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L'impatto della decontribuzione e del Jobs Act sull’occupazione a tempo indeterminato

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI

SCIENZE POLITICHE

CORSO DI LAUREA IN

COMUNICAZIONE D'IMPRESA E POLITICA DELLE

RISORSE UMANE

TESI DI LAUREA

L'impatto della decontribuzione e del Jobs Act sull'occupazione a

tempo indeterminato

CANDIDATO

RELATORE

Silvia Spiga

Mauro Sylos Labini

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Indice

Introduzione...pag 2 Cambiamenti...pag 5 Effetti...pag 9 Limiti allo studio...pag 16 Strategie per migliorare la natura dell'impatto...pag 18 Conclusioni...pag 20 Bibliografia...pag 21

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Introduzione

A partire dall'anno 2008 la situazione economica italiana è caratterizzata da una crisi che colpisce i lavoratori, in particolare i giovani. Ne scaturisce un aumento del tasso di disoccupazione (grafico 1) e una riduzione dell'occupazione a partire dall'anno successivo (grafico 2).

Grafico 1

fonte: elaborazione dati istat

In questi anni i media hanno molto discusso sul ruolo dell'occupazione a tempo indeterminato, quindi sulla difficoltà di mantenere questa forma di sicurezza economica per le nuove generazioni. I dati nazionali sulle comunicazioni obbligatorie evidenziano infatti una riduzione del numero di contratti a tempo indeterminato a partire dal 2011 (Anastasia, 2014). Le imprese preferiscono assumere con contratti a tempo determinato o attraverso altri tipi di contratto, introdotti dalla riforma Biagi nel 2003, ovvero il

lavoro a progetto, il lavoro ripartito, il lavoro a chiamata, l’apprendistato, il contratto di inserimento e il part-time.

Per incentivare l'occupazione a tempo indeterminato il governo Renzi ha introdotto la decontribuzione e il Jobs Act. La prima, introdotta nel gennaio 2015, è rivolta alle

1998 2000 2002 2004 2006 2008 2010 2012 2014 2016 2018 0 2 4 6 8 10 12 14 tasso di disoccupazione dal 2000 al 2016 anno p e rc e n tu a le

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aziende che assumono con contratti a tempo indeterminato lavoratori che non avevano avuto un tale contratto nei sei mesi precedenti. Consta di un'esenzione di 3 anni dai contributi per la previdenza sociale. Il Jobs Act, invece, ha introdotto a marzo 2015 un contratto a tutele crescenti che modifica l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori e limita la possibilità di reintegra per un lavoratore licenziato senza giusta causa e la sostituisce con un indennizzo monetario che cresce con il tempo.

Grafico 2

Fonte: elaborazione dati ISTAT

L'obiettivo della tesi è comprendere se queste politiche abbiano realmente avuto un effetto sull’occupazione a tempo indeterminato. Per questa ragione viene presa in considerazione una ricerca di Sestito e Viviano (2016) che utilizza il metodo differenza nelle differenze proprio per verificare se la decontribuzione e il contratto a tutele crescenti abbiano elevato l’occupazione a tempo indeterminato. Per misurare l’effetto della decontribuzione, lo studio confronta la probabilità di ottenere un nuovo contratto per un gruppo di lavoratori la cui assunzione consente all'azienda di godere degli sgravi fiscali e quella di un gruppo di controllo, formato da lavoratori per i quali l'azienda non ne può beneficiare. Per misurare l’impatto del Jobs Act, lo studio confronta le

1998 2000 2002 2004 2006 2008 2010 2012 2014 2016 2018 54 55 56 57 58 59 Tasso di occupazione dal 2000 al 2016 anno p e rc e n tu a le

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assunzioni delle imprese con almeno quindici dipendenti e quelle delle imprese con meno di quindici dipendenti, dato che l'articolo 18 valeva solo per il primo gruppo di imprese.

Il punto di forza dell'applicazione del metodo differenza nelle differenze (DnD) è appunto la presenza di un gruppo di controllo. Rispetto al confronto prima dopo, tale metodo non utilizza l’ipotesi piuttosto irrealistica che il numero di assunzioni a tempo indeterminato sarebbe rimasto costante in assenza della politica. La dinamica del gruppo di controllo è infatti utilizzata per costruire un controfattuale più plausibile. Nonostante questo vantaggio, il metodo DnD si basa comunque sull’ipotesi che in assenza della politica il gruppo sperimentale (ossia destinatario della politica) avrebbe avuto la stessa dinamica del gruppo di controllo. Non sempre questa ipotesi è plausibile e rappresenta il principale problema per la validità interna dei suoi risultati. Inoltre, lo studio considerato ha anche limiti legati alla sua validità esterna: è stato effettuato soltanto sulla regione Veneto e questo rende problematica l’interpretazione dei risultati su scala nazionale.

Nel complesso sembra che queste riforme abbiano portato realmente un aumento dell'occupazione a tempo indeterminato, infatti circa il 40% delle nuove assunzioni a tempo indeterminato può essere attribuito all'effetto dell'incentivo, mentre il 5% al Jobs Act. Il resto invece dipende dal miglioramento della situazione economica.

La tesi si articola in 4 parti. Una prima, dedicata ai cambiamenti, che, partendo dalla riforma Fornero, mette in evidenza le differenze a livello economico e legislativo, concentrandosi soprattutto sul contratto a tutele crescenti e sul Jobs Act. La seconda riporta le analisi di Sestito e Viviano sulle politiche sopra citate e la loro influenza sui contratti a tempo indeterminato. La terza riguarda il metodo utilizzato per affrontare l'analisi, valutando i punti deboli del metodo differenza nelle differenze. La quarta riguarda eventuali proposte per ottenere un'analisi più affidabile.

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Cap 1

Cambiamenti

Dal 2008 al 2014 l'Italia ha perso circa 1 milione di posti di lavoro a causa della recessione. Questa perdita sembrava colpire in modo particolare i giovani lavoratori e i lavoratori a tempo determinato, che sembravano le prime vittime della crisi finanziaria (Sestito e Viviano, 2016). Questa impostazione ha condotto alla riforma Fornero nel 2012 che ha portato, per quanto riguarda il licenziamento, a un reintegro solo in caso di licenziamento con preavviso verbale e discriminatorio (Sestito e Viviano, 2016). Con questa riforma si è visto un tentativo di ridurre l'incertezza dei costi di licenziamento per le imprese con almeno 15 dipendenti e di correggere le procedure esistenti. Il datore poteva revocare unilateralmente il licenziamento entro 15 giorni e l’azione giudiziale doveva avvenire entro 6 mesi. Entro 40 giorni il giudice doveva fissare la prima udienza in modo da accelerare il processo.

Dato che il ritardo nelle decisioni del giudice si combinava con la mancanza di sussidio al reddito e la mancanza di stipendio per il lavoratore in attesa della conclusione della causa, le imprese, se alla fine il lavoratore vinceva la causa, finivano per pagare alti salari arretrati (Sestito e Viviano, 2016). Sempre in seguito alla riforma Fornero le parti interessate venivano incanalate in una procedura conciliatoria per prevenire la lentezza del processo giudiziario, la riforma aveva anche posto dei limiti al reinserimento in caso di licenziamenti ingiusti, legati a motivi disciplinari o economici, dei limiti ai costi del licenziamento (con un massimo di 24 mensilità) e ai rinnovi dei contratti a tempo determinato, introducendo un limite massimo. Tuttavia questo non è servito a portare un aumento nel numero di assunzioni a tempo indeterminato, che anzi dal 2012 al 2013 diminuisce ulteriormente (Anastasia, 2014).

Successivamente il governo Renzi, in carica dal 2014 al 2016, ha cercato, attraverso varie riforme, di porre rimedio alla situazione che si era venuta a creare, in particolare nel caso delle assunzioni a tempo indeterminato (Sestito e Viviano, 2016). Una prima iniziativa del governo Renzi è stata un incentivo alle imprese per le assunzioni a tempo indeterminato. Questo incentivo copre tutte le imprese private e, anche se con misure, condizioni e modalità di finanziamento specifiche, i datori di lavoro agricoli. In sostanza ha coperto tutti i lavoratori, assunti con contratti a tempo indeterminato, da

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gennaio a dicembre 2015, a condizione che non fossero assunti con contratto permanente nei sei mesi precedenti. Inoltre il legislatore ha escluso dall'applicazione dell'esonero i lavoratori che abbiano avuto rapporti di lavoro con contratti a tempo indeterminato, nei 3 mesi antecedenti all'entrata in vigore della norma, con il medesimo datore di lavoro. L'incentivo consta di un'esenzione di 3 anni dai contributi per la previdenza sociale di una soglia paragonabile alla media dei contributi in genere pagati dall'impresa per il lavoratore, con un limite massimo di 8.060 euro all'anno.

Mentre le conversioni da contratti a tempo determinato a contratti permanenti risultano beneficiarie degli incentivi, i lavoratori del settore pubblico ne sono esclusi, così come i contratti di apprendistato e quelli di lavoro domestico, in quanto l'applicazione dell'aliquota previdenziale è già ridotta rispetto a quelle ordinarie.

Inoltre questo incentivo non è cumulabile con altri esoneri o riduzioni delle aliquote di finanziamento previste dalla normativa vigente. L'esonero contributivo non è quindi cumulabile con l'incentivo per l'assunzione di lavoratori ultracinquantenni disoccupati da più di un anno e con quello di donne prive di impiego regolarmente retribuito da 24 mesi, o da almeno 6 mesi se si trova in zone svantaggiate, o se svolgono una professione caratterizzata da un'evidente disparità di genere. Questo incentivo è comunque stato approvato dal parlamento anche per l'anno successivo, ma da un rimborso del 100%, si è passati a uno del 40% e la durata del contributo si è ridotta da 3 a 2 anni, di conseguenza nel 2016 il suo ruolo potrebbe essere stato meno determinante. L'altra riforma che prendiamo in considerazione riguarda l'articolo 18 dello statuto dei lavoratori, e prende il nome di Jobs Act e comprende varie norme, tra cui la più significativa è il contratto a tutele crescenti. Essa riduce gli alti costi di licenziamento, a cui l'impresa sopra i 15 dipendenti era precedentemente sottoposta. Se l'impresa sopra i 15 dipendenti avesse licenziato un lavoratore, i costi sarebbero stati molto elevati in quanto, se il lavoratore si fosse opposto al licenziamento e la coorte avesse stabilito che si trattava di un licenziamento ingiusto, l'impresa avrebbe dovuto scegliere tra il reintegro del dipendente e una liquidazione molto elevata, oltre al pagamento dei salari arretrati. L'alternativa era evitare il reinserimento mediante il raggiungimento di accordi privati con il lavoratore, ma con costi potenzialmente alti.

Il Jobs Act, rispetto alla riforma Fornero, limita ulteriormente la possibilità di un reinserimento, e prevede che il licenziamento ingiusto venga compensato con la distribuzione di una somma di denaro proporzionale alla durata del lavoro, ovvero da 4 volte la paga mensile a un massimo di 24 volte (due mesi di paga per ogni anno di

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anzianità). Le nuove regole si applicano solo sui contratti permanenti stipulati dopo il 7 marzo 2015, ossia dopo l'entrata in vigore della nuova legge. Nelle imprese sotto i 15 dipendenti il contratto a tutele crescenti non ha apportato alcun cambiamento, queste restano coperte dalla precedente riforma legale, che prevedeva che i costi del licenziamento non superassero i 6 mesi di paga, con un minimo di 2 mesi di paga, uno per ogni anno di anzianità.

Il Jobs Act comporta una riduzione dei costi per l'impresa in caso di licenziamento ingiusto, e invoglia i dipendenti a sfidare il licenziamento giusto, perché comporterebbe un'alternativa a basso costo, rispetto a quello che i lavoratori riceverebbero nel caso non dessero avvio alla sfida. L'effetto della sua azione è rivolto solo verso i nuovi lavoratori, in quanto la riforma non include cambiamenti per gli assunti prima del 2015.

Altre importanti novità si verificano nell'anno successivo, con un aumento del tetto massimo sul reddito percepibile attraverso i voucher (o buoni lavoro), portando la soglia da 5000 a 7000 euro, e introducendo la tracciabilità. Il voucher viene utilizzato per avere regolazioni sul lavoro accessorio, ossia una prestazione lavorativa non riconducibile a contratti di lavoro in modo saltuario, e per tutelare situazioni non regolamentate. Il lavoro accessorio non dà diritto alle prestazioni di sostegno del reddito dell'Inps, ma è riconosciuto ai fini del diritto alla pensione. Questo tipo di lavoro può essere svolto da pensionati, studenti nei periodi di vacanza, precettori di prestazioni integrative del salario o sostegno al reddito (ad esempio cassintegrati, titolari di indennità di disoccupazione etc…), lavoratori part-time, altre categorie di prestatori (inoccupati, titolari di indennità di disoccupazione speciale per agricoltura, lavoratori autonomi, lavoratori dipendenti pubblici e privati e prestatori extracomunitari).

I buoni lavoro sono disponibili per tutte le attività e tutte le categorie di prestatori, escluso il lavoro agricolo, se non in rari casi. Il committente potrà beneficiare di prestazioni nella completa legalità, con copertura INAIL per gli incidenti sul lavoro, senza rischiare complicazioni sulla natura della prestazione, e senza dover stipulare alcun tipo di contratto. Il lavoratore può usufruire di queste entrate senza alcuna imposizione fiscale. Inoltre non inciderà sul suo stato occupazionale (Inps, 2015). In sintesi, le riforme descritte sono volte ad incentivare l'impresa ad aumentare l'occupazione, ma allo stesso tempo vanno a modificare la concezione di lavoro a tempo indeterminato. Il cambiamento principale riguarda l'articolo 18 dello statuto dei lavoratori, ma ha il suo effetto su una sola parte dei lavoratori, ovvero gli assunti nel 2015, e licenziati senza giusta causa.

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Le assunzioni positive riguardano l'idea che siano gli alti costi ad aver cambiato completamente la concezione del lavoro e aver impedito alle imprese di assumere a tempo indeterminato, supponendo che le cause siano davvero riducibili a questi fattori, si dovrebbe notare un aumento dell'occupazione a tempo indeterminato dall'anno 2015, sia per via dei contratti a tutele crescenti, che degli incentivi. Bisogna comunque precisare che l'Italia, così come gli altri stati, si è trovata ad affrontare un periodo di crisi economica iniziato nel 2007. Considerando i dati riportati dall'Istat si può notare un leggero aumento del tasso di occupazione nel 2015, e soprattutto nel 2016. Secondo Anastasia (2017), questa crescita sarebbe stata determinata proprio dagli incentivi introdotti nel 2015, così come la crescita nelle assunzioni, obiettivo che il governo Renzi si era prefisso per mezzo dell'erogazione dell'incentivo.

Un problema di natura diversa risulta invece la questione giovanile, immediatamente legata al caso. I dati Istat hanno mostrato delle condizioni molto precarie: per quanto riguarda i soggetti in questione, il tasso di disoccupazione dai 15 ai 34 anni risulta, dal 2013 al 2015 del 23.2 %, 24.4 e 23.2. Ancora più allarmanti i dati riguardanti soggetti che hanno dai 15 ai 24 anni, con un tasso di disoccupazione che si assesta intorno al 40%. Per quanto riguarda il livello di occupazione notiamo sempre un trend negativo per qualsiasi fascia di età. Si può comunque evidenziare che dai 15 ai 34 anni il tasso di occupazione è di circa il 60%. A questo punto è possibile domandarsi quale influenza il Jobs Act abbia avuto rispetto ai giovani. Secondo quanto riportato da Pietro Garibaldi (2017) la crescita occupazionale nell'anno 2016 ha invece interessato in gran parte i lavoratori ultracinquantenni, con una crescita del 5%. I risultati appaiono dunque soddisfacenti, se consideriamo l'occupazione nel suo complesso, deludenti se consideriamo la crescita dell'occupazione per quanto riguarda i giovani.

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Cap 2

Effetti

Il Jobs Act si compone di norme volte alla creazione di nuovi posti di lavoro. L'obiettivo di questa analisi è la verifica degli effetti che queste politiche hanno realmente generato sulle assunzioni a tempo indeterminato. A questo scopo viene preso come punto di riferimento lo studio effettuato da Paolo Sestito e Eliana Viviano (2016). I dati in questione si riferiscono a un periodo che va da gennaio 2013 a giugno 2015. La ragione per cui l'analisi non prende in considerazione periodi successivi, si può riscontrare nella mancanza di dati riferiti a periodi successivi. Tuttavia questa caratteristica dello studio lo mette al riparo dalle distorsioni dovute ad altri fattori, ad esempio dal rinnovo degli incentivi per l'anno 2016 con condizioni differenti rispetto a quelle stabilite per il 2015.

L'analisi prende in esame dati che coinvolgono individui e imprese, e, ne considera 3 diverse dimensioni. La prima comprende, per un campione casuale di 50.000 soggetti, il singolo individuo, registrando la sua condizione lavorativa mese per mese. Vengono considerate perciò alcune caratteristiche del precedente lavoro di ciascun soggetto, ad esempio il tipo di contratto, il fatto che abbia o meno lavorato in un determinato mese, il tipo di impresa in cui ha lavorato e la passata esperienza lavorativa. La seconda dimensione comprende 5000 imprese con almeno un lavoratore dal 2013 al 2015, escludendo in tal modo, le imprese entrate o uscite dal mercato nel periodo considerato. Per ciascuna di esse viene calcolato il flusso, sei tipi di contratti di lavoro, le interazione tra mese e anno, le esperienze lavorative precedenti del lavoratore, come l’aver maturato o meno un’assunzione a tempo indeterminato nei 6 mesi antecedenti. La terza considera il flusso totale, ovvero il numero di assunti da gennaio 2013 a giugno 2015, le caratteristiche socio-demografiche, lo sviluppo nei vari mercati di lavoro con similitudine tra i vari gruppi.

Dopo un’attenta analisi sugli studi statistici effettuati, è possibile notare che è presente, nel periodo di tempo preso in considerazione, un significativo picco delle assunzioni a tempo indeterminato durante il mese di gennaio 2015. Si evidenzia quindi un incremento del numero di assunzioni a tempo indeterminato superiore rispetto a quello dei lavoratori a tempo determinato. Il confronto tra lavoro creato e distrutto, invece,

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mostra delle differenze sostanziali, in quanto dal mese di gennaio 2015 aumenta il trend di crescita per i contratti di lavoro a tempo indeterminato, mentre negli anni precedenti la crescita sembrava orientata quasi esclusivamente verso quelli a tempo determinato e solamente in alcuni periodi dell'anno. Durante il periodo compreso tra gennaio e giugno 2015, la differenza è stata negativa pochissime volte, per cui non si è riscontrata una variazione nel trend, con una differenza che è andata ad assottigliarsi sempre di più fin quasi ad annullarsi.

Il numero di conversioni di apprendistato o contratti di lavoro da tempo determinato a quello indeterminato, risulta aumentato nell’anno 2015 nei soli mesi di gennaio e marzo. Tale aumento si può considerare in termini assoluti.

Capita spesso che le imprese preferiscano assumere un lavoratore con contratto a tempo determinato, testarne le abilità e convertirlo, solo successivamente a indeterminato. Questo primo passo è sempre conveniente per il datore di lavoro qualora il dipendente non abbia altre, e, migliori alternative. Il solo rischio per l'impresa, non assumendo il lavoratore a tempo indeterminato, potrebbe essere la perdita di quest’ultimo, a causa di un'alternativa migliore propostagli da un'altra impresa. A questo punto l'impresa, pur volendo assumerlo a tempo indeterminato, non potrebbe usufruire degli incentivi destinati a tale finalità. Dato che molto spesso l'impresa non conosce le caratteristiche del lavoratore, la conversione da contratto a tempo determinato a indeterminato risulta abbastanza frequente.

Un'altra differenziazione è quella tra lavoratori che hanno lavorato nella stessa impresa in passato e quelli che sono stati assunti per la prima volta all'interno di questa.

A tal proposito, si può notare, come il numero di assunzioni di persone che in passato avevano lavorato per l'impresa risulta aumentato nel gennaio 2015, proprio in corrispondenza dell’introduzione degli incentivi, seguito poi da un calo. Il picco con assunzioni di lavoratori non conosciuti dall'impresa si raggiunge invece, nel mese di febbraio, per poi aumentare ancora, subito dopo il mese di aprile.

La quota di lavoratori conosciuti, assunti dall'impresa a tempo indeterminato mostra, infatti, che, dopo l'introduzione dell'incentivo, le imprese hanno trovato più conveniente assumere lavoratori che avevano in passato già lavorato per la stessa impresa.

L'inversione del trend tra l'assunzione di lavoratori che usufruiscono degli incentivi e quelli che non ne usufruiscono, come mostrato nel grafico sotto riportato, non risulta significativa prima del gennaio 2015.

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Grafico 3

Fonte: Viviano e Sestito, 2016

Per quanto riguarda il secondo punto, c'è un confronto tra le imprese con un numero di lavoratori maggiore e minore di 15 dipendenti. In questo caso bisogna evidenziare che il gruppo di imprese con un numero di lavoratori inferiore a 15 non trae alcun vantaggio dai contratti a tutele crescenti, non essendo condizionato dalle riforme di questa politica. Pare che in ogni caso non ci sia stato un incremento rilevante neppure nelle assunzioni per imprese con oltre 15 dipendenti. La differenza massima tra le due situazioni è stata appena dello 0,2%, come mostrato nel grafico 4.

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Grafico 4

Fonte: Viviano e Sestito 2016

Una piccola ma significativa differenza si è invece presentata nelle piccole imprese per quanto riguarda il trend di assunzioni di lavoratori che usufruiscono o meno della detrazione come evidenziato dal grafico 5.

Mentre nel trend delle assunzioni di lavoratori che usufruiscono degli incentivi in grandi e piccole imprese tale differenza non risulta significativa. Al contrario, la differenza tra le piccole imprese e le altre imprese nell'assunzione di soggetti che non usufruiscono degli incentivi resta molto bassa.

Per ottenere una valutazione quantitativa più precisa, l'approccio utilizzato è quello del metodo differenza nelle differenze per individui e imprese. In primo luogo questo studio cerca di verificare la probabilità per un lavoratore soggetto a ognuna di queste politiche di essere assunto a tempo indeterminato. Da una parte viene considerata la dimensione individuale del lavoratore, quindi il fatto che possa usufruire degli incentivi, per valurare l'effetto della decontribuzione, dall'altra la dimensione dell'impresa, per

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verificare l'effetto del contatto a tutele crescenti. Grafico 5

Fonte: Viviano e Sestito 2016

Un altro gruppo considera la probabilità di ottenere una posizione permanente. E tiene conto di tutte le persone che non riescono trovarla, ovvero i lavoratori temporanei, e le persone senza lavoro.

L'ultimo gruppo riguarda il totale degli assunti a tempo indeterminato, un flusso condizionato sia dalle caratteristiche del lavoratore che dalla dimensione dell'impresa. Il documento considerato utilizza delle tabelle per mostrare le quote di lavoratori assunti per ogni categoria.

L'effetto degli incentivi di detrazione fiscale per le assunzioni risulta positivo, quello del contratto a tutele crescenti risulta ugualmente positivo, così come l'effetto dell'interazione tra le due politiche. Tutti gli effetti risultano valutabili se comparati alla dimensione media delle probabilità di conversione mensili.

Viene poi considerata la probabilità che un soggetto senza lavoro o un lavoratore a tempo determinato ottenga una posizione di lavoro permanente, date le sue caratteristiche. Il passaggio da una posizione temporanea ad una permanente risulta abbastanza elevato se paragonato agli effetti del 2013-2014.

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L'effetto sulle assunzioni ottenuto tramite incentivo risulta più forte rispetto a quello ottenuto con contratti a tutele crescenti e i più bassi costi di licenziamento incentivano le assunzioni a tempo indeterminato per i lavoratori che erano prima sconosciuti all'impresa.

I contratti a tutele crescenti hanno ridotto i costi di licenziamento nelle imprese con oltre 15 dipendenti, rendendole meno selettive e riluttanti nel confronti delle assunzioni a tempo indeterminato.

Secondo queste stime circa il 40% del totale degli assunti su base permanente nel primo semestre 2015 è stato assunto grazie agli incentivi alle assunzioni, queste corrispondono a circa il 20% del totale degli assunti in questo periodo. Gli effetti del contratto a tutele crescenti sono quantitativamente piccoli, pari al 5% del totale degli assunti con contratti permanenti, e l'1% del totale complessivo, escludendo il flusso di lavoratori che cambiano lavoro nell’arco di sette giorni.

Un'altra informazione data da Paolo Sestito e Eliana Viviano (2016) è il risultato finale ottenuto dalla differenza delle assunzioni totali a cui siano stati sottratti i licenziamenti. Si nota un impatto positivo degli incentivi, controllando il possibile effetto che la politica ha portato nel periodo immediatamente precedente rispetto alla sua applicazione. Degna di nota è la riduzione osservata nella creazione di reti di lavoro nell'ultimo quadrimestre del 2014, nel momento in cui le imprese strategicamente avrebbero rimandato l'assunzione al primo mese del 2015 a garanzia di quegli incentivi che, altrimenti, sarebbero andati persi.

Successivamente il rapporto analizza l'effetto diretto del contratto a tutele crescenti, che risulta essere positivo, nel periodo che precede la messa in atto dell'incentivo non è statisticamente diverso da zero. Per quanto riguarda gli effetti congiunti di incentivi e contratti a tutele crescenti presi singolarmente appaiono statisticamente significativi e negativi ma l’azione dell’ultimo, nelle imprese con oltre 15 dipendenti risulta molto rafforzata da quella dell'incentivo.

Si analizzano poi le imprese selezionate casualmente, includendo quelle che registrano almeno un cambiamento nella forza lavoro durante il periodo analizzato.

In questo modo si possono catturare le potenziali differenze portate dalle imprese che entrano o escono dal mercato. Infatti, gli incentivi potrebbero aver indotto molte piccole imprese senza lavoratori ad assumere per la prima volta.

Quindi, mentre gli incentivi pare abbiano coperto circa il 40% delle nuove assunzioni, l'impatto del contratto a tutele crescenti risulterebbe più basso di circa il 5%.

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Da soli rappresentano anche il 35% e il 4% del flusso di rete delle nuove posizioni di lavoro dipendente create nel 2015 e la media del flusso di rete nel 2013-2014. Dal dato che emerge è che queste due politiche possano spiegare perfettamente tale differenza. E, per quanto riguarda il Veneto, il numero di persone con contratto di lavoro permanente è aumentato dello 0.7%.

I contratti di apprendistato sono stati soggetti a vari cambiamenti legislativi durante il periodo analizzato e, escludendo gli apprendisti, hanno comunque riscontrato varie digressioni.

L'incentivo ha favorito sia la conversione da lavoro temporaneo all'interno di uno permanente che lo spostamento da parte dei lavoratori temporanei da un'impresa a un'altra. Così un effetto indiretto degli incentivi alle assunzioni dovrebbe essere quello che revoca le assunzioni a tempo determinato trasformandole, dopo alcuni mesi, in contratti a tempo indeterminato.

Si può notare quindi la possibilità di trovare una posizione permanente sia per lavoratori temporanei che per i non lavoratori in altre imprese. Aumentano così, anche le conversioni dei contratti all'interno della stessa impresa.

Tuttavia, una questione non trattata da Paolo Sestito e Eliana Viviano (2016) è quella giovanile, infatti il problema che viene trattato nella loro analisi riguarda solamente l'influenza degli incentivi e del Jobs Act nelle assunzioni a tempo indeterminato, mentre non viene considerata la classe di età su cui questa politica ha in realtà apportato il suo effetto.

Anche nel quaderno di monitoraggio del 2016 viene ribadita l'influenza del contratto a tutele crescenti nella creazione di posti di lavoro a tempo indeterminato. L'aumento dei soggetti con un posto di lavoro a tempo indeterminato viene indicata anche per l'anno successivo. Tuttavia i nuovi rapporti di lavoro a tempo non risultano assolutamente aumentati. Dal 2014 al 2015 si poteva evidenziare un aumento di 756211 unità, ma nel 2016 il numero di assunti a tempo indeterminato si riduce di 762748 unità e il numero di contratti a tempo determinato, che rappresenta la forma contrattuale più utilizzata in questi anni, pare aumentato ulteriormente (Giubileo, 2017). Questi dati mostrano che in realtà l'aumento del numero di assunzioni a tempo indeterminato era gonfiato dal sistema degli incentivi introdotto nel 2015. Il contratto a tutele crescenti sembra invece aver sortito poco effetto perché, anche se ridotte, prevede comunque delle penali per il licenziamento, mentre il contratto a tempo determinato consente di arrivare alla cessazione del rapporto più facilmente (Giubileo, 2017).

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Cap 3

Limiti dello studio

Lo studio preso in esame nei capitoli precedenti si basa sul metodo differenza nella differenze. Ci sono due percorsi per osservare l'effetto medio della politiche sui beneficiari, il primo è depurare le differenze dalle distorsioni, mentre il secondo consiste nel sottrarre dal risultato osservato il controfattuale (Martini e Sisti, 2011).

Il punto di forza dell'applicazione del metodo differenza nelle differenze (DnD) è la presenza di un gruppo di controllo. Rispetto al confronto prima dopo, tale metodo non utilizza l’ipotesi piuttosto irrealistica che il numero di assunzioni a tempo indeterminato sarebbe rimasto costante in assenza della politica. La dinamica del gruppo di controllo è infatti utilizzata per costruire un controfattuale plausibile. Nonostante questo vantaggio, il metodo DnD si basa comunque sull’ipotesi che in assenza della politica il gruppo sperimentale avrebbe avuto la stessa dinamica del gruppo di controllo.

Per verificare l'effetto dei sussidi vengono infatti selezionati e confrontati un gruppo di lavoratori la cui assunzione consente all'azienda di godere degli sgravi fiscali e un gruppo di controllo costituito da lavoratori con la cui assunzione l'azienda non ne beneficia. Nel secondo caso viene selezionato e confrontato un gruppo di imprese con almeno quindici dipendenti e uno con meno di quindici, perché l'articolo 18 agiva soltanto sul primo.

Alla fine dello studio si riscontrano delle differenze nell'aumento delle assunzioni a tempo indeterminato, come citato nel paragrafo precedente per circa il 40% dei lavoratori assunti a tempo indeterminato le aziende beneficiano della defiscalizzazione mentre solo il 5% sarebbe sottoposto a un contratto a tutele crescenti, ma ci si può domandare sino a che punto questi risultati siano attendibili, in quanto in ogni studio è possibile che delle informazioni risultino distorte o che ci siano stati dei limiti. Anche se il metodo differenza nelle differenze riduce il rischio di distorsioni, applicare una differenza tra un valore ottenuto in presenza di una politica, e uno ottenuto in assenza della stessa è molto difficile, perché la situazione presa secondariamente in esame in realtà non si è mai verificata, quindi, notiamo che al valore controfattuale sono stati sostituiti dei valori che possono essere realmente osservati.

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precisamente, in assenza di trattamento, non si sarebbero potute verificare differenze nei trend. In questo studio, per testare l'assunto dei parallelismi, sono state prese in esame le due annate precedenti, gli anni 2013 e 2014.

C'è anche la possibilità che la situazione sarebbe cambiata ugualmente anche senza la politica non fosse stata messa in atto, o comunque altre variabili non considerate e non direttamente osservabili, avrebbero potuto in qualche modo influire sulla stima.

L'altro problema riguarda la validità esterna. Nel testo considerato viene utilizzato come caso di riferimento il Veneto, ma le condizioni economiche dell'Italia sono differenti da regione a regione e una singola regione, che ha delle caratteristiche di partenza diverse rispetto alle altre, non può essere considerata un campione efficiente per l'analisi generale degli effetti.

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Cap 4

Strategia per migliorare la natura dell'impatto

Nel capitolo precedente abbiamo parlato dei limiti di questo studio e parlato dei problemi di validità interna ed esterna del metodo differenza nelle differenze.

Per risolvere il problema della validità interna, sarebbe necessario fare un'analisi randomizzata e selezionare un campione casuale per effettuare uno studio sperimentale. Grafico 6

fonte:elaborazione dei dati Istat

Tuttavia, trattandosi di un'analisi compiuta su una politica messa in atto in un periodo precedente e da soggetti differenti rispetto a quelli che hanno realizzato lo studio, l'ipotesi di uno studio sperimentale è piuttosto remota. Questo perché per metterlo in atto è necessario che i soggetti che devono mettere in atto la politica selezionino casualmente dei soggetti su cui sperimentarla, e creino in questo modo un gruppo sperimentale e un gruppo di controllo. In questo modo l'ipotesi che qualsiasi altro fattore influisca sull'analisi diventerebbe più improbabile, tuttavia, trattandosi di uno

2004 2006 2008 2010 2012 2014 2016 2018 35 40 45 50 55 60 65 70

Tasso di occupazione dal 2006 al 2016

nord centro sud anno va lo re p e rc e n tu a le

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studio ex-post, eliminare questo difetto è impossibile. Per quanto riguarda la validità esterna, l'unico suggerimento potrebbe essere quello di effettuare il medesimo studio anche su altre regioni. Almeno, considerate le differenze a livello occupazionale dell'Italia tra nord, centro e sud, sarebbe molto utile studiare l'andamento in tutte le regioni, anche se, a livello generale il trend del tasso di occupazione risulta simile in tutta Italia, come mostrato nel grafico 6, basato sull'elaborazione dei dati Istat.

Questo andamento del trend non conferisce validità assoluta a una tesi che va a considerare non tanto l'aumento generale dell'occupazione, bensì il fatto che l'aumento dell'occupazione a tempo indeterminato sia derivata dal Jobs Act e, in particolar modo, dal contratto a tutele crescenti.

Dal momento in cui mettere in atto uno studio tanto accurato risulterebbe molto dispendioso, sarebbe comunque utile effettuarlo su un determinato numero di regioni, e estrarne 2 da ogni zona. In questo modo sarebbe comunque impossibile assicurarsi che non vengano scelte regioni con valori diversi dalla norma, ma per lo meno sarebbe più semplice fare un controllo tra le parti e si otterrebbero dei dati più attendibili.

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Conclusioni

Nell'elaborato si è discusso uno studio che ha provato a misurare empiricamente gli effetti della decontribuzione e del Jobs Act. Secondo tale studio, le due misure hanno incrementato le assunzioni a tempo indeterminato. All'interno del primo capitolo, si è anche discusso il problema dell’occupazione giovanile che, secondo quanto riportato da Pietro Garibaldi (2017), non ha avuto nessun miglioramento. L’aumento dell’occupazione aggregata si sarebbe verificato solo per gli ultracinquantenni. Nel capitolo successivo abbiamo accennato al fatto che l'articolo principale di questa tesi non consideri in maniera esaustiva la classe di età dei lavoratori selezionati, e, da un certo punto di vista questo potrebbe essere un limite, non tanto legato al metodo, quanto al reale contributo delle politiche. Un aumento complessivo dell'occupazione a tempo indeterminato è un obiettivo importante, ma se tale aumento non avesse interessato tutte le fasce di età i risultati sarebbero poco soddisfacenti. Il fatto che i giovani siano spesso assunti in posizioni a tempo determinato è un segnale del fatto che le riforme non abbiano avuto risultati soddisfacenti.

L'articolo analizzato mostra che le politiche hanno portato dei risultati ancora insufficienti per avere un impatto sull’occupazione aggregata. La mancanza di dati relativa al periodo successivo al 2015 pone importanti interrogativi sugli effetti di lungo periodo degli incentivi. Il fatto che siano stati gli incentivi a far aumentare l'occupazione a tempo indeterminato e non il contratto a tutele crescenti può far sorgere ulteriori perplessità circa una nuova riduzione del numero di assunzioni a tempo indeterminato. Purtroppo gli incentivi sono spesso una misura provvisoria e la loro breve durata non è in grado di assicurare una continuità nel miglioramento. Giubileo (2017) mostra le tendenze per l'anno successivo e suggerisce che effettivamente gli effetti degli incentivi abbiano avuto durata limitata. In futuro una norma da modificare potrebbe essere quella che riguarda i contratti a tempo determinato (e in particolare il decreto Poletti), reintroducendo la causale o un costo di non-trasformazione del contratto in un rapporto a tempo indeterminato. Anche se queste misure che hanno come obiettivo l’aumento del numero di assunti a tempo indeterminato potrebbero disincentivare le assunzioni, causando un aumento della disoccupazione.

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Bibliografia

Anastasia Bruno (2014) "Tempo indeterminato: gli incentivi nella manovra", la voce.info

Anastasia Bruno (2017) “L'occupazione nel 2016 è cresciuta. Merito del 2015”, la voce.info.

Garibaldi Pietro (2017) “Occupazione: l'eredità del governo Renzi”, la voce.info. Giubileo Francesco (2017) “il ritorno dei contatti di lavoro precari”, la voce.info.

Martini Alberto , Sisti Marco (2011) , “Valutare il successo delle politiche pubbliche”, Il mulino.

Pellizzari Michele (2017) “Continua il lento miglioramento nel mercato del lavoro”, la voce.info.

Ricci Giampiero, Tibaldi Mauro (2011)“La disoccupazione tra passato e presente”, Istat, argomenti no 41.

Sestito Paolo, Viviano Eliana (2016) “Hiring incentives and/or firing cost reduction? Evaluating the impact of the 2015 policies on the italian labour market.”, Questioni di economia e finanza, no 325.

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