofunzionalità e bioinerzia; il modulo elastico (E) simile a quello osseo; un peso specifico 4 volte inferiore rispetto a quello delle leghe auree; ha una conduttività termica molto bassa; gode di ottima durezza, robustezza e resistenza alla masticazione;ha infine un’azione batteriostatica.

La forma dell’impianto, intesa come disegno del corpo e la posizione delle spire, può

influenzare il processo di osteointegrazione. Tra questi ha ad oggi valore fondamentali l’utilizzo di impianti autofilettanti. Infatti sappiamo che la quantità di osteointegrazione e il tempo in cui la possiamo ottenere è inversamente proporzionale al trauma dell’inserimento chirurgico implantare . Gli impianti taglienti o autofilettanti sono dotati di margini apicali taglienti. Il sito implantare deve essere precedentemente preparato con frese pilota e twist drills al fine di creare un canale osseo di un diametro lievemente inferiore a quello implantare. La porzione apicale dell’impianto tagliente si ingaggia nel canale preparato e avanza nel tessuto osseo stabilendo il diametro finale. Ciò consente un abbondante contatto iniziale (stabilità primaria) ed un minor trauma di inserimento.

La superficie implantare rappresenta uno dei sei fattori che Albrektsson et al. descrissero tra quelli che influenzano la guarigione del sito implantare favorendo in tal modo

l’osteointegrazione4 ed è l’argomento che questa tesi si pone l’obiettivo di approfondire. La qualità della tessitura topografica superficiale influisce notevolmente i processi biologici, riducendo l’intervallo di tempo che intercorre fra il posizionamento implanatre, la guarigione del sito e il caricamento protesico degli impianti.

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5 Sono state realizzate numerose varietà di superfici in Ti ed esiste effettivamente una dicotomia in base alla rugosità superficiale, che andremo a definire con la sigla Sa, utilizzata da gran parte della letteratura, con la quale si distingue la superficie implantare in:

- superficie liscia (smooth) la cui Sa è minore o uguale a 1 m;

- superficie ruvida (rough), la cui Sa risulta maggiore di 1 m ottenuta attraverso diversi trattamenti chimico-fisici.

Wenneberg et al.37 hanno suggerito suggerito di utilizzare il termine smooth per descrivere l’abutment, mentre i termini minimally rough (0.5-1 m ), inremediately rough (1-2 m), i.e. moderatamente ruvida, e rough (2-3 m) per le superfici implantari.

La rugosità della superficie implantare è in grado di migliorare l’osteointegrazione fra la fixture e l’osso aumentando l’area di contatto dell’impianto con i tessuti biologici, sia nelle fasi

immediate che nelle fasi successive. Il grado di resistenza alla forza di trazione, torsione e compressione risulta essere maggiore rispetto agli impianti con superficie liscia già con la sola filettatura e con la presenza di microritenzioni.

Dobbiamo rilevare, tuttavia,che un potenziale svantaggio delle superfici rugose è rappresentato da un più elevato rischio di perimplantite e un maggiore rilascio di ioni metallici. Detti rischi sono stati riscontrati negli impianti aventi una superficie con Sa>2 m. Recenti documentazioni cliniche hanno posto in evidenza un dato assai rilevante: superfici moderatamente rugose (cioè con Sa tra 1 e 2 m) mantengono un buon livello di osso anche a 5 anni di follow up e quindi con un minor rischio di perimplantite.

In sintesi risulta che il rischio di perdita di ioni, analogamente al rischio di perimplantite, vada ad accrescersi con l’aumentare della rugosità di superficie38.

Si evince, in conclusione, che gli impianti con cui possiamo ottenere i migliori risultati sono quelli con superfici rugose, in particolar modo quelle caratterizzate da una Sa intermedia tra 1 e 2 m; le differenze di risultati tra i due tipi di superficie sono comunque minime e speso non statisticamente rilevanti.

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6 LE SUPERFICI LISCIE

La superficie di Titanio puro viene definita in vario modo: tornita, lavorata, liscia; tali termini andrebbero evitati in quanto l’analisi microscopica ha mostrato la presenza di una ruvidità a causa dei solchi e delle creste prodotte durante il processo di tornitura. Essa infatti è dotata di un valore di Sa compreso tra 0.53 e 0.96 m a seconda dei protocolli di fabbricazione, dal grado di biomateriale (il grado di Ti dipende a sua volta dal contenuto in ossigeno), dalla forma e dall’affilatura dello strumento di taglio utilizzato.

Caratteristiche comuni in tali superfici lisce è la presenza di linee parallele circonferenziali della profondità di 0.1 m, perpendicolari all’asse lungo dell’impianto6.

Su tale superficie si osserva l’ancoraggio dell’osso attraverso una sua crescita all’interno delle piccole irregolarità presenti sulla superficie implantare.

LE SUPERFICI RUGOSE

Diverse sono le tecniche tramite le quali la superficie implantare può essere trattata con lo scopo di ottenere una rugosità superficiale ottimale. Distinguiamo le varie tecniche per il differente procedimento adottato:

- Addizione: la rugosità è raggiunta attraverso una serie di processi di rivestimento della superficie implantare;

- Sottrazione: la rugosità è conseguita tramite metodiche di mordenzatura acida, di sabbiatura e bombardamento con grana di varia dimensione della superficie implantare. La rugosità in questo caso è ottenuta con l’eliminazione di materiale. - Combinazioni di più tecniche che rappresentano l metodiche più moderne ed

innovative.

Titanium plasma spray

Una delle metodiche più adoperate è il rivestimento con TPS (Titanium Plasma Sprayed). Tramite questo tipo di trattamento si può giungere ad un valore di Sa prossimo a 6 m65. Tale processo si attua mediante un bruciatore al plasma ad arco voltaico che, è in grado di elevare la temperatura di un gas nobile o di N2/H2 nel quale sono spruzzate polveri di idruro di titanio con granulometria di 50-100 m che grazie alla fusione del loro strato più superficiale aderiscono al corpo del cilindro sul quale sono deposte. Le particelle ammorbidite vengono così ad apporsi

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7 sulla superficie e rapidamente solidificano. La superficie risultante è abbastanza irregolare e rugosa. Questo incremento della tessitura superficiale che ha determinato la formazione di vuoti di volume relativamente grandi nei quali l’osso può crescere, si traduce in un più alto valore di resistenza al torque di rimozione.

Numerosi studi, comunque, hanno rilevato la presenza di controversie concernente gli impianti TPS. Per esempio sono state osservate particelle di Ti nei tessuti perimplantari, dovute alla frizione venuta a generarsi durante le manovre di inserimento implantare. Inoltre la superficie TPS ha spesso favorito un incremento di mobilità ed una maggiore incidenza di infiammazione perimplantare e di recessione tissutale. Albretksson et al. nel 200439 riporta che le nuove superfici implantari rivestite con plasma spray possiedono una Sa>2 m e quindi come tali presenterebbero un rischio più elevato di perimplantite. Ciononostante numerosi studi hanno evidenziato che la preparazione con TPS permette di aumentare la superficie disponibile per l’adesione ossea, inducendo quindi l’aumento della quota di superficie implantare che entra in contatto con il tessuto mineralizzato, effettuando un comparazione con impianti in titanio liscio6. Per tale motivo viene a crearsi un più forte ancoraggio osso-impianto. Questo stretto contatto risulta essere simile al legame biomeccanico che avviene per le superfici lisce anche se un’eccesiva rugosità (Sa>2 m) può contrariamente renderlo di minore di intensità.

Il legame impianto osso più stabile si viene a creare con superfici implantari dalla Sa=1.5 m38.

Superfici Sand Blasted

Un’altra metodica impiegata per la modificazione delle superfici implantari è la sabbiatura, un metodo che prevede la sottrazione di materiale (sandblasted): la superficie implantare viene bombardata con particelle di ossido di alluminio (Al2O3) o di ossido di titanio (TiO2) e per un fenomeno di abrasione si viene a creare una superficie rugosa con depressioni irregolari. La rugosità sembra essere correlata con la dimensione delle particelle, in primis, ma anche con il tempo di sabbiatura, la pressione e la distanza fra la sorgente delle particelle e la superficie implantare. Attraverso la tecnica di sabbiatura di una superficie liscia di Ti con particelle di Al2O3 di 25mm, 75mm, o 250mm di diametro si ottengono superfici con valori di ruvidità che variano da 1.12 a 1.20, 1c.43, e da 1.94 a 2.20 m rispettivamente39. In una serie di studi che pongono a confronto la superficie sabbiata (Tioblast), che risulta essere moderatamente rugosa, con superfici più lisce (turned) e superfici più rugose (Tps), è stato osservato che la superficie

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8 moderatamente rugosa determinava una più forte risposta ossea rispetto alle più lisce e alle più rugose64.

Le superfici trattate con ossido di Titanio hanno fornito risultati migliori rispetto a quelle trattate con ossido di alluminio dato che la superficie viene maggiormente contaminata e conseguentemente viene a determinarsi una riduzione dello strato di ossido di Ti sulla superficie implantare, da cui dipende e ha origine il delicato processo di osteointegrazione.

Uno studio45 ha valutato gli effetti di tre differenti superfici in Titanio, smooth (S), sandblasted (SB) e Titanio con il rivestimento in plasma sprayed (TPS), sulla proliferazione, sulla sintesi di DNA, sulla differenziazione ed apoptosi di cellule in coltura SaOS2 simili agli osteoblasti umani. È stato osservato che il numero delle cellule nelle prime 96 ore cresce lentamente nelle colture a contatto con l superfici SB e TPS, mentre la proliferazione cellulare è significativamente più alta sulle superfici S dopo 72 e 96 ore.

La sintesi del DNA è stata determinata tramite l’incorporazione nelle cellule della 3H-Timidina rivelando un significativo incremento di questa nelle cellule a contatto con la superficie smooth a differenza dell’incremento ottenuto a contatto con le altre superfici; questo però accade solo dopo le 72 ore.

Tuttavia è stato evidenziato che la sintesi delle proteine della matrice extracellulare è più abbondante sulle superfici TPS e SB rispetto alle superfici S. I risultati sulla modificazione dell’adesione cellulare sui dischi in Ti hanno dimostrato l’esistenza di una più alta espressione per i recettori per le integrine sulla superficie TPS rispetto a SB e a S.

Infine per quanto riguarda la modificazione del processo di apoptosi o morte cellulare programmata non è stata appurata alcuna differenza significativa tra le differenti superfici46.

Superfici acidificate

L’acidificazione ha il vantaggio rispetto alla precedente tecnica sand blasted di modificare la superficie del titanio senza lasciare residui, di evitare un trattamento non uniforme e

controllare la perdita dal corpo dell’impianto. Essa è ottenuta mediante bagni in soluzioni acide a base di acido cloridrico (HCl), acido solforico (H2SO4), acido fluoridrico (HFl), ed acido nitrico (HNO3) in varie combinazioni.

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9 In studio su conigli di superfici mordenzate con HCl e SO4 la resistenza al torque di rimozione 2 mesi dopo l’inserimento degli impianti è stata 4 volte superiore rispetto a quella degli impianti torniti.

La doppia acidificazione del Ti con acido idrocloridrico e acido solforico determina l’acquisizione di una maggiore rugosità superficiale.

Questa tecnica è stata usata con il sistema implantare Osseotite®, in cui la tessitura superficiale non è uniforme lungo l’intera superficie, ma presenta valori di Sa di circa 1,8-2 m nella parte più alta della filettatura, ma la rugosità diminuisce a circa 0.5-0.7 m nelle depressioni lungo i fianchi66;67.

La concentrazione della soluzione acida, la temperatura, il tempo sono fattori determinanti per il risultato dell’attacco clinico e della microstruttura finale della superficie7.

Superfici sabbiate e con mordenzatura acida

La combinazione di sabbiatura e mordenzatura acida ha dato luogo ad un altro tipo di superficie implantare che è la SLA (Sand blasted, Large grit, Acid-etched; Straumann)6-65.

Gli impianti vengono sabbiati con particelle a grana larga 250-500 m per poi essere acidificati in una soluzione bollente di acido idrocloridrico e acido solforico. Questo permette di ottenere una macrotessitura conseguente all’abrasione meccanica della prima tecnica, ed una

microtessitura finale effetto dell’acidificazione.

Questo trattamento combinato tende a promuovere un maggior contatto osseo in momenti più precoci rispetto agli impianti TPS. le superfici sabbiate e con mordenzatura acida presentano anche maggiori proprietà osteoconduttive ed una più alta probabilità di indurre la

proliferazione cellulare rispetto alla superfici plasma srayed.

La Sa ottenuta è pari a 1.6 m, quindi moderatamente rugosa. Si è dimostrato in vitro che l’attività della fosfatasi alcalina in cellule simil osteoblasti è maggiore su superfici SL A rispetto che su superfici TPS44; studi sperimentali hanno invece dimostrato una risposta ossea più forte su questo impianto che non sul Ti liscio46.

Uno studio comparativo tra 68 impianti SLA e 68 impianti TPS mostra un 100% di successo per entrambi. Un report su innesti in combinazione con impianti SLA mostrano un successo del 97.8% ad un anno di follow up.

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Superfici anodizzate

Al fine di modificare le caratteristiche dello strato ossido e quindi per migliorare la

biocompatibilità della superficie implantare è stato usato negli impianti dentali il processo di ossidazione.

Viene applicata una tensione al campione di titanio immerso in una soluzione elettrolitica. Ne consegue la formazione di micropori di diametro variabile privi di citotossicità. L’attac co e la proliferazione cellulare sono migliori rispetto alle superfici tornite.

Lo spessore dell’ossido risulta superiore rispetto a quello degli impianti torniti: da 200 fino a 1000 nm contro 17,4 dei secondi campioni. Il torque di rimozione sei settimane dopo il posizionamento in tibie di coniglio degli impianti anodizzati sono risultati più alti rispetto a quello di impianti torniti (12,9 N/cm contro 7,5 N/cm).

In umani microimpianti lasciati guarire per 6,6 mesi hanno mostrato una BIC del 36% rispetto a l 13% dei controlli torniti.

Superfci rivestide di idrossiapatite

Il rivestimento di idrossiapatite (HA) costituisce una differente metodiche che consente di favorire la completa integrazione dell’impianto con il tessuto osseo. Con questo tipo di

trattamento sia la rugosità sia la chimica superficiale sono alterate. La rugosità raggiunge valori di Sa di circa 5.8 m, e la chimica di superficie cambia completamente: al posto dell’ossido di Ti otteniamo un prodotto ceramico simile all’osso con un notevole potenziamento del legame chimico all’osso stesso. La seguente tabella (Tabella I) sintetizza quelli che sono i vantaggi e gli svantaggi di tale metodica.

Vantaggi Svantaggi Vantaggi rispetto ai TPS

 Aumentata area di superficie  Aumento della scabrosità per la ritenzione primaria  Maggior resistenza dell’interfaccia osso-impianto  Sfaldamento, fragilità durante l’inserimento  Aumento della ritenzione di placca  Difficoltà di trattamento in caso di perimplantite

 Aumento dei costi

 Più veloce guarigione dell’interfaccia ossea  Miglior guarigione tra

osso ed idrossiapatite  Interfaccia più

resistente dei TPS  Minor corrosione del

metallo Tabella I. Vantaggi e svantaggi degli impianti rivestiti con HA.

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11 Inoltre alcuni autori, in seguito ad analisi post mortem di impianti rivestiti di HA, hanno

mostrato la perdita del rivestimento di HA in circa il 22% della superficie implantare. Tuttavia queste aree mostravano comunque un diretto contatto dell’osso con l’impianto.

Alcuni autori hanno ritenuto dubbia l’affidabilità di questo rivestimento, tuttavia in letteratura sono presenti risultati molto contradditori. Ciò può essere dovuto al fatto che lo strato di HA può essere ottenuto mediante diverse tecniche: bagno di rivestimento e sinterizzazione, deposizione elettroforetica, rivestimento per immersione, pressione isostatica a caldo, rivestimento a spruzzo e tecniche di spray termico (plasma spray).

La tecnica plasma spray ha mostrato una serie di problemi: variazione di forza di legame all’interfaccia metallo rivestimento, scarsa uniformità della densità del rivestimento e alterazioni chimiche e strutturali dello stesso in seguito alla procedura. Per superare tali problemi è state introdotte differenti tecniche, come il trattamento termico o la tecnica di deposizione ionica radio graficamente (IBAD, Ion Beam-Assisted deposition)

Uno studio in conigli ha dimostrato che superfici IBAD a confronto con superfici sabbiate consente di ottenere valori decisamente superiori di BIC. Tuttavia gli stessi autori hanno segnalato che il controllo del riassorbimento necessita di ulteriori indagini.

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METODICHE E TECNOLOGIE PER LA VALUTAZIONE DELLE SUPERFICI IMPLANTARI

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Attualmente esistono cinque principali metodiche di valutazione qualitativa e quantitativa delle superfici implantari. (Sono presenti approfondimenti in merito a questo capitolo su Appendice § I.5)

a) il profilometro a contatto meccanico; b) gli strumenti a profilo ottico;

c) lo Scanning Probe Microscopes;

d) la microscopia elettronica a scansione (SEM); e) l’X-Ray Diffraction (XRD);

quest’ultima è la metodica utilizzata nel seguente studio sperimentale che merita una trattazione a parte.

I profilometri a contatto meccanico si basano su un porta stilo con punta di diamante che viene fatto scorrere sulla superficie del campione a velocità costante.

Vi sono diversi motivi per cui abbiamo escluso tale tecnica per lo studio della superficie implantare: le dimensioni escluderà la valutazione dei solchi più piccoli del suo diametro così come ripide pendenze; la punta è sempre in contatto con il campione e quindi è

esposta al consumo e alla contaminazione. Inoltre dischi e cilindri possono essere misurati con un profilometro a contatto meccanico, mentre solo alcune parti di un disegno a vite possono essere analizzate con questo metodo. Infine se il materiale è troppo delicato, la superficie potrebbe essere danneggiata dal carico applicato sulla punta. Questo è un inconveniente comune a tutti i sistemi a contatto. Solitamente i carichi applicati sono nell’ordine dei mg per i contatti meccanici. Un rivestimento di HA potrebbe essere alterato.

Gli strumenti a profilo ottico, a differenza della metodica di cui sopra, devono al loro non contatto con la superficie del campione di studio il loro vantaggio nell’analisi di materiali con superfici delicate. Gli strumenti ottici sono generalmente più veloci e hanno una migliore risoluzione rispetto agli strumenti meccanici a contatto.

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13 Focus Detection System: questo sistema sfrutta un raggio di luce che proviene da una punta di circa 1 m di diametro. Il raggio viene scorso sulla superficie tramite il movimento dl campione, del fascio di luce o dell’obiettivo. La sezione del fascio e la lunghezza d’onda della luce del fascio determina la risoluzione laterale che normalmente è compresa tra 1 e 1.5 m, mentre la massima risoluzione verticale è approssimativamente 500 m, comunque range di risoluzioni grossolani se confrontati con quelli della XRD. Un ulteriore svantaggio consiste nel fatto che l’elevata riflessione crea problemi per trovare il corretto fuoco e ciò determina generalmente una sovrastima della rugosità di superficie57.

White light interferometer: In questa tecnica di valutazione superficiale, il fascio di luce viene separato in due, uno viene riflesso da un piano di riferimento, l’altro attraversa la superficie del campione che deve essere analizzato. L’irregolarità di superficie causano un cambio di fase nel raggio riflesso, alcune onde favoriranno o elimineranno altre. Il margine d modulazione è proporzionale all’altezza della superficie. Ogni punto della

superficie viene misurato indipendentemente dalla precedente misurazione inducendo così possibili errori di integrazione. Il White Light Interferometer è un sistema molto rapido con ampi margini di risoluzione sia verticalmente che lateralmente. Ha però lo svantaggio della difficoltà di misurare irregolarità di superficie con inclinazioni maggiori di 3° nelle

superfici con scarsa capacità di riflessione.

Infine lo Scanning Probe System misura l’interazione tra una punta sottile e la superficie del campione. La punte è collegata ad un’asta. Vengono registrati i movimenti verticali dell’asta sulla superficie del campione. Lo Scanning Tunnelling Microscope e il Microscopio a Forza Atomica sono le più comuni tecniche per questo tipo di strumenti, e sono le più indicate per le analisi topografiche. Il range di misurazione normalmente usato è 100 X 100 m e la massima portata è circa 6 m. la risoluzione verticale è molto precisa.

Vantaggi nella ricerca implantare: l’altissima risoluzione di questa metodica, che consente la visualizzazione e lo studio delle molecole proteiche. Può essere utilizzata per analizzare la relazione tra la ruvidità di superficie ed i processi biologici.

Svantaggi nella ricerca implantare: l’area da analizzare ed in particolar modo il massimo range di misura sono troppo piccoli per molti tipi di superfici implantari. Ciò significa che le misure non sono sempre possibili o almeno che l’area di misurazione non deve essere realmente selettiva, questo implica che le misurazioni potrebbero non essere

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14 LA DIFFRATTOMETRIA A RAGGI X

La diffrattometria a raggi X o XRD (X-Ray Diffraction) è un complesso fenomeno generato dall’interazione di un fascio di raggi X con una sostanza che è generalmente cristallina. Questa interazione genera un fascio che ha caratteristiche fisiche diverse da quelle del fascio incidente. La diffrazione è osservata quindi come una serie di massimi di intensità “diffratta”, la cui posizione dipende dalle caratteristiche geometriche e dalla simmetria dei reticoli del materiale cristallino e la cui posizione dipende dalle proprietà cristallo

-chimiche e fisiche del reticolo, ma anche da aberrazioni strumentali. Quando ci si addentra nell’argomento della diffrazione si fa riferimento spesso al termine “polveri” (XRPD: X-Ray Powder Diffraction) che ha un significato diverso rispetto all’accezione comunemente usata. Polveri o blocchi di materiale sono costituiti da aggregazioni di particelle di cristallo molto piccole con uno stato di coesione più o meno elevato. Il metodo XRPD funziona molto bene sulle polveri quanto sui blocchi. Molteplici studi, ricerche e sperimentazioni che negli ultimi anni si sono susseguiti, hanno permesso alla diffrattometria di poter raggiungere uno stato dell’arte tale da poter considerare i risultati dotati di requisiti di riproducibilità, tracciabilità, accuratezza, obiettivo questo a cui tende ogni processo di misura.

Il significato fisico delle misure di diffrazione a raggi X di materiali cristallini è notevole se si pensa che la sua caratteristica peculiare è quella di eseguire misure e di fornire

informazioni nell’ordine dei nanometri, adatta a riconoscere le fasi cristalline presenti nei materiali oggetto di indagine a rendere visibile la presenza di difetti reticolari estesi. L’analisi che ne deriva è di tipo qualitativo e/o quantitativo sulla composizione mineralogica degli stessi. Ciò la rende eccellente per i controlli non distruttivi.

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15 Si evince dunque:

- una valutazione delle caratteristiche geometriche dei reticoli;

- una valutazione delle caratteristiche fisiche dei reticoli (forma, dimensioni, distorsioni, errori di sequenza ecc.) in relazione ad un campione di riferimento; - una valutazione delle caratteristiche cristallo-chimiche (fattori di struttura). - Una valutazione dell’impatto strumentale da relazionarsi con la “taratura” o

“calibrazione”.

Questa procedura ci permette quindi di andare ad analizzare le superfici implantari, diversamente trattate, a livello di risoluzione nanometrica valutando anche le fasi cristallino-reticolari del titanio. I campi di applicazione della diffrattometria sono comunque diversi ed eterogenei: dalle scienze della terra, alle scienze dei materiali, al settore farmaceutico, al settore ecologico fino ad arrivare a quello bio-medico. In questo ultimo campo questa tecnica può essere vantaggiosa non soltanto per la pura ricerca ma anche e soprattutto per applicazioni di tipo clinico non solo per quel che riguarda la valutazione delle superfici implantari ma anche per analizzare molecole biologiche ed organiche (come ad esempio la bioapatite) che interessano in primo piano il campo medico-clinico.

In seguito all’interazione di un fascio di raggi X con la materia si genera un secondo fascio detto radiazione diffusa. Quando il fascio incidente incontra un sistema ordinato (e.g. un reticolo cristallino) la radiazione diffusa è orientata, rafforzata e/o indebolita

coerentemente alla direzione e regolarità del sistema ordinato.

Tutto ciò fu dedotto per la prima volta da Bragg nel 1912. Egli dedusse infatti che un fascio di raggi X, incidente su un materiale cristallino, produceva un fascio diffratto contenente informazioni circa le caratteristiche reticolari del campione esaminato. Queste

caratteristiche potevano a loro volta essere dipendenti dai parametri di cella, dal gruppo spaziale e dagli elementi chimici che lo compongono. Ipotizzando che un fascio di raggi X, incidente su un cristallo, si comporti come un fascio di luce che colpisce una superficie, occorre anche ipotizzare che il cristallo sia costituito da una serie di piani reticolari paralleli ed equidistanti da loro. La legge di Bragg è:

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16 Dove:

- d è la distanza tra i due piani reticolari detta anche parametri reticolari; - l’angolo di incidenza;

- la variabile è la lunghezza d’onda del raggio x incidente - n è un numero intero;

- h, k ed l sono gli indici di Miller.

Noti e è possibile calcolare la distanza interplanare, caratterizzante il reticolo cristallino del campione in studio.

Consideriamo dei filari paralleli tra loro ognuno dei quali è contenuto su un piano

differente, ed un fascio di raggi X incidente. La legge di Bragg dimostra che la differenza di cammino tra due raggi riflessi da due piani consecutivi è 2d sen .

Fig. 3.1.1. Differenza di camino ottico tra due fasci diffusi da due piani consecutivi.

La Fig. 3.1.1 riporta in modo schematico questa dimostrazione dove la differenza di cammino ottico è il tratto CB + BD. Il piano si comporta come uno specchio per una radiazione che ha una lunghezza d’onda compatibile con la spaziatura reticolare del materiale che stiamo analizzando. La diffrazione alla Bragg quindi è un caso particolare di diffusione coerente multipla. Per questo

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17 il suo risultato finale viene anche detto semplicemente riflessione della radiazione e il fascio diffratto è indicato come fascio riflesso. L’equazione di Bragg, espressa in forma generale è:

2 dnhnknl sen =

Questo significa che ogni fascio diffratto è identificato da una terna di numeri interi h, k e l che definiscono l’orientazione dei piani e la cui costante reticolare è limitata alla relazione.

sen ≤ 1 quindi dhkl ≥ /2

La condizione di diffrazione di Bragg esprime l’angolo di incidenza del fascio dei raggi X affinché un determinato piano produca un raggio diffratto e ne definisce anche un limite di validità. In poche parole l’angolo di incidenza deve avere quel valore affinché 2 d sen abbia un valore uguale ad un numero intero di lunghezza d’onda corrispondente a quella del raggio diffratto. Si ha dunque, verificatasi questa condizione, una sovrapposizione di onde diffuse coerentemente definita costruttiva in quanto si ha una raggio diffratto che è impronta caratteristica del reticolo in esame.

Lo strumento da noi utilizzato, è un diffrattometro a raggi X da laboratorio, in configurazione detta di Bragg Brentano.

Il diffrattometro è composto essenzialmente da:

- un generatore di raggi X, costituito da un generatore ad alta tensione e da un tubo di raggi X;

- un sistema goniometrico capace di campionare il fascio diffratto ad opportuni valori angolari;

- un sistema rilevatore capace di rilevare i raggi X con un sistema detto a scintillazione, e ritrasformare gli impulsi in segnai elettrici adatti a misurare la posizione, l’intensità e la forma delle linee di diffrazione;

- un computer che, in alcuni casi, gestisce la parte goniometrica a dall’altro provvede all’acquisizione dei dati.

(18)

18 Il “tubo a raggi X” commerciale da laboratorio, è un contenitore in vetro e giunto metallico, sottovuoto; esso contiene un filamento metallico, detto catodo, ed una piastrina di metallo, detta anodo, situata dalla parte opposta. Il tubo è collegato ad un circuito elettrico di

alimentazione dove si riconoscono il circuito di riscaldamento del filamento ed il circuito di alta tensione che accelera gi elettroni generati in seguito al riscaldamento del catodo, dal filamento all’anodo. In conseguenza dell’urto anelastico degli elettroni, l’anodo emette i raggi X che escono dal tubo attraverso opportune uscite protette da materiale trasparente ai raggi X

(Berillio58). Lo spettro dei raggi X è dato dalla sovrapposizione di uno spettro continuo, legato al valore della tensione applicata al tubo, e di uno spettro di righe, detto spettro caratteristico, che dipende dal materiale dell’anodo, ovvero dal suo numero atomico. Tale spettro è

caratterizzato da picchi di intensità in corrispondenza di lunghezze d’onda ben definite e

dipendenti dagli atomi dell’anticatodo. I tubi più diffusamente utilizzati in XRD emettono raggi X con lunghezza d’onda compresa tra 0.4 e 2.5 Å che sono comparabili con le distanze

interatomiche. Gli elementi compatibili con questi requis iti sono argento, rame, cobalto, nickel, ferro e cromo. Nel nostro caso la piastra dell’anodo è costituita da rame che emette radiazioni caratteristiche. La più intensa è parte di un doppietto di radiazione ed ha lunghezza d’onda pari a 1.5405 Å (K 1). La separazione di questa lunghezza d’onda da altre non desiderate avviene attraverso l’uso di filtri e/o monocromatori (eliminazione della K ) o via software (eliminazione della K 2).

La funzione del sistema goniometrico è quella di consentire di orientare il cristallo rispetto alla sorgente di raggi X, seguendo variazioni angolari finissime dell’ordine di due centesimi di grado o minori. Su tale goniometro meccanico sono innestati opportuni dispositivi di collimazione (fenditure fisse o variabili automaticame nte), dispositivi di accoppiamento tra la sorgente ed il canale su cui viaggia il fascio, dispositivi portacampione (piastrine piatte o ricurve,

portacampioni atti ad esperimenti sottovuoto e a bassa temperatura), filtri che assolvono bene al compito di attenuare le lunghezze d’onda non desiderate e rilevatori del fascio a cui sono associati dispositivi elettronici formatori del segnale. La configurazione goniometrica più diffusa ed utilizzata nel seguente studio è quella ideata da Bragg Brentano. Questa tecnica, detta anche diffrazione a dispersione di angolo, ci permette di fare misure di spaziature reticolari o della loro variazione. Si deduce quindi che il fascio diffratto, che si ha ogniqualvolta si verifica il fenomeno della diffrazione, è registrato ad opportuni valori angolari, specifici per quel particolare materiale.

(19)

19 Il rilevatore è il dispositivo che registra il flusso di fotoni X presenti nel fascio diffratto. I

detector più utilizzati in XRD sono contatori a ionizzazione, a stato solido; possono essere basati sul principio fisico dell’integrazione nel tempo o nello spazio oppure possono essere basati sul principio della sensibilità alla posizione di rilevazione dei fotoni (Position Sensitive).

Il computer ha la funzione di memorizzare i diffrattog rammi raccolti, elaborarli e, in molti casi, gestire e controllare la strumentazione.

Per cui ricapitolando, il percorso dei raggi X durante un esperimento di diffrazione è sinteticamente riassunto come segue:

1. la sorgente lineare emette dei raggi X che, attraverso filtri e collimatori, vengono inviati verso il campione,

2. la divergenza dei raggi viene limitata da un elemento collimatore e da una fenditura di emergenza;

3. il fascio incide sul campione ed i raggi vengono diffratti;

4. questi raggi passano attraverso una fenditura di focalizzazione e per un collimatore; 5. infine, dopo aver attraversato una fenditura per l’eliminazione della diffusione, il

fascio diffratto colpisce il contatore;

6. il numero di “colpi” (i.e. fotoni) che colpiscono il contatore viene registrato su un appropriato supporto e descrive l’intensità del fascio nel tempo di osservazione che di solito varia da un secondo a poche decine di secondi per ogni postazione di

osservazione.

7. La registrazione del fascio avviene facendo muovere il contatore su un arco del goniometro, espresso in unità di 2 , ed inviando gli impulsi ad un dispositivo registratore.

Le informazioni contenute in un diffrattogramma sono adatte ad essere usate per scopi diagnostici. Attraverso lo studio e l’interpretazione dei picchi di massima intensità si può:

- identificare le fasi presenti in un campione di polvere policristallina e dare la concentrazione di queste (analisi quantitativa e qualitativa);

- ricavare dimensione e forma dei reticoli cristallini, eventuali variazioni dei parametri reticolari (analisi microstrutturale);

- caratterizzare e raffinare da un punto di vista cristallografico il contenuto delle celle elementari (analisi strutturale).

(20)

20 Potenzialmente dunque la diffrattometria a raggi X rappresenta un’indagine di valutazione molto completa e soprattutto molto fine dal momento che riesce a rilevare misure alla scala di frazioni di nanometri (i.e. Åmstrong).

Fig.3.1.2. Diffrattogramma ricavato da una raccolta di dati da un campione di titanio sottoposto a trattamento acido

Come si può notare dalla Figura 3.3.2 il diffrattogramma è una distribuzione di intensità in cui si riconosce una sequenza di massimi posti a valori angolari caratteristici, espressi in gradi e posti sull’asse delle ascisse. La distribuzione di intensità intorno a detti massimi identifica un profilo della linea di diffrazione che è caratterizzato dai seguenti parametri empirici:

- posizione (espressa in 2 ); - intensità del massimo;

- Larghezza a metà altezza o Full Width at Half Maximum (FWHM)

Talvolta possono essere utili anche parametri di forma e/o di allargamento della linea di diffrazione.

Questi parametri sono spesso calcolati utilizzando un sistema di elaborazione che usi funzioni analitiche per rappresentare la distribuzione di intensità della linea di diffrazione.

(21)

21

Studi precedenti

Tabella II elenco dei campioni utilizzati per lo studio sperimentale.

Sono stati precedentemente effettuai una serie di studi condotti su campioni di titanio sottoposti a differenti tipi di trattamento superficiale.

Dischi in Ti Tratramento di Superficie Numero di campioni Analizzati Nomenclatura dei dischi Rugosità superficiale Sa

Lucido Laccati 2 Lucido T2/ Lucido T3

Minima

Acidificato Sup. mordenzata 2 AC1/AC2 0,450,9 -micrometri-

Smooth Machined 2 Smooth 1 /Smooth 2

0,53-0,96 micrometri

Scratch Supifice sanda-blasted

2 Scratch T4

Scratch T1

1,5-2 mmmmm

Rough Ruvido per sottrazione meccanica 1 Rough R1 2-3 Osseotite TM Doppia acidificazione H2SO4/HCl 1 Osseotite Circa 1-3 NanotiteTM OsseotiteTM + deposizione discreta CaP 1 Nanotite 20-50 nm Titanium Plasma Spray Superficie Pasma Sprayed 3 TPS 1 TPS 2 TPS b >2 micron

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22 Ad ogni tipo di superficie ottenuta corrisponde una diversa rugosità superficiale (Sa) a seconda del trattamento impiegato (Tabella II)

In un precedente studio85 (vedi approfondimenti in Apendice I.8) è stata analizzata la larghezza del profilo delle linee di diffrazione rappresentata dal parametro FWHM (Full Width at Half

Maximum).

Tale parametro viene calcolato in funzione dell’espressione trigonometrica della tangente (tg ) del valore angolare .

L’andamento della FWHM con la tg segue la relazione: FWHM (tg )=k1 + k2 tg( )

dove è l’angolo di Bragg, k1 e k2 sono due costanti, la prima dipende principalmente da fattori strumentali, la seconda è sensibile alle proprietà superficiali oltre che ad alcune caratteristiche strumentali. I risultati ottenuti sono stati riportati su un grafico in cui il valore delle x

corrisponde ai valori delle tg e il valore delle y corrisponde ai valori di FWHM di ogni singolo picco

Ponendo a confronto le linee di tendenza dei campioni Lucido T 3-2, Smooth1-2, Rough1 è stato osservato un significativo incremento del parametro b (pendenza)delle linee quando il grado di ruvidità è progressivamente crescente.

Si è potuto quindi affermare che ad un aumento della rugosità superficiale si ah una variazione sostanziale della pendenza della linea di tendenza e quindi un incremento del valore del parametro FWHM.

Infatti, i campioni di titanio lucido a cui è associata una rugosità superficiale minima hanno valori di FWHM relativamente bassi, i campioni di titanio smooth, a cui è associata una rugosità intermedia, hanno valori di FWHM intermedi, i campioni di titanio rough, a cui è associata una rugosità elevata, hanno valori di FWHM elevata.

È stato calcolato il valore medio delle relative rette per tutti i campioni lucidi, smooth e rough, definito “retta media” per ogni tipologia di campione.

(23)

23 Una comparazione delle relative rette medie è necessaria per avere una corretta visione

d’insieme (Figura 3.1.2). In tal modo si ricava una maggiore evidenza della variazione di pendenza delle rette stesse.

La sperimentazione prosegue86 con l’analisi dei diffrattogrammi dei campioni TPS (Titanium – Plasma-Sprayed), i campioni acidificati, i campioni Osseotite® e Nanotite® e le relative linee di tendenza vengono poste in raffronto con le rette medie dei campioni lucidi, smooth e rough. Come si può dedurre dall’osservazione della Figura 3.1.2 le linee di tendenza dei campioni TPS vanno a “collocarsi” tra le rette medie di tendenza degli smooth e dei rough (rugosità

intermedia tra smooth e rough). Le superfici acide risultano essere assai dissimili da quelle sottoposte a trattamento meccanico per sottrazione e/o addizione cosi come le superfici trattate mediante doppia acidificazione (DAE) rappresentate dai i campioni Osseotite® e Nanotite® che devono essere sottoposti ad ulteriore analisi.

(24)

24

Figura 3.1.2.In figura sono presenti le linee di tendenza acid, smooth e lucidi, e l’andamento

delle rette dei campioni analizzati. Notare l’anomalo comportamento delle tendenze dei due campioni acidificati.

Dopo aver verificato la presenza di tali anomalie, è stata posta l’attenzione sui campioni TPS.

Al fine di attuare uno studio qualitativo sulle specie del titanio presenti sulla superficie impiantare i rispettivi valori di intensità di diffrazione di ogni ossido di Titanio sono stati comparati con i rispettivi valori prelevati dai cartellini PDF dei diffrattogrammi del Titanio e degli stessi ossidi.

Il diffrattogramma dei campioni titanium-plasma-sprayed è stato preso come base su cui riportare le informazioni prelevate dal database dei dati diffrattometrici (PDF del ICDD -ICPS) relativi agli ossidi citati.

Queste informazioni riguardano i valori di intensità di diffrazione relative ad ogni picco e gli indici h, k ed l che indicano la direzione di orientazione dei piani cristallini (indici di Miller)

Il tentativo di rilevare la presenza di ossidi di titanio quali brookite, Rutilo ed Anatase all’interno degli spettri diffrattografici dei campioni TPS non ha avuto esito positivo

Dall’osservazione dei grafici elaborati non è stata riscontrata coerenza con la presenza di un ossido in preferenza rispetto ad un altro. Sono necessari ulteriori approfondimenti, sebbene non vi siano immediatamente evidenze riguardo la presenza di ossidi.

(25)

25

3.2 Uso della XRD nell’implantologia odontoiatrica

La tecnica XRD è stata largamente utilizzata in letteratura odontoiatrica con il fine di fare valutazioni qualitative delle superfici implantari ottenute mediante diversi tipi di trattamento. Una completa analisi bibliografica è riportata nell’appendice § I.6. Qui sinteticamente si riporta quanto segue.

Trattamento alcalino

Il trattamento alcalino viene effettuato immergendo il campione di titanio in una soluzione elettrolitica ed applicandovi successivamente una tensione; ne consegue la formazione di micropori di diametro variabile privi di citotossicità.

Negli studi analizzati sono state utilizzate soluzioni alcaline come [Zn(OH)2] o (NaOH), in alcuni casi è stato fatto seguire un trattamento termico (600° e 800°), infine per alcuni campioni è stata combinata una reazione di passivazione usando una soluzione di HNO3. Come controlli sono stati utilizzati impianti in titanio commercialmente puro, privo di ulteriori trattamenti. Tutti questi studi hanno utilizzato la tecnica XRD al fine di ottenere un’analisi qualitativa e strutturale delle superfici ottenute successivamente ai trattamenti effettuati. Tale tecnica ha evidenziato con successo i seguenti risultati. Sui pattern provenienti dall’analisi di campioni sottoposti a trattamento alcalino si riscontra la presenza di picchi compatibili ossidi del Titanio (e.g. Anatase, e Rutilo) ed inoltre ossidi ternari costituiti dal Titanio e dal metallo presente nell’idrossido in soluzione (ad esempio sul campione trattato con NaOH è stato rilevato Titanato di Sodio, Na2Ti5O11.). In particolare, nei campioni sottoposti a soluzione alcalina [Zn(OH)2] viene riscontrata la presenza di Anatase TiO2 (101), Anatase TiO2(200), Rutilo TiO2 (100), Rutilo TiO2 (111).

Nei casi in cui i campioni sino stati sottoposti ad un ulteriore trattamento termico dai 600°C agli 800°C, la tecnologia XRD è in grado di evidenziare l’accrescimento delle componenti di ossidi superficiali, Anatase e Rutilo. In particolare in un campione sottoposto a trattamento termico di 800° i picchi del Rutilo sono risultati talmente intensi da superare l’intensità dei segnali

appartenenti al Titanio.

Idrossiapatite

Il rivestimento con idrossiapatite (HA) permette di ottenere in superficie un prodotto ceramico simile all’osso in grado di garantire un notevole potenziamento del legame chimico all’osso

(26)

26 stesso. In letteratura sono descritte numerose tecniche al fine di ottenere tale rivestimento. La prima tecnica descritta è la tecnica plasma spray. È stato tuttavia dimostrato che con tale procedimento si ottiene un legame debole tra substrato e rivestimento che spesso esita nella frattura tra le due componenti. Al fine di ottenere un maggior legame tra titanio ed HA sono state sviluppate tecniche quali rivestimenti elettrolitici di CaP, polverizzazione catodica

(sputtering deposition), deposizione sol gel, deposizione aereosol, deposizione laser pulsatile; e tecniche bifasiche costituite da deposizione elettroforetica o plasma spray seguita da

trattamento termico o pressurizzazione idrotermica.

La tecnica XRD si è dimostrata in grado di identificare chimicamente la presenza di HA su tutti i campioni trattati con le metodiche descritte. Infatti in alcuni studi la comparazione tra i pattern di diffrazione di pellet di HA e lo strato di HA ottenuto sulla superficie implantare mostra la coincidenza di intensità e posizione dei picchi presenti132. Inoltre le interpretazioni dei pattern consentono di fornire indicazioni sul grado di cristallizzazione dello strato di HA in relazione alle diverse tipologie di trattamento superficiale. La XRD ha infatti dimostrato come un ulteriore trattamento termico o un processo di pressurizzazione idrotermica siano in grado di attivare il processo di cristallizzazione di HA a partire dalla matrice amorfa che si era venuta a creare conseguentemente al primo trattamento (plasma spray, polverizzazione catodica, deposizione sol gel)128, 131.

La tecnica XRD in alcuni casi ha consentito di individuare la presenza un uno stra to di ossido di Titanio interposto tra il rivestimento di HA e il substrato di Titanio128. Questo è possibile nei casi in cui il rivestimento di idrossiapatite è piuttosto sottile ed i raggi X riescono quindi a

raggiungere gli strati ed esso sottostanti.

Infine la XRD ha permesso in alcuni casi di effettuare un’analisi quantitativa dei composti

costituenti lo strato superficiale. Uno studio125 ha effettuato tali elaborazioni calcolando le aree integrali sotto le curve dei fit dei picchi massimi di ciascuna delle fasi e dimostrando che un trattamento di pressurizzazione idrotermica consente di ottenere una percentuale di HA cristallizzata pari al 96% contro il 77% del controllo plasma sprayed. Un secondo studio 127 ha invece valutato il rapporto quantitativo tra le due componenti superficiali presenti: fosfato didrato dicalcico (DCPD) e idrossiapatite (HA), con la seguente formula:

X%= 100/(1+1.265IHA/IDCPD)

Dove DCPD esprime l’intensità del principale picco attribuibile a DCPD, e IHA l’intensità del principale picco di HA.

(27)

27

Trattamento acido

Il trattamento acido è in grado di incrementare la superficie implantare. Tale metodica ha il vantaggio rispetto alla precedente tecnica sand blasted di modificare la superficie del titanio senza lasciare residui, di evitare un trattamento non uniforme e controllare la perdita dal corpo dell’impianto.

In letteratura sono state studiate mediante tecnica XRD superfici implantari sottoposte a singolo trattamento acido con acido cloridrico (HCl), acido solforico (H2SO4), acido fluoridrico (HFl), ed acido nitrico (HNO3); impianti sottoposti a doppia acidificazione (una prima

acidificazione in soluzione HF ed una successiva in H2SO4/HCl o HCL/HF); impianti sottoposti a sabbiatura (sandblasted) e successivamente acidificati (HCl/H2SO4).

La Diffrazione a raggi X ha permesso di individuare, oltre ai picchi relativi al Ti, la presenza di ossidi del Titanio (Anatase e Rutilo) sulla quasi totalità dei campioni. Uno studio133 ha

dimostrato che l’ulteriore trattamento termico a differenti temperature (550° e 800°) di campioni precedentemente mordenzati è in grado di privilegiare la formazione di Anatase piuttosto che di Rutilo.

Infine è stato dimostrato135 che condizioni di forte mordenzatura acida portano alla presenza di TiH fino a 19-37%, mentre una mordenzatura moderata diminuisce il contenuto dell’idruro fino a 5-8%.

Zirconia

In letteratura sono stati individuati due soli studi che fanno utilizzo della XRD al fine di studi are impianti in zirconio.

Un primo studio137 ha valutato impianti in zirconio integrali i quali sono stati sezionati longitudinalmente e successivamente studiati con la diffrattometria a raggi X. È stato visto che le componente predominante è costituita dalla fase tetragonale dello zirconio ZrO2. Sono stati inoltre individuati picchi corrispondenti alla fase ZrO2 monoclina e la fase cubica Y2O3. Non è stata individuata la fase cubica dello zirconio. Tuttavia mancando una risoluzione longitudinale nella tecnica XRD, non è chiaro se la fase monoclina identificata sia presente nelle zone

superficiali o a livello del nucleo dell’impianto. Inoltre non si sa se il processo di sezionamento crei uno stress che contribuisca alla formazione della fase monoclina. La stessa osservazione vale per quanto riguarda la fase cubica Y2O3.

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28 Un altro studio138 ha analizzato due diversi tipi di rivestimenti di ZrO2 su substrati di Ti e i CoCrMo. Le due polveri sintetizzate sono ZrO2(3%Y2O3) e ZrO2(4%CeO2). L’analisi XRD non ha mostrato differenze tra i pattern di diffrazione delle polveri (indipendentemente dal tipo) e quelli dei rivestimenti costituiti dalla fase primitiva tetragonale. Sono stati osservati due piccoli picchi a 28.1° e 30.6° in entrambe le polveri ma erano assenti nei rivestimenti. L’analisi di campioni controllo sand blasted di Ti e di lega CoCrMo hanno mostrato rispettivamente una fase esagonale e una fase romboedrica.

(29)

29

3.3 Elaborazione numerica

Una volta ottenuto il diffrattogramma si individuano i picchi principali presenti che vengono elaborati numericamente mediante interpolazione (Fit).

Il sistema utilizzato per rappresentare le forme dei profili della linea di diffrazione è denominato DISVAR96 (centroid DISplacement and peak VARiance). È un pacchetto numerico scritto in C++ che realizza il monitoraggio strumentale, calcolando gli effetti sistematici che alterano la posizione del centroide e la variazione di picchi di diffrazione58. Qui è stato usato il protocollo di lavoro ridotto e riorganizzato per interpolare i dati

osservati con funzioni analitiche del tipo gaussiano, lorentziano e loro combinazioni. Questo risulta intrinsecamente efficace in quanto permette un controllo continuo di tutti i passaggi mediante visualizzazioni grafiche e verifiche di consistenza interna. Tale

protocollo si riassume nelle seguenti fasi: 1. stima del fondo

2. Primo fit numerico alla esclusiva ricerca del 2 minimo 3. Prime verifiche di consistenza su:

- intensità di 1 rispetto a quella fornita dalla scheda PDF di riferimento;

- spostamento del centroide di 1 rispetto al valore fornito dalla scheda PDF di riferimento;

- andamento del parametro P di gaussianità del profilo di 1 con 2 - andamento della FWHM di 1 con 2

- andamento di (2 1-2 3) con 2 - andamento della FWHM di 3 con 2 - andamento di (I 3/I 1) con 2

4. Secondo fit numerico alla contemporanea ricerca delle consistenze interne e del 2 minimo

5. Verifiche finali di consistenza e visualizzazione grafica del fit

All’innalzamento del fondo contribuiscono sia le aberrazioni fisiche strumentali (diffusione del porta campione, radiazione bianca, fenditure, effetto Compton, ecc.), sia le

caratteristiche campione (radiazione diffusa a causa di effetti reticolari, molto termico, assorbimento della radiazione, ecc.).

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30 La valutazione del fondo è il primo intervento che viene compiuto sul diffrattogramma e, se effettuato con scarsa sensibilità, le ripercussioni sui passi successivi possono risultare determinanti per una cattiva interpolazione dei risultati. Una errata approssimazione può, infatti, alterare parametri come la FWHM e riflettersi direttamente nel calcolo del centroide e della varianza dei picchi di diffrazione.

È opportuno, in generale, mantenendo il valore del fondo più basso possibile per non correre il rischio di includere nella sua stima anche conteggi appartenenti alla stima dei picchi.

I picchi osservati possono essere descritti analiticamente come somma di due funzioni tipo “Pseudo-Vogit” (che riproducono rispettivamente i massimi di diffrazione generati dalle righe K 1 e K 2 del rame) e di una Lorentziana (“picco satellite”) che riproduce l’asimmetria generata da effetti sistematici di aberrazione.

Dato che le due righe del doppietto del rame hanno una lunghezza d’onda molto vicina, si fa l’ipotesi che l’interazione abbia caratteristiche identiche nei due casi: in questo modo i parametri della seconda Pseudo-Vogit possono essere vincolati a quelli della prima. In sintesi, la descrizione analitica di un singolo picco è caratterizzata da 7 parametri

indipendenti da ottimizzare che costituiscono, assieme ai 4 parametri del fondo calcolati in precedenza e già ottimizzati, il file di imput del programma.

Questi 7 parametri, 4 relativi alla componente 1 e 3 al picco satellite 3, sono nell’ordine: 1. intensità massima di 1;

2. Parametro di gaussianità P di 1; 3. Larghezza a metà altezza di FWHM; 4. Centroide 2 0 di 1

5. Spostamento s3 del centroide di 3 rispetto a quello di 1; 6. Larghezza a metà altezza FWHM di 3;

7. Rapporto I3/I0 dove I3 è l’intensità massima di 3.

L’opzione “Make fit” o “Fit-Vogit”, a seconda delle versioni, appartenente al pacchetto, utile per ottimizzare questi parametri, compie un’operazione di “best fitting” sui dati osservati per mezzo di un algoritmo di minimizzazione del 2 secondo il metodo del minimo

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31

3.4 Approfondimenti sulle superfici acidificate

Lo studio qui presentato è stato condotto su dischi in titanio sottoposti a trattamento acido per impiego implantare in campo odontoiatrico: il tipo di trattamento a cui tali campioni in

particolare sono stati sottoposti non è stato trasmesso.

Tale studio è stato condotto con l’obiettivo di effettuare un’analisi qualitativa degli elementi e composti oltre al Titanio presenti sulla superficie del campione. Per conseguire tale fine sono stati raccolti dati da diffrattometria a raggi X.

Sono stati utilizzati due campioni commerciali precedentemente sottoposti ad acidificazione. Il processo di acidificazione si presuppone che abbia determinato una rugosità superficiale compresa tra 0,45-0,9 m. Non siamo a conoscenza del tipo di acido che è stato utilizzato per effettuare il trattamento, tuttavia i trattamenti acidi classici sono ottenuti mediante bagni in soluzioni a base di acido cloridrico (HCl), acido solforico (H2SO4), acido fluoridrico (HFl), ed acido nitrico (HNO3) in varie combinazioni.

I dati osservati sono stati raccolti tramite un diffrattometro di tipo Bragg Brentano Verticale (BBV) con configurazione -2 . Le acquisizioni sui campioni acidificati del primo campione (AC1) sono limitate ad un intervallo di compreso tra 10° e 100°. L’intervallo di acquisizione del secondo campione invece è compreso tra 20° e 100°.

È stata fatta l’interpolazione numerica dei picchi principali di entrambi i diffrattogrammi. Al fine di verificare che il fit sia stato condotto con sufficiente cura e per valutare la plausibilità dei valori del 2 è stato effettuato un controllo di consistenza interna utilizzando i valori dei soli picchi compatibili col Titanio.

Successivamente i dati osservati e quelli calcolati (fit) sono stati confrontati con i corrispondenti valori ricavabili dai cartellini PDF relativi al Titanio, dei suoi ossidi ed idruri che ipoteticamente possono essersi formati sulla superficie. Essi sono brookite, Anatase, Rutilo e fra gli idruri TiH1,971; TiH0,71; g-TiH; d-TiH; TiH2.

(32)

32

DISCUSSIONE DEI DATI

Figura 3.4.1. confronto fra dati normalizzati dei pattern AC1 e AC2

I due pattern, confrontati sullo stesso grafico (vedi figura 3.4.1), le seguenti analogie: - Sostanziale sovrapponibilità dei pattern AC1 e AC2

- Coincidenza tra le posizioni angolari dei picchi principali di AC1 e AC2.

Tuttavia sono state evidenziate le seguenti differenze:

- Differenze nelle intensità dei picchi che si trovano in entrambi i grafici.(vedi figure 3.3.2-3.3.6, picchi A, B, D, H, I);

- Picchi con intensità relativa inferiore al 5% che compaiono sul pattern di AC1 e non su quello di AC2 (vedi figure 3.4.2-3.4.6, picchi C, E, F, G).

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33

Figura 3.4.2. Confronto tra i due pattern, segmento compreso tra 37,5-41. Si noti la differenza tra l’intensità dei picchi denominati A e B.

Figura 3.4.3.. Confronto tra i due pattern, segmento compreso tra 37,5-41. Si noti la differenza tra l’intensità dei picchi denominati C e D.

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34

Figura 3.4.4.. Confronto tra i due pattern, segmento compreso tra 37,5-41. Si noti la differenza tra l’intensità dei picchi denominati C e D

Figura 3.4.5.. Confronto tra i due pattern, segmento compreso tra 37,5-41. Si noti la differenza tra l’intensità dei picchi denominati C e D

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35

Figura 3.4.6. Confronto tra i due pattern, segmento compreso tra 37,5-41. Si noti la differenza tra l’intensità dei picchi denominati C e D

CONFRONTO CON I DATI ESTRATTI DAI POWDER DIFFRACTION FILES

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36

Figura 3.4.8. Confronto tra dati osservati di AC2 e dati provenienti dal cartellino PDF del Titanio.

I picchi del Titanio previsti dal relativo cartellino PDF sono tutti presenti distintamente sui pattern AC1 e AC2. Tale corrispondenza riguarda soprattutto le posizioni angolari mentre esistono differenza consistenti tra le intensità relative PDF del Titanio e le intensità relative osservate. In particolare dalle figure 3.4.7 e 3.4.8 emerge una cons iderevole differenza tra l’intensità relativa del picco principale del dato osservato e quella compatibile con il dato PDF del Titanio (vedi tabella).

Le anomalie relative ai picchi Ti sono sistematiche in entrambi i pattern.

Per il picco 37,128 il nostro dato osservato e calcolato col fit ha le caratteristiche espresse in tabella

Campione AC1 AC2

2 I 2 I

Dato fit 37,880 1257 37,836 1489

Dato PDF 38,42 30 38,42 30

Tabella II. Confronto tra i dati calcolati (fit)i e dati provenienti dal cartellino PDF del Titanio

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37 Esiste una discrepanza tra 2 fit e 2 pdf pari a 0,54 per AC1 e 0,58 per AC2. L’intensità del riflesso [002] del Ti dovrebbe essere del 30 mentre la calcolata è del 100 in entri i pattern.

Figura 3.4.9. Confronto tra i dati osservati e i dati provenienti dai cartellini PDF del Titanio e dei

principali ossidi ed idruri di Titanio. Come evidenziato nella Tabella I esiste une discrepanza tra il 2 fit.del picco principale e il valore 2 PDF relativo al riflesso 002 del Titanio. Nell’elaborazione

numerica il picco in figura è stato interpolato come un cluster di picchi; pertanto in figura sono riportati anche gli indicatori relativi ai cartellini PDF di ossidi ed idruri del Titanio.

Sul pattern si individuano picchi di intensità compresa tra 5% e 20% la cui posizione angolare non può essere compatibile con il Titanio. Di conseguenza abbiamo provato a valutare la loro compatibilità con ossidi ed idruri.

Tali differenze di intensità relative sono interpretabili come una traccia sul pattern di una probabile orientazione preferenziale della matrice di Titanio. Tale orientazione preferenziale è presente su entrambi i campioni e quindi conseguenza del processo di acidificazione e non di un artefatto o errore strumentale. Le discrepanza tra i valori angolari 2 è dovuta ad una

distorsione reticolare. Il reticolo risulta dilatato poiché il del fit ha valori inferiori rispetto a quelli PDF. Tali osservazioni sono da imputare ad alterazioni di tipo micro strutturale avvenute in conseguenza del trattamento acido superficiale subito dai campioni.

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38

Figura 3.4.10. Confronto tra i dati osservati di AC1 e AC2 ed i dati relativi ai cartellini PDF del

Titanio e degli ossidi ed idruri principali del Titanio.

Per quanto riguarda i picchi non compatibili con il Titanio s ono state identificate corrispondenze con i dati PDF di Anatase, Brookite e Rutilo.

In particolare il picco in posizione angolare 28,954 in AC1 e 28,798 in AC2 potrebbe essere identificato con il picco principale dell’Anatase la cui posizione angolare 2 PDF corrisponde a 26,281 (vedi figura 3.4.11). La notevole differenza tra le due posizioni angolari può trovare giustificazione nel fatto che gli ossidi sulla superficie dei campioni in Titanio con alta probabilità si sono formati in condizioni non ideali a causa della rugosità superficiale dei campioni, della temperatura e PH. Pertanto possono presentare una struttura meno coerente e più porosa rispetto ai campioni standard analizzati dal JCPDS-International Centre for Diffraction data per la compilazione dei PDF.

I dati del 2 PDF dell’Anatase mostrano inoltre una compatibilità con i pattern di AC1 e AC2 per quanto riguarda i riflessi [112]; [200] (solo per il pattern AC1); [204]; [116]; [220]; [301]; [008]; [303]; [224]; [312]; [217]; [305]; [331]; [109]. Tuttavia alcuni riflessi previsti dal cartellino PDF dell’Anatase non sono riscontrabili nei pattern AC1 e AC2. Ciò a dimostrazione del fatto che all’interno dello strato di ossido i microcristalli si sono accresciuti secondo precise direzioni cristallografiche.

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39

Figura 3.4.11. Confronto dei pattern AC1 e AC2 con i cartellini PDF relativi all’Anatase e

all’Idruro TiH2

I due campioni sono simili tra loro dal punto di vista della composizione e della microstruttura con piccole differenze (vedi confronto) .

Si è riscontrata un’alta compatibilità con tra cartellini PDF di Anatase e TiH2 e picchi (o modulazioni del fondo) isolati sui pattern.

Sono presenti picchi non attribuibili né al titanio né agli ossidi ed idruri presi in esame.

L’intensità di tali picchi risulta frequentemente superiore all’intensità dei picchi del Titanio. Tali picchi possono appartenere ad ossidi od idruri non ancora identificati disposti uniformemente sulla superficie del campione.

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4. Conclusioni

Questa tesi si è posta l’obiettivo di chiarire quali sono ad oggi le potenzialità della XRD per lo studio delle superfici implantari. Al fine di raggiungere tale obiettivo è stato effettuato uno studio preliminare della letteratura sull’utilizzo della Diffrattometria a raggi X in ambito

implantologico odontoiatrico. È emerso che tale tecnica è stata largamente usata in passato al fine di effettuare valutazioni iniziali su trattamenti superficiali di impianti in ambito ortopedico ed odontoiatrico. La letteratura ha mostrato come la XRD sia in grado di effettuare uno studio sia di tipo qualitativo sia (in alcuni casi) quantitativo sulle componenti di superficie che

costituiscono l’interfaccia tra l’impianto ed i tessuti circostanti.

Successivamente è stato fatto uno studio sperimentale per approfondire alcuni risultati che in passato erano stati ottenuti, considerati non soddisfacenti e lasciati ad ulteriori successivi approfondimenti85, 86.

Gli approfondimenti da noi conseguiti hanno chiarito il caso come di seguito sintetizzato.

Figura 4.1: Linee di consistenza dei campioni presi in esame

In Figura 4.1 è rappresentato l’andamento della FWHM in funzione della tangente dell’angolo 2θ dei campioni analizzati negli studi precedenti. È importante notare come i due campioni acidificati assumano un comportamento del tutto anomalo rispetto ai rimanenti.

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41 Per effettuare il controllori consistenza interna sono stati utilizzati i soli picchi appartenenti al Titanio, mentre negli studi precedenti erano stati inclusi tutti i picchi principali. In questo studi abbiamo rilevato che il pattern degli acidificati, oltre ai picchi del Titanio, contiene picchi di ossidi ed idruri come è stato dimostrato nel §3.4 e coerentemente con quanto riportato in letteratura (§3.2). Si è cosi ottenuta una nuova linea di tendenza dei due campioni acidificati, che si può osservare in Figura 4.2.

Figura 4.2. Test di consistenza interna dei campioni Acido 1 e Acido 2.

Successivamente tali linee di consistenza sono state messe a confronto con le linee di tendenza dei rimanenti campioni (Figura 4.3)

Figura

Tabella I. Vantaggi e svantaggi degli impianti rivestiti con HA.
Fig. 3.1.1. Differenza di camino ottico tra due fasci diffusi da due piani consecutivi
Figura 3.4.1. confronto fra dati normalizzati dei pattern AC1 e AC2
Figura 3.4.3.. Confronto tra i due pattern, segmento compreso tra   37,5-41. Si noti la  differenza tra l’intensità dei picchi denominati C e D
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