Introduzione
Nel presente elaborato, si è tentato di analizzare istituti e procedimenti tramite i quali il legislatore, prevalentemente nell'ultimo ventennio, ha cercato di rendere più semplice, ed in questo modo favorire, l'apertura e l'esercizio di attività economiche.
La semplificazione costituisce uno dei pochi punti comuni ai programmi di quasi tutte le formazioni politiche e sociali, dai partiti ai sindacati, alle associazioni dei datori di lavoro; costituisce un
leitmotiv che ritorna periodicamente all'attenzione dell'opinione
pubblica. Chiaramente, se ne propongono percorsi realizzativi di volta in volta differenti, in base al soggetto o ente proponente ed a seconda dell'ambito di applicazione, ossia di quali procedure, autorizzazioni ed istituti si stia trattando di semplificare.
La presente tesi, come già affermato, prenderà in cosiderazione, in particolare, la semplificazione dell'esercizio di attiviatà economiche; la più sentita ed urgente, per le positive ricadute economiche e sociali che comporta.
Doverosi punti di partenza appaiono l'articolo 16 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea e l'articolo 41 della
Costituzione Italiana, sul quale parte della dottrina avanza proposte di modifica. Parimenti rilevante si presenta l'articolo 118 della Costituzione, del quale analizzeremo il principio di sussidiarietà, nella particolare funzione di promotore della libertà di iniziativa economica. Il tema della semplificazione è caro alle istituzioni dell'Unione europea, che ne danno, tuttavia, un'accezione differente rispetto a quella considerata dal legislatore italiano; essa scaturisce dal testo della direttiva 123 del 2006, nota come direttiva servizi, che verrà analizzata sulla scorta di accorta dottrina.
Venendo allo studio di come i provvedimenti autorizzatori siano stati oggetto di semplificazione, appare corretto considerare, innanzitutto, la Segnalazione certificata di inizio attività, partendo dalla sua evoluzione, fin dalla nascita sotto il diverso nome di Dichiarazione inizio attività, per arrivare ai dubbi sulla sua qualificazione giuridica, atto privato o atto procedimentale, con relative implicazioni per la tutela del terzo, fino alla soluzione elaborata dalla giurisprudenza amministrativa.
L'istituto del silenzio, parimenti, ha subito una costante evoluzione: dalle previsioni originarie della legge 241 del 1990, alla rilevanza assunta dal silenzio rifiuto, al riconoscimento del danno da
ritardo come strumento di tutela per cittadini ed imprese, alle implicazioni del silenzio assenso e dei silenzi diniego e rigetto.
Quello della semplificazione è un obiettivo per il raggiungimento del quale sono stati creati o adattati, ad opera del legislatore, non solo istituti, ma anche uffici e procedimenti; cercheremo, per questo, di dare una lettura critica all'evoluzione normativa della Conferenza dei servizi ed analizzeremo lo sviluppo dello Sportello Unico, prendeno a riferimento studi ed osservazioni sulla loro concreta applicazione.
Termineremo, infine, con quelli che possono essere individuati come tentativi e nuove proposte, quali le zone franche urbane, le zone a burocrazia zero e le soluzioni per redere possibile l'apertura di un'impresa in un solo giorno. Si tratta di strumenti, in particolare ZFU e ZBZ, che sono rimasti a lungo presenti solo nella legislazione nazionale, peraltro frequentemente modificata, senza dar vita a concrete applicazioni; tuttavia, proprio gli anni 2013 e 2014 hanno visto una positiva svolta e finalmente si è arrivati alla loro concreta istituzione sul territorio. Solo col tempo vedremo se, ed in che modo, potranno perseguire i risultati sperati.
semplificazione, anche per il perdurare della difficile situazione economica del Paese, siano state particolarmente sentite dall'attuale governo, il quale ha intrapreso, in particolar modo con lo strumento del decreto legge, una serie di interventi normativi contenenti misure semplificatorie, che hanno riguardato istituti e procedimenti già esistenti. Si avrà modo di sottolineare, tuttavia, come, nonostante l'enfasi che emerge dalla lettura di molte rubricazioni, le aspettative rimangano sovente deluse, in quando la realtà dell'impresa viene interessata in modo troppo spesso marginale, salvo alcune eccezioni, quali le normative in materia di ZFU e ZBZ.
Capitolo I
La libertà di iniziativa economica tra Costituzione Italiana e diritto europeo
1 L'articolo 41 della Costituzione Italiana
Per iniziare questa analisi degli istituti e dei procedimenti per la semplificazione dell'esercizio dell'attività economica, non si può che partire dal prendere in considerazione l'articolo 41 della Costituzione Italiana.
Come attenta dottrina fa notare (1), già in sede di Assemblea
Costituente, eminenti studiosi liberali, come Benedetto Croce e Luigi Einaudi, erano concordi nell'affermare che la regola empirica del
laissez faire fosse ormai superata. Croce, tuttavia, guardava al
liberismo come un qualcosa che stava semplicemente alla base del progresso produttivo e sociale, da realizzare attraverso mezzi economici e politici, mentre Einaudi lo elevava a garanzia della stessa libertà del pensare. Einaudi, infatti, intuiva come solo i soggetti, che non debbono elemosinare il sostegno per vivere ad un'unica forza, si chiami Stato, tiranno o classe dominante, siano veramente liberi di agire e pensare.
Da queste basi di pensiero scaturì l'articolo 41 della Costituzione italiana, pronto a sancire al primo comma come "L'iniziativa economica privata è libera", salvo richiamare al secondo comma i limiti dell'inviolabilità dell'utilità sociale, della sicurezza, della libertà e della dignità umana. Consideriamo infine il terzo comma, che rinvia alla legge la possibilità di stabilire i programmi ed i controlli opportuni, al fine di indirizzare e coordinare a fini sociali l'attività economica.
Altra dottrina (2) ha analizzato come la libertà sancita
dall'articolo 41 non concerna genericamente la persona umana ma riguardi un comparto che coinvolge gli interessi della comunità. Da qui discende la previsione dei limiti, posti proprio a tutela degli interessi della comunità.
I limiti, secondo parte della letteratura (3), sarebbero tuttavia
riferiti solo allo svolgimento dell'attività economica stessa; l'atto di iniziativa in senso stretto, ossia l'atto di destinazione dei capitali al processo produttivo, sarebbe invece da ritenersi libero da qualsiasi vincolo. La Corte Costituzionale ha avuto modo di affermare, in
2 V. Buonocore, Iniziativa economica e impresa nella giurisprudenza costituzionale, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2006, p. 21.
3 A. Pace ricorda in tal senso C. Esposito, M. Mazziotti, S. Cassese, cfr. A. Pace Problematica
numerose sentenze (4), come la presunta differenziazione non sia
sostenibile. Al primo comma dell'art 41 si applicano quindi, integralmente ed in ogni caso, i limiti del secondo.
2 Articolo 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea
Principio fondamentale, se guardiamo al diritto europeo, in tema di libertà d'impresa, è senza dubbio l'articolo 16 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea.
Esso prevede che: "È riconosciuta la libertà d'impresa, conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali."
Da questa disposizione, indubbiamente concisa, accorta dottrina (5) nota come il diritto comunitario ponga sullo stesso piano l'iniziativa
pubblica e quella privata. Se qui lo fa implicitamente, se ne ritrovano facilmente espliciti riferimenti in altre fonti, come l'articolo 106 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (6), che pone il 4 Fra le altre, Corte Cost, 26 gennaio 1957, n. 29; 23 aprile 1965, n. 30; 4 aprile 1990, n. 155. 5 M. Clarich, Articolo 41 della Costituzione. "L'attività economica è libera. La legge può
prevedere limiti e controlli indispensabili per la tutela di interessi pubblici.", in Apertacontada.it, 2011.
6 "Gli Stati membri non emanano né mantengono, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria alle norme dei trattati, specialmente a quelle contemplate dagli articoli 18 e da 101 a 109 inclusi." Art. 106 del TFUE, c.1.
divieto di riconoscere un trattamento privilegiato alle imprese pubbliche.
La medesima dottrina, allargando lo sguardo ad altre fonti comunitarie (7), puntualizza come l'introduzione di regimi più
restrittivi di accesso al mercato, come l'autorizzazione preventiva, sostitutiva di misure come il controllo ex post, possa essere attuata solo se vi siano interessi generali, non conseguibili con il sistema meno restrittivo.
Dunque, il diritto comunitario pone come centrale la libertà economica, limitabile solo per esigenze di tutela dell'interesse pubblico e nella misura minima necessaria per il soddisfacimento di tale interesse; si tiene conto, quindi, del principio di adeguatezza.
Come altra dottrina (8) ci ricorda, il principio della libertà di
impresa non era stato sempre presente nella normativa europea.
Mancano, difatti, espressi riferimenti a tale libertà sia nel Trattato UE che nella Convenzione Europea dei diritti dell'uomo.
Sì è dovuta aspettare la sottoscrizione della Carta di Nizza, altro nome con cui è conosciuta la Carta dei Diritti fondamentali
7 Si veda la direttiva 2006/123/CE in tema di libera circolazione dei servizi e di instaurazione di regimi autorizzatori.
8 L. Natali, Tutela della libertà d’impresa nell’ordinamento nazionale, comunitario e nella
dell'Unione Europea, nell'anno 2000; inoltre, essa ha assunto il medesimo valore giuridico dei trattati solo con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, avvenuta il 1° dicembre 2009.
3 Proposte di modifica dell'articolo 41: profili di criticità
Alla luce di quanto analizzato precedentemente, è ora opportuno tenere conto di come da più parti, sia dal mondo politico, che dalle realtà imprenditoriali e sociali, si siano levate richieste di modifica dell'articolo 41 della Costituzione, visto come datato e non più al passo con le mutate esigenze dell'economia.
Da un lato se ne accusa la totale, ovvia visto il momento storico in cui è nato, mancanza di riferimenti ad elementi come la tutela della concorrenza, dall'altro l'essere troppo legato ad ideologie ormai superate, finanche l'essere pervaso da un'ambiguità di fondo (9),
presente peraltro in tutta la parte economica della Costituzione, definita difatti di natura mista, sospesa tra libertà di iniziativa da un lato e dirigismo statale, orientato all'utilità sociale, dall'altro.
Secondo parte del mondo politico ed imprenditoriale, sarebbe proprio questa inadeguatezza dell'articolo 41 a pregiudicare qualsiasi
9 F. Cintioli, L’art. 41 della Costituzione tra il paradosso della libertà di concorrenza e il
tentativo di riforma legislativa teso allo sviluppo dell'economia, compresi quelli rivolti al miglioramento dell'efficienza degli apparati burocratici, anche tramite pratiche mirate alla tanto invocata semplificazione.
Parte della dottrina economica (10) fa notare come una riforma
sia necessaria e come una pubblica amministrazione orientata all’efficienza contribuisca allo sviluppo dell’economia.
La medesima dottrina propone una nuova formulazione dell'articolo, che al primo comma reciterebbe: “L’iniziativa economica privata è libera; chi la intraprende ne è esclusivo responsabile; deve svolgersi in condizioni di concorrenza”. Si specifica come il termine concorrenza venga visto, in ultima analisi, come piena assunzione di responsabilità da parte delle imprese; si chiede, perciò, che esse abbandonino ogni foma di scorciatoie, quali monopoli, abusi di posizione dominante e intese, ma anche sussidi pubblici, collusioni fra capitale e lavoro, intrecci tra industria e finanza, norme protettive, comportamenti opportunistici. Per far sì che ciò avvenga, una delle chiavi con cui operare sul sistema è proprio quella di un'amministrazione pronta ed efficiente, con procedure semplici e di
rapida conclusione, che spingano l'imprenditore a comportamenti virtuosi e non lo inducano alle suddette scorciatoie, percepite sovente come più rapide e sbrigative, se non addiruttura indispensabili, per uscire dalle impasses burocratiche.
Per quanto riguarda la sopra citata ambiguità, accorta dottrina (11) nota come essa, per quanto effettivamente presente nella
formulazione dell'articolo, sia stata nei fatti superata. Sebbene possibili interpretazioni in senso dirigistico, finanche corporativo, proposte in Assemblea Costituente, abbiano dato adito, nei decenni immediatamente successivi, ad accesi dibattiti dottrinali e giurisprudenziali, a partire dagli anni '70 del secolo scorso, esse hanno ceduto il passo ad una visione complessiva del sistema di stampo più fortemente liberale.
La medesima dottrina nota, però, come una struttura statale a lungo indirizzata, se non al dirigismo, quantomeno all'interventismo in campo economico, difficilmente possa, con qualche riforma, finanche di natura costituzionale, mutarsi in semplice regolatore della vita economica, spaziando dai mercati, alle autorizzazioni, all'apertura ai privati di monopoli statali, rinunciando repentinamente a qualsiasi
11 F. Cintioli, L’art. 41 della Costituzione tra il paradosso della libertà di concorrenza e il
forma di partecipazione, più o meno diretta.
Indubbiamente da menzionare è il progetto di riforma avviato dal governo nel 2011 (12).
La proposta, che non ha avuto seguito, recitava: "L’iniziativa e l’attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge. Non possono svolgersi in contrasto con l’utilità sociale, con i principî fondamentali della Costituzione o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge si conforma ai principî di fiducia e di leale collaborazione tra le pubbliche amministrazioni e i cittadini prevedendo, di norma, controlli successivi". Puntuale dottrina (13) ha
subito notato come la proposta fosse pervasa da una forte visione di sfavore del sistema amministativo, considerato, in quanto tale, come un peso per lo sviluppo, macchinoso e propenso alla corruzione.
Con la riforma proposta dal Governo, si sarebbe voluto dar inizio ad una serie di modifiche anche sul piano della legge ordinaria, tese a ridurre il più possibile l'intervento autorizzativo del sistema amministrativo, relegandolo a mero controllore ex post; avrebbe
12 Trattasi del Disegno di legge approvato dal Governo il 9 febbraio 2011, presentata alla Camera in data 7 marzo 2011 (AC 4144).
13 P. Carpentieri, Considerazioni minime in tema di semplificazione, in Apertacontrada.it, 21 settembre 2012.
seguita, dunque, una riduzione ai minimi termini dell'apparato burocratico, sia come dimensioni che come funzioni. Non una semplificazione, dunque, ma una vera esautorazione, rimasta, però, solo allo stadio di tentativo politico senza conseguenze.
Della necessità della riforma dell'articolo 41 si è tornato a parlare in seguito, in relazione alla recente crisi economica, con varie testate giornalistiche nazionali, che hanno interpellato sull'argomento illustri esponenti della giurisprudenza e della dottrina (14).
Le reazioni, per quanto diverse, sono legate da un approccio prudente; vi è la consapevolezza che l'idea che una modifica di un articolo della Costituzione possa essere, da sola, la panacea di tutte le problematiche, sia indubbiamente semplicistica.
Questo premesso, facendo riferimento a più attente occasioni di riflessione (15) (16), interessante dottrina (17) evidenzia come vari
articoli della Costutuzione pongano l'accento non sul piano dell'interesse soggettivo, "l'iniziativa economica privata è libera", attuale formulazione dell'articolo 41, ma sul piano oggettivo: l’art. 33,
14 A. Baldassarre, Non serve modificare l’articolo 41. A cancellarlo di fatto ci ha già pensato
la UE, in Corriere della Sera, 10 giugno 2010; G. Tabellini, Solo una perdita di tempo toccare l’articolo 41, in La Repubblica, 16 giugno 2010; I. TINAGLI, Costituzione usata come scusa,
in La Stampa, 16 giugno 2010.
15 F. Costantino, Incontro di Aperta Contrada sull'articolo 41 della Costituzione, in
Apertacontrada.it, 14 marzo 2012.
16 Incontro preso la Fondazione Magna Carta, 15 giugno 2010, Roma.
17 M. Clarich, Art. 41 Costituzione. L’attività economica è libera. La legge può prevedere limiti e controlli indispensabili per la tutela di interessi pubblici, cit.
secondo il quale “L’arte e la scienza sono libere”, oppure l’art. 39, secondo il quale “L’organizzazione sindacale è libera”.
Da qui nasce l'idea di una nuova formulazione dell'articolo 41, che reciterebbe: "L’attività economica è libera. La legge può prevedere limiti e controlli indispensabili per la tutela di interessi pubblici". Si lega così l'attività economica ad una dimensione oggettiva, sganciandola dalla tutela dell'elemento privatistico dell'iniziativa. In questo senso si ricorda l'articolo 16 della Carta dei diritti fondamentali UE, che parla di libertà d'impresa tout court.
Il secondo periodo dell’articolo proposto corrisponde, ai commi 2 e 3 dell’attuale formulazione dell’art. 41, e legittima la previsione di limiti e l’introduzione di regimi pubblicistici di controllo. Questi si riferiscono a quei casi dove occorra tutelare interessi pubblici che potrebbero subire un pregiudizio in conseguenza dell’attività esercitata. Si richiama implicitamente la teoria dei fallimenti del mercato e le varie ragioni giustificatrici dell’intervento pubblico, quali monopoli naturali, esternalità negative ed asimmetrie informative.
Altra accorta dottrina (18) si mostra critica verso una reale
necessità di modifica dell'articolo 41, evidenziando come si debba
18 M. Libertini, Un nuovo testo per l'articolo 41 della Costituzione?, in Apertacontrada.it, 12 settembre 2011.
piuttosto contribuire ad una interpretazione evolutiva della norma, tenendo conto delle indicazioni che ci vengono dall'Europa, in particolare dal Trattato di Lisbona e dalla formula dell'articolo 3, comma 3, del T.U.E.
La medesima dottrina, tuttavia, propone, nel caso in cui proprio si voglia mettere mano ad una modifica, un nuovo articolo 41 dalla formulazione complessa, ben sette commi. Appare opportuno, qui, soffermarsi sui commi quinto e sesto della proposta.
Essi reciterebbero: "La legge determina i settori economici nei quali la produzione dev’essere regolata come servizio di interesse economico generale e che, a tal fine, sono soggetti a vigilanza da parte di autorità amministrative indipendenti." e "La legge determina le categorie di beni o servizi che devono essere liberamente fruibili, come beni pubblici, da parte di tutti i cittadini."
Questi commi sostituiscono il vecchio comma 3, ribadendo la riserva di legge per l’esercizio di potestà amministrative che incidano sul funzionamento dei mercati, permettendo inoltre di regolare l'accesso ad essi, anche tramite la creazione di autorità indipendenti.
Viene lasciata la possibilità, allo Stato, di svolgere attività economiche in quei settori dove il libero mercato non garantisce il
raggiungimento degli interessi della cittadinanza, come nel caso di monopoli naturali o di servizi non economicamente vantaggiosi per il gestore, ad esempio il trasporto pubblico.
In ultima analisi, dunque, troviamo la dottrina, nel suo complesso, poco incline ad una riforma dell'articolo 41, percepita come, se non inutile, quantomeno non strettamente necessaria. L'idea è che nulla possa cambiare, indipendentemente da un mutamento o meno della Costituzione, se non si terrà conto di più urgenti riforme, e soprattutto dell'attuazione di quelle già realizzate, in campo amministrativo, tese all'efficienza, che passa, anche, tramite la semplificazione.
4 L'articolo 118 della Costituzione e libertà di iniziativa economica
Dopo esserci concentrati sull'articolo 41, è opportuno spostare la nostra attenzione, sempre rimanendo nell'ambito della Costituzione, sull'articolo 118.
L'articolo, che ricordiamo è stato oggetto di modifica ad opera dell'articolo 4, comma 1, legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3, all'interno della riforma del Titolo V, sancisce i principi di
sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, da utilizzare per ripartire le funzioni amministrative fra Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato.
Addentrarsi nel dibattito dottrinale e giurisprudenziale sulla definizione stessa di sussidiarietà non rientra nei nostri interessi; ci basterà riportare un nozione lata di sussidiarietà, che riprendiamo da equilibrata dottrina (19).
Dal punto di vista della funzione, la sussidiarietà privilegia l'intervento di soggetti appartenenti all'ambito il più vicino possibile agli interessi coinvolti, ossia dei soggetti più adeguati.
Dal punto di vista del contenuto, essa consiste in una relazione, che sarà fra differenti livelli territoriali di governo, se consideriamo l'accezione di sussidiarietà verticale, ed interesserà lo Stato e la società civile, latamente intesi, se facciamo riferimento a quella orizzontale.
Concentrando la nostra attenzione sulla sussidiarità orizzontale e ponendola in relazione con la libertà di iniziativa economica, emergono interessanti pronunce ad opera del Consiglio di Stato.
Un parere della Sezione consultiva per gli atti normativi (20),
pone l'accento, come puntuale dottrina evidenza (21), su come lo Stato
19 S. Staiano, La sussidiarietà orizzontale: profili teorici, in Federalismi.it, n. 5/2006.
20 Cons. Stato, sez. Consultiva per gli atti normativi, 1 luglio 2002, in Giustamm.it n° 7/8 2002. 21 G. Razzano, La sussidiarietà orizzontale fra programma e realtà, in Attidel convegno svoltosi
e ogni altra autorità pubblica proteggono e realizzano lo sviluppo della società civile partendo dal basso, dal rispetto e dalla valorizzazione delle energie individuali, dal modo in cui coloro che ne fanno parte liberamente interpretano i bisogni collettivi emergenti dal sociale.
Alla luce di questa analisi, viene spontaneo domandarsi fino a che punto si possa scendere, o per meglio dire, trattando di sussidiarietà orizzontale, ci si possa spostare, nel demandare funzioni e compiti, tradizionalmente nelle mani della pubblica amministazione, a soggetti quali organizzazioni, comitati, fondazioni, finanche singoli privati, nel nome del principio di sussidiarietà. Si tratta, cioè, di valutare come questo passaggio di funzioni, che viene esaltato in un'ottica di semplificazione degli oneri gravanti sulle imprese nei confronti della PA, sia compatibile, ed in quale misura, con i limiti che derivano dall'articolo 41 della Costituzione.
Da un lato, possiamo affermare che, quando il passaggio di compiti rientra in un accordo siglato fra un ente pubblico ed un'azienda privata, realizzato sotto forma di una convenzione, la giurisprudenza amministrativa tende a farlo rientrare sotto l'ombrello protettivo del principio di sussidiarietà. Siamo nel caso di una
convenzione stipulata tra una USL ed un'azienda sanitaria privata (22).
Sulla scorta di pareri come questo, il Ministero dell'Interno decise di spingersi oltre, pensando di istituire un fondo di finanziamento al quale avrebbero potuto accedere quelle imprese che avessero mostrato coincidenza tra i loro progetti e quelli degli enti locali.
Come attenta dottrina riporta (23), tuttavia, il parere della
Sezione consultiva per gli atti normativi fu questa volta negativo (24).
Il Consiglio di Stato, rispondendo all’Amministrazione con un raro parere negativo, afferma che la sussidiarietà orizzontale non possa essere utilizzata per fattispecie di aiuti alle imprese.
A chiusura della nostra analisi, possiamo osservare come accorta dottrina (25) sottolinei come sia mutato il ruolo del legislatore
in quanto tale.
Un'attenta analisi, che riprende la trattazione sull'articolo 41 della Costituzione e lo pone in collegamento con l'articolo 118, pone l'accento su quello che è il limite della "utilità sociale" posto in capo allo svolgimento dell’iniziativa economica privata dall’art. 41 stesso.
22 Cons. Stato, sez. V, 18 novembre 2002, n. 6395, in Diritto.it, 2002. 23 G. Razzano, La sussidiarietà orizzontale fra programma e realtà, Cit.
24 Cons. Stato, sez. Consultiva per gli atti normativi, 25 agosto 2003, n. 1440, in astrid-online, 2003.
La dottrina presa in considerazione si domanda se il legislatore, per Costituzione, sia sempre e comunque l’arbitro esclusivo dell’utilità sociale. Ne conclude che, sebbene prima della svolta legislativa degli anni Novanta, nessuno avrebbe potuto ragionevolmente dubitarne, la situazione sia poi profondamente mutata.
Vi è stata, infatti, proprio sul piano costituzionale, l’adozione del principio di sussidiarietà orizzontale, vista come favor verso gli enti territoriali della Repubblica e verso l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale. Si è avuto il venir meno dell'equivalenza tra i concetti di statale e di pubblico, e con essa anche l’idea che l’apprezzamento dell’utilità sociale sia appannaggio esclusivo del Parlamento.
Tuttavia bisogna chidersi se, o fino a che punto, la legislazione e la giurisprudenza, costituzionale e ordinaria, vi abbiano dato seguito. Il nucleo del problema, in realtà, risiede più a monte delle norme, ordinarie o costituzionali, e delle pronunce giurisprudenziali. Il fatto è che si deve affermare l’idea che la legge possa accompagnare e non guidare lo svolgimento di iniziative, provenienti da amministrazioni locali e privati, capaci di assicurare beni e servizi
socialmente utili. Si tratta, dunque, di un cambiamento culturale, prima ancora che giuridico, che deve farsi largo in uno spazio ingombrato da intrecci pubblico-privato risalenti e duri a morire, che si convertono in rendite di gruppi chiusi, in posizioni dominanti di oligarchie, insomma in tutta quella serie di problematiche che hanno fatto a lungo dubitare dell'opportunità di aprire, verso il basso e verso l'esterno, la tutela, prima solo statale, della funzione di utilità sociale dell'economia.
L'aver ritardato l'apertura non ha impedito la creazione dei suddetti intrecci deleteri; giunge ora il momento di percorrere con forza la strada aperta dal principio di sussidiarietà, in particolar modo nell'accezione di sussidiarietà orizzontale, affinchè possano nascere legami virtuosi tra pubblico e privato, con un'amministrazione efficiente e semplificata, che contribuisca alla crescita ed al benessere del Paese.
Capitolo II
La semplificazione dei provvedimenti autorizzatori
1 Accesso al mercato e semplificazione
Volendo individuare il termine più ricorrente in questa trattazione, senza dubbio uno emergerà sugli altri: la semplificazione. Pare, quindi, giunto il momento di ricercare una definizione appropriata per questo termine.
Accorta dottrina (26) ne dà una definizione teleologica. Sono
semplificatori tutti quei provvedimenti che fanno sì che i cittadini possano conseguire il risultato cui mirano, fondamentalmente l'avviare, estendere o modificare un'attività economica, nel rispetto degli interessi pubblici affidati alla cura della pubblica amministrazione, in tempi più brevi e con la certezza della stabilità delle autorizzazioni e permessi conseguiti.
Interessante dottrina (27) si interroga sul perchè vi sia l'esigenza
di semplificazione, trovandone due fattori fondamentali.
Il primo è un elemento comune a tutte le società moderne e democratiche. Si tratta della pluralità, crescente, di interessi che
26 F. Satta, Brevi note sulla semplificazione, in Apertacontrada.it, 2012.
27 L. Torchia, La conferenza di servizi e l'accordo di programma ovvero della difficile
l'ordinamento riconosce come meritevoli di tutela e del fatto che questa massa non sia gerarchizzata ad opera della legge. La normativa, in altri termini, non stabilisce, nella maggioranza dei casi, un ordine di prevalenza tra questi interessi e lascia al diritto amministrativo l'opera di compensazione e ponderazione, da realizzarsi con moduli orizzontali e consensuali e non più con moduli verticali e gerarchici.
Il secondo elemento è prettamente caratteristico, in larga misura, dell'ordinamento italiano. Si tratta di quello che viene definito come l'alto tasso di dispersione delle funzioni. Ogni amministrazione, come noto, svolge determinate funzioni; il problema nasce dal fatto che le funzioni siano male allocate, poichè la logica di ripartizione è irrazionale, condizionata da ragioni assai eterogenee, ed inoltre risente di un processo di stratificazione risalente nel tempo. Come se non bastasse, si rileva anche una frammentazione delle funzioni stesse; in molti casi, la singola funzione è infatti parcellizzata, ossia più amministrazioni devono cooperare per conseguire il risultato di una determinata funzione, con facilmente immaginabili problemi, motivi di ritardo e complicazioni.
Analizzato così acutamente il quadro attuale, la medesima dottrina nota come la semplificazione, prima ancora che di
miglioramento e di modernizzazione, sia una condizione di funzionamento del sistema.
Date queste premesse, non si possono che concepire gli strumenti di semplificazione come meccanismi sostitutivi di procedimenti, grazie ai quali si sposta e si concentra l'esercizio delle attribuzioni, precedentemente diffuse in capo a troppo numerosi soggetti.
Fin dall'epoca della legge 241 del 1990, il legislatore si è mosso nell'ottica di ricomporre ciò che nel nostro ordinamento appariva disperso; l'obiettivo era quello di rendere ogni amministrazione padrona, fino in fondo, di proprie determinate funzioni.
Si sono introdotti istituti, come la conferenza dei servizi, che permettono la collaborazione tra le amministrazioni; inoltre, in certi casi, questa opportunità di agire congiunto viene elevata ad obbligo.
Ci si è accorti che gli strumenti di semplificazione non potranno mai essere efficaci finchè non si saranno chiariti gli aspetti relativi alla responsabilità dell'azione amministrativa, nel triplice senso di: potere di fare, obbligo di dare un servizio, rispondere di ciò che si è compiuto.
La dottrina (28), ci ricorda come la polemica antiburocratica, in
Italia, abbia interessato la scarsa produttività dei pubblici impiegati, l'incapacità dell'amministrazione di far crescere e sostenere la produzione, sulla lentezza nel rispondere alle emergenze, di conseguenza spesso divenute problemi cronici, sugli abusi e sugli arbitrii, visti come l'altra faccia dell'eccesso di formalismo.
Un sistema così lento e viscoso comporta, come diretta conseguenza, la difficoltà per le imprese di accedere al mercato, in un contesto saturo di regolamentazioni da rispettare, da un lato, e caratterizzato da un apparato burocratico visto come un intralcio più che un supporto dell'applicazione di tali regole, dall'altro.
In un mondo sempre più globalizzato, la rapidità e la qualità dell'azione amministrativa, che si traducono per l'impresa in possibilità di battere sul tempo la concorrenza internazionale, muovendosi celermente sui vari mercati, possono diventare un formidabile volano, o se assenti un grande freno, per l'economia nazionale. In questo senso si sono pronunciate importantissime istituzioni internazionali in campo economico, quali l'Ocse (29).
28 L. Torchia, Tendenze recenti della semplificazione amministrativa, in Diritto Amministrativo, n. 3-4/1998.
29 Cutting Red Tape. Why is Administrative Semplification so Complicated? Atti incontro Lookin
Si è evidenziato (30) come la semplificazione amministrativa e,
in specie, quella procedimentale rappresenti un tassello di più ampie e complesse politiche di riforma amministrativa.
Lo snellimento delle procedure amministrative non è conseguibile con interventi, tanto più se episodici e parziali, sulla sola disciplina di questo o quel procedimento, richiedendo, piuttosto, la definizione di un disegno globale, integrato e coerente.
Devono essere interessate le strutture amministrative e i loro collegamenti organizzativi, tramite una ridefinizione dei compiti ed un’ottimizzazione delle capacità di lavoro all’interno degli uffici, giungendo per questa via, ad una riduzione dei passaggi e dei tempi necessari per lo svolgimento dell’agire amministrativo.
Il legislatore si è mosso, nel corso della XVI legislatura, con un'opera imponente, mirata a ridurre la quantità della normativa esistente. Stiamo parlando del cosiddetto taglia-leggi (31), il quale ha
dimostrato, tuttavia, scarsa rilevanza pratica; la dottrina che se n'è occupata (32), infatti, ha rilevato che, se da un lato con esso si vada a
sfoltire l'eccessiva normativa esistente, peraltro sovente costituita da
30 R. Garofoli, Evoluzione normativa: semplificazione e liberalizzazione dell’attività
amministrativa nel contesto del riformismo amministrativo italiano degli ultimi decenni,
Roma, Neldiritto, 2009, p. 143. 31 Legge 30 novembre 2005, n. 246.
32 N. Lupo, B.G. Mattarella, La codificazione e il taglia leggi a livello statale: immagine o
norme già in disuso, dall'altro, con altri nuovi provvedimenti legislativi, si introducano nuove norme, spesso disorganiche, quali i decreti legge omnibus. Siamo di fronte ad una strada, quella della mera abrogazione legislativa, che poco o nulla apporta al processo di semplificazione; una strada più utile a mostrare un finto impegno produttivo in materia di semplificazione, che a giungere a risultati concreti.
Successivamente, nel 2006, è stata l'Unione europea ad indicare all'Italia, come al resto dei paesi membri, la strada maestra per una semplificazione veramente efficace, ossia funzionale all'accesso al mercato delle imprese, attraverso la liberalizzazione dei provvedimenti autorizzatori. Stiamo parlando della direttiva cosiddetta dei servizi o Bolkestein (33), che merita un'attenta analisi.
Accorta dottrina (34) ci ricorda come l'Unione europea abbia
sempre posto, tra i suoi obiettivi fondamentali, quello di promuovere la crescita economica, attraverso la liberalizzazione. Innanzitutto prevedendo, all'interno di quello che oggi è l'articolo 28 del TFUE, la liberà di stabilimento, la libera circolazione delle merci, dei servizi e dei capitali; poi, con il cosidetto mercato unico realizzato nel 1993,
33 Direttiva 12 dicembre 2006, n. 123, del Parlamento e del Cosiglio europeo.
34 N. Longobardi, Liberalizzazioni e libertà di impresa, in Riv. Ita. Dir. Pubblico comunitario, 2013, p. 610.
raggiungendo la liberalizzazione degli ordinamenti creditizi nazionali, affiancata a quella dei servizi assicurativi e finanziari; infine, le liberalizzazioni, ancora in corso, dei servizi speciali, quali le forniture elettriche, il gas, le telecomunicazioni, i servizi aerei, marittimi, ferroviari.
Entrando nel merito della direttiva in questione, essa mira (35),
attraverso la semplificazione amministrativa, ad ambiziose liberalizzazioni. Si vuole rimuovere la selva di discipline amministrative, stratificatesi nel tempo, che ostacola, senza solide giustificazioni, la libertà d'impresa, introducendo inoltre principi e regole stringenti, che impediscano agli stati di reintrodurre in futuro consimili discipline. Lo scopo è quello di introdurre una disciplina generale e non settoriale, volta a creare un nuovo quadro giuridico, un rinnovamento degli ordinamenti amministrativi nazionali.
Risulta evidente come la direzione verso cui muove l'Unione europea sia simile a quella indicata dalla dottrina precedentemente analizzata, che invocava proprio, tramite la redistrubuzione razionale delle funzioni, un rinnovamento del diritto amministrativo; l'Unione vuole colpire il regime autorizzatorio, ed il relativo potere
discrezionale, che è stato esteso a dismisura nel corso del tempo, in modo particolare in Italia, gravando e condizionando le attività economiche.
La stessa direttiva, nelle motivazioni, osserva come: "Le norme relative alle procedure amministrative non dovrebbero mirare ad armonizzare le procedure amministrative stesse, ma a sopprimere i regimi di autorizzazioni, procedure e formalità eccessivamente onerosi"; ed ancora, pone come obbiettivo precipuo della semplificazione amministrativa quello di: "Limitare l'obbligo di autorizzazioni preliminari ai casi in cui essa è indispensabile e l'introduzione del principio della tacita autorizzazione da parte delle autorità competenti allo scadere di un determinato termine"; rammentando, infine, come sia questa "l'azione di modernizzazione" con la quale conseguire "il fine di eliminare i ritardi, i costi e gli effetti dissuasivi che derivano, ad esempio, da procedure non necessarie o esageratamente complesse ed onerose, dalla loro duplicazione, dalla presenza di termini di risposta non precisati od eccessivamente lunghi, dalla validità limitata dell'autorizzazione rilasciata o da costi e sanzioni sproporzionati". I principi enunciati nella motivazione della direttiva, che derivano dal TFUE e dalle elaborazioni della
giurisprudenza comunitaria (36), si traducono in una disciplina molto
dettagliata.
L'articolo 9 dispone come il regime autorizzatorio "non debba essere discriminatorio nei confronti del prestatore", "la necessità di esso debba essere giustificata da un motivo imperativo di interesse generale" e "possa essere previsto solo se l'obiettivo perseguito non sia raggiungibile tramite una misura meno restrittiva, in particolare in quanto un controllo a posteriori interverrebbe troppo tardi per avere reale efficacia".
L'articolo 10 impone come i criteri di rilascio dell'autorizzazione debbano essere "non discriminatori, giustificati da un motivo imperativo di interesse generale e commisurati ad esso, chiari e non equivocabili, oggettivi, resi pubblici preventivamente, trasparenti e accessibili"; inoltre "le condizioni di rilascio non devono essere doppioni di controlli e requisiti equivalenti o comparabili a quelli a cui il prestatore sia già assoggettato nel medesimo o in altro stato membro"; infine, "l'autorizzazione deve essere rilasciata tempestivamente, l'eventuale rifiuto deve essere motivato e deve poter essere oggetto di ricorso".
36 A. Argentati, La storia infinita delle liberalizzazioni dei servizi in Italia, in Mercato
Di particolare interesse è l'articolo 14, il quale elenca un serie di requisiti vietati; si tratta di quei requisiti che non possono essere richiesti per il rilascio dell'autorizzazione. L'articolo in questione, esprime con forza e chiarezza il divieto, per la pubblica autorità, di limitare la libertà di impresa per ragioni economiche. Esso prevede come sia vietata "l'applicazione caso per caso di una verifica di natura economica che subordini il rilascio dell'autorizzazione alla prova dell'esistenza di un bisogno economico o di una domanda di mercato, o alla valutazione degli effetti economici potenziali o effettivi dell'attività o all'adeguatezza dell'attività agli obiettivi di programmazione economica stabiliti dall'autorità competente".
Di grande importanza anche l'articolo 15, il quale indica requisiti che non sono vietati aprioristicamente, ma devono essere valutati alla luce dei principi comunitari di non discriminazione, adeguatezza e proporzionalità. Si tratta delle "restrizioni quantitative o territoriali, sotto forma, in particolare, di restrizioni fissate in base alla popolazione o alla distanza geografica minima tra i prestatori; di requisiti che impongono particolari statuti giuridici al prestatore; obblighi relativi alla detenzione del capitale della società; della riserva dell'attività a specifici prestatori in ragione della particolare natura
dell'attività; imposizioni di valori minimi o massimi per quanto riguarda numero di dipendenti, stabilimenti o tariffe".
Resta, a questo punto, da analizzare la normativa italiana, per vedere se, ed in quale modo, si sia adeguata agli indirizzi comunitari.
Il legislatore si muove nel 2010, con il d.lgs. 26 marzo, n. 59. Questa norma è stata criticata (37) in quanto vista come mera opera di
compia delle disposizioni della direttiva, eludendo le scelte e gli adempimenti di maggior importanza che la stessa direttiva poneva.
Si riscontra la mancanza di disposizioni che producano effetti concreti ed immediati, ma solo un'improduttiva elencazione di principi; vi è stato un recepimento solo formale con riguardo ai regimi autorizzatori, infatti è mancata la previa paziente opera di elencazione e valutazione dei regimi esistenti, così come non si disciplinano le future valutazioni riguardo a tempi, soggetti, modalità, e parimenti la nozione di motivi imperativi di interesse generale viene ricondotta a generiche ragioni di pubblico interesse (38).
Parimenti a quello appena analizzato, anche il successivo decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, pur registrando un crescendo dell'enfasi declaratoria della libertà di impresa, non giunge a risultati
37 B.G. Mattarella, La Scia, ovvero dell'ostinazione del legislatore pigro, in Gior. Dir. Amm., 2010, p. 1329 e ss.
apprezzabili e sfugge alle indicazioni della direttiva europea.
Sebbene l'articolo 3, al comma 1, sembri dare dettagliate disposizioni in tema di abrogazione di indebite restrizioni (39), è
sufficiente osservare come formule indeterminate quale "contrasto con l'utilità sociale" o "effetti sulla finanza pubblica" lascino campo aperto alla sussistenza di vincoli pubblicistici; inoltre non vi è un richiamo alla nozione comunitaria di "motivi imperativi di interesse generale". Il tutto comporta come l'obbligo per Comuni, Province, Regioni e Stato di adeguarsi, entro un anno, al principio della lebertà di impresa, risulti di un'efficacia scarsa, se non nulla (40).
Più concreto ed incisivo, il successivo decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, cosiddetto "salva Italia", prevede, finalmente, una formula impegnativa sulla libertà di impresa (41), inoltre va ad
39 Così d.l. 13 agosto 2011, n. 138, art. 3 c. 1: "In attesa della revisione dell'articolo 41 della Costituzione, Comuni, Province, Regioni e Stato, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, adeguano i rispettivi ordinamenti al principio secondo cui l'iniziativa e l'attivita' economica privata sono libere ed e' permesso tutto cio' che non e' espressamente vietato dalla legge nei soli casi di: a) vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali; b) contrasto con i principi fondamentali della Costituzione; c) danno alla sicurezza, alla liberta', alla dignita' umana e contrasto con l'utilita' sociale; d) disposizioni indispensabili per la protezione della salute umana, la conservazione delle specie animali e vegetali, dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio culturale; e) disposizioni che comportano effetti sulla finanza pubblica."
40 N. Longobardi, Liberalizzazioni e libertà di impresa, cit., p. 622.
41 Così d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, art.. 34, c. 2: "La disciplina delle attività economiche è improntata al principio di libertà di accesso, di organizzazione e di svolgimento, fatte salve le esigenze imperative di interesse generale, costituzionalmente rilevanti e compatibili con l’ordinamento comunitario, che possono giustificare l’introduzione di previ atti amministrativi di assenso o autorizzazione o di controllo, nel rispetto del principio di proporzionalità".
abrogare una corposa serie di restrizioni (42).
Una norma, quindi, apprezzabile (43), anche per la presa d'atto
dell'idea che la possibilità, per il legislatore nazionale, di introdurre regimi autorizzatori, sia circoscritta a discrezionalità di tipo amministrativo (44).
La strada così iniziata, non è stata però proseguita dal successivo decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, "cresci Italia".
Esso, difatti, si risolve in un programma abrogativo, da realizzarzi in concreto tramite regolamenti governativi di delegificazione, che, se all'articolo 1, punto "a" (45), si dimostra in
linea con i principi della direttiva europea, al successivo punto "b" (46)
42 Così d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 34, c.3 "Sono abrogate le seguenti restrizioni disposte dalle norme vigenti: a) il divieto di esercizio di una attività economica al di fuori di una certa area geografica e l’abilitazione a esercitarla solo all’interno di una determinata area; b) l’imposizione di distanze minime tra le localizzazioni delle sedi deputate all’esercizio di una attività economica; c) il divieto di esercizio di una attività economica in più sedi oppure in una o più aree geografi che; d) la limitazione dell’esercizio di una attività economica ad alcune categorie o divieto, nei confronti di alcune categorie, di commercializzazione di taluni prodotti; e) la limitazione dell’esercizio di una attività economica attraverso l’indicazione tassativa della forma giuridica richiesta all’operatore; f) l’imposizione di prezzi minimi o commissioni per la fornitura di beni o servizi; g) l’obbligo di fornitura di specifici servizi complementari all’attività svolta".
43 N. Longobardi, Liberalizzazioni e libertà di impresa, cit., p. 623.
44 Così d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 34, c. 4: "L’introduzione di un regime amministrativo volto a sottoporre a previa autorizzazione l’esercizio di un’attività economica deve essere giustificato sulla base dell’esistenza di un interesse generale, costituzionalmente rilevante e compatibile con l’ordinamento comunitario, nel rispetto del principio di proporzionalità". 45 Così d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 1, c. 1, punto "a": "le norme che prevedono limiti
numerici, autorizzazioni, licenze, nulla osta o preventivi atti di assenso dell'amministrazione comunque denominati per l'avvio di un'attivita' economica non giustificati da un interesse generale, costituzionalmente rilevante e compatibile con l'ordinamento comunitario nel rispetto del principiodi proporzionalita'".
46 Così d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 1, c. 1, punto "b": "le norme che pongono divieti e restrizioni alle attivita' economiche non adeguati o non proporzionati alle finalita' pubbliche perseguite, nonche' le disposizioni di pianificazione e programmazione territoriale o
diventa ridondante e poco chiaro, in probabile incompatibilità, laddove pone limiti all'abrogazione delle disposizioni di pianificazione e programmazione a prevalente finalità o contenuto economici, con l'articolo 14, comma 5, della direttiva europea (47).
Difatto, tutti questi interventi normativi di carattere prevalentemente astratto, frequentemente ripetuti e scordinati fra loro, hanno generato una situazione di confusione normativa, dove capire cosa sia stato abrogato e cosa sia ancora in vigore diventa un vero rompicapo. Solo a questo punto si è iniziata a percorrere la strada, indicata fin dall'inizio dalla direttiva europea, quella del paziente esame delle singole discipline normative (48).
Il percorso è stato tentato con il decreto legge 9 febbraio 2012, n. 5, denominato "Semplificazione 2012". Esso attribuisce al governo il potere di emanare regolamenti di delegificazione, per individuare le norme da abrogare, ma, a differenza del suo predecessore, le disposizioni non si fermano qui.
temporale autoritativa con prevalente finalita' economica o prevalente contenuto economico, che pongono limiti, programmi e controlli non ragionevoli, ovvero non adeguati ovvero non proporzionati rispetto alle finalita' pubbliche dichiarate e che in particolare impediscono, condizionano o ritardano l'avvio di nuove attivita' economiche o l'ingresso di nuovi operatori economici ponendo un trattamento differenziato rispetto agli operatori gia' presenti sul mercato, operanti in contesti e condizioni analoghi, ovvero impediscono, limitano o condizionano l'offerta di prodotti e servizi al consumatore, nel tempo nello spazio o nelle modalita', ovvero alterano le condizioni di piena concorrenza fra gli operatori economici oppure limitano o condizionano le tutele dei consumatori nei loro confronti".
47 N. Longobardi, Liberalizzazioni e libertà di impresa, cit., p. 624. 48 A. Argentati, La storia infinia, cit. p. 364.
Interessante è l'articolo 12, il quale permette l'istituzione di convenzioni, fra comuni, regioni, loro associazioni, camere di commericio, agenzie per le imprese, oganizzazioni ed associazioni di categoria, amministrazioni competenti. Nell'ambito di queste convenzioni, possono essere avviate nuove attività imprenditoriali, tramite percorsi sperimentali di semplificazione amministrativa, anche medaite deroghe a procedure e a termini per l'esercizio delle rispettive competenze. Il governo, al momento di individuare, nei suoi regolamenti, le norme da abrogare, dovrà tenere conto dei risultati delle sperimentazioni avvenute tramite tali convenzioni. Idea interessante, quella delle convenzioni, anche se è stato sottolineato come potrebbero, inizialmente, essere favoriti quegli imprenditori con maggiori legami con la pubblica amministrazione (49).
All'articolo 14, denominato "semplificazione dei controlli sulle imprese", troviamo ampi poteri conferiti al governo, sempre sotto forma di regolamenti di delegificazione, per quanto riguarda la disciplina dei controlli ex post. I regolamenti vengono emanati su proposta dai Ministeri della pubblica amministrazione e dello sviluppo economico, e dagli altri ministeri competenti per materia, sentite le
associazioni imprenditoriali e sindacali più rappresentativi su base nazionale. I regolamenti devono basarsi su principi e criteri elencati dallo stesso articolo 14 (50).
Nonostante queste interessanti iniziative, gran parte della forza del decreto "semplificazione" viene perduta ad opera dell'articolo 12, comma 2. Esso prevede, infatti, l'ennesima formula puramente declaratoria della libertà di impresa, gravata da varie materie sottratte al limite sui controlli (51); contiene il solito omnicomprensivo richiamo
al "contrasto con l'utilità sociale"; omette qualsiasi richiamo alla nozione comunitaria di "motivi imperativi di interesse generale".
Va sottolineato come, nonostante il decreto si riveli di scarso impatto, per i motivi appena indicati, si siano alzate voci allarmate circa la possibile svalutazione del dettato costituzionale (52), in
particolare dell'articolo 41 della Costituzione, già visto minacciato anche ad opera del precedente decreto 24 gennaio 2012, n. 1 (53).
50 Così d.l. 9 febbraio 2012, n. 5, art. 14: "a) Proporzionalità dei controlli e dei connessi adempimenti amministrativi al rischio inerente all'attività controllata, nonchè alle esigenze di tutela degli interessi pubblici, b) eliminazione di attività di controllo non necessarie alla tutela di interessi pubblici, c) coordinameto e programmazione dei contolli da parte delle amministrazioni, d) collaborazione con i soggetti controllati, e) informatizzazione degli adempimenti e delle procedure amministrative".
51 Così d.l. 9 febbraio 2012, n. 5, art. 12, c. 2: "Nel rispetto del principio costituzionale di libertà di iniziativa economica privata [..] che ammette solo i limiti, i programmi ed i controlli necessari ad evitare possibili danni alla salute, all'ambiente, al paesaggio, al patrimonio artistico e culturale, alla sicurezza, alla dignità umana e possibili contrasti con l'utilità sociale, con l'ordine pubblico [..].
52 B. Carotti, La semplificazione, cit. p. 706 e ss.
53 C. Rapicavoli, Note critiche all'articolo 1 del D.L. 1/2012: la liberalizzazione delle attività
La scarsa efficacia, da un lato, e le critiche di parte della dottrina, dall'altro, non hanno tuttavia scoraggiato il legislatore dall'emettere nuovi provvedimenti con marcato indirizzo semplificatorio, tra i quali il decreto 21 giugno 2013, n. 69.
Esso, all'articolo 31, introduce modifiche in materia di DURC, il documento unico di regolarità contributiva, che è richiesto per tutti gli appalti e subappalti di lavori pubblici, ma anche per opere private se soggette a SCIA, in svariate fasi delle stesse, quali la verifica dei requisiti per la partecipazione alle gare, l'aggiudicazione dell'appalto, la stipula del contratto, gli stati d'avanzamento dei lavori, le liquidazioni finali.
L'articolo 31, per l'appunto, semplifica i rapporti tra amministrazione e imprese, allo scopo di rendere più rapidi i pagamenti e l’erogazione dei contributi; per far ciò la validità del DURC passa da 90 a 120 giorni ed inoltre il documento deve essere richiesto dalle pubbliche amministrazioni solo per le fasi fondamentali del contratto e non più per ciascuna fase della procedura.
La disposizione ribadisce che il DURC è sempre acquisito d’ufficio dalle amministrazioni appaltanti utilizzando gli strumenti
informatici ed è valido anche per contratti pubblici diversi da quelli per cui è stato richiesto; inoltre, la norma estende la possibilità di rilascio del DURC con procedura compensativa anche agli appalti pubblici e a quelli privati del settore edile. Ciò significa che sarà possibile il rilascio del DURC compensando debiti e crediti vantati nei confronti dell'amministrazione (54).
Ulteriori semplificazioni in ambito di DURC sono state previste dal decreto legge 20 marzo 2014, n. 34. Esso ha disposto, all'articolo 4, come qualsiasi soggetto possa verificare, con modalità esclusivamente telematiche ed intempo reale, la regolarità contributiva nei confronti dell'INPS, dell'INAIL e, per le imprese tenute ad applicare i contratti del settore dell'edilizia, nei confronti delle Casse edili. La risultanza dell'interrogazione ha validità di 120 giorni dalla data di acquisizione e sostituisce ad ogni effetto il Documento Unico di Regolarità Contributiva (55).
Nonostante gli sforzi prodotti dal legislatore, gli interventi in materia di DURC non sembrano generare una semplificazione rilevante per le imprese: restano troppo legati al solo ambito degli
54 Semplifica Italia: tutti gli interventi, in funzionepubblica.gov.it;
55 Sono tuttavia previste delle eccezioni, da elaborare, in base al comma 3 del presente articolo, con decreto, da parte del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.
appalti e dell'edilizia ed inoltre sono gravati dalle limitazioni introdotte con decreto dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Appare da sottolinearsi il grande sforzo conoscitivo, sullo stato dell'arte della semplificazione, operato dall'apposita commissione parlamentare bicamerale, fra il 4 dicembre 2013 e il 14 marzo 2014, che ha portato all'approvazione di un documento conclusivo, da parte della commissione stessa, il 31 marzo 2014.
L'indagine ha grande rilevanza, in quanto, per la prima volta, si è svolta un'opera analitica in tempi brevi e che ha coinvolto una platea ampia e differenziata di soggetti: istituzioni, rappresentanti del governo, organizzazioni imprenditoriali e sindacali, rappresentanti di professionisti e consumatori, professori universitari (56).
Lo studio ha evidenziato l'eccesso, la volatilità e il disordine della produzione normativa, la mancata o parziale attuazione delle disposizioni, il non funzionamento e la cattiva qualità delle norme; in particolar modo si sottolinea l'inflazione normativa che ha spesso coinvolto le materie da semplificare, sintomo di una visione non chiara e unitaria da parte del legislatore, cosa che ha aumentato
56 M. Benedetti, Lo "stato dell'arte" della semplificazione in Italia: documento conclusivo della
commissione parlamentare per la semplificazione, 31 marzo 2014, in Giornale di dirittto amministrativo, n. 10/2014, pp. 972-979.
l'incertezza sulla corretta applicazione, da parte dei destinatari, delle norme stesse; esemplicative sono le regole, più volte riadattate, sulla Denuncia di inizio attività e sulla Segnalazione certificata di inizio attività.
Altre cause di quella che può essere definita, non come la mancanza di semplificazione ma, come la semplificazione, almeno parzialmente, inefficace, sono la perdita di autorevolezza e competenza tecnica da parte della pubblica amministrazione e la frantumazione territoriale. La commissione bicamerale associa la prima al copioso uso del meccanismo dello spoils system, che da un lato impedirebbe l'accumulo di esperienza, in uno specifico settore, da parte degli amministratori e dall'altro li sospingerebbe a prendere iniziative, regolamentari ed operative, sempre nuove e diverse, allo scopo di lasciare un'impronta del proprio passaggio nell'Amministrazione. La seconda viene fatta derivare dagli effetti negativi della modifica del titolo V della Costituzione, che avrebbe "costituito un ibrido irrazionale, duplicando o triplicando le responsabilità sulle medesime materie"; se ne porta, ad esempio, l'esistenza di differeti moduli abilitativi, in materia ediliza o commerciale, fra i vari comuni d'Italia.
La commissione ha quindi indicato, come strada per un'efficace semplificazione, il varo di un ampio programma di leggi organiche, anche di rango costituzionale, seguito da una revisione dello spoils
system, che dovrebbe diventare più attento alle logiche concorsuali e
meritocratiche che ai rapporti fiduciari, e completato da una codificazione settoriale, con testi unici compilativi, sia a livello di normativa, statale e regionale, che di regolamenti amministrativi.
Tali conclusioni vengono condivise da autorevole dottrina (57),
che rimarca come la semplificazione non sarà piena e completa finchè non si affronteranno, in modo esauriente e sistematico, le tematiche inerenti al cittadino e all'impresa, e non si riordinerà il, tuttora confuso, sistema delle attibuzioni di compiti e funzioni fra le amminisrazioni.
Grande enfasi ha accompagnato la conversione (58) del decreto
legge 24 giugno 2014, noto come decreto Madia. Tuttavia, questo provvedimento diventa esemplificativo di quanto il legislatore rincorra l'agognata semplificazione, in particolare quella rivolta alle imprese, senza raggiungerla. Difatti, benchè sia presente un intero titolo il II -denominato "Interventi urgenti di semplificazione", con il suo capo
57 S. Cassese, Rifare l'Italia? Il governo Renzi e la questione amministrativa, in Giornale di
diritto amministativo, n. 8-9/2014, p. 785.
primo, "Accesso dei cittadini e delle imprese ai servizi della PA", la normativa si sostanzia in una serie di modeste semplificazioni per il solo cittadino, in materia sanitaria e assistenziale, tradendo le aspettive di un intervento rivolto alle imprese.
Devono segnalarsi, tuttavia, all'articolo 24, la creazione di moduli unificati e semplificati, e standardizzati su tutto il territorio nazionale, per la presentazione di istanze, dichiarazioni e segnalazioni da parte dei cittadini e delle imprese. Il decreto legge rimanda ad un'intesa, sulla creazione dei moduli stessi, da trovare in sede di conferenza unificata. L'accordo tra Governo, Regioni, Province autonome, ANCI e UPI, è stato raggiunto nel corso della seduta del 12 giugno 2014 della Conferenza Unificata.
Le disposizioni dell'articolo 24 sembrano cogliere risultati concreti, anche per la puntuale risposta delle singole regioni, alcune delle quali hanno prontamente emanato la normativa di loro competenza (59). La sinergia fra legislatre nazionale e regionale è
fondamentale per il raggiungimento degli ambiziosi traguardi che la semplificazione impone.
59 L'Emilia Romagna è stata la prima regione ad adeguarsi alla nuova modulistica uniformata,
con la Delibera 993/2014. La regione Lazio ha adottato la modulistica uniformata e semplificata con la Delibera 502/2014. La regione Puglia, esempio virtuoso in questo campo, aveva addirittura anticipando le indicazioni del legislatore nazionale, con la Delibera 334/2013.
Da analizzare anche il decreto legge 24 giugno 2014, n. 91, il quale ha fra gli scopi quello del rilancio delle imprese, anche attraverso interventi di semplificazione. Rilevante è l'articolo 19 bis, lettera a), il quale dispone come i controlli, le dichiarazioni e le attività istruttorie delle Agenzie per le imprese (60) sostituiscono a tutti gli
effetti i controlli e le attività delle amministrazioni pubbliche competenti, sia nei procedimenti automatizzati che in quelli ordinari, salvo per le determinazioni in via di autotutela e per l’esercizio della discrezionalità.
Ancora, il decreto legge 12 settembre 2014, n. 133, annovera il capo IV denominato:"misure per la semplificazione burocratica". Tuttavia, ci troviamo di fronte ad articoli di approccio settoriale, rivolti alle sole materie dell'edilizia, e nello specifico agli appalti, quale l'articolo 9, e della sanità, quale l'articolo 16.
Intervento normativo ancora in fase di elaborazione è quello contenuto nel disegno di legge n. 1577, attualmente in discussione presso il Senato. In dottrina (61) si è evidenziato come esso intervenga 60 Le Agenzie per le imprese, in base all'art. 38, comma 3, del DPR 6 agosto 2008, n. 133, sono soggetti privati, dotati di personalità giuridica, che per esercitare le funzioni ad esse attribuite dalla legge. Esse devono ottenere l'accreditamento presso il Ministero dello sviluppo economico, la cui procedura è definita dal relativo Regolamento approvato con DPR 9 luglio 2010, n. 159. Si rinvia infra, capitolo IV, par. 2, pag 156.
61 A. Saitta, Intervento del 9 ottobre 2014, presso la prima commissione permanente affari
costituzionali e della pubblica amministrazione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva per l’istruttoria legislativa nell’ambito dell’esame in sede referente del disegno di legge in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, in senato.it, 2014.
su istituti già particolarmente "tormentati" da una serie di riforme succedutesi negli anni, e ciò rischia di impedire il raggiungimento dell’obiettivo della semplificazione, soprattutto per ciò che attiene ai rapporti di cittadini ed imprese con l’amministrazione. Ad esempio l'art. 2 del DDL conferisce delega al Governo per riformare la Conferenza dei servizi, ma occorre considerare che il decreto-legge n. 133 del 22 settembre 2014, sia già intervenuto sul medesimo istituto. Analogo discorso va fatto per la SCIA, tenuto conto che l’istituto sia già stato riformato dal decreto legge 24 giugno 2014 (62).
Abbiamo fin qui analizzato tutta una serie di normative recenti, succedutesi a breve distanza di tempo, che non riescono ad introdurre una vera ed efficace semplificazione, come intesa dalle indicazioni del diritto comunitario. Il motivo è da ricercare (63), nell'ancorarsi, da
parte del legislatore e di consistente parte della dottrina, ad un'interpretazione risalente dell'articolo 41, in particolare del principio sociale.
Già eminente dottrina (64), nel 1970, vedeva il diritto d'impresa
in un'ottica particolare; esso, pure essendo un diritto
62 Per le modifiche apportate dal DDL 133 2014 ai singoli isituti della SCIA, del Silenzio assenzo e della Conferenza dei servizi, vedi infra Cap. III, par. 5; Cap. IV, par. 1; Cap. IV, par. 2. 63 L. Cassetti, La cultura del mercato tra interpretazione della Costituzione ed i principi
comunitari, Torino, Giappichelli, 1997.
costituzionalmente garantito, sorge, anzi "è creato" dall'autorizzazione amministrativa. L'idea era quella di un'amministrazione in totale controllo dell'economia, per esigenze di programmazione, legate al raggiungimento dei fini sociali.
Sempre di fini sociali, di principio sociale, si parla. La differenza (65) è tra l'nterpretazione assolutizzante, fino ad ora
prevalente dall'ordinamento italiano, che piega le libere scelte degli operatori economici alla discrezionalità dei poteri pubblici, e quella data dal diritto europeo, fontato sull'economia di mercato e sulla concorrenza, tesa ad escludere i poteri autorizzatori pubblici, se non per limitate e ben individuate eccezioni. Con l'idea europea non risulta cancellata la dimensione sociale dell'ordinamento, bensì l'arbitrio che al riguardo fin'ora ha avuto il potere pubblico (66).
Vedremo, nel prosieguo della trattazione, se e in che modo, istituti quali la Dia, la Scia ed il silenzio assenso, abbiano, ed in quale misura, favorito la semplificazione, come intesa dal diritto comunitario, raggiungendo i traguardi da esso prefissati.
65 M. Libertini, I fini sociali, cit.
2 Semplificazione attraverso la dichiarazione di inizio attività La dichiarazione di inizio attività viene introdotta nel nostro ordinamento dall'articolo 19 della legge 7 agosto del 1990, n. 241; legge che sancisce un'apprezzabile rivoluzione nel campo del diritto amministrativo.
Prima del 1990, il panorama legislativo prevedeva ampi limiti alle attività liberamente esercitabili dal privato; egli, per svolgere quasi la totalità delle attività economiche immaginabili, doveva ricevere dall'autorità amministrativa un provvedimento autorizzatorio, con il quale la PA riconosceva l'interesse privato compatibile con quello pubblico, di cui la PA stessa è garante e custode (67).
Con la legge del 1990, il legislatore estende il modello della denuncia di inizio attività, che era invero già presente in alcune speciali discipline di settore e locali (68), a tutte le ipotesi in cui un atto
autorizzatorio dovesse essere rilasciato in presenza di univoci presupposti. La denuncia, che ricordiamo muterà la denominazione in dichiarazione solo con la legge 14 maggio 2005, n. 80, del privato si sostituisce appunto all'atto autorizzatorio della PA.
67 F. Caringella, Corso di diritto processuale amministrativo, Milano, DikeGiuridica, 2005, p. 736 68 Quali la legge provinciale di Trento 25 novembre 1988, n. 45, Principi generali per la