• Non ci sono risultati.

Bollettino Politiche strutturali per l'agricoltura. N. 10/11 (apr.-set. 2000)

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Bollettino Politiche strutturali per l'agricoltura. N. 10/11 (apr.-set. 2000)"

Copied!
24
0
0

Testo completo

(1)

accezione di spazio rurale negli ultimi tempi si è arricchita di conte-nuti, essendo legata a processi di produzione non più esclusivamente agricoli, ma di tutela e salvaguardia del territorio, residenziali e ricreativi, attraverso la valorizzazione delle risorse locali.

In particolare, lo sviluppo delle reti di comunicazione, sia infrastruttu-rali che telematiche, ha favorito la localizzazione di impianti industriali, piccole e medie imprese, e artigianali nelle aree rurali, favorendo una diversificazione delle attività produttive e ponendo in questo modo un freno al loro spopolamento. In passato, infatti, al fine di raggiungere maggiori economie di scala, si sono pri-vilegiate localizzazioni produttive e amministrative in aree urbane, determinando fenomeni di esodo dalla periferia verso il centro e di congestione delle città e, quindi, un peggioramento del livello di qualità della vita dei cittadini, che hanno iniziato a guardare con maggiore interesse all’ambiente rurale per motivi residen-ziali, produttivi e ricreativi.

Nell’ambito delle politiche comunitarie, quindi, si è manifestata l’esigenza di dare avvio a programmi nazionali e regionali volti a sostenere lo sviluppo delle aree rurali, così da rivitalizzarle in termini sociali ed economici.

Tuttavia, in Italia le risorse per le politiche di sviluppo rurale non sempre sono state all’altezza dei bisogni manifestati dal territorio. Benché negli anni del boom economico si sia trascurata la necessità di salvaguardare il patrimonio umano, culturale e ambientale delle aree rurali, esistono ancora dei grandi margini di manovra per far sì che tali aree costituiscano una risposta alla crescente domanda di un ambiente vitale e produttivo che soddisfi le aspettati-ve del cittadino.

Le forze di governo, pertanto, devono individuare le misure più opportune per favorire uno sviluppo socio-economico che preservi il territorio e il patrimonio delle aree rurali, che per secoli hanno costituito un fattore di stabilità, fon-damentale per la presenza umana.

Un mondo frenetico dipendente sempre di più dall’al-ta tecnologia e dal consumismo ha bisogno di conte-sti a misura umana e di ritmi naturali che proprio lo spazio rurale può offrire.

Le variegate e composite realtà rurali italiane rappresentano un patrimonio unico al mondo, per cui le energie umane impegnate nel loro rilancio, con uno sforzo soprattutto culturale e pro-fessionale, devono dare una risposta vincente che si addica a una nazione evoluta ed economica-mente sviluppata.

Bollettino

n u m e r o

10/11

aprile-settembre 2000

1

aprile/settembre - 2000 numero 10/11 a cura

INEA

Istituto Nazionale di Economia Agraria

Direttore responsabile Francesco Mantino Responsabile di redazione Laura Viganò

Comitato di redazione Giuseppe Blasi, Carlo Caldarini, Gerardo Delfino, Emilio Gatto, Giovanni Lo Piparo,

Alessandro Monteleone, Alessandra Pesce, Andrea Povellato, Daniela Storti, Paolo Zaggia, Annalisa Zezza

Progetto grafico Benedetto Venuto Elaborazioni statistiche Stefano Tomassini Supporto informatico Massimo Perinotto Segreteria Laura Guidarelli

Registrazione Tribunale di Roma n.671/97 del 15/12/1997 Sped. abb. post. art.2 Comma 20/C Legge 662/96 filiale Roma

Stampa Litografia Principe, Via E. Scarfoglio, 28 - Roma Finito di stampare nel mese di febbraio 2001

dell’

Osservatorio Politiche Strutturali

D.M. MIPA N. 9138/95

Sviluppo rurale:

Costo sociale o risorsa

nazionale?

Alfonso Pecoraro Scanio

Ministro delle Politiche Agricole e Forestali

L

in questo numero

● 2 Attualità Modulazione e Cross-compliance ● 8 Intervista a Jean-Louis Chomel ● 10 Dall’UE Le Regioni nella “Nuova Economia” ● 14 Regioni Il Piano di Sviluppo Rurale della Regione Friuli Venezia Giulia, Il Piano di Sviluppo Rurale della Regione Piemonte, Il Piano di Sviluppo Rurale della Regione Toscana ● 24

Miscellanea Pubblicazioni, Documenti e Siti Internet ●

(2)

2

numero 10/11

aprile/settembre - 2000

Attualità

Modulazione e Cross-compliance

di Roberto Henke e Roberta Sardone - INEA

Con il pacchetto di riforma di Agenda 2000 è stato approvato il Regolamento (CE) n. 1259/99, noto come “Regolamento orizzontale”, in quanto agisce in modo trasversale rispetto alle OCM e agli inter-venti di sviluppo rurale. Esso stabilisce una norma-tiva quadro, all’interno della quale viene data facoltà agli Stati membri di intervenire, con ampi margini di discrezionalità, sugli aiuti diretti; più in dettaglio, tale Regolamento stabilisce che gli Stati membri, in relazione alle attività previste:

• possono applicare incentivi o vincoli di caratte-re agro-ambientale alle produzioni intecaratte-ressate dal regime di pagamenti diretti della PAC (cross-compliance o eco-condizionalità, art. 3); • possono ridurre l’ammontare dei pagamenti

diretti erogati alle aziende in funzione del loro impiego di manodopera, della loro “prosperità” globale e dell’importo complessivo degli aiuti diretti da esse ricevuto (modulazione degli aiuti, art. 4);

• sono obbligati ad utilizzare gli importi resi dispo-nibili da tali riduzioni per misure supplementari nell’ambito del sostegno allo sviluppo rurale (Regolamento (CE) n. 1257/1999).

Le eventuali risorse finanziarie ottenute dai rispar-mi di spesa conseguenti alla applicazione del Regolamento orizzontale vanno obbligatoriamente destinate alle cosiddette misure di accompagna-mento, introdotte con la riforma Mac Sharry del 1992, e alle indennità compensative, concesse alle imprese agricole localizzate nelle aree svantaggia-te e nelle zone soggetsvantaggia-te a restrizioni ambientali. Tale obbligo rappresenta una novità di non poco rilievo, che cerca di dare un segnale in direzione del riequilibrio della spesa agricola – già indicato nella conferenza di Cork, del novembre 1996, come obiettivo strategico per l’evoluzione della PAC – attraverso lo spostamento di risorse finanzia-rie dal tradizionale sostegno alle OCM, verso le politiche di sviluppo rurale, in particolare quelle di natura ambientale. Con questo si intende poten-ziare alcune azioni – la salvaguardia ambientale, la difesa del paesaggio, il sostegno delle zone svantaggiate – particolarmente qualificanti rispet-to al concetrispet-to di “multifunzionalità”, che dovrebbe caratterizzare, secondo quanto indicato da Agenda 2000, il modello di agricoltura europeo. Il Regolamento orizzontale può essere considerato un effettivo passo in avanti nel riconoscimento di

un nuovo sistema di obiettivi e nella sua traduzio-ne in strumenti più selettivi rispetto al passato, a cui affidare l’azione della politica agricola. Ciononostante, anche a seguito della riforma del 1999, la strumentazione classica della PAC – prez-zi, quote, limiti di garanzia, aiuti diretti, set aside – che ha scarsa o nulla capacità di selezionare e finalizzare il sostegno, continua a giocare il ruolo principale nel sostegno complessivo.

La modulazione degli aiuti diretti

La modulazione prevede la possibilità di ridurre i pagamenti diretti erogati ai singoli agricoltori sulla base di parametri legati all’occupazione o al red-dito, in misura comunque non superiore al 20% dell’ammontare complessivo relativo a una anna-ta. In particolare, la modulazione può essere applicata nei seguenti casi:

• se la manodopera impiegata, espressa in unità di lavoro annue, risulta inferiore ai limiti che vengono stabiliti dallo Stato membro;

• se il reddito lordo standard (RLS), calcolato per ogni azienda in riferimento alla sua regione di appartenenza, è superiore a una soglia stabilita dallo Stato membro;

• se l’ammontare complessivo di aiuti diretti per-cepito dalla singola azienda è superiore a un massimo fissato dallo Stato membro (plafona-mento).

Così come è stata formulata nel regolamento oriz-zontale, la modulazione pone una serie di questio-ni di rilievo, che possono essere sintetizzate nei seguenti punti:

• la coerenza tra lo strumento attivato e gli obietti-vi che esso dovrebbe perseguire, sia in termini di riduzione della sperequazione del sostegno tra beneficiari e tra comparti, sia rispetto alla capa-cità di generare un gettito finanziario da destina-re al potenziamento di politiche diverse da quel-le rivolte al sostegno delquel-le attività produttive; • la possibile apertura di una serie di conflitti –

soprattutto interni al settore primario, ma non solo – tra territori e tra comparti produttivi, lega-ti ai criteri di applicazione della modulazione e ai meccanismi che regolano la destinazione e l’uso delle risorse finanziarie da essa generate; • il rapporto tra i livelli istituzionali coinvolti nella

modulazione e i problemi associati alla sua gestione amministrativa.

Per quanto riguarda il primo aspetto, la modula-zione – e in generale tutto il Regolamento orizzon-tale – è stato il frutto di un laborioso compromesso

(3)

3

numero 10/11

aprile/settembre - 2000

tra esigenze e posizioni diverse espresse dai part-ner comunitari e dai gruppi di interesse agricoli, che ne ha fatto emergere soprattutto la valenza fiscale, di intervento volto a drenare risorse per il finanziamento di misure di carattere strutturale e agroambientale, attraverso una riduzione degli aiuti diretti ispirata a criteri di equità. Tale scelta va valutata soprattutto come opportunità di pro-cedere in modo graduale nella attivazione di nuovi meccanismi di sostegno. In altre parole, una volta chiusa Agenda 2000, la Commissione si è limitata, con la modulazione, a lanciare un segnale e a fornire l’occasione di sperimentare un nuovo strumento, lasciando una ampia discrezio-nalità agli Stati membri, in attesa di mettere a punto un meccanismo di cui forse, in futuro, sarà la stessa Commissione a farsi carico.

Sul secondo punto, l’elemento più discutibile sta nel fatto che la modulazione si limita, per forza di cose, a intervenire solo sugli aiuti diretti della PAC, senza considerare in alcun modo gli aiuti indiretti di cui pure beneficiano gli agricoltori, ovvero quel-li derivanti dalla esistenza di meccanismi di soste-gno del prezzo.

Una fonte di conflitti, inoltre, potrebbe derivare dalla redistribuzione territoriale del sostegno con-seguente alla modulazione, in quanto essa tende-rebbe a drenare risorse in modo prevalente dalle aree dove si concentra l’attività produttiva e dove questa risulta più competitiva ed efficiente, rispet-to a quelle svantaggiate, caratterizzate da produ-zioni meno orientate al mercato; queste ultime, inoltre, almeno in linea di principio, sono quelle dove più si dovrebbero concentrare gli stanzia-menti aggiuntivi per il potenziamento dei pro-grammi strutturali e agroambientali, finanziato dai risparmi generati dalla modulazione stessa. Un tale trasferimento può essere visto come un obietti-vo legittimo di redistribuzione delle risorse finan-ziarie, di per sé ampiamente giustificabile, ma rischia di generare un conflitto interno al settore. Ancora, il legame tra la modulazione degli aiuti diretti e il potenziamento delle politiche strutturali ed agroambientali può alimentare un (falso) con-flitto all’interno del mondo agricolo, mettendo in competizione l’aspirazione al mantenimento del sostegno della componente più produttiva dell’a-gricoltura, fortemente integrata con il mercato dei prodotti e da essa dipendente, con l’esigenza di remunerare i servizi e i beni pubblici associati all’esercizio dell’attività agricola che il mercato non è in grado di valorizzare. Si tratta, in realtà, di interessi ambedue legittimi, che dovrebbero entrambi trovare un posto adeguato nel contesto della valorizzazione del ruolo multifunzionale del

settore primario nelle società avanzate.

Una terza questione aperta con la modulazione riguarda le difficoltà gestionali che possono sorge-re, dato il coinvolgimento di diversi livelli istituzio-nali nella gestione della PAC. Ci si trova davanti, infatti, a uno strumento che sottrae risorse finan-ziarie a una politica di mercato gestita a livello comunitario, per poi distribuirle a favore di pro-grammi strutturali e agroambientali, gestiti, inve-ce, a un livello istituzionale più basso. Strettamente connesso a questo aspetto è il pro-blema della gestione amministrativa della modu-lazione. In particolare, applicando una logica già ricorrente nella gestione della spesa per lo svilup-po rurale, il svilup-potenziamento delle risorse svilup-potrebbe essere automaticamente indirizzato verso le regio-ni con maggiore capacità di spesa, contribuendo così ad aumentare lo squilibrio territoriale.

Un’ulteriore questione riguarda il cofinanziamento nazionale associato alla spesa comunitaria per i programmi strutturali e agroambientali. L’ammontare di risorse risparmiate dagli Stati membri su fondi comunitari attraverso la modula-zione degli aiuti diretti, traducendosi in un aumen-to di spesa comunitaria stanziata per azioni struttu-rali e agroambientali, andrebbe necessariamente integrato da fondi nazionali, secondo il principio del cofinanziamento. Ciò potrebbe aprire un ulte-riore fronte di conflitto, di natura intersettoriale, aumentando l’insofferenza nei confronti dell’ec-cessivo sostegno di cui gode il settore agricolo e che il meccanismo descritto contribuirebbe ad accrescere.

Allo stato attuale, la modulazione è stata appro-vata in Francia, dove verrà applicata a partire già dalla fine del 2000, con l’obiettivo di finanziare i contratti territoriali di coltivazione, rientranti nella nuova legge di orientamento per l’agricoltura. In particolare, tali contratti prevedono un impegno da parte degli agricoltori a favore della protezione delle risorse naturali, dell’equilibrio delle attività che insistono su un dato territorio e dell’occupazio-ne. Altri paesi hanno avviato la discussione sul-l’opportunità e sulle modalità di applicazione della modulazione, come la Spagna, il Regno Unito e l’Italia.

Nel nostro paese, il dibattito si è incentrato su ipo-tesi di plafonamento degli aiuti. Per quanto riguar-da il ricorso al criterio del RLS azienriguar-dale, esso appare scarsamente praticabile, per diverse ragioni. In primo luogo, si tratta di una grandezza relativamente astratta, determinata con riferimen-to ai livelli di produzione lorda e ai costi specifici medi delle aree geografiche e delle attività pro-duttive, che non necessariamente si riscontrano

(4)

nelle aziende agricole considerate individualmen-te. In secondo luogo, i RLS non risultano sufficien-temente aggiornati e ciò potrebbe contribuire a rendere inefficace il prelievo rispetto ai criteri sta-biliti, specialmente se le caratteristiche delle aziende o dell’area in cui esse si trovano cambia-no con una qualche rapidità.

Venendo all’intensità di lavoro, va sottolineato che il rilievo delle unità di lavoro effettivamente operanti nelle aziende non è agevole, né sotto il profilo del calcolo – basti pensare alla diffusione della pluriattività, all’impiego di manodopera marginale o, ancora, alla flessibilità e variabilità nell’impiego del lavoro familiare – né sotto il profi-lo del controlprofi-lo.

In base al semplice plafonamento sono state, dun-que, formulate quattro ipotesi di modulazione, che assumono un carattere puramente esemplificati-vo, ma che consentono di procedere ad alcune prime, rilevanti valutazioni sull’applicazione della modulazione. Nelle ipotesi A e B (si veda tabella 1), la riduzione si applica in percentuali crescenti sugli scaglioni di aiuti diretti complessivamente percepiti dalle aziende, in modo analogo a

quan-to avviene per la tassazione diretta sul reddiquan-to delle persone fisiche. La differenza è nel livello della franchigia iniziale, in un caso fissata a 5 milioni, nell’altro a 10 milioni. Le altre due ipotesi sono state formulate come estremizzazioni delle due precedenti. Nella prima (C), si colpiscono solo le quote eccedenti i 100 milioni di aiuto diretto, accentuando così il carattere redistributivo della modulazione. Nella seconda (D), emerge solo la valenza della modulazione come strumento di prelievo, mentre è totalmente assente il suo carat-tere redistributivo, dal momento che si propone un’unica percentuale di riduzione da applicarsi a tutte le aziende interessate, indipendentemente dall’ammontare di aiuto percepito e dagli altri cri-teri. Quest’ultima ipotesi si presenta diversa dalle prime tre sotto il profilo sia dei costi amministrativi – che si possono immaginare significativamente minori rispetto ad A, B e C – sia della possibilità di frodi. Solo in questo caso, infatti, sarebbe esclusa la possibilità di assistere a una fittizia suddivisione delle aziende, finalizzata a ricadere in una classe di aiuto complessivo cui si applica una percentua-le di prelievo minore.

Le quattro ipotesi di modulazione determinano

2

numero 10/11

aprile/settembre - 2000

Attualità

4

Tabella 1 - Incidenza del gettito sulla dotazione media annua del PSR (%) *

IPOTESIA IPOTESIB IPOTESIC IPOTESID

Reg. orizz. PSR Reg. orizz. PSR Reg. orizz. PSR Reg. orizz. PSR

Piemonte 25,0 14,7 21,8 12,8 4,3 2,5 20,0 11,8 Valle d'Aosta 0,0 0,0 0,0 0,0 - 0,0 0,8 0,7 Lombardia 60,3 47,1 56,9 44,5 20,6 16,1 26,5 20,8 Trentino A. A.** 0,4 0,2 0,4 0,2 - 0,0 0,7 0,3 Veneto 128,2 62,1 122,7 59,4 77,9 37,7 52,5 25,4 Friuli-V. G. 42,1 30,8 38,9 28,5 17,5 12,8 25,4 18,6 Liguria 1,6 0,4 1,4 0,4 0,6 0,1 5,0 1,3 Emilia Romagna 37,2 21,0 34,6 19,5 16,7 9,4 20,3 11,4 Toscana 32,3 31,8 30,8 30,3 13,7 13,4 13,6 13,4 Umbria 99,3 59,2 97,3 58,0 67,0 39,9 27,8 16,6 Marche 43,9 20,7 39,5 18,7 12,1 5,7 32,9 15,5 Lazio 40,4 23,8 38,2 22,5 17,2 10,1 21,9 12,9 Abruzzo 20,5 11,5 18,0 10,1 7,2 4,0 23,9 13,3 Molise 25,9 25,9 20,9 20,9 1,5 1,5 33,9 33,9 Campania 46,6 46,6 41,7 41,7 10,4 10,4 36,0 36,0 Puglia 44,4 44,4 40,2 40,2 11,1 11,1 36,4 36,4 Basilicata 17,8 17,8 15,6 15,6 1,5 1,5 15,5 15,5 Calabria 31,4 31,4 29,3 29,3 13,5 13,5 21,4 21,4 Sicilia 12,5 12,5 10,7 10,7 1,0 1,0 13,8 13,8 Sardegna 8,3 8,3 6,7 6,7 0,7 0,7 9,9 9,9 Italia 35,7 27,1 33,0 25,1 13,7 10,4 21,6 16,5

* Nella prima colonna relativa a ciascuna ipotesi si riporta il peso del gettito sulle misure finanziabili con la modulazione, nella seconda il peso rispetto al PSR

** Dotazione finanziaria per il Trentino Alto Adige come somma della dotazione dei PSR della P.A. di Trento e della P.A. di Bolzano

(5)

gettiti complessivi molto variabili in termini di potenziamento della dotazione media annua, per il periodo 2000–2006, delle misure finanziabili nel-l’ambito dei piani di sviluppo rurale (PSR). Le prime due (A e B) determinerebbero un incremen-to superiore a un terzo nella dotazione finanziaria delle misure interessate dalla modulazione e pari a circa un quarto delle risorse medie annue di tutti i PSR, mentre sotto le altre due ipotesi la modula-zione sposterebbe quote decisamente più ridotte rispetto alle dotazioni iniziali. Allo stesso tempo, va tenuto presente che il complesso delle misure di accompagnamento e delle indennità compensati-ve costituisce mediamente una quota variabile tra il 50% e il 60% dell’intera dotazione finanziaria dei PSR e per le regioni dell’Obiettivo 1, per cui le misure finanziabili con la modulazione coincidono praticamente con l’intera dotazione finanziaria del PSR.

D’altra parte, va anche sottolineato che, se il getti-to della modulazione dovesse rimanere all’interno delle regioni in cui avviene il prelievo e destinato al potenziamento dei relativi PSR, la distribuzione delle risorse finanziarie per lo sviluppo rurale potrebbe risultare significativamente diversa da quella inizialmente, stabilita con l’attività di pro-grammazione 2000–06, modificando, in tal modo, le scelte allocative compiute in quella sede.

L’eco-condizionalità

Il Regolamento orizzontale, all’articolo 3, stabilisce che, in relazione all’attività agricola, gli Stati mem-bri adottano le misure che essi ritengono più appropriate in materia ambientale, tenuto conto della loro specifica situazione. Tali misure possono comprendere:

• l’erogazione di aiuti in cambio di impegni agro-ambientali;

• la fissazione di requisiti ambientali obbligatori di carattere generale;

• la fissazione di requisiti ambientali specifici, la cui soddisfazione è condizione per poter benefi-ciare dei pagamenti diretti.

Gli Stati membri definiscono, inoltre, le sanzioni derivanti dal mancato rispetto dei requisiti ambientali, che possono prevedere la riduzione, fino alla completa soppressione, dei benefici deri-vanti dall’applicazione dei regimi di sostegno ai quali il regolamento fa riferimento (contemplati nell’Allegato allo stesso).

Nell’analizzare i contenuti di tale articolo, occorre rilevare che la sua formulazione appare alquanto confusa. Innanzitutto, si nota che il primo trattino

contiene un riferimento, più che altro implicito, all’adozione delle misure agro-ambientali previste dal regolamento sullo sviluppo rurale, mentre l’in-troduzione degli elementi di eco-condizionalità vera e propria è rimandata ai contenuti dei suc-cessivi due trattini. Di conseguenza, l’applicazione dell’articolo 3 rappresenta solo in parte un ele-mento facoltativo, dato che le misure agro-ambientali, seppure volontarie per gli agricoltori, devono comunque essere obbligatoriamente con-template all’interno dei programmi di sviluppo rurale adottati dei Paesi membri (Reg. 1257/99, art. 43). Ai singoli Stati dell’Unione, invece, resta la facoltà di stabilire le modalità con cui procedere all’applicazione del regolamento.

Resta, quindi, da verificare se e come gli Stati membri procederanno nell’applicazione delle ulteriori due azioni previste: la fissazione di requisiti ambientali obbligatori di carattere generale e di requisiti ambientali specifici. Inoltre, anche per queste due ultime azioni, si pongono alcuni dubbi sulla loro obbligatorietà.

L’obbligo per gli Stati membri di dare attuazione all’eco-condizionalità ambientale, così come inte-sa nei trattini secondo e terzo, sembrerebbe con-fermato anche dal fatto che essa rappresenta il primo tentativo di rendere operativo nel settore agricolo uno dei principi cardine della politica ambientale dell’UE - sancito nel Trattato istitutivo al Titolo dedicato all’Ambiente - ovvero il principio dell’inquinatore pagatore (Polluter Pays Principle -PPP). In base all’applicazione di tale principio, i responsabili dell’inquinamento ambientale sono tenuti a risarcire i danni prodotti alla collettività. Per estensione e in applicazione dello stesso, il Regolamento orizzontale sancisce che i beneficiari dei regimi di aiuti diretti debbano assicurare il rispetto di alcuni requisiti minimi in materia di pro-tezione ambientale, come condizione per poter accedere al sostegno garantito dalla politica agri-cola comune (PAC). Il mancato rispetto di tali requisiti dovrebbe, come conseguenza, convertirsi in una riduzione del livello di sostegno a essi garantito e, quindi, nell’applicazione dell’eco-con-dizionalità.

In questo senso, il punto di debolezza del regola-mento orizzontale consiste nel limitare l’applicazio-ne di questo principio ai soli aiuti diretti previsti dalla PAC, e non anche a tutte le altre forme di sostegno previste (prezzi interni mantenuti artifi-cialmente più elevati di quelli internazionali, pro-tezione alle frontiere ecc.). D’altro canto, in consi-derazione delle difficoltà di una piena applicazio-ne dell’eco-condizionalità, appare comprensibile che la Commissione europea si sia limitata a

inter-3

numero 10/11

aprile/settembre - 2000

5

(6)

venire su quelle forme di sostegno che, oltre a costituire la fetta più rilevante del sostegno garan-tito agli agricoltori, vengono pagate direttamente sul bilancio comunitario (FEOGA-Garanzia). La “visibilità” di tali pagamenti, insieme al fatto che essi sono finanziati direttamente dai contribuenti dell’UE, sempre più attenti e sensibili alle proble-matiche ambientali, fa sì che essi siano il più facile e immediato bersaglio dei primi tentativi di appli-cazione del PPP al settore agricolo.

All’indomani della pubblicazione del Regolamento orizzontale, da più parti sono state sollevate molte perplessità sulle concrete possibi-lità di applicazione di queste due azioni; infatti, da un lato, si poneva il problema della determinazio-ne dei requisiti ambientali e, dall’altro, quello della definizione dei sistemi di accertamento e controllo del loro rispetto. Le difficoltà apparivano talmente ampie da suggerire che la stessa UE intervenisse con un regolamento recante moda-lità di applicazione sul Regolamento orizzontale, che, pur nel rispetto del principio di sussidiarietà, garantissero una certa uniformità nel livello di applicazione all’interno dei diversi Paesi membri. In particolare, le difficoltà di determinazione dei requisiti minimi ambientali presentano notevoli similitudini – oltre che rilevanti problemi di coordi-namento – con quelle relative alla definizione della buona pratica agricola normale (BPAn), che rappresenta il livello oltre il quale gli agricoltori devono operare per garantire servizi ambientali, remunerabili dalla collettività attraverso le misure agro-ambientali, così come previsto dal regola-mento sullo sviluppo rurale (cfr. A. Povellato, C. Zaccarini Bonelli, Il concetto di buona pratica agri-cola nel nuovo regolamento sullo sviluppo rurale, in BPSA, n. 6/7).

Nonostante le perplessità iniziali e la discussione partita un po’ in sordina, l’applicazione dell’eco-condizionalità ha suscitato un certo interesse all’in-terno della maggioranza dei Paesi membri dell’UE. Del resto, anche in Italia, mentre incalzava la discussione intorno alle ipotesi di applicazione della modulazione, in realtà si stava predisponen-do una bozza di applicazione dell’eco-condiziona-lità ambientale, che ha trovato una sua definizio-ne in un decreto legislativo approvato definizio-nell’estate del 2000 (Decreto del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali del 15 settembre 2000, GU n. 248 del 23/10/200).

Il decreto, approvato dal MiPAF, dispone che i pagamenti previsti dal Regolamento orizzontale siano riconosciuti integralmente ai beneficiari qualora risultino soddisfatti i seguenti requisiti in materia di protezione ambientale:

• manutenzione delle scoline, manutenzione dei canali collettori permanenti e attuazione, in zone declive, di solchi acquai temporanei trasversali rispetto alla massima pendenza, per i settori dei seminativi, delle leguminose in grani, del lino, della canapa, del tabacco, delle sementi e del riso;

• manutenzione delle scoline, manutenzione dei canali collettori permanenti, per il settore dell’o-lio di oliva;

• stoccaggio degli effluenti zootecnici liquidi, negli allevamenti a stabulazione fissa, in bacini impermeabili per natura del sito o impermeabi-lizzati artificialmente, per i settori delle carni bovine e degli ovini e caprini.

Un successivo provvedimento fisserà l’entità della riduzione negli importi degli aiuti diretti percepiti dagli agricoltori che non rispetteranno i requisiti stabiliti. Se la riduzione del sostegno dovesse esse-re confermata, come annunciato, pari ad appena il 5%, l’efficacia dell’eco-condizionalità verrebbe profondamente ridimensionata. Infatti, sembra lecito attendersi che i beneficiari dei regimi di aiuti diretti si attengano alle disposizioni previste solo nell’ipotesi in cui la posta in gioco – ovvero, il rischio di vedere ridimensionato il livello del loro sostegno – sia di una certa consistenza. In tal senso, una riduzione di appena il 5% non sembra sufficiente a dare questa garanzia. Inoltre, va rile-vato che, limitatamente a quanto stabilito per il settore zootecnico, i requisiti previsti coincidono, nella sostanza, con quanto già disposto da norme regionali adottate all’interno delle principali regio-ni a vocazione zootecregio-nica. In questo senso, i con-tenuti dell’eco-condizionalità non sembrano in grado di produrre significativi miglioramenti nel livello di protezione della qualità ambientale. Il decreto approvato, invece, dispone fin d’ora che gli eventuali risparmi ricavati dall’applicazione dell’eco-condizionalità restino all’interno della regione nella quale sono stati realizzati. Quindi, nel caso dell’art. 3, l’Italia ha optato per il principio di legare al territorio l’utilizzo delle risorse finanzia-rie aggiuntive a favore dei PSR; come sottolineato in precedenza, una scelta analoga nel caso della modulazione non sarebbe scevra da complicazio-ni. Tuttavia, va rilevato che l’esistenza di due prin-cipi diversi per la modulazione e l’eco-condiziona-lità sembra lecita; l’eco-condizional’eco-condiziona-lità, infatti, è un intervento di riequilibrio ambientale e, pertanto, è del tutto ragionevole che i suoi effetti siano prodot-ti sugli stessi territori interessaprodot-ti dal mancato rispet-to dei requisiti ambientali fissati.

Un altro aspetto di rilievo, in merito alle decisioni

6

numero 10/11

aprile/settembre - 2000

(7)

7

numero 10/11

aprile/settembre - 2000

prese, riguarda il loro collegamento con i codici di BPA, alla cui definizione le regioni hanno lavorato nei mesi passati, nell’ambito dell’attività di pro-grammazione per la predisposizione dei PSR. Da un’analisi dei requisiti ambientali determinati con il decreto del MiPAF, infatti, emerge che questi si riferiscono a un ambito di applicazione molto più ristretto di quello considerato dai codici di BPA. In altre parole, i contenuti dell’eco-condizionalità non sono paragonabili a quelli presi a riferimento nella programmazione delle misure agro-ambien-tali. Questa discrepanza, che lascia perplessi sul piano teorico – da un punto di vista concettuale, sarebbe auspicabile che i requisiti minimi ambien-tali coincidessero con i codici di BPA - appare comunque giustificabile sul piano operativo. Infatti, un tentativo di applicazione dell’eco-condi-zionalità esteso a tutti gli aspetti che hanno con-corso a determinare le BPA avrebbe comportato difficoltà di attuazione quasi insormontabili, soprattutto in relazione all’estesa e complessa atti-vità di controllo che ne sarebbe scaturita.

A conferma delle difficoltà di garantire un perfetto coordinamento tra le due tipologie di interventi, basti pensare che anche gli altri paesi membri dell’UE, compresi quelli in cui il livello di sensibilità ambientale è più elevato, hanno dato attuazione o stanno predisponendo ipotesi di eco-condiziona-lità di modesta portata, almeno rispetto a quanto

realizzato con i codici di BPA. A titolo di esempio, si può citare il caso della Francia, in cui l’applica-zione si è ridotta a richiedere l’installal’applica-zione di misuratori dell’acqua, finalizzati a controllare l’im-piego di questa risorsa a scopi irrigui.

In definitiva, sebbene i contenuti del decreto del MiPAF possano apparire un poco riduttivi, resta il fatto che l’aver proceduto all’applicazione dell’ar-ticolo 3 rappresenta comunque un segnale estre-mamente importante per gli agricoltori. D’altro canto, l’eco-condizionalità rappresenta una novità assoluta nell’ambito delle decisioni di Agenda 2000; pertanto, come tutti gli strumenti di caratte-re innovativo, sembra del tutto normale che, nella fase di avvio, essa sconti alcune difficoltà di attua-zione e che, solo con il tempo, riesca a raggiunge-re pienamente gli obiettivi che si praggiunge-refigge di rag-giungere. In tal senso, sintomatica è proprio l’e-sperienza maturata attraverso le misure agroam-bientali, le quali, dopo il primo periodo di applica-zione, hanno subito un notevole rafforzamento, in termini di obiettivi ambientali perseguiti, con la successiva programmazione 2000-06.

Infine, va ricordato che il decreto del MiPAF costi-tuisce una base di partenza per il futuro, in quanto nulla vieta di integrare, già a partire dal prossimo anno, le disposizioni adottate con ulteriori norme che consentano un maggiore avvicinamento tra queste disposizioni e i contenuti dei codici di BPA.

(8)

8

numero 10/11 aprile/settembre - 2000

Jean-Louis Chomel

Capo dell’unità

Valutazione

Commissione europea

Direzione Generale VI

-Agricoltura

Con i nuovi regolamenti relativi al periodo di programmazione 2000-2006 il ruolo della valuta-zione delle politiche strutturali comunitarie, rispetto al passato, è stato rafforzato. Ci potrebbe dire in cosa consiste questo cambiamento, anche con riguardo alle funzioni dei diversi soggetti responsabili delle atti-vità di valutazione?

La regolamentazione relativa alle azioni strutturali per il perio-do 2000-2006 ha attribuito un ruolo molto più importante alla valutazione rispetto ai periodi precedenti. I regolamenti, infat-ti, hanno rafforzato la valutazio-ne ex ante affinché i programmi contengano, fin dall’inizio, una buona diagnosi dei problemi che intendono affrontare. Inoltre, la responsabilità diretta della valutazione intermedia è stata attribuita agli Stati membri o alle regioni in collaborazione con la Commissione, che svol-gerà un ruolo fondamentale nel giudicare le performance del programma e, quindi, nella decisione di attribuzione della riserva di efficacia ed efficienza. Infine, la responsabilità della valutazione ex post è stata affi-data alla Commissione in colla-borazione con gli Stati membri o le Regioni.

Quali sono, secondo Lei, gli obiettivi che i diversi soggetti coinvolti nella gestione delle Politiche strutturali, Commissione europea, Stati membri, Regioni, devono conseguire con lo svol-gimento delle attività di valuta-zione?

Ritengo che alcuni obiettivi pro-pri della valutazione siano comuni ai diversi livelli interes-sati:

• rendere partecipe l’opinione pubblica delle azioni e degli effetti delle politiche finanzia-te con i fondi pubblici, in par-ticolare attraverso l'autorità di bilancio;

• permettere ai centri decisio-nali e agli amministratori di verificare se gli effetti dei pro-grammi di cui sono responsa-bili sono conformi a quanto previsto e di modificare la strategia e/o gli strumenti uti-lizzati se questi risultano ina-deguati;

• migliorare, per quanto possi-bile, le conoscenze riguardo al complesso delle azioni intraprese e mettere al corren-te così l'opinione pubblica sulle sfide da affrontare e sulle modalità con cui farlo. D'altra parte, ritengo che ogni livello abbia obiettivi propri: - le Regioni devono assicurare

che le specificità regionali siano correttamente prese in considerazione;

- gli Stati membri devono fare in modo che gli approcci regionali abbiano una base comune, al fine di trarre degli insegnamenti a livello nazio-nale, per gestire meglio le diversità regionali e disporre di elementi affidabili e validi in occasione delle discussioni a livello europeo;

- l'Unione Europea svolge una funzione di sorveglianza affin-ché vengano realizzate valu-tazioni che permettano di capire se l'approccio comuni-tario, attraverso la regola-mentazione e gli strumenti posti in essere, corrisponda realmente alle necessità della società europea.

Lei ritiene che, in generale, esi-stano alcune buone prassi da seguire nella realizzazione delle valutazioni e, in caso affermati-vo, quali?

La valutazione a livello europeo è una pratica - non parlerò di scienza - recente. Vediamo svi-lupparsi una coscienza valutati-va che richiede, tra l'altro, l’ado-zione di buone pratiche in que-sta nuova disciplina. La Commissione europea ha per-messo un salto qualitativo grazie alla pubblicazione dei volumi della raccolta MEANS. A livello degli Stati membri, le società di valutazione nate negli ultimi anni permettono scambi di pra-tiche e di esperienze.

È ancora troppo presto, oggi, per definire buone prassi. Tuttavia, si possono già distin-guere alcune condizioni essen-ziali per realizzare una buona valutazione:

- individuare, fin dall'elabora-zione del programma, le necessità future di tale attività e prevedere gli strumenti ne-cessari per garantire la realiz-zazione di buone valutazioni; - verificare che il monitoraggio

delle azioni previste nei Programmi sia realizzato cor-rettamente al fine di disporre delle informazioni sugli "input" e sugli ”output” delle azioni; - coinvolgere, fin dall'inizio

della programmazione, i cen-tri decisionali e gli ammini-stratori nelle sfide che devono essere affrontate con la valu-tazione;

- porsi, fin dall'inizio dell'attua-zione del programma, delle questioni valutative per le quali si vuole avere delle risposte e precisare, per quan-to possibile, gli strumenti per ottenerle;

- fare in modo che la valutazio-ne, con la quale si esprime un giudizio, sia realizzata nel

(9)

9

numero 10/11

aprile/settembre - 2000

Intervista a

Jean-Louis Chomel

modo più rigoroso possibile, affinché non sia soggetta a critiche di ordine metodologi-co.

Qual è la Sua opinione in merito al grado di indipendenza che il valutatore deve mantenere rispetto all’autorità di gestione dei singoli programmi?

La questione dell'indipendenza è strategica nell’ambito della valutazione per garantire la sua credibilità di fronte all'opinione pubblica. Per questo ritengo che gli amministratori o i centri deci-sionali non debbano mai con-durre in proprio la valutazione. D’altra parte, l'esperto o il grup-po di valutazione deve disgrup-porre di conoscenze sull'argomento valutato e, molto spesso, tale conoscenza è detenuta princi-palmente dagli amministratori. L'arte dell'esperto consiste nel raccogliere questa informazione in modo non distorto, verificarla tramite la consultazione di varie fonti, incrociarla con altri tipi d'informazione e farsi un'opinio-ne propria basata su elementi quantitativi o qualitativi, al fine di fornire un giudizio valutativo. La DG Agricoltura ha messo a punto una metodologia di valu-tazione delle politiche strutturali in agricoltura e di sviluppo rura-le. Ci potrebbe descrivere breve-mente gli elementi innovativi di tale metodologia?

Quando sono stato incaricato di creare l'unità valutazione, era l'epoca in cui si affidava alla Commissione la realizzazione delle sintesi nazionali delle valu-tazioni intermedie dell'obiettivo 5b. Abbiamo constatato che, indipendentemente dalla qua-lità delle valutazioni regionali, era impossibile elaborare una sintesi nazionale e soprattutto una sintesi comunitaria.

Abbiamo ritenuto che sarebbe stato un vero peccato perdere le conoscenze e le informazioni esi-stenti a livello regionale e non disporre, a livello nazionale e soprattutto comunitario, di infor-mazioni di ritorno (feed back) sulla realtà regionale.

Di conseguenza, abbiamo pro-posto agli Stati membri un approccio specifico per i pro-grammi di sviluppo rurale. All’inizio, tale approccio è stato testato positivamente con la valutazione finale ed ex post di due regolamenti dell'obiettivo 5a.

In particolare, a tutte le valuta-zioni si chiede di rispondere obbligatoriamente alle doman-de valutative poste dalla Commissione, identiche per tutte le regioni (sempre che le questio-ni siano pertinenti al livello del programma interessato). Si chie-de, inoltre, che tali questioni valutative comuni siano comple-tate da questioni valutative spe-cifiche, elaborate a livello regio-nale e, eventualmente, naziona-le.

Ogni questione valutativa è stata associata a uno o due cri-teri di giudizio che dovranno essere obbligatoriamente utiliz-zati. Infine, per ciascun criterio di giudizio, la Commissione ha ela-borato degli indicatori comuni, che permettono di individuare alcuni elementi per rispondere in modo omogeneo alle doman-de in tutte le regioni coinvolte nella programmazione (ne abbiamo 69 soltanto per lo svi-luppo rurale).

Abbiamo elaborato due docu-menti chiamati "linee direttive", uno portato a termine nel 1999 e l'altro alla fine del 2000, affinché tutte le regioni dispongano, fin dalla messa in atto dei program-mi adottati dalla Comprogram-missione, degli elementi necessari per effettuare valutazioni che pren-dano avvio nel momento più

opportuno per essere utili a livel-lo regionale, nazionale e comu-nitario. Questi documenti, tradot-ti nelle 11 lingue della Comunità, sono disponibili nel sito Internet della Commissione http://europa.eu.int/comm/dg06/ eval/index_it.htm.

Lei ritiene che, in generale, il livello qualitativo delle valuta-zioni ex ante dei nuovi Programmi FEOGA risponda agli standard attesi dalla Commissione?

Abbiamo ricevuto le valutazioni o i riassunti delle valutazioni ex ante dei nuovi programmi, ma non abbiamo ancora avuto la possibilità di trarne gli insegna-menti in termini di valutazione. Come sempre, in presenza di numerosi programmi, disponia-mo di valutazioni di qualità diversa anche nell’ambito di uno stesso Stato membro. Vorrei soltanto segnalare qui che, all'ultima conferenza sulla valu-tazione dei Fondi strutturali a Edinburgo, la valutazione ex ante della Regione Piemonte è stata presa in considerazione come un esempio riuscito di valutazione ex ante dei pro-grammi di sviluppo rurale. La Sua attività all’interno della Commissione Le consente di avere un quadro complessivo delle attività di valutazione rea-lizzate a livello europeo. Sulla base della Sua esperienza, ritie-ne che il livello di elaborazioritie-ne teorica e la prassi della valuta-zione siano omogenei tra i diver-si Stati membri o ediver-sistano realtà che possono essere considerate all’avanguardia e, eventual-mente, perché?

Non è così semplice come sem-bra rispondere a questa doman-da. Infatti, esiste una tradizione della valutazione in Irlanda, Regno Unito e Svezia, ma si

(10)

Le Regioni nella “Nuova

Economia”

di Carlo Caldarini - INEA

La Commissione europea ha adottato di recente una proposta di orientamenti per le nuove azioni innovative del Fondo europeo di sviluppo regio-nale (FESR) del periodo di programmazione 2000/2006 1. Tale proposta si iscrive nella strategia

globale dell'Unione europea, definita in occasione del Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000, mirante a “potenziare la competitività dell'econo-mia europea” a livello regionale mediante lo svi-luppo di “un'economia e una società basate sulla conoscenza e sull'innovazione”.

Uno dei presupposti di tale strategia è la necessità di colmare i forti divari esistenti tra le diverse

regioni dell’Unione per quanto riguarda gli investi-menti tecnologici e l’accesso alla società dell'infor-mazione.

A fronte di forti e incoraggianti prospettive di cre-scita legate alla cosiddetta new economy, vi sono, infatti, indizi preoccupanti di un'insufficiente valorizzazione del potenziale della società del-l'informazione, da parte dell'UE nel suo insieme, ma soprattutto delle comunità regionali e locali più svantaggiate.

Secondo alcuni studi pubblicati quest’anno dalla Commissione europea 2, ad esempio, i livelli di

dif-fusione e di applicazione delle tecnologie del-l'informazione e della comunicazione (TIC) nell'Unione sono decisamente inferiori a quelli degli Stati Uniti (il principale partner e concorrente dell’UE nel mercato globale):

- la spesa pro-capite per TIC è di circa 850 Euro negli USA e di circa 400 Euro nell’UE;

vede apparire un nuovo modo di affrontare la problematica della valutazione nei paesi di cultura latina, con la presenza di esperti di qualità in Belgio, Francia, Spagna e Italia. Anche in Germania, Finlandia, Olanda e Danimarca si stanno svilup-pando esperienze interessanti. In generale, devo riconoscere che, dal punto di vista istituzio-nale, le procedure e l'interesse per la valutazione sono più svi-luppati nei Paesi del Nord. Nel settore dei Fondi strutturali, compreso lo sviluppo rurale, dobbiamo sottolineare lo sforzo particolare e i risultati molto pro-mettenti da parte dell'Italia e spero che la sua posizione nel gruppo di testa si mantenga nel quadro della programmazione 2000-2006.

La DG Agricoltura ha avviato o ha intenzione di avviare forme

di collaborazione stabili con i diversi Stati membri, per consoli-dare la prassi della valutazione e l’utilizzo dei suoi risultati? Da molti anni, la Commissione sostiene lo sviluppo della valuta-zione, in particolare nel quadro dei Fondi strutturali.

La DG Agricoltura proseguirà quest'attività d'animazione e di sviluppo delle attività di valuta-zione negli Stati membri con tutti i mezzi che le saranno messi a disposizione.

Nel corso degli ultimi 18 mesi, numerose discussioni sulla valu-tazione hanno avuto luogo nel-l'ambito del comitato Star, nel quale un gruppo di esperti ha lavorato un giorno intero sulla metodologia di valutazione dei programmi di sviluppo rurale. Abbiamo iniziato un giro in tutti gli Stati membri per spiegare questa metodologia,

comincian-do dall'Italia, così da riconoscere il suo ruolo attivo nel corso dei dibattiti tra gli stessi.

Spero che il futuro ci permetterà di consolidare le riunioni e, per-ché no, di creare, eventualmen-te, una rete per lo scambio delle esperienze, così come richiesto da diversi Stati membri. Tuttavia, occorre sapere che tale sviluppo esige mezzi in termini di risorse sia umane che finanzia-rie. La loro concentrazione in tale direzione costituisce, peral-tro, una scelta tra diverse prio-rità politiche, sia negli Stati membri che nella Commissione. Dal canto nostro, ci sforziamo di mostrare, con la qualità e l'utilità del nostro lavoro, che la valuta-zione può svolgere un ruolo inso-stituibile come strumento di buona gestione.

10

numero 10/11

oprile/settembre - 2000

Intervista a

Jean-Louis Chomel

Dall’Unione Europea

1) Commission europèenne, Projet de communication de la commission aux etats membres "Les régions dans la nouvelle écono-mie", Orientations pour les actions innovatrices du FEDER pour la periode 2000-2006, Bruxelles, 12/07/2000.

2) Strategie per l’occupazione nella società dell’informazione. Comunicazione della Commissione, COM(2000) 48 def., Bruxelles, 04.02.2000.

(11)

11

numero 10/11

aprile/settembre - 2000

Dall’Unione Europea

- gli investimenti in TIC rappresentano il 4% del PIL negli USA e l’1,7% nell’UE.

Ugualmente, forti e preoccupanti disparità si manifestano anche tra gli stessi Stati membri dell’UE:

- la spesa pro-capite per TIC raggiunge il suo valore massimo nei Paesi scandinavi (circa 750 Euro) e il suo valore minimo in Spagna, Portogallo e Italia (circa 80 Euro in media); - il peso percentuale degli investimenti in TIC

rispetto al PIL è del 3,4% nei Paesi scandinavi e inferiore allo 0,5% in Spagna, Portogallo e Italia. In altri termini, non tutti i cittadini europei hanno le stesse opportunità di accedere alla società dell’infor-mazione e, quindi, di prepararsi a cogliere le oppor-tunità lavorative offerte dalla nuova economia. I tassi di diffusione di Internet, ad esempio, varia-no varia-notevolmente tra gli Stati membri anche e soprattutto a seconda dei redditi e del genere. La probabilità che gli utilizzatori di Internet siano per-sone ad alto reddito è doppia (37%) rispetto a quella relativa alle persone con redditi medi (19%) e quasi tripla della probabilità di quelle con reddi-ti bassi (13%). Alla fine del 1998, soltanto un quar-to degli utenti di Internet in Europa erano donne rispetto al 50% riguardante gli Stati Uniti.

A fronte di questo scenario, la realtà italiana appare particolarmente in ritardo: la percentuale di cittadini che hanno attualmente accesso a Internet, infatti, è del 35% in Danimarca, del 48% in Svezia e del 49% in Finlandia, mentre è pari al solo 13% in Italia.

L’esclusione dalla società dell’informazione è stret-tamente collegata all’esclusione dalle opportunità formative ed educative. Non a caso, i Paesi scan-dinavi sono anche quelli caratterizzati da un più alto livello medio d’istruzione (28% di laureati in Danimarca, 24% in Finlandia, 19% in Svezia e 13% in Italia) e da una maggiore incidenza percentua-le della spesa pubblica per l’istruzione in rapporto al PIL (6,5% in Danimarca, 6,6% in Finlandia, 6,6% in Svezia e 4,5% in Italia).

L’esclusione dalla società dell’informazione riguar-da anche il tessuto imprenditoriale, le PMI in parti-colare, soprattutto nelle aree geografiche meno sviluppate.

Secondo la Commissione europea, occorre evitare che il divario si accentui e, allo stesso tempo, aiu-tare le aree svantaggiate a definire una politica di sviluppo regionale che consenta di sfruttare tutte

le possibilità di recupero offerte dalla nuova eco-nomia. La nuova generazione di azioni innovative risponde proprio a questo obiettivo, agevolando l'accesso delle regioni in ritardo di sviluppo a stru-menti di sperimentazione in quei “settori d'avan-guardia”, in cui le regioni meno sviluppate tendo-no a sottoinvestire rispetto a quelle più sviluppate.

L'esperienza del passato

Nel periodo 1994-1999, gli stanziamenti del FESR per le azioni innovative (meno dell'1% del bilancio dei Fondi strutturali) erano stati ripartiti tra otto temi:

- nuovi bacini occupazionali; - cultura e patrimonio; - assetto territoriale (TERRA); - progetti pilota urbani;

- cooperazione interregionale interna (RECITE II); - cooperazione interregionale esterna

(ECOS-Ouverture);

- promozione dell'innovazione tecnologica (RIS e RITTS);

- società dell'informazione (RISI).

In quest'ambito, sono stati elaborati circa 350 pro-getti che hanno coinvolto oltre 2.000 organismi; è stato possibile sperimentare nuove pratiche e pro-muovere il partenariato tra settore pubblico e set-tore privato, a livello sia locale e regionale che internazionale, nonché incentivare forme di coo-perazione tra regioni diverse, nell'Unione europea e nei paesi candidati all'adesione. Si è così costitui-ta una sorcostitui-ta di “politica di sperimencostitui-tazione”, fon-data sui fattori endogeni dello sviluppo economi-co regionale e locale.

In generale, l'esperienza acquisita nell'ambito delle azioni innovative 1994-1999 ha alimentato il dibatti-to sull'innovazione nella politica regionale, sfociadibatti-to in tre comunicazioni della Commissione3

concer-nenti l'innovazione tecnologica, la società dell'infor-mazione e lo sviluppo urbano. Più in particolare, le azioni innovative relative ai nuovi bacini occupa-zionali hanno contribuito a definire le linee dei Patti territoriali europei per l'occupazione, l'esperienza acquisita con le azioni innovative di cooperazione interregionale ha ispirato la nuova iniziativa comu-nitaria INTERREG III, mentre la nuova iniziativa comunitaria URBAN II ha preso spunto dall'espe-rienza acquisita con i progetti pilota urbani.

3) “Rafforzare la coesione e la competitività mediante la ricerca, lo sviluppo tecnologico e l'innovazione” (COM(98)275), “La coe-sione e la società dell'informazione” (COM(97)7) e “Quadro d'azione per uno sviluppo urbano sostenibile nell'Unione europea” (COM(98)605)

(12)

12

numero 10/11

aprile/settembre - 2000

Dall’Unione Europea

Un’analisi più accorta e critica dell'esperienza del passato4 ha messo in luce alcuni punti di forza e di

debolezza.

4) European Commission, On-going evaluation of the Regional Innovation Strategies Under Article 10 of the ERDF, ECOTEC Research and Consulting Ltd., Brussel, 1999; European Commission, The Evaluation of the Inter-regional Information Society Initiative (IRISI), Technopolis Ltd., Brussel, 1999; European Commission, External evaluation of the Regional Technology Plans, Technopolis Ltd., Brussel, 1997; European Commission, Evaluation of research, technological development and innovation rela-ted actions under structural funds (objective 2), ADE – Entrepise Plc – Zenit, Brussel, 1999; European Commission, Evaluation the-matique de l'impact des fonds structurels (1994/99) pour la recherche, la technologie, le developpement et l'innovation (RTDI) dans les regions d'objectif 1 et 6, T. Higgins et L. Tsipouri, Bruxelles, 1999.

Punti di forza

- Le misure hanno innescato nuove e più effi-caci forme di partenariato sociale, almeno nelle città e nelle regioni più recettive; il partenariato ha avuto la massima efficacia nei casi in cui gli operatori locali hanno saputo apprezzare l'importanza del capitale sociale (ossia le norme e le reti fondate sulla fiducia, la reciprocità e l'impegno civico). - I progetti hanno fornito ai destinatari un

nesso diretto con l'Unione europea, senza mediazione, né interferenza politica; tale nesso diretto è stata un'esperienza sti-molante per gli attori locali, anche se ha comportato problemi di gestione per la Commissione europea.

- La dimensione regionale delle misure ha consentito di raggiungere la massa critica necessaria per la crescita delle reti e dei gruppi e di diffondere più ampiamente le buone pratiche a livello locale.

- La dimensione locale dei progetti pilota urbani ha sostenuto impostazioni innovative per il rafforzamento dei poteri locali e la creazione di capacità locali e dei partenar-iati tra settore pubblico e privato.

- La capacità di scambio interregionale di esperienze è stata di grande beneficio per le regioni e le città impegnate sulla via dell'ap-prendimento continuo.

Punti di debolezza

- A livello regionale, le azioni innovative cor-rono il rischio di diventare un potenziale ghetto: dato che tali misure sono indipen-denti dai principali interventi del FESR (e ciò è necessario per dare spazio alla sperimen-tazione), sorgono problemi quando si tratta di integrare tali attività negli interventi prin-cipali.

- A livello europeo, la cultura dell'audit della Commissione minaccia di trasformare lo strumento delle azioni innovative in un istitu-to avverso al rischio, dove gli operaistitu-tori temono di innovare per paura del fallimen-to.

- L’eterogeneità dei programmi, delle proce-dure di selezione e degli obiettivi dimostra che la varietà può essere uno svantaggio, oltre che un vantaggio potenziale.

- La mancanza di una approfondita valu-tazione ex post rischia di vanificare, il più delle volte, la portata sperimentale delle azioni innovative.

In sintesi, da questa esperienza emerge come le misure innovative promosse dall’art. 10 del FERS abbiano costituito un importante “laboratorio per la sperimentazione di idee, metodi e disposizioni istituzionali nuove”, ma anche come, proprio nella maggior parte delle regioni svantaggiate dell'UE, tali possibilità di apprendimento vengano spesso a mancare, poiché gli interventi generali dei Fondi strutturali lasciano ben poco spazio alla vera sperimentazione.

Un altro aspetto da considerare è che, benché l'in-novazione e la sperimentazione siano per

defini-zione “processi ascendenti” (bottom up), le regioni che hanno partecipato ai programmi delle azioni innovative (in particolare, a quelle di sviluppo tec-nologico RIS, RITTS e RISI) hanno indubbiamente tratto beneficio dagli orientamenti “discendenti” (top down) e dal sostegno metodologico (oltreché finanziario) della Commissione.

Il problema sarà come garantire che gli interventi cofinanziati nell'ambito delle azioni innovative non riproducano (come in parte è successo in pas-sato) quanto realizzato a titolo degli interventi principali, ma li influenzino positivamente dal

(13)

punto di vista dell'innovazione, sfruttando le siner-gie possibili tra la politica regionale e le altre poli-tiche comunitarie. Si deve tener presente, infatti, che, mentre i programmi dei Fondi strutturali con-tinuano ad agevolare la riduzione del divario di sviluppo soprattutto con interventi infrastrutturali materiali, nelle regioni e negli Stati membri in ritardo di sviluppo si rischia di creare uno sfasa-mento nell'ambito dell'economia fondata sulla conoscenza e su fattori intangibili di competitività, quali la capacità innovativa, la cultura imprendi-toriale, la qualità della gestione, ecc..

Tale problema potrebbe presentarsi sotto un aspetto addirittura più grave con le azioni innova-tive della nuova generazione, dove verrà sostan-zialmente annullato quel nesso diretto con l'Unione europea, che era stato segnalato come uno dei punti di forza della passata gestione, in favore di un nuovo ruolo di mediazione (e interfe-renza politica?) da parte delle amministrazioni regionali.

La nuova generazione di azioni innovative

per lo sviluppo regionale

Per il periodo 2000-2006, la Commissione propone di ridurre il numero di tematiche prioritarie, nel cui ambito proporre azioni innovative, da otto a tre, quali:

- economia regionale fondata sulla conoscenza e sull'innovazione tecnologica;

- EuropaRegio: la società dell'informazione al ser-vizio dello sviluppo regionale;

- identità regionale e sviluppo sostenibile.

Si tratta di tematiche interconnesse, di cui si dovrebbe sfruttare la complementarità per mette-re a punto una strategia che risponda, nel modo più adeguato, alle esigenze specifiche di ciascuna regione.

La prima tematica prioritaria si fonda sulla consta-tazione dell’esistenza di un sostanziale divario tra regioni sviluppate e regioni in ritardo di sviluppo dell'Unione europea per quanto riguarda i sistemi di ricerca, di sviluppo tecnologico e di innovazio-ne5, nel settore sia pubblico che privato.

L’obiettivo dichiarato è di aiutare le regioni euro-pee ad acquisire un vantaggio concorrenziale fondato sull'innovazione piuttosto che sui costi (in particolare quelli salariali), vantaggio,

quest’ulti-mo, che potrebbe annullarsi rapidamente in un'e-conomia in corso di globalizzazione.

In quest’ambito, i programmi regionali di azioni innovative potrebbero pertanto contenere i seguenti elementi: creazione o potenziamento delle reti di cooperazione tra imprese, in particola-re PMI, centri di ricerca e università, organismi di formazione, ambienti finanziari e di consulenza specializzata (interscambio di personale, divulga-zione dei risultati della ricerca, definidivulga-zione di stra-tegie tecnologiche innovative per la regione, ecc.); sostegno ai vivai di imprese collegati alle università e ai centri di ricerca; promozione di società di spin-off a partire da centri universitari o grandi imprese operanti nel settore tecnologico e dell'innovazione; contributo allo svolgimento di nuovi strumenti finanziari (capitale di rischio) per le nuove società che avviano attività connesse allo sviluppo tecnologico.

La seconda area tematica, invece, guarda soprat-tutto al rischio di creare nuove disparità tra le regioni dell'Unione europea per quanto riguarda l'accesso alla società dell'informazione e, in termi-ni positivi, alle nuove possibilità offerte dalla società dell'informazione nelle sue applicazioni al settore produttivo, ai servizi pubblici e alle esigen-ze dei singoli. Secondo quest’impostazione, la società dell'informazione può contribuire a ridurre lo svantaggio economico (in particolare la distan-za) e può valorizzare, per conseguenza, i punti di forza delle aree periferiche, aumentando la com-petitività delle loro imprese e favorendo le pari opportunità tra gli abitanti.

In quest'ottica, i programmi regionali di azioni innovative potrebbero comprendere i seguenti aspetti: garanzia di un accesso collettivo ad Internet, alle applicazioni digitali e alle risorse multimediali; definizione di strategie innovative e promozione di partenariati regionali in materia di società dell'informazione; miglioramento dei servi-zi digitali e mobili per i ‘pubblici sfavoriti’; promo-zione presso le PMI del commercio elettronico, quale elemento della loro strategia di sviluppo; applicazione e sperimentazione di tecnologie digi-tali avanzate (ad esempio, accesso radiosatellita-re ad Internet) a beneficio di zone rurali, isolate o difficilmente raggiungibili.

La terza priorità tematica, infine, è orientata a pro-muovere azioni che rafforzino la coesione e la competitività regionale mediante l'impostazione

13

numero 10/11

aprile/settembre - 2000

Dall’Unione Europea

5) Il termine "innovazione" indica contemporaneamente sia il processo che il suo risultato (Libro Verde sull'innovazione, Commissione UE, 1996, COM (95) 688). Si tratta della trasformazione di un'idea in un prodotto o servizio commercializzabile, un procedimento di fabbricazione o di distribuzione operativa, nuovo o migliorato, oppure ancora un nuovo metodo di servizio sociale. Il termine comprende anche l'innovazione sociale, istituzionale e organizzativa, anche nel settore dei servizi.

(14)

integrata di attività economiche, ambientali e sociali. Secondo la Commissione europea, infatti, le regioni dovrebbero sfruttare maggiormente i loro punti di forza per sviluppare un'economia sostenibile e competitiva, nonché per migliorare le condizioni di vita e di lavoro degli abitanti. Tali punti di forza e opportunità possono riguardare tanto l’aspetto culturale, il patrimonio e la diver-sità culturale, quanto essere determinati da com-petenze specifiche, da un'ubicazione strategica, da una situazione ambientale eccezionale, da infrastrutture scolastiche e culturali, da competen-ze linguistiche o da tradizioni nel campo musicale, dell'artigianato, dei prodotti regionali, della gastronomia, ecc..

Le regioni meno popolose, le regioni rurali o peri-feriche dovrebbero cercare di avvalersi di quegli elementi del progresso tecnologico che riducono i vincoli di residenza per attirare abitanti e attività

produttive a basso impatto ambientale, offrendo loro modi di vita diversi da quelli della città e di altre zone a elevata densità demografica. Queste ultime, viceversa, dovrebbero puntare a migliora-re la qualità della vita, mediante un migliomigliora-re impiego dei sistemi di trasporto, la riduzione del-l'inquinamento acustico e atmosferico, l'organizza-zione di servizi collettivi. Le azioni innovative regionali dovrebbero esplorare tali possibilità, con-tenendo, ad esempio, alcuni tra i seguenti ele-menti: innalzamento del livello tecnologico delle microimprese, finalizzato allo sviluppo del turismo culturale ed ecologico e dei settori dell'artigianato o della produzione tradizionale; sostegno alle nuove PMI nei settori innovativi dei media e della cultura; sviluppo di nuove forme di servizi zonali; sviluppo di sistemi per la gestione ambientale, l'a-dozione di tecnologie pulite, il riciclaggio dei rifiuti e l'utilizzazione razionale dell'energia.

14

numero 10/11

aprile/settembre - 2000

Il Piano di Sviluppo Rurale della

Regione Piemonte

di Giancarlo Prina Pera - Responsabile Coordinamento del PSR, Leopoldo Cassiba - Responsabile del Settore Politiche Comunitarie dell'Assessorato agricoltura e Franco Consogno -Responsabile del Segretariato Tecnico del PSR

Premessa

Il Piano di Sviluppo Rurale del Piemonte 2000-2006” (PSR) è stato redatto nel rispetto degli orien-tamenti comunitari in materia di politiche struttu-rali e di sviluppo rurale, indicati, in termini gene-rali, nella Conferenza di Cork sullo sviluppo rurale del 1996 e nella Comunicazione “Agenda 2000” del luglio 1997, e, in termini specifici, nel

Regolamento (CE) n. 1257/99 sul sostegno allo svi-luppo rurale da parte del FEOGA.

Il PSR, dopo una lunga e complessa fase negoziale con la Commissione europea, è stato approvato il 7 settembre 2000 (Decisione C(2000) 2507), a seguito del parere positivo che era stato espresso all’unanimità dal Comitato STAR (Comitato delle Strutture Agricole) nella seduta n. 138 del 25-26 luglio 2000 a Bruxelles.

Perché un Piano di Sviluppo Rurale

Il Piano di Sviluppo Rurale presenta due termini (sviluppo e rurale) che ne testimoniamo in qual-che modo la novità, la complessità e la portata.

Dall’Unione Europea

Regioni

Le azioni innovative 2000-2006: modalità di attuazione

Per le azioni innovative della nuova generazione 2000/2006 è previsto un bilancio conforme al massi-male fissato dall'articolo 22 del regolamento 1260/99, ossia lo 0,4% della dotazione annuale del FESR. La Commissione propone, questa volta, che siano le autorità regionali, in veste di capofila, a presenta-re una proposta di programma entro il 31 maggio di ogni anno.

Ogni programma potrà avere durata massima di due anni e la partecipazione comunitaria sarà limi-tata a due programmi al massimo nel periodo 2000-2006 (un secondo programma potrà essere pre-sentato, d'intesa con la Commissione, a condizione che il primo programma sia stato concluso).

Di norma, la Commissione cofinanzierà i programmi regionali di azioni innovative selezionati fino a un massimo dell'80% nelle regioni dell'obiettivo 1 e del 50% nelle regioni dell'obiettivo 2.

A decorrere dal 2002, la Commissione presenterà ogni anno al Parlamento europeo, al Comitato per lo sviluppo e la riconversione delle regioni, al Comitato delle regioni e al Comitato economico e socia-le una relazione sullo stato di avanzamento delsocia-le azioni innovative.

(15)

15

numero 10/11

aprile/settembre - 2000

Regioni

Infatti, il termine sviluppo rinvia a una visione del benessere non ancorata alla sola crescita produtti-va, ma che tiene conto anche della qualità, oltre che della quantità, dei fenomeni socioeconomici, che ingloba le nozioni di sostenibilità ambientale e sociale e di “equità intra-intergenerazionale e di genere” e che considera valori d’uso ritenuti molto importanti dalla collettività, benché non transitan-ti “via mercato” (si pensi ai valori paesaggistransitan-tici e culturali).

Il termine rurale, da parte sua, evidenzia che l’a-gricoltura costituisce solo una componente (per quanto decisiva per le molteplici funzioni svolte) delle economie rurali e delle filiere produttive e che l’antica contrapposizione “rurale-urbano” non ha più significato, in quanto “rurale e urbano” sono aspetti interdipendenti di un continuum terri-toriale e funzionale.

Il carattere di complessità, intersettorialità e “rura-lità” del PSR viene attestato dal fatto che, a causa della qualità e quantità degli interventi, i destina-tari del programma sono non solo le imprese agri-cole e di trasformazione e l’associazionismo profes-sionale e produttivo agricolo, ma anche le compo-nenti diverse della comunità regionale: soggetti pubblici, soggetti privati e popolazione rurale, le imprese della distribuzione tradizionale e moder-na, quelle della ristorazione, i cittadini, in veste di consumatori singoli e collettivi e di fruitori del turi-smo rurale, enogastronomico e culturale, i tecnici impegnati nelle attività di assistenza tecnica, ecc.. Il PSR pone, in particolare, condizioni importanti per consolidare e sviluppare le relazioni commer-ciali tra i soggetti agricoli e gli altri soggetti che, a diverso titolo, operano nelle filiere agroalimentari regionali.

Il PSR rappresenterà, nei prossimi sette anni, il principale strumento programmatico, di interven-to e finanziario per lo sviluppo del sistema agricolo e agroindustriale regionale e una delle leve per la crescita delle economie rurali piemontesi, a dispo-sizione della Regione e degli Enti delegati (Province e Comunità Montane) per le materie loro conferite dalla Legge Regionale n. 17/99 (entrata in attuazione a partire dal 1° gennaio 2000). Approssimativamente, i tre quarti dell’aiuto pubblico complessivo destinato all’agricoltura e allo sviluppo rurale, esclusi i premi PAC, derive-ranno dalle misure del PSR.

Il PSR consente di erogare sia contributi al soste-gno di investimenti e di attività (assistenza tecnica e formazione), sia premi (p.e. per l’insediamento dei giovani e per le misure agroambientali). La redazione del PSR ha richiesto un lavoro assai

complesso, che ha coinvolto, per oltre un anno, decine di persone: funzionari regionali e delle orga-nizzazioni professionali e cooperativistiche, che hanno partecipato ai gruppi di lavoro di approfon-dimento, l’IRES e altri ricercatori per gli studi prepa-ratori, l’INEA per la valutazione ex ante, ecc..

L’approccio ai problemi del sistema

agroindustriale e delle aree rurali

piemontesi da parte del PSR

Il PSR contiene un’accurata e, per quanto possibi-le, quantificata analisi della situazione e delle ten-denze del sistema agroindustriale e forestale regio-nale, riguardo agli aspetti ambientali, strutturali, settoriali e di filiera, e delle aree rurali piemontesi. Da tale analisi, emergono i punti di forza e di debolezza interni ai settori agro-industriale e fore-stale e alle aree rurali e le minacce e le opportu-nità che possono influire negativamente o positi-vamente sul loro sviluppo, elementi di cui si è tenuto conto nella definizione della strategia del PSR (obiettivo globale del PSR, obiettivi specifici degli Assi, obiettivi operativi, scelta, allocazione finanziaria e contenuti delle misure).

In estrema sintesi, la strategia del Piano è stata definita sulla base delle seguenti assunzioni: - la persistenza delle aziende agricole, comprese

quelle minori, e i diversificati sentieri di sviluppo che le caratterizzano sembrano dipendere più dalla solidità delle relazioni di tipo orizzontale e verticale intessute a livello di sistema locale e di filiera, che riguardano l’informazione tecnologi-ca, sui processi, sulle politiche e sulle tendenze di mercato, la cessione dei prodotti e i servizi, che non dai prezzi dei prodotti e dalla mera organizzazione interna dei fattori della produzio-ne;

- lo scenario della globalizzazione e le nuove domande di funzioni urbane che la città avan-za nei confronti delle aree rurali richiedono, da un lato, il riposizionamento competitivo del sistema agroindustriale regionale e, dall’altro, la individuazione di percorsi di sviluppo delle diverse aree rurali, basati anche sul rafforza-mento del ruolo dell’agricoltura multifunzionale come produttrice di servizi per la collettività. Nello specifico il Piano:

a) prospetta una serie di misure volte all’ammo-dernamento strutturale, organizzativo e infra-strutturale del sistema agroindustriale regiona-le, al miglioramento della qualità dei processi produttivi e degli agroecosistemi e alla qualifi-cazione delle risorse umane, interventi, questi

Figura

Tabella 1 - Incidenza del gettito sulla dotazione media annua del PSR (%) *

Riferimenti

Documenti correlati

Il tema si è fatto vieppiù interessante nel momento in cui alcune realtà di imprese agricole hanno accolto nel loro operare soggetti (disabili, ex detenuti, persone a

entre si lavora verso una serie comune di standard contabili, Cina e India divergono in termini di strategia (per esempio approccio incrementali contro approcci repentini, tipo

When estimating the firm value it is essential to: (i) understand the environment in which the company operate thru a complete analysis of the main characteristic

430 Preziose sono al riguardo le considerazioni svolte da V.CARIDI, La responsabilità degli analisti finanziari tra contratto e fatto illecito dopo il recepimento delle direttive

According to the cooperation mode described in column b of Table A.1, you have to select the input elements that have to be linked by a cooperation mode (complementarity,

It has been conceived to support the formal definition of a BP, having in mind the modelling notation proposed by OMG, mainly directed to business people: Business Process

1) taking as input the Multimodal Sentence and its ambiguous interpretation given by Multimodal Interpreter, 2) classifying and solving ambiguities also using information