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Temi e procedimenti postmoderni nell'opera di Italo Calvino e Mircea Cărtărescu

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN ITALIANISTICA

TESI DI LAUREA

Temi e procedimenti postmoderni

nell’opera di

Italo Calvino e Mircea Cărtărescu

CANDIDATO

RELATORE

Maria Zungri

Chiar.ma Prof.ssa Emilia David

CONTRORELATORE

Chiar.mo Prof. Marcello Ciccuto

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INDICE

Introduzione 4

1. Il postmoderno 6

1.1. Analisi di alcuni aspetti storico-filosofici 6

1.2. Il postmoderno in letteratura 14

1.3. Due letterature a confronto: somiglianze e differenze 17

tra il postmoderno italiano e il postmoderno romeno 1.3.1. Il postmoderno in Italia 17

1.3.2. Il postmoderno in Romania 25

2. Italo Calvino e l’analisi dei principali temi e procedimenti postmoderni 32

in Se una notte d’inverno un viaggiatore e Il castello dei destini incrociati 2.1. La letteratura combinatoria 32

2.2. Se una notte d’inverno un viaggiatore: caratteristiche di un iper-romanzo 39

2.3. Un romanzo sul romanzo 42

2.4. Se una notte d’inverno un viaggiatore e la rete intertestuale 49

2.5. Modalità narrative della prosa postmoderna 54

in Se una notte d’inverno un viaggiatore 2.6. Il castello dei destini incrociati: il narrabile come combinazione di carte 58

3. Alcuni temi e procedimenti postmoderni nell’opera di Mircea Cărtărescu 66

3.1. Aspetti della prosa postmoderna in Travesti, Nostalgia e Il Levante 66

3.2. Travesti: il motivo del doppio, dell’androgino e del travestitismo 67

3.3. Nostalgia: analisi di alcuni contesti postmoderni 70

3.4. Il Levante: un’epopea ricca di riferimenti metatestuali e intertestuali 76

3.5. Le caratteristiche dell’io autoriale in Travesti, Nostalgia e Il Levante 82

Conclusioni 85 Bibliografia 92 Sitografia 99 Ringraziamenti

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INTRODUZIONE

Frutto di un lungo periodo di studio ed elaborazione, il presente lavoro nasce dalla mia passione per la Letteratura italiana, nonché dalla curiosità, presto mutata in interesse, per la letteratura romena, in particolar modo per la produzione cărtăreschiana, conosciuta grazie al corso di Letteratura romena tenuto dalla Professoressa Emilia David.

Questa tesi ha come oggetto lo studio e l’analisi di alcune opere narrative ascrivibili alla fase postmoderna di Italo Calvino e Mircea Cărtărescu.

Tale argomento, che sarà sviluppato nei capitoli secondo e terzo, consente di desumere che si tratta di un elaborato volto a proporre un confronto tra due scrittori appartenenti a culture differenti. L’obiettivo è dunque quello di scoprire se le modalità in cui determinati temi e procedimenti postmoderni vengono utilizzati nella prosa narrativa di ciascun autore siano affini o differenti tra loro.

Per fare ciò – essendo due le culture letterarie da esaminare –, riterrò opportuno allargare il campo d’indagine, prendendo in considerazione il postmodernismo in relazione alle sue accezioni come fenomeno storico, filosofico e letterario sia in ambito italiano che romeno, ma anche come concetto con larga circolazione internazionale.

Pertanto, nel primo capitolo verranno analizzati alcuni aspetti storico-filosofici che determinano lo sviluppo del postmodernismo, dalla perdita di fiducia nei grandi sistemi filosofici e ideologici, all’affermarsi della società capitalista, nonché i cambiamenti da esso apportati in campo economico e tecnologico con l’avvento della globalizzazione.

Si procederà con l’esposizione dei principali temi e procedimenti che caratterizzano il postmodernismo letterario, dalle tecniche combinatorie alla metaletterarietà, dalle citazioni intertestuali alla contaminazione di generi e stili, per poi porre in evidenza il processo di sviluppo della cultura postmoderna nei due campi di interesse italiano e romeno attraverso lo studio delle somiglianze e delle differenze.

In particolare, nell’analisi del postmoderno italiano verrà messo in evidenza il rifiuto da parte di storici e critici letterari di riconoscere la letteratura postmoderna come tale. Dopodiché, una breve disamina sarà dedicata a quelle che sono le tre colonne portanti del postmoderno italiano, rispettivamente Italo Calvino, Umberto Eco e Antonio Tabucchi, ponendo l’attenzione sui tratti che li riconducono a quelli tipici del postmodernismo, nonché sulla loro parziale accettazione come autori postmoderni da parte della critica letteraria italiana.

Allo stesso modo, nell’analisi del postmoderno romeno verrà fatto riferimento ai rappresentanti e alla poetica della generazione letteraria che ha accolto le caratteristiche del

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paradigma postmoderno, la cosiddetta Generazione ’80, con particolare attenzione a Mircea Cărtărescu, che è una delle personalità di maggiore rilievo.

Nei capitoli secondo e terzo il campo d’indagine verrà ristretto al solo ambito letterario, al fine di osservare più nello specifico, ossia attraverso l’analisi di alcune opere di Calvino e Cărtărescu, la presenza di precisi elementi postmoderni.

Per quanto riguarda la produzione postmoderna di Calvino, le opere oggetto di analisi saranno Se una notte d’inverno un viaggiatore e Il castello dei destini incrociati, mentre per quel che concerne la prosa postmoderna di Cărtărescu, la scelta ricadrà su Travesti, Nostalgia e Il Levante.

Più precisamente, Se una notte d’inverno un viaggiatore verrà analizzato a partire dalle sue caratteristiche di iper-romanzo e metaromanzo, per poi prendere in considerazione la rete di richiami intertestuali che si cela al suo interno, nonché le modalità narrative utilizzate, mentre

Il castello dei destini incrociati verrà analizzato in quanto opera combinatoria, passando dallo

schema combinatorio che sottostà alle storie alla molteplicità dei significati generati dalla combinazione delle carte dei tarocchi.

Per quanto riguarda invece l’analisi delle opere di Cărtărescu, nel caso di Travesti e

Nostalgia verranno presi in esame i temi del doppio, dell’androgino e del travestitismo, nonché

i contesti in cui prevale l’elemento postmoderno della metatestualità. Vale lo stesso per Il

Levante, in cui ad essere messi in evidenza saranno sia l’elemento postmoderno della

metatestualità, sia quello dell’intertestualità.

Nelle opere di entrambi gli autori saranno, inoltre, individuate le accezioni postmoderne relative al ruolo e all’identità dell’autore-narratore e personaggio, il quale delega la propria funzione narrativa ad un sosia fittizio che rappresenta il suo alter-ego. Diversi sono, infatti, i luoghi della prosa narrativa calviniana e cărtăreschiana in cui è possibile rilevare la presenza dell’autore nel testo dietro la figura del narratore o attraverso espliciti riferimenti metatestuali. Infine, nelle Conclusioni verrà effettuato un confronto tra le opere oggetto di analisi e i rispettivi autori al fine di realizzare l’obiettivo che mi sono proposta.

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CAPITOLO 1

IL POSTMODERNISMO

1.1. ANALISI DI ALCUNI ASPETTI STORICO-FILOSOFICI

Poiché nessun movimento culturale può essere inteso al di fuori del contesto storico da cui ha origine, in questo primo capitolo verrà preso in considerazione il postmodernismo e alcuni aspetti storico-filosofici che ne hanno determinato lo sviluppo.

Il fine di tale analisi è quello di tracciare un quadro generale chiaro delle caratteristiche principali del postmodernismo in relazione alle sue accezioni come fenomeno storico, filosofico e letterario, al contesto spazio-temporale in cui nasce, nonché alle motivazioni della sua diffusione iniziale, per poi essere in grado di spostare l’attenzione sul processo di espansione dello stesso anche in altre culture. In questo caso si fa riferimento a paesi quali l’Italia e la Romania, poiché le loro rispettive letterature – avendo scelto di esaminare la fase postmoderna della poetica di due autori come Italo Calvino e Mircea Cărtărescu – costituiscono il punto di partenza per l’elaborazione di questa tesi.

Ѐ utile iniziare la trattazione dalla nascita del termine postmodernismo, per il quale la critica anglosassone ha prestato molta attenzione stabilendone la genealogia. Come sottolinea Hassan in The Postmodern Turn: Essays in Postmodern Theory and Culture1, il termine è stato

usato per la prima volta da Federico de Onìs nella Antologia de la poesìa española e

hispanoamericana2, pubblicata nel 1934 per descrivere una reazione al Modernismo. Viene poi

ripreso da Toynbee in A study of History3 per indicare un nuovo periodo storico che inizia

intorno al 1875. Tuttavia, l’atteggiamento di quest’ultimo è scettico e bisogna arrivare agli anni ’60 del Novecento per avere un giudizio positivo di ciò che il termine Postmoderno rappresenti. Charles Jencks, il primo ad introdurre il termine in architettura, ha aggiunto degli elementi interessanti a riguardo. Egli distingue, infatti, tre diversi periodi nello sviluppo e nella ricezione del termine: negli anni ’60 la cultura postmoderna, ancora allo stato embrionale, è radicale e

1 Ihab Hassan, The Postmodern Turn: Essays in Postmodern Theory and Culture, Ohio State University Press, Ohio, 1987, in Da Calvino agli ipertesti. Prospettive della postmodernità nella letteratura italiana, Laura Rorato, Simona Storchi (a cura di), Franco Cesati Editore, Firenze, 2002, p. 28.

2 Federico de Onís, Antologia de la Poesia Española Hyspanoamericana, Centro de Estudios Históricos, Madrid, 1934.

3 Arnold Toynbee, A Study of History, Panorami della storia, trad. it. di Glauco Cambon, Mondadori, Milano, 1954.

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7

critica; verso gli anni ’70 il termine postmodernismo viene coniato per definire una varia gamma di tendenze e il movimento diventa più conservatore, razionale e accademico; negli anni ’80 la situazione cambia ulteriormente e il termine, così come il fenomeno che esso indica, diventa un’istituzione tanto quanto il Modernismo4.

In Italia, invece, non è possibile fare queste distinzioni. Come osserva Monica Francioso nel saggio “Il discorso sul postmoderno in Italia”5, il termine sembra entrare in uso solo negli

anni ’80 e, nella maggior parte dei casi, in riferimento al postmodernismo americano. Il primo tentativo di rilievo della mappatura del termine in territorio italiano si deve a Remo Ceserani, l’autore dello studio Raccontare il postmoderno6 del 1997, il quale evidenzia il clima di scetticismo che regnava in Italia nei confronti di questo nuovo fenomeno. A differenza degli Stati Uniti, in cui il postmodernismo nasce come movimento filosofico-letterario sulla scia di filosofi francesi, quali Jean-François Lyotard, in Italia nasce nel 1980 nel campo dell’architettura con la Biennale di Venezia, dunque in ritardo rispetto al mondo anglosassone.

Si passa ora a indicare alcuni dei cambiamenti apportati dal postmodernismo dal punto di vista economico, storico e filosofico.

Nel corso degli anni ’80, l’economia mondiale conosce un rapido processo di espansione che si collega a importanti modifiche strutturali, non solo a livello politico, si pensi ad esempio al crollo dell’Unione Sovietica, ma anche in campo tecnologico, culturale e sociale. Si tratta di fenomeni che, subendo un’accelerazione incontrollata, amplificano il dominio della civiltà dei consumi: è in questa fase che si inizia a parlare infatti di globalizzazione, ovvero dell’aumento progressivo delle relazioni commerciali su scala internazionale e del conseguente effetto di avvicinamento tra singoli Stati anche su piani non strettamente economici. Si consolida così un nuovo modello industriale promosso da imprese multinazionali, le quali impongono la diffusione su larga scala di marchi a loro riconducibili. Inoltre, si assiste a una finanziarizzazione dell’economia, la quale rende sempre più centrale il ruolo delle banche e degli investimenti.

Prima in America e poi nel resto del mondo si rivela determinante il contributo offerto dalle nuove tecnologie cibernetiche e informatiche, le quali diventano le colonne portanti di quella che, alla fine degli anni ’90, viene definita la ‘New Economy’7. L’automatizzazione

dell’industria e l’introduzione dei computer all’interno del processo produttivo trasformano

4 Charles Jencks, What is Post-Modernism?, Martin’s Press, Londra, 1986, p. 9.

5 Monica Francioso, “Il discorso sul postmoderno in Italia”, in Da Calvino agli ipertesti, Laura Rorato e Simona Storchi (a cura di), Franco Cesati Editore, Firenze, 2002, p. 29.

6 Remo Ceserani, Raccontare il postmoderno, Bollati Boringhieri, Torino, 1997.

7 Il termine ‘New Economy’ venne utilizzato per la prima volta dallo scrittore statunitense Kevin Kelly, cfr. Id.,

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radicalmente il modo di gestire il lavoro. Nei paesi occidentali le conseguenze di ciò sono, da un lato l’affermarsi di una nuova era industriale, anche detta ‘postindustriale’, caratterizzata dal predominio del settore terziario e dei servizi, dall’altro la nascita di una società telematica fondata sulla comunicazione in tempo reale grazie all’utilizzo della telefonia cellulare e di Internet che, in pochissimi anni, si diffondono come i principali mezzi di comunicazione al livello personale/privato e professionale.

Lo sviluppo delle nuove tecnologie determina inoltre un mutamento di carattere socio-antropologico, in quanto contribuisce a modificare o persino creare abitudini diverse, nuovi modi di parlare, immaginari collettivi e sistemi di percezione distorti. In particolare l’avanzare dei nuovi mezzi di comunicazione genera una cultura mediatica invasiva che induce gli utenti a non riconoscere più la separazione tra mondo reale e mondo virtuale, tra piano della realtà e piano della finzione.

In un mondo in cui le distanze e i tempi diminuiscono drasticamente, la percezione della realtà è a sua volta modificata. A tal proposito lo studioso americano Friedric Jameson riflette sulla difficoltà dell’individuo ad orientarsi nel “grande network comunicazionale, globale, multinazionale e decentrato”8 in cui si trova immerso. All’antropologo francese Marc Augé si

deve invece la distinzione tra ‘luoghi’ e ‘non luoghi’9, ovvero tra spazi identitari e relazionali

e spazi di passaggio, in cui gli individui si incrociano senza instaurare rapporti significativi: dalle autostrade ai mezzi di trasporto pubblico, fino agli attuali centri commerciali. Dunque, la pianificazione architettonica stessa alimenta una profonda trasformazione nel modo di rapportarsi allo spazio e al tempo.

Secondo alcuni critici di orientamento marxista, il postmodernismo non rappresenta un semplice movimento artistico o letterario, bensì una condizione culturale legata all’affermarsi della società capitalista.

Jean-François Lyotard, uno dei più importanti teorici del postmodernismo,nella sua opera

La condizione postmoderna sostiene che nella società postmoderna si sia verificata una crisi

delle «grandi narrazioni»10. Con questa espressione si riferisce a sistemi filosofici e culturali

come l’Illuminismo, l’Idealismo e il Marxismo, che tendono a dare una visione unitaria del mondo.

8 Friedric Jameson, Il postmoderno o la logica culturale del tardo capitalismo, Garzanti, Milano, 1989, p. 83. [Id.,

Postmodernism, or The Cultural Logic of Late Capitalism, New Left Review, luglio/agosto 1984, 146, pp. 53-92].

9 Marc Augé, Nonluoghi: introduzione a una antropologia della surmodernità, trad. it. di Dominique Rolland e Carlo Milani, Elèuthera, Milano, 1993, pp. 73˗74.

10 Jean-François Lyotard, La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere, trad. it. di Carlo Formenti, Feltrinelli, Milano, 2002, pp. 5-7.

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“Per evidenziarne il carattere universale e riflesso, cioè il loro procedere ‘oltre’ le narrazioni particolari, il filosofo chiama queste sintesi anche ‘metaracconti’ o ‘metanarrazioni’”11. Sulla base di una teoria unificata della storia, esse pretendono di

racchiudere il senso della realtà in un principio unitario: rispettivamente quello della ragione, quello del movimento totalizzante dello Spirito, quello delle leggi materialistiche della realtà12.

Lyotard associa il postmoderno all’avanzare impetuoso delle nuove tecnologie presenti nelle società industriali e informatizzate, le quali sono capaci di profilare un linguaggio e una cultura alternative rispetto alla modernità:

L’oggetto di questo studio è la condizione del sapere nelle società più sviluppate. Abbiamo deciso di chiamarla “postmoderna”. La definizione è corrente nella letteratura sociologica e critica del continente americano. Essa designa lo stato della cultura dopo le trasformazioni subite dalle regole dei giochi della scienza, della letteratura e delle arti a partire dalla fine del XIX secolo13.

Finito il tempo delle «grandi narrazioni»14, secondo Lyotard bisogna individuare un

nuovo criterio di legittimità della conoscenza, in quanto il sapere non si riduce alla scienza, e nemmeno alla conoscenza:

Il sapere in generale non si riduce alla scienza, e nemmeno alla conoscenza. La conoscenza sarebbe l’insieme degli enunciati che denotano o descrivono degli oggetti, escludendo qualsiasi altro enunciato, e suscettibili di essere dichiarati veri o falsi. La scienza sarebbe un sottoinsieme della conoscenza. […]. Ma con il termine sapere non si intende affatto solamente un insieme di enunciati denotativi, in esso convergono le idee di saper fare, saper vivere, saper ascoltare, ecc. Si tratta quindi di una competenza che eccede la determinazione e l’applicazione del solo criterio di verità, e che si estende a quelle dei criteri di efficienza (qualificazione tecnica), di giustizia e/o di felicità (saggezza etica), di bellezza sonora, cromatica (sensibilità auditiva, visuale), ecc15.

Il sapere postmoderno, così come lo intende Lyotard, è “un tipo di sapere che, partendo dal riconoscimento della poliformia dei giochi linguistici, si concretizza in una razionalità plurale a raggio corto, mirante a legittimazioni fluide, parziali e reversibili”16; è quindi una

forma di sapere che insiste sulla libera e imprevedibile operosità della mente umana. Il filosofo

11Nicola Abbagnano e Giovanni Fornero, I nodi del pensiero, Pearson, Milano-Torino, 2017, 3 voll., p. 758. 12 La caratteristica di queste narrazioni è principalmente quella di “offrire una legittimazione filosofico-politica del sapere, nonché un senso unitario e globale della realtà e una giustificazione ideologica della coesione sociale e delle utopie rivoluzionarie”. Cfr. Id.

13 Jean-François Lyotard, La condizione postmoderna…, cit., p. 5. 14 Ibid.

15 Ivi, pp. 37-38.

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conclude il suo libro con l’augurio che l’informatizzazione della società, anziché divenire uno strumento di controllo del sistema, possa favorire la massima diffusione delle conoscenze agevolando il libero accesso dei cittadini “alle memorie e alle banche di dati”17. In questo modo

Lyotard si rivela favorevole ad un uso democratico del sapere informatizzato:

Quanto all’informatizzazione della società. […]. Essa può divenire lo strumento “sognato” del controllo e della regolarizzazione del sistema di mercato, esteso fino al sapere stesso, e retto esclusivamente dal principio di performatività. Essa comporta allora inevitabilmente il terrore. Ma essa può anche servire i gruppi di discussione sulle metaprescrizioni, dando loro le informazioni di cui per lo più difettano per decidere con cognizione di causa18.

Il pensiero di Lyotard si contrappone ai sistemi di pensiero globalizzanti come lo Strutturalismo e il Marxismo e s’inserisce perciò nel quadro del Post-Strutturalismo, un movimento culturale di reazione alle pretese deterministe dello Strutturalismo. In questa corrente viene riconosciuta l’esistenza di una pluralità di linguaggi e sistemi simbolici non riconducibili ad un orizzonte comune e, attraverso l’attività di decostruzione critica dei sistemi totalizzanti del linguaggio e del pensiero, vengono messein discussione forme culturali e sociali dominanti nell’Occidente.

Un ruolo decisivo nel panorama filosofico postmoderno è stato svolto anche da un altro filosofo francese, Jacques Derrida, il quale ha elaborato un’originale teoria della scrittura testuale basata sul concetto di ‘decostruzione’, in altre parole un procedimento che scompone il testo al fine di metterne in evidenza le disfunzioni, la discontinuità e l’equivocità19. Il suo

pensiero è stato fondamentale per il Decostruzionismo, una scuola critico-filosofica che si è sviluppata soprattutto negli Stati Uniti. In particolare, con la nozione di ‘testualità generale’ Derrida apre al Postmoderno il campo della letteratura: “la testualità generale nasce dalla generalizzazione dei presupposti dello Strutturalismo che tendono a leggere qualsiasi sistema alla stregua di un gioco differenziale che produce determinate significazioni, cioè appunto come un testo”20.

La concezione di ‘testualità’ sostenuta da Derrida scardina il sistema di definizione del testo come atto ultimo risultante dall’oralità. Vi è quindi un ribaltamento di quelli che sono i

17 Jean-François Lyotard, La condizione postmoderna…, cit., p. 121. 18 Ibid.

19 Mario Vergani, Jacques Derrida, Mondadori, Milano, 2000, p. 15: “Il termine ‘decostruzione’ viene abitualmente utilizzato per definire la filosofia di Jacques Derrida e ‘decostruzionismo’ il movimento filosofico che a lui si ispira. Secondo la prospettiva del filosofo francese non è possibile non tener conto degli effetti prodotti da determinate pratiche teoriche, dunque anche del fatto che proprio questo termine si sia imposto per caratterizzare la sua filosofia”.

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fondamenti del linguaggio, in quanto il testo non è più un sistema definito e chiuso, bensì esiste una circolarità aperta in cui non è possibile pervenire ad un inizio, né all’autore originario. Ed è proprio l’assenza dell’autore che permette di accedere al testo con una concatenazione di rinvii. Non c’è più la centralità, un unico obiettivo, pertanto la scomposizione del testo porta al meccanismo derridiano della differance.

Secondo il filosofo francese, con la negazione di ogni composizione unitaria, di ogni telos ed ogni razionalità onnicomprensiva scompare l’egemonia del ‘centro’.Questo tipo di approccio diviene fondamentale per comprendere il tema della pluralità dei codici e dei linguaggi, centrale nella teoria postmoderna, nonché applicabile ante litteram alla situazione contemporanea della multimedialità, dell’ipertestualità e della contaminazione «in rete», che della teoria postmoderna sono l’esito ultimo e più complesso21.

Le questioni sull’interpretazione intertestuale si arricchiscono inoltre con le ricerche di Julia Kristeva sul fenomeno da lei definito ‘intertestualità’, ovvero la rete di richiami letterali e intenzionali fra testi coevi o di età successive22.

In Italia il dibattito sul postmoderno ha inizio, come si è già detto in precedenza, con un certo ritardo rispetto agli altri paesi occidentali. Fondamentali sono state le riflessioni di critici-filologi italiani come Gianfranco Contini, D’Arco Silvio Avalle, Cesare Segre e Aurelio Roncaglia sull’intertestualità nella letteratura medievale e moderna.

Più precisamente, come sostiene Monica Francioso, il dibattito sul postmoderno nasce nel 1981, quando prende l’avvio la serie del mensile di informazione culturale Alfabeta23,nella

quale la discussione si sposta dal campo architettonico al campo filosofico-letterario24. In

questo inserto di Alfabeta vengono inoltre recensiti alcuni libri italiani letti in chiave del postmodernismo. Tuttavia, sembra che la critica non riconosca l’esistenza di una vera e propria narrativa postmoderna, visto che gli unici romanzi menzionati sono Se una notte d’inverno un

viaggiatore di Calvino e Il re del magazzino di Porta25.

In un primo momento, infatti, si assiste essenzialmente al tentativo di spiegare il postmodernismo americano e di capirlo. Pertanto, nel 1982 viene pubblicato un numero

21 Mimmo Pesare, “Eziologia e genealogia del postmodernismo filosofico”, in Dialegesthai. Rivista telematica di

filosofia, anno 6, 1-09-2004, reperibile al link: org/dialegesthai/map02.htm https://mondodomani [consultato il

15-04-2019].

22 Julia Kristeva, La parola, il dialogo, il romanzo, in Semeiotiké: Ricerche per una semanalisi (1969), Feltrinelli, Milano, 1978, pp. 119-43.

23 Alfabeta, Multipla Edizioni, Milano, 1981, nn. XXII-VIII. 24 Monica Francioso, “Il discorso sul postmoderno…”, cit., p. 30. 25 Ibid.

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monografico sull’argomento nella rivista Calibano26. Del 1984 è Postmoderno e letteratura27

scritto da Carravetta e Spedicato, edito da Umberto Eco, riconosciuto ormai a livello internazionale come scrittore postmoderno dopo aver pubblicato nel 1980 Il nome della rosa e nel 1983 le famose Postille28.

Solo negli anni ’90 sembra esserci un primo tentativo di alzare il livello della discussione con la pubblicazione del libro di Patella, Sul postmoderno29, secondo cui si è davanti ad un

fenomeno più complesso di una semplice questione di stile. Egli distingue così tra un postmodernismo che porta al livellamento in tutti gli aspetti sociali e culturali, e un postmodernismo della resistenza che va incontro alle differenze senza nessuna violenza o tentativo di dominare, quindi senza l’intenzione di livellare queste differenze30. Segue la

pubblicazione di Postmodernismo31, scritto da Margherita Ganeri.

Dal punto di vista filosofico, il contributo di maggior rilievo è quello di Gianni Vattimo, a cui si devono le nozioni di ‘pensiero debole’ e ‘fine della modernità’32.

Il postmoderno è inteso da Vattimo non solo come novità rispetto al Moderno, ma anche come dissoluzione della categoria del nuovo, come esperienza di “fine della storia”33. Pertanto,

il passaggio da Moderno a postmoderno è un passaggio da strutture forti a strutture deboli. Secondo Vattimo il pensiero forte è illusoriamente proteso a fornire ‘fondazioni’ assolute del conoscere e dell’agire; infatti, i sistemi forti che hanno dominato il pensiero otto-novecentesco (Marxismo, Strutturalismo, ecc.) non sono più in grado di interpretare i fenomeni della contemporaneità. Ad essi va opposto un pensiero debole, relativo e antidogmatico, attraverso cui si perviene ad analizzare meglio la letteratura e la societàche, con la realizzazione di eventi quali la caduta del Muro di Berlino (1989) e la definitiva crisi dell’Unione Sovietica, diventano più individualistee meno ideologizzate.

Con l’avvento del ‘pensiero debole’ si consuma la concezione fondativa della filosofia, si disgregano i fondamenti ultimi e cambia l’immagine della razionalità, la quale deve depotenziarsi ed indietreggiare. Tale passo indietro implica la conseguente dissoluzione dei

26 John Barth et alii, “La finzione necessaria. Il romanzo postmoderno americano”, in Calibano, VII, 1982. 27 Peter Carravetta e Paolo Spedicato (a cura di), Postmoderno e letteratura. Percorsi e visioni della critica

americana, Bompiani, Milano, 1984.

28 Umberto Eco, “Postille a Il nome della rosa”, in Alfabeta, VI, 49, maggio 1983, pp. 19-22, poi in Appendice a Eco, Il nome della rosa, Bompiani, Milano, 1984, pp. 507-33.

29 Giuseppe Patella, Sul Postmoderno: per un postmoderno della resistenza, Edizioni Studium, Roma, 1990. 30 Monica Francioso, “Il discorso sul postmoderno…”, cit., p. 31.

31 Margherita Ganeri, Postmodernismo, Editrice Bibliografica, Milano, 1998.

32 Gianni Vattimo, Il pensiero debole, Feltrinelli, Milano 1989; Id., La fine della modernità, Garzanti, Milano, 1985.

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valori assoluti, nonché dei principi incontrovertibili, motivo per cui diventa necessario che la filosofia rinunci a qualsiasi ruolo fondativo e si configuri come ‘pensiero debole’, capace di accompagnare e di edificare l’umanità in un mondo che ormai non ha più bisogno di assoluti.

Il pensiero debole è anche la fine della modernità. […]. Dato che la modernità concepisce la storia come un processo di emancipazione progressiva nella quale l'uomo appare capace di una sempre più perfetta realizzazione della propria natura, di un esercizio sempre più ricco delle proprie facoltà. L'uomo moderno è caratterizzato dalla fiducia in sé stesso come creatore e protagonista di una civiltà nuova, sempre più avanzata e più democratica di ogni epoca precedente, continuamente protesa verso il raggiungimento di ulteriori traguardi.

L'idea forza della modernità è dunque il progresso, inteso come orientamento a un modello di vita e di azione, come aspirazione a valori ultimi, fondati sulla capacità dell'uomo di esercitare la ragione. […]. Ma la fine della modernità apre una fase nuova, una fase di ascolto, di attenzione a ciò che, nella luce forte della ragione e della storia, era non avvertito, o, comunque risultava inintelligibile. È una fase di apertura e di comunicazione alle “culture altre”, caratterizzata da una visione più tollerante e pacifica della convivenza umana34.

Secondo Vattimo, quando parliamo di postmoderno, intendiamo anche affermare che la modernità è finita: “la Modernità è quell’epoca per la quale l’esser moderno diventa un valore, anzi il valore fondamentale a cui tutti gli altri vengono riferiti”35.

La Modernità, quindi, considera la storia come progresso guidato da leggi di superamento, ma, se per la Modernità la storia è progresso, processo di continuo superamento, allora il ‘pensiero debole’ è il postmoderno, la fine della storia36.

La pura e semplice consapevolezza ─ o pretesa ─ di rappresentare una novità nella storia, una nuova e diversa, figura nella fenomenologia dello spirito, collocherebbe infatti il postmoderno sulla linea della modernità, nella quale domina la categoria di novità e di superamento. Le cose, però, cambiano se, come pare si debba riconoscere, il postmoderno si caratterizza non solo come novità rispetto al moderno, ma anche come dissoluzione della categoria del nuovo, come esperienza di «fine della storia»37.

In conclusione, la filosofia del postmoderno diventa ‘pensiero debole’, in quanto perde la sua funzione fondativa; in tal modo la verità, essendo soggetta ad una continua interpretazione,

34 Diego Fusaro (a cura di), “Gianni Vattimo – Il pensiero debole”, in Filosofico.net – La filosofia e i suoi eroi [sito di filosofia creato da Diego Fusaro nell’aprile del 2000], reperibile al link:

http://www.filosofico.net/vattimo2.htm [consultato il 12-04-2019]. 35 Gianni Vattimo, La fine della modernità…, cit., p. 108.

36 Diego Fusaro (a cura di), “Gianni Vattimo – Il pensiero debole…”, cit. 37 Gianni Vattimo, La fine della modernità…, cit., p. 12.

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cessa di essere adeguamento del pensiero alla realtà. Pertanto, essa diventa la trasmissione di un patrimonio linguistico e storico, il che rende possibile la comprensione del mondo38.

1.2. IL POSTMODERNO IN LETTERATURA

Alla luce di quanto affermato in 1.1, il postmodernismo è un fenomeno possibile da indagare sotto diversi punti di vista (storico, filosofico, economico), ma, essendo quello letterario l’ambito che più ci interessa – volendo tentare di individuare alcuni dei grandi temi del postmodernismo in due specifici autori della letteratura italiana e romena – mi sembra necessario esporre non solo le caratteristiche del postmodernismo in generale sopra delineate, ma anche quelle che sono le caratteristiche principali del postmodernismo letterario.

Pertanto, la trattazione di questa sezione prende l’avvio da quella che ritengo sia la figura allegorica perfetta per rappresentare la cultura letteraria del secondo Novecento: la litografia che l’artista olandese Maurits Cornelis Escher incide nel 1948, dal titolo Mani che disegnano.

L’artista finge che su un foglio di carta fissato a un supporto con quattro puntine da disegno, due mani stiano disegnando ognuna la manica della camicia da cui spunta l’altra. È la

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mano destra che disegna la sinistra, o la sinistra che disegna la destra? Dipende solo dal punto di vista, come nel ‘pensiero debole’ del secondo Novecento, in cui non c’è un vero e un falso, ma tutto è verità e, allo stesso tempo, tutto è falsità. Di questa onesta menzogna la letteratura e l’arte colgono e rappresentano l’essenza.

Per capire meglio il valore allusivo della litografia si potrebbe suggerire il seguente titolo:

Mani che disegnano mani che disegnano mani che disegnano mani…, e così via, senza fine,

come in un gioco di specchi inebriante e vorticoso. Questo moltiplicarsi di mani che disegnano sé stesse come il proprio altro è un’immagine che si può usare per definire l’idea che nell’ultima parte del Novecento si sviluppa intorno alla ‘letteratura combinatoria’ con testi che giocano a moltiplicarsi l’uno nell’altro. Sono mani che rappresentano l’immagine di un sistema complesso che parla di sé stesso. Non a caso, nel gioco illusionistico delle due mani manca la mano di chi sta creando il disegno: è la mano dell’autore dell’opera, la quale sembra farsi da sola e parlare di sé stessa. Allo stesso modo, la letteratura non può che ripetere sé stessa avvolgendosi nella spirale delle parole e nell’allegoria di una mano che scrive di una mano che scrive di una mano che scrive…

Nella cultura postmoderna si assiste alla definitiva perdita di fiducia nei grandi sistemi filosofici e ideologici e all’avvento di una visione frammentaria e moltiplicata del reale, in cui il dettaglio prevale sull’insieme, il molteplice sull’unità, l’indeterminato sul determinato, il virtuale sul reale. Come sostiene il critico statunitense Fredric Jameson, l’intero mondo viene ridotto a merce, perfino la cultura39. Da qui la scomparsa di ogni traccia di profondità e la

rinuncia ad andare al di là della superficie delle cose. Dunque, i prodotti artistici postmoderni si appiattiscono e perdono di individualità contaminandosi l’un l’altro. Di conseguenza, c’è chi nega che il postmoderno sia una svolta epocale, e chi conferma le osservazioni di Jameson, basandosi sulle tendenze e le opere, soprattutto letterarie, degli ultimi decenni del Novecento.

Molti degli scrittori definiti postmoderni hanno in comune un atteggiamento disimpegnato nei confronti della propria opera, in quanto si presentano come autori di un gioco intellettuale e sono privi dell’ambizione di incidere sulla realtà o di trasmettere messaggi ideologici e morali. In essi si manifesta una generale tendenza ad allontanarsi dalle opere che scrivono. Molti sono, infatti, i casi in cui l’autore fa il possibile per nascondere la propria personalità e le proprie idee. In Lezioni americane40 Italo Calvino ha dato di questo

atteggiamento una spiegazione molto profonda. Si tratta di un giudizio che riguarda la

39 Fredric Jameson, Il postmoderno o la logica culturale …, cit., p. 25.

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condizione dello scrittore di oggi, la cui individualità tende a smarrirsi dentro la complessità del mondo in cui vive:

Qualcuno potrà obiettare che più l’opera tende alla moltiplicazione dei possibili più s’allontana da quell’unicum che è il self di chi scrive, la sincerità interiore, la scoperta della propria verità. Al contrario, rispondo, chi siamo noi, chi è ciascuno di noi se non una combinatoria d’esperienze, d’informazioni, di letture, d’immaginazioni? Ogni vita è un’enciclopedia, una biblioteca, un inventario d’oggetti, un campionario di stili, dove tutto può essere continuamente rimescolato e riordinato in tutti i modi possibili41.

L’allontanamento da parte dell’autore dalla propria opera non implica però che l’opera si avvicini necessariamente alla realtà, anzi. La convinzione dell’inconoscibilità della complessità del reale e l’assenza di idee forti che tentino di spiegarla fa sì che l’oggetto della rappresentazione sia la letteratura stessa anziché il mondo.

L’atteggiamento metaletterario non è prerogativa del postmoderno: ha accompagnato da sempre l’esercizio della scrittura, in modo particolare nella narrativa tra Otto e Novecento. Basti pensare allo sterminato romanzo di Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto, la cui vicenda di fatto coincide con la ricerca di un romanzo da scrivere. La differenza tra la metaletteratura moderna e la metaletteratura postmoderna sta solo nel fatto che nel postmoderno il discorso sulla letteratura non è più legato alle ragioni esistenziali dell’autore, ma si presenta come un gioco di duplicazioni e rispecchiamenti.

Illustra efficacemente la complicata condizione dello scrittore postmoderno la prefazione (le cosiddette Postille) che Umberto Eco aggiunge al suo romanzo Il nome della rosa nelle edizioni successive alla prima. L’autore riconosce l’appartenenza del suo romanzo all’area del postmoderno proprio per il fondamento metaletterario dell’ispirazione e dei contenuti, in quanto sostiene che questa sia una scelta inevitabile per la narrativa del secondo Novecento, che ha ormai consumato ogni strada:

La risposta postmoderna al moderno consiste nel riconoscere che il passato, visto che non può essere distrutto, perché la sua distruzione porta al silenzio, deve essere rivisitato: con ironia, in modo non innocente. Penso all’atteggiamento postmoderno come a quello di chi ami una donna, molto colta, e che sappia che non può dirle «ti amo disperatamente», perché lui sa che lei sa (e che lei sa che lui sa) che queste frasi le ha già scritte Liala. Tuttavia c’è una soluzione. Potrà dire: «Come direbbe Liala, ti amo disperatamente». A questo punto, avendo evitata la falsa innocenza, […], costui avrà però detto alla donna ciò che voleva dirle: che la ama, ma che la ama in un’epoca di innocenza perduta. Se la donna sta al gioco, avrà ricevuto una dichiarazione d’amore, ugualmente. Nessuno

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dei due interlocutori si sentirà innocente, entrambi avranno accettato la sfida del passato, del già detto che non si può eliminare, entrambi giocheranno42.

Dunque, come Eco, gli scrittori postmoderni non fanno nulla per nascondere i loro riferimenti letterari, anzi li esibiscono in forma di autentica citazione. La letteratura, la poesia e la critica diventano così l’oggetto di un vero e proprio labirinto citazionista, in cui, in un gioco di rimandi, allusioni e raddoppiamenti sono i testi a costituire la realtà, non il contrario.

Un’altra caratteristica della narrativa postmoderna è la contaminazione di generi e stili che può dar nascita al pastiche, contaminazioneper mezzo della quale si abolisce la distinzione tra letteratura colta e letteratura di consumo. Tuttavia, il pastiche postmoderno non è il risultato di una tensione espressiva del linguaggio che cerca di penetrare il groviglio del mondo, bensì una sorta di mimesi dei linguaggi della comunicazione globalizzata, che ha saturato il linguaggio, eliminando ogni discriminazione tra valori estetici alti e bassi.

1.3. DUE LETTERATURE A CONFRONTO: SOMIGLIANZE E DIFFERENZE TRA IL POSTMODERNO ITALIANO E IL POSTMODERNO ROMENO

1.3.1. IL POSTMODERNO IN ITALIA

Come si è già anticipato nella sezione 1.1, l’oggetto di studio di partenza per l’elaborazione di questa tesi, la quale ha come protagonisti Italo Calvino e Mircea Cărtărescu postmoderni, è costituito dalla letteratura italiana e dalla letteratura romena nella loro fase postmoderna, motivo per cui in questo paragrafo verrà messo in evidenza il processo di sviluppo della cultura postmoderna in entrambe le letterature. Ciò al fine di effettuare, attraverso lo studio delle somiglianze e delle differenze dei due campi di interesse, un confronto utile per la comprensione dei due autori scelti e delle opere che saranno in seguito analizzate.

Cominciando con l’analisi del postmoderno italiano bisogna dire che in Italia esiste una ricca letteratura postmoderna. Tuttavia, come sostiene Remo Ceserani in Raccontare il

Postmoderno, viene nascosta dalla maggior parte dei critici letterari italiani, che rifiutano di

accorgersi dei cambiamenti avvenuti, rimanendo attaccati all'idea della letteratura come

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“rappresentazione realistica della vita o come fatto espressivo e di stile”43. A spiegare il rifiuto

da parte di storici e critici letterari di riconoscere la letteratura postmoderna come tale è proprio la mancanza di uno stile nelle opere postmoderne e, di conseguenza, la tendenza di essa a mescolare generi e stili. Dietro tale contaminazione di generi e stili si cela, tuttavia, la volontà di riflettere lo svuotamento operato dalla globalizzazione che ha saturato il linguaggio abolendo, come si è già affermato in precedenza, le distinzioni tra colto e popolare, valori estetici alti e bassi. Uno dei cambiamenti più radicali è stato proprio lo straordinario rimescolamento e allargamento del pubblico che consuma oggetti culturali e che, a differenza del periodo della modernità, non è più divisibile in categorie alte e basse. Nel periodo della postmodernità, infatti, i prodotti della cultura popolare si trasformano da prodotti kitsch a prodotti ben confezionati ed espertamente manipolati che riescono ad invadere anche gli ambiti dell'élite artistica e intellettuale, la quale li sceglie, li innalza alla categoria dell'estetico e li fa diventare degli oggetti di culto o delle vere e proprie icone.

Tornando al postmoderno in Italia, elementi che è possibile ricondurre ai tratti caratteristici del postmoderno trovano posto in alcuni scrittori italiani della contemporaneità, quali Italo Calvino con i romanzi che scrive nel decennio 1969-1979 (Il castello dei destini

incrociati, Le città invisibili, Se una notte d'inverno un viaggiatore), Umberto Eco con Il nome della rosa e Antonio Tabucchi con Sostiene Pereira. Tuttavia, è l’argentino Jorge Luis Borges

ad essere stato eletto a maestro ispiratore dagli autori della narrativa italiana che si sono identificati nell’orizzonte del postmoderno: ne è un esempio Calvino, il quale nelle Lezioni

americane dichiara la sua predilezione per Borges44. La sua visione del mondo e la sua tecnica

di scrittura, fondata sul ricorso ad una vastissima erudizione, hanno sicuramente indotto molti scrittori alla ripresa e al riuso dei testi che, smontati e ricomposti in collage, danno vita a pagine in cui sono combinati brandelli estratti dall’intera storia della letteratura.

A questo punto dedico una breve disamina a quelle che sono, dunque, le tre colonne portanti del postmoderno italiano, rispettivamente Calvino, Eco e Tabucchi.

Uno dei contributi più interessanti allo studio del mondo culturale e letterario di Calvino, in modo particolare riguardo l'analisi del suo rapporto con la cultura postmoderna, è il saggio di Alfonso Berardinelli “Calvino moralista, ovvero restare sani dopo la fine del mondo”45. Il

critico Berardinelli è uno dei primi a riconoscere nell'opera matura di Calvino molti dei temi

43 Remo Ceserani, Raccontare il postmoderno…, cit., p. 166. 44 Italo Calvino, Lezioni americane…, cit., p. 117.

45 Alfonso Berardinelli, “Calvino moralista, ovvero restare sani dopo la fine del mondo”, in Diario, VII, 9, 1991, pp. 37-58.

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tipicamente postmoderni e a definire lo stile calviniano postmoderno e neo-classico allo stesso tempo. Nel suo saggio Calvino è visto come l'autore che meglio rappresenta gli anni in cui la nostra fede letteraria cambia, in quanto, sicuro del valore della tradizione, egli mantiene il suo straordinario senso dell'equilibrio e della congruità fra mezzi stilistici usati e messaggio comunicato pur assumendo precocemente una dimensione postmoderna, in cui il gioco combinatorio supera un secolo e mezzo di narrativa realistica, sociale e introspettiva46. E ancora,

John Barth, distinguendo tra romanzieri tardomodernisti e postmodernisti, pone Calvino fra i veri postmodernisti proprio perché non imita e non ripudia né i suoi genitori novecenteschi modernisti, né i suoi nonni ottocenteschi premodernisti47. Insomma, “da vero scrittore

postmoderno Calvino tiene sempre un piede nella narrativa del passato. [...]. E un piede, si direbbe, nel presente strutturalista di Parigi”48.

Detto questo, come sostiene Remo Ceserani, è possibile ascrivere Calvino alla categoria di autore moderno nello stile della scrittura, essendo egli uno scrittore dallo stile limpido, esatto e concreto e che non ha mai abbandonato l'idea del lavoro artigianale della scrittura, nonché alla categoria di autore postmoderno nei temi e nei procedimenti utilizzati49.

Tuttavia, Ceserani considera Calvino un caso a parte, avendo notato un mancato tentativo da parte della critica italiana di affrontare il rapporto fra Calvino e la cultura postmoderna50:

“Quello di Calvino, […], è un caso controverso ed emblematico. Nessuno dei critici italiani che si sono occupati dei suoi scritti, […], sembra disposto ad affrontare a fondo la questione del suo rapporto con la cultura postmoderna”51.

A conferma di ciò egli sostiene che il primo a definire Calvino un postmoderno sia stato uno scrittore americano (dunque non italiano), ossia il sopracitato John Barth52 nel saggio The literature of Replenishment53.

Tuttavia, è pur vero che l’autore stesso sembra sfuggire a qualsiasi classificazione grazie alla sua abilità di spaziare da un genere all’altro54. Ulla Musarra-Schroeder dice infatti: “Siamo

46 Ivi, pp. 48-49.

47 John Barth, “The Literature of Replenishment: Postmodernist Fiction”, in The Atlantic, gennaio 1980, trad. it. di Paola Ludovici, in La letteratura della pienezza: fiction postmodernista, in Peter Carravetta e Paolo Spedicato (a cura di), Postmoderno e Letteratura. Percorsi e visioni della critica in America, Bompiani, Milano, 1984, pp. 86-98.

48 Ivi, pp. 95-96.

49 Remo Ceserani, Raccontare il postmoderno…, cit., p. 174. 50 Monica Francioso, “Il discorso sul postmoderno…”, cit., p. 31. 51 Remo Ceserani, Raccontare il postmoderno…, cit., p. 167. 52 Ivi, pp. 169-70.

53 John Barth, “The Literature of Replenishment”, in Michael Hoffman e Patrick Murphy (a cura di), Essentials

of the Theory of Fiction, Leicester University Press, Londra, 1996, pp. 273-286.

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coscienti che il pensiero critico come anche l’arte di Calvino sfuggono ad un tale approccio per l’agilità con la quale l’autore si muove da una posizione all’altra”55.

Nonostante questa difficoltà, c’è sempre stata la tendenza e il bisogno di etichettare la sua produzione: si passa quindi da termini come ‘neorealista’ a ‘strutturalista’, anche se, nella maggior parte dei casi, con la consapevolezza della convenzionalità56. In Italia, però, il

passaggio dall’etichetta ‘strutturalista’ a quella ‘postmodernista’ non sembra essere avvenuto. Ciò a causa della renitenza dei critici italiani a usare un termine che all’estero è, invece, spesso affiancato al nome di Calvino57.

Leggendo studi critici editi dopo il 1985, quali Inchiesta sulle fate58 di Delia Frigessi, Narratori dell’invisibile59 di Cottafavi e Magri e Italo Calvino60 di Bertone, solo per fare alcuni

esempi, si nota infatti l’assenza del termine ‘postmodernismo’ in riferimento ai romanzi o alla teoria narrativa di Calvino. Non si trova l’uso del termine neanche per criticarlo o dove ci si aspetterebbe di trovarlo61.

Tra quelli che Ceserani cita come più vicini allo studio del rapporto tra l’opera calviniana e il postmodernismo si devono menzionare L’utopia discontinua62 di Milanini e Int’abrigu Int’ubagu63 di Bertoni, anche se, neppure in questo caso il termine ‘postmoderno’ viene usato

apertamente in relazione a Calvino autore64.

Le cose cambiano se ci si muove all’estero. I maggiori esponenti internazionali di teoria narrativa postmoderna hanno considerato Calvino, sin dagli anni ’70, tra gli autori più rappresentativi65. Matei Călinescu, in un saggio di critica letteraria del 1987 intitolato Five faces of Modernity66 analizza dettagliatamente Se una notte d’inverno un viaggiatore; Linda

55 Ulla Musarra-Schroeder, Il labirinto e la rete. Percorsi moderni e postmoderni nell’opera di Italo Calvino, Bulzoni Editore, Roma, 1996, p. 11.

56 Monica Francioso, “Il discorso sul postmoderno…”, cit., p. 32. 57 Ibid.

58 Delia Frigessi (a cura di), Inchiesta sulle fate. Italo Calvino e la fiaba, Lubrina, Bergamo, 1988.

59 Beppe Cottafavi e Maurizio Magri (a cura di), Narratori dell’invisibile: Simposio in memoria di Italo Calvino, Mucchi, Modena, 1987.

60 Giorgio Bertone (a cura di), Italo Calvino. La letteratura, la scienza, la città: Atti del Convegno nazionale di

studi di Sanremo, Marietti, Genova, 1988.

61 Monica Francioso, “Il discorso sul postmoderno…”, cit., pp. 32-33.

62 Claudio Milanini, L’utopia discontinua. Saggio su Italo Calvino, Garzanti, Milano, 1990.

63 Roberto Bertoni, Int’abrigu, Int’ubagu. Discorso su alcuni aspetti dell’opera di Italo Calvino, Tirrenia Stampatori, Torino, 1993.

64 Monica Francioso, “Il discorso sul postmoderno…”, cit., pp. 33-34. 65 Ivi, pp. 34-35.

66 Matei Călinescu, Five faces of Modernity. Modernism, Avant-Garde, Decadence, Kitsch, Postmodernism, Duke University Press, Durham, 1987.

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Hutcheon in The Poetics of the Postmodern67 e Brian McHale in Postmodern Fiction68 prestano

molta attenzione a opere come Le città invisibili e Se una notte d’inverno un viaggiatore. Si ha dunque l’impressione che all’estero il fenomeno del postmodernismo venga esplicitamente collegato a Calvino, o meglio, che Calvino venga analizzato come scrittore postmoderno o portato come esempio di scrittore postmoderno, ma non in ambito italiano. A tal proposito, Ulla Musarra-Schroeder fa notare che:

Nella critica letteraria internazionale l’opera narrativa di Italo Calvino viene spesso collegata al postmoderno. L’avvicinarsi ai testi calviniani procedendo da criteri propri del postmoderno come concetto di storia e di critica letteraria è particolarmente frequente in certa critica accademica che si svolge presso alcune università o centri di studio statunitensi, tedeschi e nederlandesi69.

Dunque, nella lista dei centri in cui l’opera di Calvino è analizzata attraverso la lente del postmodernismo e in relazione ad esso, l’Italia non compare70.

Tuttavia, si potrebbe obiettare che in fondo neanche lo stesso Calvino, come affermato in precedenza, si è mai esplicitamente definito postmoderno. Infatti, pur facendo sue alcune delle caratteristiche del fenomeno postmoderno, le quali verranno indagate nel capitolo successivo, non fa uso frequente del termine71.

***

Si passa ora a dare qualche cenno su Umberto Eco e Il nome della rosa.

Quando nel 1980 viene pubblicato Il nome della rosa si assiste alla prima produzione consapevole di un romanzo postmoderno. Ad ammettere in modo ufficiale tale consapevolezza è proprio l'autore con la pubblicazione, nel 1983, delle Postille, in cui dà una definizione del postmoderno destinata a diventare famosa al punto tale da essere citata ancora oggi. Secondo tale definizione, la risposta postmoderna al moderno consiste nel rivisitare il passato attraverso le armi della citazione e dell'ironia72.

Con le Postille, allegate all'edizione del 1984, Eco spiega inoltre la scelta del titolo alquanto enigmatico e chiarisce la tecnica narrativa e le strategie di composizione usate per avere un lettore sempre attento, incuriosito e complice. Per quanto riguarda il titolo, esso non presenta alcuna chiave di lettura preventiva al lettore, al quale ne verrà rivelata l'origine soltanto alla fine. Si tratta di un'origine risalente ad un verso del De contemptu mundi (Il disprezzo del

67 Linda Hutcheon, The Poetics of the Postmodern, History, Theory, Fiction, Routledge, Londra, 1988. 68 Brian McHale, Postmodernist Fiction, Methuen, Londra, 1987.

69 Ulla Musarra-Schroeder, Il labirinto e la rete…, cit., p. 13. 70 Monica Francioso, “Il discorso sul postmoderno…”, cit., p. 36. 71Ibid.

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mondo) di Bernardo Morliacense, un benedettino del XII secolo: Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus (la vera rosa è il suo nome, noi possediamo soltanto nomi, esistendo un

abisso tra le parole che vogliamo esprimere e la realtà profonda, invalicabile)73. Nel titolo,

dunque, si cela l'idea che delle cose, fatalmente rese precarie e cancellate dal tempo, restano soltanto i nudi nomi, mentre la loro essenza profonda ci sfugge inesorabilmente. Circa la tecnica narrativa è possibile affermare che il romanzo si presenta fin dall'inizio come un immenso

pastiche intertestuale che mescola e contamina generi, tecniche e linguaggi, oltre ad imprimersi

di citazioni attinte da altre opere.

Tuttavia, nonostante l'enorme successo de Il nome della rosa presso un vasto pubblico, i problemi dell'appartenenza di Eco alla letteratura postmoderna rimangono aperti, in quanto la critica letteraria italiana si è divisa fin dall'inizio: da una parte gli entusiasti, gli emuli, i ricercatori appassionati di tutti i sottotesti, dall'altra i rigidi sostenitori dell'avanguardia che si ostinano a non considerare i temi e i procedimenti postmoderni del romanzo come tali. A tal proposito, il saggio di Bruno Pischedda, “Come leggere «Il nome della rosa» di Umberto Eco”74

mette bene in luce gli aspetti postmoderni de Il nome della rosa. Pischedda, riconoscendo che quella di Eco sia “una prova di abilità combinatoria non comune”75, analizza con precisione sia

il sistema della narrazione del romanzo, il quale è caratterizzato da una voce narrativa principale, sia i diversi generi a cui tale sistema si ispira, dalle cronache medievali ai romanzi di azione o investigazione moderni. Per quanto riguarda il sistema di narrazione, il critico considera fondamentale il ruolo svolto dalla figura di narratore di Adso ai fini del successo del romanzo. A tal proposito sostiene:

La trovata davvero decisiva nel Nome della rosa non consiste tanto nel personaggio di Guglielmo, bensì in quello di Adso. Ḕ nella costruzione tecnico-narrativa del giovane benedettino diciottenne che Eco si può dire vince la sua scommessa. […]. Da un punto di vista narratologico, Adso si configura come narratore intra-diegetico dal valore testimoniale: ormai in età avanzata, e alle soglie della morte, egli si fa cronista di vicende oscure e lontane a cui ha assistito in prima persona, e che ora ripercorre con l’ottica di un sopravvissuto. Non si può dire che come voce narrante Adso si sia mai addentrato in una comprensione piena degli eventi. […]. Ne rimane sempre un gradino al di sotto, in questo modo ponendosi al livello intuitivo del lettore comune, e accompagnandolo con la sua presenza cordiale e rassicurante anche nei recessi più complicati e specialistici del testo. […]. Ḕ

73 Renato Bertacchini, Il romanzo del Novecento in Italia. Dal «Piacere» al «Nome della rosa», Edizioni Studium, Roma, 1996, p. 199.

74 Bruno Pischedda, “Come leggere «Il nome della rosa» di Umberto Eco”, Mursia, Milano, 1994. 75 Ivi, p. 113.

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questa una soluzione tecnico-compositiva che deve avere avuto una certa importanza nello straordinario successo di vendite conseguito dal romanzo76.

A riprova di ciò, Pischedda cita nel suo saggio quel che Eco stesso scrive in proposito:

Adso è stato molto importante per me. Sin dall’inizio volevo raccontare tutta la storia (coi suoi misteri, i suoi eventi politici e teologici, le sue ambiguità) con la voce di qualcuno che passa attraverso gli avvenimenti, li registra tutti con la fedeltà fotografica di un adolescente, ma non li capisce. […].Far capire tutto attraverso le parole di qualcuno che non capisce. […].Mi chiedo ora se questo non sia stato uno degli elementi che hanno determinato la leggibilità del romanzo da parte di lettori non sofisticati. Si sono identificati con l’innocenza del narratore, e si sono sentiti giustificati anche quando non capivano tutto77.

Per quanto riguarda invece i generi a cui Il nome della rosa si ispira, è possibile affermare che si tratti di un libro fatto di tanti libri, un «long seller»78 dalla struttura a «pastiche»79di

generi letterari diversi; è in primo luogo un libro giallo, con morti, sangue, misteri, intrighi, in quanto l’autore, come dichiarerà nelle Postille a Il nome della rosa, vuole catturare il suo lettore e tra i tanti modelli di trama possibili ritiene che la «più metafisica e filosofica»80 sia quella del

romanzo poliziesco, che piace perché “rappresenta una storia di congettura, allo stato puro”81e

pone la stessa domanda di base della filosofia e della psicoanalisi: di chi è la colpa? Eco attinge allora a Conan Doyle, il creatore di Sherlock Holmes: il nome del protagonista, Guglielmo da Baskerville, richiama il titolo di uno dei romanzi della serie dedicata al famoso investigatore,

Il mastino dei Baskerville, e il nome di Adso riecheggia quello del dottor Watson, amico e

assistente dell’investigatore. Lo stesso metodo d’indagine del francescano, attento alla decifrazione dei segni, alla loro ricerca e alla messa in relazione dei dati acquisiti, ricorda proprio quello di Holmes.

Al motivo poliziesco si lega quello dell’abbazia come labirinto, il quale è, del resto, uno dei grandi temi del postmoderno. Tuttavia, si potrebbe dire che il vero labirinto sia costituito dalla biblioteca, per la quale l’autore si ispira chiaramente alla Biblioteca di Babele di Jorge Luis Borges e, imponendo al vecchio ex bibliotecario cieco il nome di Jorge da Burgos, paga un doveroso contributo al grande scrittore argentino. L’impianto del libro ricorda anche il

76 Ivi, p. 59.

77 Umberto Eco, “Postille a Il nome della rosa…”, cit., p. 518.

78 Renato Bertacchini, Il romanzo del Novecento in Italia…, cit., p. 201. 79 Ibid.

80 Umberto Eco, “Postille a Il nome della rosa…”, cit., p. 524. 81 Ibid.

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romanzo storico, in cui su uno sfondo storico precisamente ricostruito agiscono personaggi realmente esistiti accanto ad altri di invenzione che si comportano come avrebbero potuto comportarsi i protagonisti di una determinata epoca. Inoltre, la ricostruzione puntigliosa di un’epoca, dei suoi protagonisti, delle sue ideologie e dei suoi conflitti conferisce al romanzo anche le caratteristiche di un saggio. Ci troviamo, dunque, di fronte ad un’opera complessa, che vuol essere fruita da un pubblico molto vasto, differente per curiosità, interessi e competenze. In Opera Aperta82, una delle sue prime raccolte di saggi, Eco approfondisce appunto il rapporto

esistente tra opera d’arte e pubblico dei fruitori, sottolineando come la ricchezza di un’opera consista essenzialmente nella sua apertura, ovvero nella sua capacità di essere interpretata diversamente e a più livelli, in base alla tipologia del lettore.

***

Per completare questo breve excursus sul postmoderno italiano mi soffermo sull’opera di Antonio Tabucchi, in cui non è difficile riconoscere molti dei caratteri tipici del postmoderno. Basti pensare al tema della personalità doppia o ambigua, l’esperienza della disperazione e della solitudine, la presenza ossessiva del sogno, l’uso di trame aperte che rimangono misteriosamente inconcluse, l’evocazione nostalgica di alcuni periodi della storia, l’indebolimento e la moltiplicazione del soggetto (come avviene in Sostiene Pereira83, in cui il

protagonista è contemporaneamente un personaggio forte dalla soggettività pienamente costruita e un personaggio debole dalla soggettività frammentata ed una personalità doppia). In

Sostiene Pereira (1994) si descrive il Portogallo del 1938 sotto il regime di Salazar dal punto

di vista particolare dell’annoiato Pereira, giornalista di pagine culturali. L’espressione ‘sostiene Pereira’, che dà il titolo al romanzo, si ripete per tutto il libro come un refrain, conferendogli un particolare andamento musicale. La frase richiama alla mente un verbale di polizia o la testimonianza resa di fronte a un tribunale. La funzione del personaggio-protagonista Pereira è infatti quella di testimoniare a chi legge, mentre quella di Tabucchi consiste nel diventare il medium che trasmette, in quanto narratore, la testimonianza del personaggio. Il verbo ‘sostenere’ diventa dunque il filtro tra l’onniscienza dell’autore e il carattere del personaggio. Il romanzo assume così la forma di ‘racconto nel racconto’ o di ‘racconto indiretto’.

Una delle caratteristiche principali della letteratura postmoderna è, come sappiamo, quella di essere imbevuta, attraverso citazioni più o meno esplicite, di tanti altri libri. Sostiene

Pereira è in tal senso un’opera fortemente postmoderna, in quanto densa di richiami letterari,

tra i quali il più pregnante è quello relativo a Luigi Pirandello, primo autore citato nel romanzo,

82 Umberto Eco, Opera Aperta, Forma e indeterminazione nelle poetiche contemporanee, Bompiani, Milano, 2006.

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nonché vicino ai temi in esso trattati. Basti pensare a temi come il viaggio e la non accettazione del proprio corpo.

Nel brano “La selva delle immagini. Artifici della visione nella narrativa di Tabucchi”84

di Paolo Innocenti, lo studioso sottolinea come la scrittura di Antonio Tabucchi sia anche ricca di riferimenti sensoriali, che coinvolgono i sensi della vista, dell’udito, del gusto e dell’olfatto. Tali percezioni scandiscono la trama del racconto fino a diventare in qualche caso un vero e proprio elemento narrativo, con una funzione strutturale ben precisa. Come sostiene Remo Ceserani in Raccontare il postmoderno, “tutto sommato, quelle di Tabucchi sono sia delle operazioni molto raffinate di intertestualità sia delle costruzioni narrative che mettono in scena il dubbio ontologico della conoscibilità o interpretabilità di ciò che avviene in noi e nel mondo in cui viviamo”85.

Infine, è d’obbligo sottolineare che sullo sfondo del romanzo vi è la passione metaletteraria tipica della letteratura postmoderna, ovvero la riflessione della letteratura su sé stessa, sulle proprie origini e sui propri procedimenti creativi.

1.3.2. IL POSTMODERNO IN ROMANIA

Nell’orizzonte letterario romeno, che, come si è già preannunciato, costituirà il mio termine di paragone, una descrizione dello stato della poesia romena di fine millennio è agevolata dal fatto che gli autori stessi si presentano come gruppo mediante le formule Generazione ’80 e Generazione ’90, anziché con un manifesto programmatico che, negli anni del regime dittatoriale non sarebbe stato consentito. I loro testi sono pensati e creati nella segretezza dei ‘sotterranei’ della letteratura ufficiale o dei cenacoli universitari, dove gli scrittori si incontrano. Pertanto, le loro produzioni diventano una sorta di ‘antologia-manifesto’. Grazie alla convivenza in un ambiente universitario di eccellenza, i poeti di tale generazione scelgono in maniera consapevole vere e proprie strategie di affermazione di gruppo: frequentano gli stessi cenacoli, guidati da una figura tutelare di prestigio, pubblicano volumi collettivi, selezionano i propri modelli fra i predecessori, formano i critici della propria

84 Paolo Innocenti, “La selva delle immagini. Artifici della visione nella narrativa di Tabucchi”, in I Notturni di

Antonio Tabucchi. Atti del seminario, Firenze, 12-13 maggio 2008, Anna Dolfi (a cura di), Bulzoni, Roma, 2008,

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generazione, costruiscono e affermano una propria ars poetica, la quale si fonda in primo luogo sulla reazione al Neo-Modernismo ormai ufficializzato.

Mircea Cărtărescu, l’autore di cui ci si occuperà più approfonditamente in seguito, nonché una delle personalità di maggiore rilievo della Generazione ’80, sostiene:

Noi eravamo liberi in quegli anni, liberi nei sotterranei, ed eravamo felici di fare, senza minimamente pensare alla pubblicazione, la nostra poesia underground. Noi abbiamo istituito la normalità in un pezzettino di Romania. […]. Il Cenacolo del Lunedì, come pure “Junimea”, sono stati tra le poche zone libere dal comunismo di quel tempo86.

È nella capitale che si trova, infatti, il loro nucleo, in particolare in un cenacolo di poesia detto Cenacolo del Lunedì, condotto dal prestigioso critico Nicolae Manolescu, e in un cenacolo prevalentemente di prosa, la Gioventù (Junimea, che prendeva nome dall’omonima società letteraria del secondo Ottocento), guidato dal critico Ovid S. Crohmălniceanu.

Nel 1982 escono proprio dal Cenacolo del Lunedì due volumi collettivi di versi pubblicati in proprio dagli autori, che danno una prima configurazione alla nuova generazione: Aria con

diamanti, firmato da Mircea Cărtărescu, Traian T. Coşovei, Florin Iaru e Ion Stratan, e Cinque,

firmato da Romulus Bucur, Bogdan Ghiu, Ion Bogdan Lefter, Mariana Marin e Alexandru Muşina. Decidendo di opporsi sul piano teorico-concettuale ai loro predecessori, i poeti di tale generazione, che ha avuto anche un ramo altrettanto importante di prosatori, rappresentano il prodotto del disgelo e dell’apertura culturale che aveva caratterizzato la Romania della seconda metà degli anni ’60. La Generazione ’80 è, infatti, la terza generazione letteraria ad essersi formata dopo la dittatura87: l’hanno preceduta la Generazione ’60 e la Generazione ’70, da cui

si discosta nettamente grazie a un programma più sovversivo nei confronti del modello unico promosso dall’ideologia ufficiale.

Allo stesso tempo, un ruolo decisivo nel definire la consapevolezza teorica degli autori viene assunto da alcune riviste studentesche che riescono a produrre sorprendenti aperture: si tratta delle riviste România Literară di Bucarest, Echinox di Cluj, in Transilvania, Opinia

studenţească e Dialog nella Moldavia romena.

Il paradigma poetico e prosastico della Generazione ’80 è caratterizzato dal rovesciamento della relazione tra scrittore e linguaggio e tra testo e realtà presente nel

86 Marco Cugno (a cura di), La poesia romena del Novecento. Studio introduttivo, antologia, traduzione e note di Marco Cugno, Edizioni dell’Orso, Alessandria, 1996, p. LXIV.

87 Paul Cernat, “La poésie du nouveaux paradigme: problématisations, tendances”, in Euresis. Cahiers roumains

d’études littéraires et culturelles/Romanian Journal of Litterary and Cultural Studies, n. 1-4, Institutul Cultural

Roman, Bucureşti, 2009, p. 243, reperibile al link: https://www.icr.ro/uploads/files/euresis.pdf [consultato il 31-03-2020].

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Modernismo88, in quanto “la poesia esprime, comunica una realtà (il testo non è più una finalità,

ma un mezzo) e la persona del poeta diventa il sistema di riferimento, l’istanza ordinatrice, al posto del linguaggio o della trascendenza”89.

I critici di questo nuovo paradigma pongono l’accento proprio sulla sua diversità tipologica, sostenendo che non è nell’aspetto biografico, quotidiano, ironico, sperimentale o intertestuale (i quali sono comunque alcuni dei concetti veicolati dai poeti della Generazione ’80), che risiede la vera essenza del cambiamento. Essa si trova nel rifiuto della trascendenza astratta del testo e nell’accettazione naturale dell’immanenza del testo stesso. In tal modo, la Generazione ’80 naturalizza e demitizza la convenzione90.

Dunque, come si può ben notare, da questo punto di vista, vi è una notevole differenza tra la poetica postmoderna italiana, in cui la persona dell’autore non interferisce con la realtà comunicata dal suo testo, e quella romena, in cui il realismo autobiografico e la poesia della quotidianità sono le principali modalità di integrazione del poeta e del prosatore nella realtà del testo. A tal proposito, Mircea Cărtărescu propone nel 1987 la formula della ‘texistenţă’ come poetica estensibile all’intera generazione:

La mia scommessa non è più sul testo. […]. A trent’anni si è prodotto un rivolgimento nella mia vita e nella mia scrittura, in seguito al quale il testo e l’esistenza, un tempo separati sul retto e sul verso della carta, si sono fusi in un nastro di Möbius che si potrebbe chiamare all’occorrenza, texistenţă. Di qui la mia repulsione per il modernismo e il mio tentativo di interpretare (in modo personale) ciò che è stato chiamato postmodernismo, nel quale io non vedo una corrente letteraria, ma il superamento di ogni idea di «corrente» e di «direzione» nell’arte, il che potrebbe portare all’idea che l’arte è una grandezza vettoriale91.

Infatti, verso la metà degli anni ’80, i poeti, come pure i prosatori della nuova generazione, fanno propria l’identità postmodernista; di conseguenza, se la generazione precedente tendeva a fare astrazione dal reale e a trasformarlo in chiave allusiva e metaforica, la ‘generazione in blue-jeans’, così definita dalla critica romena conservatrice (si tratta di una formula che esprime il distacco e il non conformismo giovanile), decide di diventare sovversiva facendo ricorso a frammenti di realtà in cui inserire il dettaglio quotidiano. Tutto ciò attraverso i meccanismi dell’ironia, dell’autoironia e dell’intertestualità (citazioni, allusioni, sdoppiamenti). La sovversività del reale rimane quindi l’aspetto più evidente della nuova letteratura romena.

88 Marco Cugno (a cura di), La poesia romena del Novecento…, cit., p. LXV. 89 Ibid.

90 Paul Cernat, “La poésie du nouveaux paradigme…”, cit., p. 245.

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