• Non ci sono risultati.

La copertura del rischio di credito attraverso l'utilizzo dei credit default swap

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "La copertura del rischio di credito attraverso l'utilizzo dei credit default swap"

Copied!
83
0
0

Testo completo

(1)

INDICE

INTRODUZIONE………... 5

CAPITOLO 1: PANORAMICA SUI RISCHI BANCARI………. 7

1.1. Il concetto di rischio ……… 7

1.2. La funzione del risk management………...8

1.3 I rischi bancari………...9

1.4 I rischi non finanziari………. 10

1.4.1. Il rischio operativo……… 11 1.4.2. Il rischio strategico……….... 15 1.4.3. Il rischio reputazionale………... 16 1.5 I rischi finanziari………. 18 1.5.1. Il rischio di mercato………...……19 1.5.2. Il rischio di liquidità...………... 20 1.5.3. Il rischio di credito.….………... 24

CAPITOLO 2: GLI STRUMENTI A PROTEZIONE DEL RISCHIO DI CREDITO: I CREDIT DEFAULT SWAP………. 29

2.1 Tecniche e strumenti per la gestione del rischio di credito...…………... 29

2.2 Introduzione ai credit default swap…….……….. 35

2.3 La struttura del credit default swap……….…….37

2.3.1. La determinazione del premio………..……….38

2.3.2. La specificazione del credit event ……….... 39

2.3.3. Indicazione date, scadenze ed importi previsti nel contratto……… 40

2.3.4. Modalità di regolamento in caso di credit event………... 40

2.4 Modelli di pricing……… 44

2.4.1. Il modello di Black & Scholes ……….… 46

2.4.2. Il modello di Merton...………..…… 47

2.4.3. Il modello di Poisson………...52

2.4.4. Il modello di Jarrow e Turnbull………...54

(2)

CAPITOLO 3: VALUTAZIONE DI UN SOVEREIGN CDS……….. 65

3.1 Premessa ………..65

3.2 I sovereing CDS ……….. 65

3.3 Modelli per valutare un sovereing CDS……… 69

3.3.1. Scenario di partenza……….……. 69

3.3.2. Valutazione di un sovereing CDS con approccio CreditMetrics……... 70

3.3.3. Valutazione di un sovereing CDS in caso di credit event……... 74

CONCLUSIONI………...……. 77

BIBLIOGRAFIA………..………. 81

(3)

5

INTRODUZIONE

Nel corso dell’ultimo ventennio, il mondo ha assistito ad un profondo e continuo mutamento del panorama economico-finanziario a livello globale. L’ingegneria finanziaria è riuscita a creare strumenti sempre più complessi, negoziati maggiormente su mercati non regolamentati, associati ad attività rischiose con alti margini di rendimento. In risposta a questo nuovo contesto finanziario, sempre più ostico e paludoso, vedono la luce i credit default swap. Questi titoli, originati e sviluppati come un semplice contratto assicurativo nei confronti del rischio default di un emittente obbligazionario, come spesso succede, hanno conosciuto una vita propria grazie all’estrema versatilità e alle grandi varietà di utilizzo.Quando, nella seconda metà degli anni ‘90, la banca statunitense J.P. Morgan ha emesso il primo credit default swap, nessuno si sarebbe aspettata una così massiccia diffusione, tale da andare a minare la stabilità sia dei mercati e delle economie di interi Paesi. Nel corso degli anni, il volume di questi strumenti, definiti dalla letteratura “derivati creditizi”, ha avuto un aumento esponenziale in termini quantitativi e qualitativi, in quanto sono state create diverse tipologie di modelli che hanno fatto accrescere sempre di più la loro importanza nel sistema finanziario. L’obiettivo di questo lavoro è quello di dare una lettura più chiara di questo strumento finanziario, partendo dall’analisi della struttura contrattuale fino ad arrivare a stimare un valore del derivato. Nel primo capitolo, dopo un primo approccio al concetto di rischio e alle unità all’interno della banca addette alla sua gestione, è stata data una definizione del rischio bancario analizzando ogni singola fattispecie, ponendo un’attenzione particolare al rischio di credito. Uno studio approfondito del rischio di credito è fondamentale per capire a pieno quali sono gli aspetti che il credit default swap può mitigare e qual è il modo più efficiente per farlo. Il secondo capitolo sarà dedicato alla struttura e alle peculiarità contrattuali del credit default swap. Inizialmente, sono state descritte le componenti fondamentali dello strumento che, avendo una struttura molto versatile, può essere adattato a qualsiasi tipo di titolo sottostante. Uno strumento come il credit default swap viene prezzato in base alla rischiosità dell’emittente e consente di ricavare l’opinione del mercato riguardo lo stesso, senza che sia necessario ricorrere a terze parti. Le agenzie di rating, alle quali è affidato il compito di fornire delle valutazioni sulla capacità creditizia degli emittenti, hanno spesso tempi troppo lunghi risultando inefficienti nello svolgimento del proprio compito e, quindi può essere necessario ricorrere a modelli di valutazione che si basino su parametri che rispecchino le dinamiche di mercato. Successivamente si è proceduto

(4)

6

all’approfondimento dei più diffusi modelli di pricing sui quali si basa la valutazione del valore del derivato. Nell’ultimo capitolo è stata testata l’operatività nell’utilizzo del derivato supponendo, mediante il modello di valutazione CreditMetrics e di alcune ipotesi di base, di stimare il valore del credit default swap in diversi scenari e valutando le variabili critiche ai fini della valutazione del derivato.

(5)

7

CAPITOLO 1

PANORAMICA SUI RISCHI BANCARI

1.1 - Il concetto di rischio

Nel corso degli anni, gli studiosi hanno cercato di dare una definizione comune al concetto di rischio nei vari ambiti economici e non. La definizione più condivisa è quella che identifica il rischio come l’esposizione all’incertezza. Pertanto, questo concetto si compone di tre componenti essenziali:

1. l’incertezza; 2. il livello di rischio;

3. la tipologia di esposizione al rischio.

Basandosi sulle affermazioni di Knight (1920), l’incertezza deve essere concepita in un senso radicalmente diverso dalla comune nozione di rischio, dalla quale essa non è mai stata del tutto separata. Secondo Knight si può parlare di rischio soltanto quando è possibile calcolare oggettivamente la probabilità dell’evento futuro. Il rischio è legato alla conoscenza di una distribuzione di probabilità, mentre l’incertezza risulta dal non sapere se una tale distribuzione esista, associando quindi l’incertezza al concetto di unicità di evento1. In sostanza, qualsiasi attività economica implica l’assunzione di rischi da parte dei soggetti che vi entrano in contatto; infatti, per quanto l’azienda possa imporre le proprie condizioni sui mercati in cui opera, non potrà mai dominare completamente l’ambiente che la circonda; al contrario, dovrà sempre sottostare a fattori su cui non ha modo di agire. Si può quindi dire che assume una forte importanza il concetto di soggettività del rischio in base all’attività svolta e alle caratteristiche dell’azienda stessa. Andando ad analizzare il ruolo degli intermediari finanziari nel mercato possibile evincere come, a seconda delle esposizioni e delle loro peculiarità, gli impatti sono stati differenti. Un esempio lampante lo si può evincere dalle conseguenze delle crisi economiche e finanziarie nel corso degli anni che hanno causato forti squilibri all’interno degli intermediari ed in alcuni, casi di default irreversibili. Per coloro che invece hanno resistito agli impatti della crisi si sono aperte anche delle nuove opportunità di business,

(6)

8

aumentando così la loro resilienza nel mercato. Risulta evidente che le diverse variabili ambientali si muovono in direzioni e con frequenza non sempre prevedibili. Tutto ciò non fa altro che creare condizioni di incertezza, innalzando, di conseguenza, il grado di rischio. Incertezza e rischio dominano ogni momento dell’operare di tutte le imprese, qualunque sia l’oggetto che ne caratterizza la funzione strumentale. Da qui l’importanza delle diverse modalità di gestione delle relazioni tra l’impresa e l’ambiente che, a parere di chi scrive, sono la chiave principale dei successi o delle crisi aziendali. Nel corso di questo capitolo si porrà l’attenzione sui rischi che impattano sulle imprese che operano nel settore bancario e sugli strumenti e i processi interni più adeguati per la loro gestione.

1.2 – La funzione del risk management

Dagli anni ‘70 in poi la gestione del rischio finanziario è divenuta fondamentale per la sopravvivenza di imprese e istituzioni finanziarie, a causa anche della crescente complessità del sistema finanziario. Nuovi strumenti finanziari vengono creati ogni giorno e, se questo da un lato rende il mercato più complesso, ma sempre più in grado di far fronte ad ogni necessità di finanziamento ed investimento, dall’altro lo rende maggiormente complesso e volatile. In presenza di mercati molto volatili, banche ed operatori finanziari necessitano di figure professionali (Risk Manager) capaci di identificare, valutare e monitorare possibili eventi in grado di generare perdite potenzialmente elevate. Il Risk Management rappresenta una materia relativamente nuova (nata all’inizio degli anni ‘90), focalizzata sulla necessità di gestire e controllare il rischio finanziario, il rischio creditizio e quello operativo.2 La disciplina del Risk Management può essere suddivisa in due branche correlate ma distinte:

 Il Risk Measurement che ha lo scopo di fornire misure quantitative di rischio individuate tramite la modellazione e la stima delle proprietà statistiche delle grandezze finanziarie;

 Il Risk Management che rappresenta l’insieme di attività, metodologie e risorse coordinate per guidare e tenere sotto controllo l’organizzazione in riferimento ai rischi.

2 Fonte: Prandi P.: “Il risk management: teoria e pratica nel rispetto della normativa”, Franco Angeli, Milano, 2010.

(7)

9

La funzione del risk management è quella di proteggere e incrementare il valore di una azienda a vantaggio dei suoi stakeholder, sostenendone gli obiettivi attraverso la predisposizione di un quadro metodologico che consente lo svolgimento coerente e controllato di ogni futura attività, il miglioramento del processo decisionale, la pianificazione e la creazione di priorità attraverso una comprensione esauriente e strutturata dell’attività stessa. Inoltre, contribuisce a un utilizzo e a un’allocazione più efficace del capitale e delle risorse all’interno dell’organizzazione, alla protezione del patrimonio, dell’immagine aziendale, del know how dell’organizzazione e del personale, nonché alla ottimizzazione dell’efficienza operativa. Il risk management è un processo continuo, graduale e proattivo che deve essere integrato nella cultura dell’organizzazione attraverso una politica mirata da parte dei suoi massimi dirigenti, i quali assegnano responsabilità specifiche e ruoli appropriati all’interno della banca.3 Un approccio globale al risk management consente ad una banca di considerare il potenziale impatto delle diverse tipologie di rischio sui processi aziendali, sulle attività, sugli operatori, su prodotti e servizi mentre, dal punto di vista quantitativo, ci si affida a tecniche di tipo statistico e analitico.4

1.3 - I Rischi bancari

L’universo bancario è caratterizzato da una molteplicità di rischi che vanno ad impattare sull’operatività e sulla redditività delle aziende che operano nel settore.

L’art. 10 del Testo Unico Bancario sancisce la definizione di attività bancaria, intesa come: "la raccolta del risparmio tra il pubblico e l’esercizio del credito. Tale attività ha carattere di impresa ed è riservata alle banche: esse possono esercitare oltre a quella bancaria, ogni altra attività finanziaria, nonché le attività connesse e strumentali, salvo quelle per cui è prevista riserva".

Dall’articolo si evince come il carattere d’impresa di tale attività da un lato ha l’obiettivo di ottenere un risultato economico e dall’altro è assoggettata ai c.d. rischi di impresa che ne influenzano azioni e piani strategici.

3 Fonte: Prandi P.: “Il risk management: teoria e pratica nel rispetto della normativa”, Franco Angeli, Milano, 2010.

4 Per approfondimenti: Floreani A., “Enterprise Risk Management: I rischi aziendali e il processo di risk management”, Pubblicazioni dell’I.S.U. Cattolica Milano, Milano, 2004.

(8)

10

La gestione della banca implica l’assunzione e la gestione di rischi di carattere finanziario. Un tempo, i fattori di rischio erano considerati sempre separatamente in relazione a ciascuna area di business; oggi, invece, si ha una visione unitaria del rischio il quale è supportato dalle strutture di risk management (RMU) con il compito di valutare e monitorare l’insieme dei rischi. Generalmente, questi ultimi si distinguono in due macro categorie: rischi finanziari e non finanziari. A loro volta, in dette categorie vengono effettuate ulteriori descrizioni a seconda dell’esposizione ed alle e delle specificità del rischio (Fig. 1).

1.2- I rischi non finanziari

1.4 – I rischi non finanziari

I rischi non finanziari sono presenti in qualsiasi attività economica e, a causa della loro eterogeneità, la letteratura non è ancora riuscita a darne una definizione univoca. In essi sono raggruppate quelle tipologie di rischi che trovano origine principalmente nella sfera operativa dell’intermediario e, conseguentemente, si diffondono all’interno delle varie aree di business. Tali rischi trovano la loro causa scatenante in ambiti diversi da quelli finanziari e una loro inadeguata stima o, un mancato presidio, può essere causa di squilibri economici all’interno della banca. I rischi maggiormente presenti nell’attività bancaria sono:

o Rischio operativo; o Rischio strategico; o Rischio reputazionale.

Rischi

Finanziari Non Finanziari

Credito Mercato Liquidità Strategico Operativo Reputazionale

Figura 1- Panoramica rischi bancari

(9)

11

1.4.1 - Rischio Operativo

Il rischio operativo è un argomento molto importante all’interno del panorama dei rischi bancari, ma non sempre la disciplina ne ha dato la giusta importanza. Nel 1999, le autorità di vigilanza hanno annunciato l’intenzione di assegnare un accantonamento di capitale per il rischio operativo nella nuova normativa derivante dagli accordi di Basilea, suscitando una certa opposizione da parte delle banche. Tuttavia, l’autorità di vigilanza bancaria affermò che tale rischio rappresentava un serio problema per le banche ed una adeguata misurazione e presidio diventavano variabili fondamentali per evitare problematiche situazioni future. Il rischio operativo è definito come: «il rischio di subire perdite dirette o indirette derivanti dall’inadeguatezza o dalle disfunzioni delle procedure, risorse umane e sistemi interni, oppure di origine esterna»5. Questa è un’importante novità introdotta dall’accordo di Basilea 2 in quanto, sebbene sia uno dei rischi più classici per ogni tipologia di attività economica, le banche non avevano sviluppato modelli di gestione e misurazione di questo rischio gestendolo attraverso coperture assicurative. Fino ai nuovi accordi di Basilea del 1999, il rischio operativo era contemplato tra i rischi del secondo pilastro e, di conseguenza, veniva inserito tra i rischi non valutabili per i quali non era previsto un accantonamento di capitale. Spiazzando tutti, il comitato di Basilea decide, attraverso il documento denominato6 Basilea 2, di

comprendere il rischio operativo tra i rischi del primo pilastro, per cui non solo era considerato misurabile ma per il quale gli intermediari sono chiamati a calcolare un requisito patrimoniale. Alla luce delle nuove disposizioni, gli intermediari vennero chiamati a sviluppare nuove tecniche di gestione e misurazione sotto le linee guida dettate da Banca d’Italia7.

5 Fonte: Calcagnini G. e Demartini G, “Banche e PMI: "le regole dell’attrazione". Spunti di riflessione su vincoli e opportunità di Basilea 2 per lo sviluppo delle piccole e medie imprese”, Franco Angeli, Milano, 2009.

6 Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria “Convergenza internazionale della misurazione del capitale e dei coefficienti patrimoniali”, Banca dei regolamenti internazionali, giugno 2006.

7 La Banca d’Italia è la banca centrale della Repubblica italiana regolato da norme nazionali ed europee. È parte integrante dell’Eurosistema, composto dalle banche centrali nazionali dell’area dell’euro e dalla Banca centrale europea. Persegue finalità d’interesse generale nel settore monetario e finanziario: il mantenimento della stabilità dei prezzi, obiettivo principale dell’Eurosistema in conformità al Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea; la stabilità e l’efficienza del sistema finanziario, in attuazione del principio della tutela del risparmio sancito dalla Costituzione (Art. 47 – La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito), e gli altri compiti ad essa affidati dall’ordinamento nazionale.

(10)

12

La ragione dell’inserimento del rischio operativo8 nei rischi del primo pilastro è dovuto

all’evoluzione e all’importanza che ha assunto nel corso del tempo. Si tratta di un rischio pervasivo nell’attività bancaria, ma spesso ben nascosto. I fattori che hanno accresciuto la rilevanza di tale rischio posso essere ricondotti ad alcuni fattori chiave:

 crescita dimensionale e maggiore complessità organizzativa;

 distorsioni nelle integrazioni dei sistemi informativi e dei processi derivanti dalle fusioni ed acquisizioni;

 sviluppo dell’e-commerce e dell’home banking con successive esposizioni a frodi esterne e problemi di sicurezza informatica;

 decentramento dei processi produttivi che genera incertezza nella ripartizione delle responsabilità;

 comportamenti infedeli da parte dei dipendenti e/o di soggetti che collaborano con l’intermediario;

 scarsa trasparenza nelle prestazioni dei servizi di investimento.

Tutto questo fa emergere la necessità delle banche di rafforzare i presidi patrimoniali a copertura del rischio operativo ed a valutare approfonditamente le seguenti aree:

 processi interni;  sistemi informativi;  risorse umane;

 eventi esterni non con controllabili dal management.

Le disposizioni riguardanti le modalità di gestione del rischio e tutte le peculiarità che ne conseguono le ritroviamo nella circolare della Banca d’Italia n° 263/2006 dove vengono specificate le varie tipologie di perdita riguardanti il rischio operativo (tab.1).

8 Il rischio operativo include anche il rischio legale, ossia il rischio derivante dalla stipula di contratti. Tutto ciò che non coincide con il rischio legale è considerato rischio di compliance ed è inserito nei rischi non misurabili del secondo pilastro.

(11)

13

Tabella 1- Possibili perdite individuate da Banca d’Italia nella circ. 263/2006

Fonte: Circolare Banca d’Italia 235/2006

Inoltre, Banca d’Italia fornisce una dettagliata analisi delle caratteristiche del rischio operativo:

- Rischio puro. Prima il rischio operativo era gestito attraverso politiche assicurative o di accantonamento di capitale. La scelta dipendeva da come si andavano a combinare la frequenza e l’impatto per l’individuazione di politiche di gestione ottimali. Se aumentava la frequenza si utilizzavano politiche di accantonamento, altrimenti, se aumentava l’impatto si preferivano le coperture assicurative.

(12)

14

- Rischio difficilmente trasferibile sul mercato. Non ci sono ancora strumenti adatti che riescano a trasferire il rischio sul mercato.

- Rischio trasversale. Questa caratteristica deriva dal fatto che tale rischio non ha un comparto operativo a cui è specificatamente collegato. La gestione del rischio operativo è molto onerosa per la banca in quanto è di tipo trasversale.

- Rischio di frequenti perdite di confine. La vigilanza disciplina le perdite di confine per evitare doppi conteggi ed improprie riduzioni dei requisiti patrimoniali. Questo perché il rischio operativo presente, combinato con altri rischi, non permette di individuare la reale natura della perdita operativa. Tendenzialmente, il rischio operativo tende a combinarsi con il rischio di credito quello di mercato.

Nel giugno 2016 il comitato di Basilea ha concluso le consultazioni per varie materie, apportando alcune sostanziali modifiche anche nel rischio operativo9. Fino ad oggi le banche hanno utilizzato modelli standardizzati, dettati da Banca d’Italia, oppure, previa autorizzazione dell’autorità di vigilanza, modelli avanzati (AMA). La fase di consultazione sui metodi per il calcolo del requisito patrimoniale, a fronte del rischio operativo, è terminata agli inizi di giugno. La proposta del Comitato elimina i modelli interni (AMA) e propone una sola nuova metodologia standardizzata (il “metodo di misura standardizzato”, SMA), che determina il requisito di capitale attraverso la combinazione di due componenti: quella “di business” (basata su voci di conto economico volte a misurare il volume d’affari della banca) e quella “di perdita” (basata sulle perdite operative registrate della banca). Questa metodologia, nella versione del documento di consultazione, presenta alcune carenze. In particolare, non riconosce, a differenza di quanto previsto dai modelli AMA, alcuna forma di mitigazione del rischio operativo, come le polizze assicurative, gli accantonamenti specifici, o le misure di diversificazione dei diversi eventi di perdita. Inoltre, nella metodologia mancano incentivi per la gestione attiva del rischio.

9 Fonte: Angelini P.: “Le modifiche del piano regolamentare e le sfide per le banche italiane”, Convegno Associazione Banche Italiane, Roma, 2016.

(13)

15

1.4.2 - Rischio strategico

La definizione normativa del rischio strategico la possiamo trovare nella direttiva Solvency 210, la quale propone questa definizione: “il rischio attuale o potenziale di un impatto sui ricavi o sul capitale derivante da decisioni di business errate, da un’impropria implementazione di tali decisioni o da scarsa reattività ai cambiamenti nel settore di riferimento”11. Tale rischio viene inserito tra quelli valutabili, ma non misurabili, del

secondo pilastro in Basilea 2. Gli elementi ricorrenti per contestualizzare il rischio strategico sono identificabili nella definizione degli obiettivi di lungo termine, nella pianificazione delle azioni per guidare l’impresa verso tali traguardi e nell’allocazione delle risorse per identificare e preservare i vantaggi competitivi. A minare la stabilità di tale rischio posso manifestarsi determinati fattori, nello specifico:

 fonti interne di rischio (interne all’intermediario e derivanti dalle scelte strategiche effettuate);

 fonti esterne di rischio (esterne alla compagnia e derivanti dall’ambiente socio-economico politico in cui la banca opera).

Si riscontra principalmente nell’incompatibilità tra le seguenti variabili:  obiettivi strategici dell’impresa;

 strategie di business;

 risorse impiegate per raggiungere gli obiettivi;

 situazione economica del mercato in cui opera la banca.

L’incompatibilità tra le variabili determina la trasformazione dei fattori di rischio in danni strategici, con un impatto diretto ed indiretto. L’impatto diretto ha ripercussioni sui ricavi e sul capitale, come ad esempio: aumento delle spese in investimenti; insuccessi in investimenti tecnologici; errati processi di ristrutturazione aziendale. L’impatto indiretto, invece, si manifesta sul business della compagnia, come: erosione della qualità dell’immagine; cambiamenti dei bisogni della clientela; aumento della rischiosità di alcuni prodotti.

10 Ufficialmente Direttiva 2009/138/CE, volta a diffondere le normative di Basilea 2 anche al settore assicurativo.

11 Fonte: Direttiva 2009/138/CE del parlamento europeo e del consiglio del 25 novembre 2009 in materia di accesso ed esercizio delle attività di assicurazione e di riassicurazione (Solvency II)

(14)

16

Il rischio strategico, una volta identificate le fonti, deve essere stimato e gestito adeguatamente. La dottrina non ha ancora individuato metodologie adatte per la misurazione precisa del rischio strategico, per cui si valuta una stima aleatoria che può essere soggetta a variazioni. A livello di singola banca, possono essere implementati dei processi di stima di tale rischio12. Le fasi che caratterizzano questi processi sono13:

o Individuazione delle fonti di rischio;

o Tracciamento degli effetti. Vedere le relazioni causa-effetto; o Stima del rischio. Valutazione attraverso prove di stress-testing; o Sviluppo di piani di azione.

Diventa quindi fondamentale la corretta gestione di questo rischio all’interno della banca vista anche l’impossibilità di poter utilizzare strumenti di copertura nel mercato finanziario.

1.4.3 – Rischio reputazionale

La reputazione non è più considerata come un concetto astratto e non valutabile, ma riesce ad esercitare una notevole influenza sulle variabili della banca, giocando un ruolo fondamentale nel successo o nel fallimento della stessa. Si tratta comunque di un concetto percepibile ma non tangibile all’interno dell’intermediario e ciò ne rende difficoltosa una precisa e puntuale valutazione e quantificazione in termini economici. Diventa quindi necessario implementare un sistema di monitoraggio per la sua gestione in quanto può avere commistione con altri rischi (c.d. rischio secondario). La Banca d’Italia definisce il rischio reputazionale come: “il rischio attuale o prospettico di flessione degli utili o del capitale derivante da una percezione negativa dell’immagine della banca da parte di clienti, controparti, azionisti, investitori, Autorità di vigilanza”14. La differente percezione

della banca nel mercato, o in una parte di esso, il più delle volte è la conseguenza di sopravvenuti cambiamenti relativi ai comportamenti nella gestione dell’impresa, che determinano tale logoramento della reputazione. Le conseguenze possono essere: assottigliamento delle quote di mercato; diminuzione del valore del brand; venir meno di relazioni strategiche con partner e fornitori; imprevisti ostacoli a reclutare/trattenere

12 Ogni intermediario tiene conto delle proprie specificità nella creazione di tali processi. 13 Fonte: Tortoriello D., “Codice del sistema finanziario”, Alpha test, Milano, 2012. 14 Banca di Italia, Circolare 263/2006.

(15)

17

talenti; downgrade delle agenzie di rating; incremento del costo di azioni legislative e regolamentari.15 Secondo l’Autorità di vigilanza, le imprese devono essere in grado,

attraverso un adeguato processo di analisi, di comprendere la natura dei rischi individuati, la loro origine, la possibilità o necessità di controllarli e gli effetti che ne possono derivare, sia in termini di perdite sia di opportunità. Il processo di analisi include una valutazione qualitativa per i rischi quantificabili e l’adozione di metodologie di misurazione dell’esposizione al rischio, inclusi, qualora risultino appropriati, sistemi di previsione dell’ammontare della perdita potenziale calcolata al suo massimo valore.

Il rischio reputazionale viene principalmente identificato con tecniche di misurazione qualitativa (risk rating) o semi qualitativa (risk scoring), sebbene prevalgano nella prassi le misurazioni di tipo qualitativo per l’oggettiva difficoltà di quantificazione di tali rischi, anche motivata dalla carenza di serie storiche. La misurazione si basa su alcuni indici essenziali:

 Probabilità di accadimento: frequenza di realizzazione dell’evento in grado di influire negativamente sul raggiungimento degli obiettivi.

 Impatto: danno patito a seguito del verificarsi dell’evento pregiudizievole. Diventa quindi fondamentale conoscere la durata del rischio e delle conseguenze che rendono vulnerabile la società colpita. Un adeguato presidio del rischio di non conformità alle norme (compliance) non può prescindere da un’accurata valutazione della sua componente regolamentare (rischio primario) e di quella reputazionale (rischio secondario o derivato). Il rischio reputazionale è un rischio secondario (o consequenziale), che deriva da fattori di rischio originari (rischi primari), che per gli intermediari finanziari sono:

o i rischi operativi che, investendo le procedure relazionali, determinano l’esposizione più frequente al rischio reputazionale;

o i rischi strategici che, attivandosi sulle leve/dinamiche competitive dell’impresa causano effetti sensibili e a volte irreversibilmente negativi sulla sua collocazione di mercato;

o i rischi di non conformità alla normativa vigente o alle norme di autoregolamentazione ed alle procedure aziendali, i quali, concernendo tematiche alle quali sempre più si attribuisce rilevanza sotto il profilo etico, finiscono per

15 Fonte: Schettini Gherardini J., “Reputazione e rischio reputazionale in economia: un modello teorico”, Franco Angeli, Milano, 2011.

(16)

18

innescare, attraverso la diffusione sui media, fenomeni imprevisti, incontrollabili e potenzialmente ad alto impatto distruttivo sulla reputazione.

Alla luce di queste considerazioni, la gestione del rischio reputazionale diventa fondamentale ai fini della resilienza nel mercato, tanto che l’IVASS stabilisce: “nell’ambito del sistema dei controlli interni, le imprese si dotano, ad ogni livello aziendale pertinente, di specifici presidi volti a prevenire il rischio di incorrere in sanzioni giudiziarie o amministrative, perdite patrimoniali o danni di reputazione, in conseguenza di violazioni di leggi, regolamenti o provvedimenti delle Autorità di vigilanza ovvero di norme di autoregolamentazione” 16.

1.5 – I rischi finanziari

I rischi finanziari sono quelli che incidono principalmente sulla liquidità dell’intermediario e sono legati all’equilibrio tra flussi monetari in entrata e in uscita. Tali rischi rappresentano la categoria più immediatamente percepita dalle imprese, anche grazie alla sempre crescente attenzione e sensibilità attribuita dalla normativa di Basilea 2 e dalla implementazione degli IAS17, nonché dalle richieste di informativa aggiuntiva

da fornire nei bilanci, avanzate dalla normativa civilistica nazionale. Tra quelli maggiormente rilevanti nell’attività bancaria troviamo:

 Rischio di mercato;  Rischio di liquidità;  Rischio di credito.

16 Fonte: IVASS, “Regolamento recante disposizioni in materia di controlli interni, gestione dei rischi di compliance ed esternalizzazione delle attività delle imprese di assicurazione, ai sensi degli articoli 87 e 191, comma 1, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 – codice delle assicurazioni private”, Circolare n. 20 del 26 marzo 2008.

17 Sono i nuovi principi contabili internazionali introdotti dall’Unione Europea con il regolamento comunitario 1606/2002 per la redazione dei bilanci d’esercizio e consolidato delle aziende operanti sul territorio dell’Unione Europea. L’applicazione di tali principi, divenuta obbligatoria dal 1° gennaio 2005, ha comportato una serie di differenze significative nella redazione dei bilanci, rispetto ai precedenti principi contabili nazionali.

(17)

19

1.5.1 – Rischio di mercato

Con questa definizione si intende il rischio di variazioni del valore di mercato di uno strumento o di un portafoglio di strumenti finanziari connesso a variazioni inattese delle condizioni di mercato (prezzi azionari, tassi di interesse, tassi di cambio) includendo i rischi su posizioni in valuta in titoli azionari ed obbligazionari, così come tutte le altre attività e passività finanziarie scambiate da una banca. I rischi di mercato vengono solitamente identificati con quelli inerenti il solo portafoglio di negoziazione, inteso come l’insieme di posizioni assunte per un periodo di tempo breve, nell’intento di beneficiare delle variazioni dei prezzi di mercato. In realtà, esse riguardano tutte le attività/passività finanziarie detenute da una banca, comprese quelle acquistate per finalità di investimento e destinate ad essere conservate in bilancio per un lungo arco di tempo, assumendo significati differenti a seconda della tipologia di prezzo a cui si fa riferimento18. I rischi di mercato si possono classificare in cinque principali categorie 19:

o Rischio di cambio: quando il valore di mercato delle posizioni assunte è sensibile a variazioni dei tassi di cambio, come le attività e passività finanziarie denominate in valuta estera o dei contratti derivati il cui valore dipende dal tasso di cambio (currrency swap, currency future ecc.);

o Rischio di interesse: quando il valore di mercato delle posizioni assunte è sensibile a variazioni dei tassi d’interesse (come accade per i titoli obbligazionari e per svariati contratti derivati, come i forward rate agreeement, interest rate future, interest rate swap, cap, floor, collare ecc.);

o Rischio azionario: quando il valore delle posizioni assunte è sensibile all’andamento dei mercati azionari (titoli azionari, stock-index future, stock option ecc.);

o Rischio merci: quando il valore delle posizioni assunte è sensibile a variazioni dei prezzi delle commodity (acquisti/vendite a pronti e a termine di merci, commodity swap, commodity future, commodity option ecc.);

18 Fonte: Loddo S., “Banca centrale, vigilanza e efficienza del mercato del credito: central banking, back to the future”, Giuffrè, Milano, 2007.

(18)

20

o Rischio di volatilità: quando il valore delle posizioni assunte è sensibile a variazioni delle volatilità di una delle variabili considerate sopra.

Si tratta di rischi rilevanti nel primo pilastro per i quali la banca deve calcolare un requisito patrimoniale attraverso l’utilizzo di modelli, previa autorizzazione dell’autorità di vigilanza20. Nel corso degli anni i rischi di mercato hanno assunto una notevole importanza principalmente a causa di tre fattori. Il primo è connesso ai processi di cartolarizzazione dei crediti che ha portato alla progressiva sostituzione di attività illiquide (prestiti, mutui) con attività dotate di un mercato secondario liquido e dunque di un prezzo. Tale processo ha favorito la diffusione dei criteri di misurazione al valore di mercato delle attività detenute dagli intermediari finanziari. Il secondo fattore è rappresentato dalla progressiva crescita del mercato degli strumenti finanziari derivati, il cui principale profilo di rischio per gli intermediari finanziari che li negoziano è appunto rappresentato dalla variazione del relativo valore di mercato causata da variazioni dei prezzi delle attività sottostanti e/o dalle condizioni di volatilità degli stessi. L’ultimo fattore riguarda l’istituzione di nuovi standard contabili che prevedono l’iscrizione in bilancio del valore di mercato e non del costo storico d’acquisto, come avveniva in passato, per molte attività e passività. Tali standard vanno ad evidenziare immediatamente i profitti e le perdite connessi alle variazioni di breve termine delle condizioni di mercato.

1.5.2 - Rischio di liquidità

La gestione della banca è sottoposta a uno stringente e severo vincolo di liquidità, in ragione delle attività poste in essere dalla vigilanza. La sua gestione all’interno delle banche è una variabile cruciale che va ad impattare sia sulla redditività dell’intermediario, sia sulla sua operatività strettamente dipendente dalle sue passività e dell’aspettativa dei creditori nella conferma delle attività.

Da questo deriva la necessità, da parte della banca, di avere sempre a disposizione una adeguata riserva di liquidità senza dover pregiudicare la propria permanenza sui mercati.

20 Per approfondimenti: Banca d’Italia, “APPLICAZIONE IN ITALIA DEL REGOLAMENTO (UE) n. 575/2013 E DELLA DIRETTIVA 2013/36/UE”, Roma, 2013.

(19)

21

Negli anni precedenti alla crisi del 200721 molte banche, anche se erano dotate di adeguati

livelli patrimoniali, operavano costantemente con un forte sbilancio di valute e di scadenze, avendo margini ridotti di attività liquide, confidando nella costante possibilità di approvvigionarsi di liquidità sul mercato facilmente e a costi contenuti. A causa di un forte crollo della fiducia da parte dei mercati e conseguentemente alle ingenti perdite, si è registrata la drastica riduzione dell’offerta di risorse liquide. Questo provocò seri problemi in fase di raccolta bancaria, obbligando le banche centrali ad erogare linee di credito di emergenza. La mancanza di liquidità sul mercato ha messo in luce tutte le lacune della disciplina degli accordi di Basilea fino a quel momento, in materia di controllo e presidio di tale rischio22, toccando con mano gli effetti devastanti generati dalla commistione del rischio di liquidità con altre tipologie, come il rischio di default, di credito e di mercato. Con Basilea 3, il rischio di liquidità ha assunto un nuovo ruolo nel framework normativo, che ne ha dato la seguente definizione: «il rischio per la banca di non essere in grado di far fronte ai propri impegni di pagamento per l’incapacità sia di reperire fondi sul mercato (funding liquidity risk) sia di smobilizzare i propri attivi (market liquidity risk)»23.

Tale rischio, anche a causa del problema della trasformazione delle scadenze24, assume

un ruolo fondamentale per il mantenimento della stabilità non solo della singola banca, ma anche del mercato, considerando che l’amplificazione degli squilibri di una singola banca possono avere delle ripercussioni a livello sistemico. Uno dei maggiori errori fatti durante la crisi è stato proprio quello di pensare che il mercato, che fino al quel momento aveva goduto di abbondanti risorse liquide, avrebbe assorbito tutti gli shock finanziari

21 La crisi finanziaria dei mutui subprime ha avuto inizio negli Stati Uniti nel 2006. I presupposti della crisi risalgono al 2003, quando cominciò ad aumentare in modo significativo l’erogazione di mutui ad alto rischio, ossia a clienti che in condizioni normali non avrebbero ottenuto credito poiché non sarebbero stati in grado di fornire sufficienti garanzie. I fattori che hanno stimolato la crescita di tali strumenti sono riconducibili, tra l’altro, alle dinamiche del mercato immobiliare statunitense e allo sviluppo delle cartolarizzazioni.

22 Fino a Basilea 2 non era presente un adeguato trattamento prudenziale, in quanto il rischio di liquidità era gestito dall’asset liability management e inserito nei rischi non misurabili del 2° Pilastro, valutando l’avanzo o il disavanzo di liquidità. Alla luce di queste mancanze, gli economisti parlano del rischio di liquidità come di un “rischio dimenticato”.

23 Del Pozzo A., Loprevite S., Mazzù S.: "Il rischio di liquidità come driver del rischio finanziario: un modello interpretativo basato sul tempo", Franco Angeli, Milano, 2014.

24 Tecnica attraverso la quale gli intermediari riescono a cambiare la scadenza delle risorse finanziarie raccolte, al fine di soddisfare la clientela. Diventa cruciale la gestione delle scadenze da parte dell’intermediario che deve cercare di bilanciare flussi finanziari in entrata e in uscita determinati dalla durata residua delle attività e delle passività, oltre che tecniche di copertura dei rischi di tasso derivanti dalla trasformazione delle scadenze.

(20)

22

senza destabilizzare il sistema. Alla luce di queste problematiche, Basilea 325 impone una

quantificazione di questo rischio attraverso tecniche specifiche. La precedente dottrina di Basilea 2 inseriva tale rischio tra quelli non misurabili del 2° pilastro, chiedendo agli intermediari di calcolare l’avanzo (o il disavanzo) di liquidità, facendo riferimento alla posizione finanziaria netta. Tali risultati erano riferibili al breve periodo ed erano la base per gli stress test per valutarne l’adeguatezza nel lungo periodo. Dopo lo scoppio della crisi, il framework di Basilea 2 in materia di liquidità è risultato inadeguato e necessitava di una profonda ricalibrazione. Con Basilea 3 muta radicalmente la concezione del rischio di liquidità all’interno della banca, in quanto, non vengono indicate solo le politiche di gestione, ma sono imposti dei requisiti patrimoniali da rispettare per evitare la sistematicità del rischio. A fronte dell’inadeguatezza delle politiche di gestione del rischio sono stati introdotti due requisiti in materia di liquidità:

 Liquidity Coverage Ratio (LCR);  Net Stable Funding Ratio (NSFR);

Il primo ha come obiettivo il rafforzamento della resilienza a breve termine del profilo di liquidità della banca. Il fine è quello di assicurare che la banca abbia sufficienti attività altamente liquide per fronteggiare gli impegni, dal lato delle uscite, in uno scenario di stress su un orizzonte temporale di un mese. La versione definitiva dell’indicatore è stata pubblicata a gennaio 2013.

Il LCR si rifà alle metodologie tradizionali di “indice di copertura” delle liquidità utilizzate internamente dalle banche per valutare l’esposizione a eventi aleatori di liquidità, e viene calcolato come rapporto tra lo stock dei cosiddetti HQLA (High Quality Liquid Assets), composti da contanti e attività che possano essere convertite in contanti con una perdita modesta o nulla, e il totale dei deflussi di cassa netti (deflussi di cassa attesi al netto degli afflussi di cassa attesi nell’arco di 30 giorni) in uno scenario di stress che considera eventi quali prelievi dai depositi al dettaglio, aumento delle volatilità del mercato e deflussi contrattuali. Per essere classificato come HQLA, un asset deve essere facilmente liquidabile sul mercato anche in periodi di tensione e deve essere possibile utilizzarlo come collaterale presso la banca centrale. Deve inoltre presentare un’elevata

25 Fonte: Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria: “Basilea 3 – Schema di regolamentazione internazionale per il rafforzamento delle banche e dei sistemi bancari dicembre 2010 (aggiornamento al giugno 2011)”, Banca dei regolamenti internazionali, Basilea, 2010.

(21)

23

affidabilità creditizia (bassissimo rischio di default) associata ad una bassa volatilità e a una scarsa correlazione rispetto alle attività rischiose come le obbligazioni bancarie. Gli HQLA vanno rapportati al totale dei deflussi di cassa attesi moltiplicando i saldi delle varie tipologie di passività/raccolta ed impegni fuori bilancio per dei moltiplicatori che dovrebbero descrivere il saggio di prelievo. Il totale degli afflussi di cassa attesi è ottenuto, invece, moltiplicando i saldi delle diverse tipologie di crediti/impieghi per i relativi moltiplicatori ai quali ci si attende che essi affluiscano. Il totale degli afflussi di cassa è soggetto ad un massimale aggregato pari al 75% dei deflussi di cassa attesi. Il requisito prevede che il valore del rapporto non sia inferiore al 100%.

Il secondo indice, il Net Stable Funding Ratio (NSFR), punta a rafforzare la resilienza su un orizzonte temporale di un anno ed è definito come il rapporto tra l’ammontare disponibile di provvista stabile (Available Amount of Stable Funding, ASF) e l’ammontare obbligatorio di provvista stabile (Required Amount of Stable Funding, RSF). Anche qui il requisito imposto è che tale rapporto sia maggiore del 100%. Per provvista stabile si intendono i tipi e gli importi di capitale di rischio e di debito che si ritiene costituiscano fonti affidabili di fondi su un orizzonte temporale di un anno in condizioni di stress prolungato. L’ammontare disponibile (ASF) di tale provvista è quella parte di patrimonio e di passività che è ritenuta essere affidabile entro l’anno: capitale, azioni privilegiate con scadenza uguale o superiore all’anno, passività con scadenza pari o superiore all’anno, porzione dei depositi a vista fonte della raccolta per un periodo di tempo esteso, quota di wholesale funding26 per un periodo di tempo esteso. L’ammontare obbligatorio (RSF) è invece quello di provvista richiesto all’intermediario. Esso è calcolato in funzione di alcune caratteristiche delle attività detenute e delle esposizioni fuori bilancio, quali ad esempio la vita residua o altre caratteristiche di liquidità; è composto, inoltre, dagli investimenti in “attività meno liquide” che approssimano la necessità di raccolta stabile, quali azioni e obbligazioni, prestiti, immobili, partecipazioni e operazioni fuori bilancio. I valori contabili a bilancio vengono attribuiti a una delle categorie stabilite dal documento del Comitato di Basilea, a cui sono associati dei fattori di haircut27 per l’ASF e per il RSF, coefficienti di ponderazione che vengono applicati alle rispettive voci. Le due somme ponderate di tali valori vanno a costituire

26 Il wholesale funding è una modalità di finanziamento bancario che non consiste nella raccolta di depositi della clientela ma si basa sul reperimento di fondi nei mercati all’ingrosso o presso altre istituzioni. 27 Lo sconto rispetto al valore di un’attività reale o finanziaria, data in garanzia, richiesto dal creditore a protezione del rischio di una minusvalenza dell’attività stessa.

(22)

24

rispettivamente il numeratore e il denominatore dell’indice NSFR28. Il presidio del rischio

di liquidità sarà sempre oggetto di notevoli ed importanti evoluzioni dovute sia alle conseguenze finanziarie devastanti che si sono verificate negli anni della crisi (per le quali subiamo gli effetti ancora oggi), ma anche per una maggiore consapevolezza nel dare una maggiore valenza normativa alle fonti di finanziamento bancarie.29 Tale misura mira a riassestare gli impieghi ed i finanziamenti interni ai bilanci, per un maggiore equilibrio finanziario da parte della banca, con riflessi su una maggiore redditività ed operatività sul mercato.

1.5.3 – Rischio di credito

Il rischio di credito figura come il più importante e critico rischio nell’ambito del business bancario. Le banche all’inizio hanno assunto, nei confronti di esso, un atteggiamento di accettazione dell’inevitabilità dei danni derivanti da massicce insolvenze. Successivamente hanno implementato nuovi e sofisticati sistemi di misurazione per poter esattamente quantificare, gestire e controllare tale rischio. Una probabile causa del ritardo nella creazione di tali sistemi è da attribuire al fatto che, a partire dalla fine degli anni ‘80, le autorità di vigilanza dei maggiori Paesi hanno affrontato il problema del rischio di credito con l’introduzione dei vincoli di capitale, oltre alle complicazioni derivanti dal rischio di credito inserito nei modelli di valutazione delle poste dell’intermediario e nella misurazione dell’esposizione. Con il termine rischio di credito si intende la possibilità che una variazione non attesa del merito creditizio di una controparte, nei confronti della quale esiste un’esposizione, generi una corrispondente variazione non attesa del valore di mercato della posizione creditoria30. In questa semplice definizione sono racchiusi alcuni concetti cruciali per la comprensione del rischio.

28 Per approfondimenti: Abetegiovanni G., Carosi E. et al., “Il passaggio da Basilea 2 a Basilea 3: gli effetti sui mercati e sui bilanci bancari”, De Frede Editore, Napoli, 2010.

29 Fonte: Fortuna F. "L’ informativa sui rischi nelle banche", Franco Angeli, Milano, 2010

30 Fonte: Sironi A., Marsella M.,” La misurazione e la gestione del rischio di credito: modelli, strumenti e politiche”, Bancaria Editrice, Roma, 1998.

(23)

25

Facendo riferimento al portafoglio di negoziazione, il rischio di credito è articolato in tre fattispecie31:

- rischio di credito specifico, che consiste nel rischio che la controparte non adempia la propria obbligazione di pagamento a causa della propria insolvenza (e non sia rischio di regolamento o di controparte);

- rischio di regolamento, che può esistere soltanto qualora le parti abbiano reciproche obbligazioni da eseguirsi contemporaneamente e consiste nel fatto che una parte adempia al proprio obbligo di pagamento o consegna non ricevendo contestualmente la consegna o il pagamento del dovuto dall’altra parte;

- rischio di controparte, che è presente nei contratti a termine con prestazioni corrispettive, consiste nel maggior costo o nel mancato guadagno che la parte solvente sopporta, qualora la controparte diventi insolvente prima della scadenza pattuita. In questo caso, la parte potenzialmente solvente si asterrà, ovviamente, dall’effettuare la propria consegna, effettuando un nuovo contratto con una nuova controparte. Il prezzo del nuovo contratto potrebbe essere diverso dal precedente, comportando una perdita o un utile.

Obiettivo del credit risk management è quello di creare un serbatoio di capitale di riserva da utilizzare per far fronte alle perdite derivanti da tali cambiamenti, nel rispetto delle norme imposte dagli accordi di Basilea. La gamma dei modelli teorici sulla valutazione del rischio di credito è ampia ed è caratterizzata da una forte differenziazione nei presupposti concettuali su cui si basano32. L’entità del patrimonio di vigilanza richiesto può essere determinato mediante due approcci:

o Sistema standard, pensato per le “piccole banche”;

o Sistema di rating interno, pensato per le banche maggiori33.

31 Fonte: Nassetti C. F., “Natura dei rischi presenti nei credit derivatives,” in Nassetti C. F., Fabbri A., Trattato sui contratti derivati di credito, Egea, Milano, 2000

32 Per approfondimenti: Felisari G., “Valutazione strategica e previsione finanziaria nel rating interno delle imprese: un sistema di supporto decisionale per l’istruttoria del credito secondo Basilea 2”, Franco Angeli, Milano, 2008.

(24)

26

Entrambi ricorrono allo strumento del rating34, che può essere di due tipi:

- Esterno, predisposto da agenzie internazionali di rating autorizzate dall’Autorità di Vigilanza;

- Interno, predisposto dalle stesse aziende di credito sui propri clienti

Il sistema standard si avvale dell’utilizzo dei rating esterni ed annessi fattori di ponderazione per le aziende valutate dalle agenzie internazionali, mentre, per quelle che non lo sono, il fattore di ponderazione è del 100%. Il giudizio35 viene formulato attraverso codici alfanumerici, espressione di una valutazione sul merito creditizio della controparte. Ai rating dati da queste agenzie internazionali alle varie imprese corrisponde poi un coefficiente di ponderazione diverso a seconda della tipologia del debitore. Il sistema di rating interno prevede la ripartizione della clientela in classi in base alla probabilità di insolvenza ad essa associata. Ai fini di una sua corretta misurazione, vanno analizzati i suoi driver fondamentali36:

o probabilità di insolvenza (probability of default, PD). La PD, espressa in termini percentuali, rappresenta la probabilità di insolvenza dell’emittente a un anno e oscilla fra 0 e 1;

o perdita in caso di insolvenza (loss given default, LGD). La LGD, espressa in termini percentuali, quantifica la perdita in ipotesi di insolvenza dell’emittente; o esposizione al momento dell’insolvenza (exposure at default, EAD);

o scadenza (maturity, M). La M, simboleggia la scadenza del titolo sottoscritto.

Esaminando i diversi parametri, l’investitore, sia esso istituzionale o privato, può effettuare precise valutazioni sul rischio di credito. La PD, insieme alla LGD e alla EAD, costituisce misura del rischio di credito e, di conseguenza, al suo innalzamento corrisponde una crescita nell’applicazione del prezzo del credito.

34 Valutazione del grado di affidabilità del cliente/debitore in base alla sua probabilità d’insolvenza. 35 Tali valutazioni possono essere utilizzate solo se gli enti che li hanno emessi sono stati previamente riconosciuti dall’autorità di vigilanza, come definito dagli accordi di Basilea.

36 Fonte: Colombini F., “Intermediari, mercati e strumenti finanziari. Economia e integrazione”, Utet, Torino, 2008.

(25)

27

A fronte di tali fattori, per l’investitore si possono manifestare due scenari:

1. la perdita attesa (expected loss, EL), che, in quanto valutabile a priori, è trasferita pro-quota nel costo del finanziamento concesso (il tasso d’interesse) sotto forma di premio per il rischio e coperta con la fissazione di un premio dello stesso ad accantonamento in detrazione del prestito accordato;

2. la perdita inattesa (unexpected loss, UL) che, in quanto non valutabile a priori, viene stimata e coperta con il patrimonio di vigilanza attraverso modelli matematici in funzione della volatilità delle perdite attese; utilizzando serie storiche basate sulla volatilità delle perdite attese; in funzione di ogni fattore di rischio. Dato che essa è coperta dai mezzi regolamentari che hanno un proprio costo (maggiore dei debiti finanziari), è il cliente affidato che paga un costo più alto per la perdita inattesa in relazione al capitale proprio accantonato per il credito concessogli.

La perdita attesa (EL) non incute particolari timori per gli investitori, in quanto può essere facilmente gestita attraverso degli accantonamenti di capitale. Diversamente, la perdita inattesa (UL) deve essere oggetto di un monitoraggio continuo e deve trovare copertura nel patrimonio di vigilanza37. La distinzione tra perdita attesa e perdita inattesa è

importante per le scelte gestionali in materia di rettifiche dirette di valore e degli accantonamenti necessari per la copertura delle perdite attese necessari per andare a fissare il livello di capitali proprio per la copertura delle perdite inattese. La perdita attesa (EL) può essere calcolata immediatamente attraverso la seguente formula:

La perdita inattesa può essere individuata nella volatilità delle perdite attorno al loro valore medio della distribuzione. I modelli utilizzati per il calcolo della perdita inattesa sono stati implementati negli ultimi anni dalle banche, attraverso l’introduzione di un sistema interno per la misurazione e il controllo dei rischi finanziari. Tali modelli si basano sull’utilizzo di una precisa tecnica per calcolare il rischio: il “Value at risk” (VaR). Si tratta di un metodo che consente di calcolare la perdita inattesa, partendo dalla massima perdita potenziale di un portafoglio. Nel calcolo del parametro incognito bisogna

37Fonte: Dittmeier C., “La governance dei rischi: un riferimento per gli organi e le funzioni di governo e controllo”, EGEA, Milano, 2015.

(26)

28

assumere un determinato intervallo di confidenza e un’ipotesi di distribuzione di probabilità che consenta di associare ad ogni valore della variabile, una probabilità del verificarsi dell’evento. Se calcolata in un portafoglio titoli, l’UL è misurata dalla deviazione standard della distribuzione di frequenze delle possibili perdite su portafoglio. Osservando l’intera distribuzione di probabilità delle perdite (Fig. 2) e un intervallo di confidenza del 99,9 per cento su un orizzonte temporale di un anno, sottraendo la perdita attesa (EL), al livello massimo delle perdite (VaR), avremo la perdita inattesa (UL), ossia il livello di capitale necessario alla sua copertura.38 In formula avremo:

Figura 2- Perdita attesa ed inattesa

Fonte: https://www.credit-suisse.com

Nel prossimo capitolo verrà posta l’attenzione sugli strumenti finanziari a protezione del rischio di credito (c.d. credits derivates) e, in particolar modo, verranno analizzati in maniera dettagliata i credit default swap.

(27)

29

CAPITOLO 2

GLI STRUMENTI A PROTEZIONE DEL RISCHIO DI CREDITO: I CREDIT DEFAULT SWAP

2.1– Tecniche e strumenti per la gestione del rischio di credito

Nel panorama dei rischi bancari svolge un ruolo di primaria importanza la gestione del rischio di credito. Nel capitolo precedente, abbiamo ampiamente descritto quali sono le origini di tale rischio e quali squilibri può comportare all’interno della banca se non viene adeguatamente monitorato e gestito. Il trasferimento del rischio di credito è uno degli effetti più importanti apportati dall’innovazione finanziaria. Questo fenomeno è principalmente riconducibile ai processi di cartolarizzazione (c.d. securitization) e ai credit derivatives. Il primo processo, la securitization, nella sua definizione classica si basa sulla cessione portafogli (pool) di attività illiquide omogenee presenti nel bilancio dell’intermediario finanziario o di una generica società cedente (originator) ad una società veicolo (Special Purpose Vehicle, SPV) appositamente creata. La SPV è giuridicamente ed economicamente separata dall’originator, finanzia l’acquisto di tali attività attraverso l’emissione di titoli obbligazionari, destinati alla collocazione sui mercati finanziari presso gli investitori. Le attività acquisite dalla SPV rappresentano la garanzia del pagamento di quanto contrattualmente pattuito ai possessori dei titoli emessi. Per questa ragione, i titoli sono denominati asset-backed securities, letteralmente: “strumenti finanziari supportati da attivi”. Bisogna sottolineare che i pagamenti destinati ai possessori degli ABS dipendono esclusivamente dai flussi di cassa prodotti da questi assets ceduti: non a caso si parla di flussi di cassa ABS.39 L’idea innovativa alla base di tale operazione è la capacità di consentire la trasformazione di qualsiasi attività normalmente non negoziabile, capace di generare flussi di cassa omogenei e prevedibili, in attività negoziabili, con un notevole vantaggio sia per l’originator sia per gli investitori e il sistema finanziario in generale. Le banche hanno ampiamente utilizzato questi strumenti per ampliare il loro attività di credito senza compromettere i propri bilanci.

(28)

30

Prima dell’utilizzo di questi strumenti, le banche svolgevano semplicemente il ruolo di intermediari40, attraverso la cartolarizzazione possono attingere la liquidità necessaria a

finanziare le loro attività di prestito, attraverso le società veicolo, dai mercati finanziari internazionali. Questo non solo favorisce lo sviluppo del mercato del credito, ma comporta anche il passaggio dal modello bancario “classico”, denominato Originate to Hold (OTH) al modello bancario “innovativo”, denominato Originate to Distribute (OTD). Gli strumenti di cartolarizzazione hanno avuto un ruolo fondamentale nell’espansione della crisi finanziaria globale che ha investito l’economia e la finanza nel 2007, in quanto, la cattiva gestione dei mutui, connessi a tali strumenti, da parte delle banche tradizionali e di quelle commerciali, ha causato il default e non la conseguente non solvibilità dei crediti41.

Il secondo processo ha come oggetto l’utilizzo dei credits derivates sempre a protezione del rischio di credito. Questi strumenti forniscono una copertura contro le perdite legate alle variazioni del merito creditizio di alcuni operatori e offrono a banche ed investitori istituzionali nuove tecniche per la estione del rischio di credito, aumentando la gamma di offerte tradizionnali già presenti. Questi prodotti hanno iniziato a diffondersi a metà degli anni Novanta, trovando un’ottima risposta nel loro utilizo nelle banche e tra gli investitori. La logica di fondo di questi prodotti fa leva sulle esigenze tra due diversi soggetti e, in particolare, tra un operatore che desidera “alleggerire” la posizione nei confronti di determinati titoli e una controparte che intende “accollarsi” quello stesso rischio. Questa è un’opportunità interessante se si considera che, nonostante la globalizzazione dei mercati finanziari, molti rischi di credito sono tuttora “ancorati” ad economie locali o nazionali, causando una concentrazione del portafoglio elevata e quindi condizioni non ottimali di gestione delle attività.42

I derivati creditizi, quindi, sono strumenti utilizzati per la gestione del rischio di credito, ma non hanno la capacità di eliminare il grado di insolvenza del debitore.43 A differenza degli strumenti tradizionali utilizzati in passato nella gestione del rischio (es. polizze assicurative), i credits derivates sono strumenti finanziari di natura mobiliare e, di

40 I fondi per l’erogazione dei mutui provenivano dai depositi o al massimo dall’emissione di propri titoli obbligazionari.

41 Per approfondimenti: Milani C., “Alle radici della crisi finanziaria: origini, effetti e risposte”, Egea, Milano, 2015.

42 Fonte: Angelini E., “Il Credit default swap nella gestione del rischio di credito”, Giappichelli Editore, Torino, 2013.

43 La banca può attenuare questo effetto facendo un’approfondita analisi ex ante del cliente verificando se sussistano i requisiti alla concessione del credito.

(29)

31

conseguenza, negoziabili su mercati Over The Counter (OTC)44 e con diverse finalità tra

cui copertura, arbitraggio e speculazione. Tali strumenti, riducendo i costi di transazione riguardanti il trasferimento del rischio di credito, aumentano le effettive possibilità di negoziazione dello stesso rischio. Le parti delle operazioni sono costituite prevalentemente da banche, investitori istituzionali e, in minor misura, imprese di grandi dimensioni. Le transazioni sono concluse con l’intervento di un intermediario, il quale può agire come broker, mettendo in contatto due controparti, o come dealer, intervenendo in contropartita diretta del soggetto interessato a concludere la negoziazione.45 Gli intermediari nel mercato dei credit derivatives sono costituiti dalle principali banche d’investimento internazionali: J.P. Morgan, Bank of America Merrill Lynch, Barclays, BNP Paribas, Citigroup, Commerzbank, Crédit Suisse First Boston, Deutsche Bank, Goldman Sachs, HSBC, Morgan Stanley, Royal Bank of Scotland, UBS, Wells Fargo Bank / Wachovia, Crédit Agricole e Société Générale.46 Tutti i credits derivates, per essere definiti come tali, devono presentare alcune caratteristiche comuni dettate dall’ISDA (International Swap and Derivates Association)47 con l’intento di uniformare

le strutture contabili di questi strumenti cercando di preservare, quanto più possibile, il loro grado di personalizzazione contrattuale rimanendo in linea con gli standard normativi dettati in materia. Quindi, per essere definito come credits derivates, un contratto deve avere: un’attività sottostante; l’esposizione a eventi creditizi; e metodologie di pagamento a scadenza48. Per descrivere qualsiasi contratto derivato, il primo elemento è l’attività

sottostante individuata dalla capacità del debitore (reference entity) di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni (referance obbligation). Poiché il credit derivative è un accordo a parte tra un soggetto che ha concesso un prestito, o ha comprato

44 Mercato mobiliare non soggetto ad alcuna regolamentazione specifica relativa all’organizzazione e al funzionamento del mercato stesso. L'assenza di regolamentazione riguarda il fatto che il funzionamento di tale mercato, i titoli e gli operatori ammessi non sono assoggettati alla disciplina specifica e alla autorizzazione delle Autorità di Vigilanza in materia di Mercati Regolamentati e non sono iscritti nell'apposito albo.

45 Fonte Hull J. C., “Opzioni, futures e altri derivati”, Prentice-Hall international, Londra, 1997. 46 L’elenco è stato stilato tenendo presente le autorizzazioni rilasciate dalla Consob.

47 L'ISDA è l'associazione privata degli operatori del settore dei derivati, e cura lo sviluppo di questi mercati e, ovviamente, gli interessi di questi operatori. Aderiscono all'ISDA più di 800 soggetti finanziari che provengono da 60 diversi paesi nel mondo. Sono membri dell’associazione numerosi trader che negoziano nel mercato dei derivati ed anche i soggetti primari dei mercati finanziari come le Borse Valori, le clearinghouses, ed altri fornitori di servizi del settore finanziario. L’ISDA qualifica il proprio ruolo come soggetto referente e coordinatore del buon funzionamento del settore, impegnato a migliorarne la trasparenza con una documentazione standardizzata a livello globale. Il potere, l’influenza e le decisioni dell’ISDA in un sistema moderno cosi pieno di prodotti finanziari e di derivati, sono di grande importanza ed impatto economico e sociale.

48 Fonte: Caputo Nassetti F., “I rischi presenti nei credit derivatives”, Banca Commerciale Italiana, Milano, 1998

(30)

32

un’obbligazione, e un venditore di protezione, la reference obligation non viene in alcun modo modificata da questo contratto. Il debitore non necessariamente deve essere informato della operazione; egli non ha nessun potere nei confronti della transazione. Ad ogni credits derivates deve essere associata un’attività creditizia, la quale può variare non solo in base all’andamento dei prezzi o dei tassi di interesse, ma anche dal verificarsi di un evento creditizio. Esso è definito come l’evento, riferito al soggetto emittente del contratto, che fa scattare in capo al venditore della protezione l’obbligo di effettuare il pagamento della controparte del derivato creditizio che ha acquistato la protezione. L’ISDA ha stilato un elenco di otto ipotesi eventi creditizi (credit events) che si possono verificare49:

- Bankruptcy, dichiarazione giudiziale di insolvenza, avvio procedura concorsuale, liquidazione.

- Credit event upon merger: peggioramento qualità credito dopo una fusione aziendale.

- Failure to pay: mancato pagamento obbligazione monetaria. - Repudiation: non riconoscimento debito dal debitore.

- Downgrade: abbassamento rating sotto un livello determinato.

- Restructuring: fa riferimento a eventi come moratoria, proroga, rinegoziazione credito.

- Cross default: default del reference entity riferiti a qualunque sua obbligazione anche nei confronti di soggetti terzi.

- Cross acceleration: l’accelerazione del rientro del prestito a causa di inadempimenti riferiti ad altre obbligazioni di pagamento, a chiunque dovute, dal soggetto emittente.

Nei credits derivates sono previsti due ulteriori condizioni per far rendere effettivo il pagamento da parte del venditore della protezione: la prima è il credit event si manifesti e sia “pubblicamente” noto (publicly available information); la seconda è necessario che vi sia un danno ossia che il prezzo dell’obbligazione di riferimento raggiunga un livello inferiore alla soglia prestabilita.

49 Fonte: Anson M. J. P., “Credit derivatives: instruments, applications, and pricing”, J. Wiley, Hoboken, 2004.

(31)

33

L’ultimo aspetto riguarda le modalità di regolamento normalmente utilizzate nelle operazioni della specie sono:

o phyisical settlement, per cui il venditore della protezione si impegna al verificarsi del credit event, ad acquistare un titolo, specificato o da scegliere in una rosa di possibilità, relativo al venditore ad un prezzo prestabilito (initial price);

o cash settlement, con cui il venditore della protezione si impegna a pagare all’acquirente una somma pari alla differenza tra il prezzo iniziale (contrattuale) della reference obbligation ed il suo valore di mercato (final price) alla data del verificarsi del credit event;

o binary payout, in base al quale il venditore della protezione si impegna a pagare, al verificarsi del credit event, un ammontare fisso prestabilito nel contratto.

I credit derivates possono essere suddivisi in due macro categorie50: - credit default products;

- replication products.

Della prima categoria fanno parte gli strumenti che consentono il trasferimento del solo rischio di credito, originando un payoff soltanto in conseguenza di un credit event. Gli strumenti più diffusi sono i credit default swaps (CDS) e i credit default notes. I primi sono dei contratti finanziari bilaterali offre la possibilità di coprirsi, attraverso il pagamento di un premio periodico, dall'eventuale insolvenza di un debitore.

I secondi sono una fattispecie dei credit linked notes, ossia dei derivati strutturati costituiti da un titolo e da un contratto derivato, in questo caso, un CDS. I credit default notes si comportano come dei semplici titoli obbligazionari con pagamento di interessi periodici spesso più alti dei tassi di mercato e la restituzione del capitale investito scadenza. La sua peculiarità sta nel fatto che il derivato, al valore nominale, è subordinato alla performance del debitore. Tuttavia, nel caso si verificasse un credit event, il credit default note51 viene estinta anticipatamente con una riduzione del capitale da conferire all’investitore.

50 Fonte: Parrilla I., “Credit derivatives: profili civilistici e fiscali”, EGEA, Milano, 2010 51 Composto dal CDS + titolo sottostante.

Riferimenti

Documenti correlati

Conclusions: This study confirms that infliximab is an effective rescue therapy in patients with severe UC unresponsive to intravenous steroid treatment, with two third of

A tale scopo, come dati di riferimento sono state utilizzate le stime prodotte dal modello FOREST-BGC precedentemente calibrato e validato per la stessa area di studio (Chiesi et

Ciascun commissario valuta la specifica qualità relativa allo specifico criterio rilevata in ciascuna offerta secondo i livelli qualitativi attesi rappresentati nella seguente SCALA

Correzione:.. Come visto nell’attività precedente per poter attribuire ad un evento più comportamenti differenti in base alla situazione è necessario precisare anche lo

(2010), analizzando la relazione tra l’indice di massa corporea (BMI) 1 , l’immagine corporea (percezione del proprio corpo) e l’insoddisfazione corporea ha messo in luce

della  procedura;    l’adesione  degli  operatori  all’igiene  delle  mani  sulla  base  della  proporzione 

METHODS: We searched Medline for all manuscripts listing propofol, etomidate, methohexital, thiopental, midazolam, diazepam, ketamine, dexmedetomidine, clonidine, morphine,

In effetti, nella costruzione di un sistema di classificazione impostato per funzioni la più recente dot- trina tende a non assegnare una voce di classificazione specifica