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La Ceramica Meroitica nell'area Begrawija-Shendi

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Academic year: 2021

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Sintesi della tesi: “La Ceramica Meroitica nell’Area Begrawija-Shendi”

Dottoranda: Silvia Dall’Armellina

L’elaborato incentra la ricerca nell’area compresa tra le attuali località di Shendi e Begrawija, immediatamente a sud di Meroe. Il territorio individuato è pertinente all’antica Nubia sudanese e lo studio investe un arco cronologico compreso tra il 270 a.C. e la metà del IV secolo d.C., corrispondente all’estensione del periodo meroitico. La moderna riscoperta della città di Meroe, capitale del secondo impero cuscita, si deve ai viaggiatori del XIX secolo giunti per la prima volta nel territorio al seguito delle truppe di Mohamed Ali, impegnate nella conquista del Sudan.

A questa prima esplorazione ne seguirono molte altre, tra le quali figura l’impresa di Richard Lepsius, che tra il 1842 e il 1845 diresse per conto del re di Prussia una grande spedizione in Egitto e Sudan. La spedizione si spinse fino al Nilo Azzurro e ai suoi affluenti.

A dare il via all’indagine archeologica del sito di Meroe fu invece l’archeologo britannico John Garstang, il quale tra il 1909 e il 1914 intraprese un’indagine sistematica dell’area riportando alla luce buona parte del quartiere religioso nel quale ancor oggi si può scorgere il grande tempio di Amon. Successivamente fu G.A. Reisner ad interessarsi del sito: negli anni che vanno dal 1916 al 1923 l’archeologo americano si dedicò allo studio della vicina necropoli reale, suggerendo una prima cronologia relativa dei sovrani merotici basata sull’evoluzione formale delle loro tombe. Inoltre, sulla base dei dati registrati sia nelle tombe reali di Meroe che in quelle collocate a Gebel Barkal, propose una ripartizione dell’età meroitica in quattro fasi: Meroitico Antico, Classico, Tardo e Finale. Nel corso degli anni la cronologia fissata da Reisner vide numerose revisioni e, ad oggi, la questione cronologica resta ancora fonte di dibattito.

La definizione di Mere come “isola” si deve alle fonti classiche, cinta com’era da tre corsi d’acqua, il Nilo ad ovest, ed i suoi due affluenti, il Nilo Azzurro a sud-ovest e l’Atbara a nord-est, sembrò presentarsi come un’isola agli occhi di Diodoro Siculo, l’equivoco, passando per Strabone, si consolida fino all’età medioevale.

Fu forse dopo la distruzione di Napata, ad opera delle truppe di Psammetico II, che i Cusciti trasferirono la capitale del regno a Meroe, da loro già fondata tra la V e VI cataratta almeno a partire dal VII sec.a.C.. Il passaggio di potere, da Napata a Meroe, avvenne però gradualmente. In un primo momento, benché il centro amministrativo avesse la sua collocazione nella nuova capitale, Napata mantenne il suo primato come polo religioso e dinastico, continuando ad ospitare sia l’incoronazione dei sovrani sia le loro inumazioni.

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Benché la continuità religiosa-culturale con Napata perduri, al livello amministrativo e politico, era Meroe il fulcro del potere.

Per la nuova capitale i Meroiti scelsero un luogo poco lontano dalla fertile sponda orientale del Nilo, a poco meno di due chilometri di distanza dal deserto, un’area dove convergevano le principali piste carovaniere della regione.

Intense attività di scavo hanno dato modo di ricostruire parte dell’assetto originario della città, la quale presenta un settore adibito a residenze reali ed edifici religiosi, contrapposto ad un settore riservato alle attività produttive (ad oggi ancora poco indagato).

Poco distante dall’abitato, si incontra la città dei morti, la grande necropoli tripartita che ospita molti dei sovrani meroiti nel loro eterno riposo. La necropoli Sud fu la prima ad ospitare sepolture reali, questa necropoli, la più antica, contemplava anche inumazioni di alti dignitari.

Il luogo, però, si rivelò ben presto insufficiente a soddisfare le esigenze reali, venne quindi edificata la necropoli nord, lungo una piccolo pendio roccioso poco distante.

Con lo spostamento nel nuovo sito vennero separate le sepolture reali da quelle di degli alti dignitari e funzionari; furono perciò distinte due necropoli: la necropoli nord, occupata dalle sepolture del re, della candace e dei principi ereditari e la necropoli ovest, destinata ad alti dignitari e funzionari che gravitavano intorno alla famiglia reale.

I sovrani venivano sepolti in strutture piramidali, che si caratterizzano per essere costruzioni piene, rastremandosi verso l’alto, realizzate interamente in blocchi di arenaria. Erano solitamente precedute da un pilone (doppio pilone ne caso della piramide della candace Shanakadakheto) sul quale erano raffigurate immagini del sovrano, titolare della piramide, trionfante sugli avversari. La struttura piramidale costituiva solo la soprastruttura della tomba, realizzata, invece, in ambiente ipogeo, al quale si accedeva mediante una rampa.

Il lungo dominio sul territorio, da parte di Meroe, si deve anche alla posizione strategica di quest’ultima, la città si poneva al centro delle rotte commerciali più battute del tempo. A sud gli scambi commerciali avvenivano, superato lo sbarramento della VI cataratta, navigando lungo il Nilo. Tramite questa via i Meroiti si spinsero certamente oltre la confluenza dei due Nili, percorrendone entrambi i tratti.

A nord, i contatti con Napata erano assicurati dalla via di Bayuda che, attraverso il deserto omonimo, congiungeva i due centri.

I contatti con la Bassa Nubia, erano invece garantiti dalla pista che da Abu Hamed, a valle della IV cataratta, giungeva fino a Korosko attraverso il Deserto Orientale.

Altre due grandi rotte collegavano la capitale con le direttrici commerciali est e sud-est. In direzione sud-est partiva una via carovaniera, lungo la quale si ergevano, tra gli altri, i centri di Wadi Ben

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Naga, Musawwarat e Naga, per giungere fino alla città di Aksum e al mar Rosso, dove il porto di Adulis vedeva transitare navi provenienti dall’India e dall’Estremo Oriente.

Ad est, invece, correva un percorso di collegamento con il porto di Ptolemais Epiteras, oggi corrispondente alla strada ferrata che unisce Berber a Port Sudan.

I percorsi confermano come Meroe fosse in grado di inserirsi attivamente nei più importanti empori commerciali del tempo e fosse coinvolta in intensi traffici che la vedevano esportare prodotti locali, come i famoso ferro di Meroe, nonché animali, spezie, legnami, minerali e schiavi. Le popolazioni meroitiche si distinsero anche nell’industria manifatturiera, cui si riconduce una raffinata oreficeria ed una fine produzione ceramica e di oggetti in faïence, in cui si può ravvisare una commistione di influssi provenienti dall’Egitto e dai contatti con Roma.

All’interno del regno, sontuose residenze e maestosi templi, simbolo dell’autorità imperiale, ospitavano la famiglia reale in pellegrinaggio nei centri di culto del regno. Un aspetto peculiare della struttura di questi centri, sia dei più grandi che dei più piccoli, è il binomio tempio-palazzo, così come possiamo osservare nella capitale stessa.

Tra i grandi complessi figurano il sito di Wadi Ben Naga, Naga, Musawwarat es Sufra, e le strutture del Jebel Barkal. Ai grandi centri, atti ad ospitare complessi abitativi, grandi residenze reali e templi, si affiancano complessi più piccoli, sorti intorno alla capitale e che dovevano rappresentare una sorta di centri satelliti della stessa.

Questi centri minori recano un assetto che si rifà al modello del tempio-palazzo. I centri in questione sono Hamadab, El-Hassa, Muweis, Awlib ed Abu Erteila.

Dagli abitati dei siti, così come dallo scavo dei templi connessi, proviene un grande quantitativo di ceramica, sia di fattura fine, che di produzione grossolana.

Lo studio di questo materiale è particolarmente importante ai fini della ricostruzione della storia produttiva della regione, poiché permette di gettare luce sulle diverse produzioni diffuse sia in ambito domestico-abitativo, sia nel contesto religioso e di élite. L’elaborato incentra la sua trattazione sulla ceramica rinvenuta nel sito di Abu Erteila, proponendo relazioni con la ceramica proveniente dai siti limitrofi, così come da diverse località del regno meroitico, al fine di rintracciare la circolazione delle merci e l’adozione dei diversi stili decorativi all’interno del regno meroitico.

La ceramica rinvenuta nella capitale, ha subito mostrato un tratto molto interessante, legato alla compresenza di diverse “tradizioni” che si affianca a quanto già emerso nel monumentale lavoro di W.Y. Adams nello studio dei reperti pertinenti al periodo meroitico e post-meroitico in Bassa Nubia.

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P.L. Shinnie fu tra i primi a focalizzare l’attenzione sulle diverse produzioni rinvenute a Meroe, identificando ben cinque diverse tipologie ceramiche: una prima produzione “a mano”, spesso di colore scuro, retaggio della tradizione sub-shariana africana, una produzione “al tornio”, recante ingobbio nei toni del rosso o del bianco, rientrante nei manufatti di uso comune, una terza manifattura “al tornio”, la cosiddetta “egg-shell”, che rappresenta l’espressione più alta dei prodotti fittili realizzati dagli artigiani del periodo meroitico, una quarta tradizione, che comprende prodotti importati dall’Egitto o dal Mediterraneo, ed infine un’ultima tradizione “a mano”, relativa a manufatti importati dal Sud del paese.

Nelle diverse tipologie proposte è evidente come la tradizione al tornio non abbia soppiantato quella a mano, ma bensì si sia affiancata a questa, rimasta immutata nei secoli. Altra nota importante da sottolineare riguarda il repertorio decorativo; la produzione a mano, reca i “segni” della forte identità Africana delle genti meroitiche ed il suo apparato decorativo non si allontanerà mai dal gusto africano, mentre la produzione fine, sia “egg-shell” che “fineware”, lavorata al tornio, adotterà motivi decorativi differenti, che vedono la rielaborazione meroitica di soggetti egiziani ed ellenistico-romani.

Al fine di individuare la provenienza dei diversi materiali e la loro circolazione all’interno del regno meroitico, di particolare interesse è risultata essere l’analisi acheometrica degli impasti. Le caratteristiche che rendono possibile la distinzione tra i diversi tipi di impasti sono strettamente legate all’argilla e alla natura dei degrassanti utilizzati per la realizzazione del recipiente. La scelta del bacino di approvvigionamento della materia prima costituisce la prima tappa del ciclo produttivo, la comparazione tra le argille presenti nei diversi giacimenti e le caratteristiche riportate dall’analisi degli impasti ha dato modo di seguire lo spostamento delle merci sia nella regione di Meroe che all’interno del regno.

La geologia del territorio nubiano rientra nel profilo dello scudo Africano, composto in prevalenza da rocce intrusive Precambriane, alle quali si sovrappongono, in diverse aree, arenarie nubiane. A caratterizzare la morfologia interviene poi il corso del Nilo, che segna il territorio con il suo percorso.

Gli studi di J.Roberson e A.H.Sayce hanno portato ad individuare giacimenti di caolinite nei dintorni della capitale, nell’area delle cave di arenaria del vicino Jebel abu Shaar, in altri luoghi situati ad est del Cimitero Sud di Meroe, e nei pressi del Tempio del Sole; oltre ad ulteriori giacimenti rintracciati presso Umm Alii. Questi depositi si sarebbero presumibilmente formati in seguito all’erosione dello scudo Precambriano. I giacimenti di argilla alluvionale dovevano, invece, essere localizzati lungo il corso del fiume, a questi si aggiunge un’ulteriore possibilità di reperire materia prima, ovvero gli wadyan, nei quali l’antico letto del fiume fornisce una locazione adeguata

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per la presenza di argilla lavorabile. Per quanto riguarda la regione di Meroe, lo wadi El Hawad, per la Bassa Nubia, invece, i giacimenti considerati sono dislocati in prossimità dei siti di Meinarti, Kalabsha, e nella regione di Aswan.

A questo proposito, riveste un ruolo fondamentale lo studio effettuato da L.M.V Smith, il quale ha consentito di sfatare l’iniziale ipotesi di W.Y.Adams, che vede la produzione egg-shell e fineware appannaggio della Bassa Nubia.

I materiali analizzati provengono da centri economici e politici distribuiti sia a nord che a sud del paese; nelle aree comprese tra la I e la II cataratta per la Bassa Nubia, e relativi alla regione di Meroe, tra la confluenza con l’Atbara e la VI cataratta, per l’Alta Nubia.

La comparazione su base chimico-mineralogica svolta sulle argille e gli impasti selezionati, ha dato modo di costatare che le tipologie di argille utilizzate per la realizzazione dei vasi, da cui derivano i campioni del nord, presentano impasti con una colorazione nei toni nel marrone, nella quale si ravvisano alte percentuali di grani di quarzo aventi angoli aguzzi o arrotondati, insieme a grani di ossidi di ferro. Una seconda tipologia, relativa essenzialmente alle argille presenti nella zona di Kalabsha, risulta invece definita da alte quantità di ossidi di ferro di colore rossastro, e frequenti inclusi di calcite.

Le argille prelevate dall’area di Meroe, risultano invece caratterizzate da abbondanti quantità di quarzo (30-40%), unite a grani di ossidi di ferro, miche, e minori quantità di minerali opachi, oltre ad inclusi ferrosi, presenti prevalentemente nelle argille del Jebel Abu Shaar, e rari noduli di calcite, riscontrati in prevalenza nei giacimenti in prossimità del Tempio del Sole.

Le analisi, compite su 30-40 campioni prelevati da ciascun sito e circa 40 campioni di argilla raccolti nel nord e nel sud della regione, hanno quindi permesso di individuare caratteristiche peculiari presenti nelle materie prime e di conseguenza nei prodotti realizzati a partire da queste. In base ai dati presentati nello studio di L.V.M. Smith, si può stabilire in primo luogo che il nord, come il sud del paese era provvisto di una propria produzione ceramica, dato questo confermato su base archeologica, dai ritrovamenti di zone industriali adibite alla produzione ceramica, rintracciate nei siti di Musawwarat es Sufra, Awlib, Hamadab e Meroe. Ad una produzione prettamente locale dei manufatti si affiancavano inoltre importazioni di prodotti dalla Bassa Nubia, soprattutto per quanto riguarda il grande centro di Musawwarat es Sufra, mentre i centri minori e la capitale, risultano meno interessati dal fenomeno. Per quanto riguarda invece i siti della Bassa Nubia, non mostrano presenza di manufatti del sud nei siti esaminati, anche se alcune misture di argille sembrano affini a quelle rilevate nella zona di Meroe.

Il pionieristico lavoro di L.M.V. Smith, venne seguito da ulteriori approfondimenti sull’argomento, volti a registrare e codificare i diversi impasti presenti nei siti, al fine di stabilire parametri

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scientifici derivanti da analisi archeometriche, ai quali poter rapportare le diverse tipologie di impasti relative ai diversi manufatti e poter analizzare, su più livelli, la ceramica della zona. Ai criteri formali e stilistici tradizionali, nel corso degli ultimi anni, gli archeologi quindi hanno unito lo studio di laboratorio su base analitica dei dati, incorporando studi a carattere chimico- mineralogico.

Gli studi condotti sui siti di Awlib, Hamadab, Musawwarat es Sufra e Meroe, confermano un’origine regionale per molti dei materiali esaminati. Ai siti sopra citati, si aggiungono le indagini archeometriche svolte su materiali provenienti dal sito di Abu Erteila. La scrivente ha personalmente preso parte al recupero dei materiali durante lo scavo, alla registrazione di questo e alle analisi effettuate in laboratorio. Al momento, l’osservazione diretta dei pezzi, unita alle analisi di laboratorio ha permesso di individuare nel sito le seguenti tipologie di impasti: AEimp01, impasto fine (argilla caolinica); AEimp02, impasto mediamente fine (Argilla dello Wadi El Hawad/nilotica);

AEimp03, Impasto mediamente fine (Argilla dello Wadi El-Hawad/nilotica); Eimp04, impasto

grossolano (Argilla dello Wadi El-Hawad/nilotica); AEimp05, “Graeco-Roman Pink”; AEimp06, impasto poco fine (Argilla dello Wadi El-Hawad/nilotica); AEimp06.1, impasto poco fine (Argilla dello Wadi El-Hawad/nilotica). La maggior parte dei materiali esaminati evidenzia l’utilizzo di argilla locale, con molta probabilità nilotica o estratta dallo wadi el Hawad, per la realizzazione dei recipienti. A questi si aggiunge la produzione fine egg-shell e fineware, per la cui realizzazione venne,con molta probabilità, utilizzata argilla caolinica sempre di estrazione locale.

Oltre all’impasto, l’osservazione delle varie caratteristiche presentate dai manufatti ha permesso di stabilire un quadro relativo alla produzione, e di catalogare i materiali in base alle diverse peculiarità presentate. Nello specifico, l’elaborato esamina i tratti generali, relativi al patrimonio fittile del regno meroitico, rapportati con i ritrovamenti del sito di Abu Erteila.

Tra le varie caratteristiche osservabili una particolare rilevanza è data alla modalità di foggiatura. La foggiatura, o modellazione, può essere effettuata con diverse tecniche: a mano, al tornio o con una combinazione delle due. La tecnica della foggiatura cosiddetta “a mano” è senza dubbio la più antica. Già nel Mesolitico veniva utilizzata per produrre vasellame. Benché lo strumento essenziale per questo tipo di manifattura restino le mani del vasaio, si possono distinguere varie modalità di esecuzione.

La cosiddetta “modellazione ad incavo” consiste nel realizzare il recipiente a partire da un unico blocco di argilla, dando a questo prima forma tondeggiante e successivamente svuotandone l’interno, appiattendo man mano le pareti. Nel mondo meroitico solo un ridotto numero di forme vascolari, come ad esempio bottiglie e tazze, sembra essere prodotto secondo questa modalità. Una seconda modalità di realizzazione consiste nello stendere l’argilla con uno strumento rigido; una

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volta che l’argilla assume lo spessore desiderato, vengono rialzati i bordi e data forma al manufatto, per forme più grandi o chiuse si aggiungono ulteriori placchette, modellate nello stesso modo. Questo tipo di modellazione può essere indicato come “lavorazione a sfoglia” ed è ancora in uso nel Sudan moderno. Un variante della tecnica appena descritta, consiste nel sistemare l’argilla in un’apertura, per far assumere al recipiente la forma concava.

La modellazione cosiddetta a colombino (a lucignolo, cerchie o anelli) consiste nell’avvolgere a spirale un cordolo di argilla, saldandone le giunture sino a costruire il vaso della forma e delle dimensioni volute.

Anche se la lavorazione veniva eseguita per la maggior parte a mano i vasai utilizzavano un supporto mobile per aiutarsi nella foggiatura. Non si tratta di un vero e proprio tornio, bensì di un supporto in grado di girare ad aiutare i vasai nel lavoro, una sorta di “disco girevole” .

Prima di passare ad analizzare la manifattura al tornio, c’è da segnalare la possibilità per i manufatti di presentare entrambe le tecniche, per esempio, la modalità di realizzazione a colombino, spesso è seguita dalla tornitura del recipiente, ciò vale sia per le forme di piccole dimensioni sia per le grandi giare, dove si possono notare i segni di congiunzione dei cordoli di argilla.

Una particolare tipologia di manufatti presenta, invece, un utilizzo di entrambi i tipi di manifattura per realizzare la forma. Si tratta dei cosiddetti “brucia-incenso su alto supporto”. Questa particolare forma ceramica, molto diffusa all’interno del mondo meroitico vede impiegate entrambe le tecniche; la forma si presenta distinta in tre unità: una ciotola (o coppa) lavorata al tornio, un supporto mediano pieno, lavorato a mano ed una base d’appoggio a terra, solitamente campaniforme, anch’essa lavorata al tornio. Le tre unità vengono successivamente accorpate a formare una sola forma.

La vera ruota del vasaio (a volte chiamata "ruota veloce") si differenzia dalla piattaforma girevole dal momento che deve girare abbastanza velocemente da impartire la forza centrifuga necessaria a dare forma all’argilla. L’utilizzo del tornio lascia profondi cerchi concentrici all’interno del manufatto, che a volte possono interessare anche la parte esterna del recipiente.

La produzione nubiana consta di vasi grandi e piccoli, finemente decorati, ai quali si contrappongono recipienti non rifiniti di uso comune.

Gran parte dei manufatti ritrovati in contesti abitativi è costituita da produzioni di uso comune, si tratta di vasellame realizzato in maniera veloce e non pensato per un uso prolungato nel tempo. Spesso compaiono su questi recipienti impronte di dita e segni lungo la parte esterna della base, dovuti allo stacco dal tornio. Alcuni vasi non ricevevano nessuna finitura ulteriore una volta staccati dal tornio, ma venivano indirizzati direttamente alla cottura. I prodotti in questione prendono il

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nome di “one-minute” per la velocità con cui venivano eseguiti e spesso sono soggetti a fratture ad S che interessano il fondo.

Una volta foggiato Il recipiente necessita in genere di un’operazione di finitura. Dopo la modellazione, infatti, risulta talvolta asimmetrico oppure può presentare pareti troppo spesse o superficie gibbosa e grossolana. Il vasaio può lasciarlo tale e quale, oppure, dopo un breve essiccamento, eseguire una rifinitura finalizzata ad aumentare la coesione in crudo, applicare una minima impermeabilità, migliorarne l’aspetto estetico.

Le definizioni, e la nomenclatura adottata per i vari trattamenti delle superfici, non sono ancora codificate, né accettate in toto dalla comunità scientifica, per cui possono esserci discrepanze nei diversi studi per la terminologia adottata. In questa sede, si è scelto di adottare dei criteri personali, tenendo comunque conto dei diversi studi effettuati sulla ceramica meroitica. I manufatti realizzati a man e al tornio presentano le medesime finiture con delle piccole differenze. Per quanto riguarda la produzione a mano necessita dopo la foggiatura di un livellamento delle pareti, mentre la produzione al tornio, con pareti più regolari, può essere lasciata tale e quale. Quando succede si notano “segni di tornio” più o meno accentuati.

Le operazioni, adottate per rifinire e modificare l’aspetto delle superfici, possono essere effettuate a diversi gradi di essiccamento della pasta ed eseguite anche in sequenza. A seconda del grado di essiccamento possono essere effettuate le diverse finiture: A pasta umida (Cd. “Stato Verde”) è possibile provvedere alla lisciatura e livellamento; ad uno stato di essiccamento avanzato (Cd. “Stato cuoio”), è possibile effettuare la brunitura o politura.

La lisciatura si effettua per eliminare le imperfezioni dovute a eventuali giunture, solchi di tornitura, impronte di polpastrelli oppure assottigliare le pareti troppo spesse. È eseguita sul vaso a essiccamento appena iniziato mediante l’utilizzo di strumenti morbidi, quali: fibre vegetali, tessuti e le dita della mano.

Ha l’effetto di regolarizzare e spianare la superficie, livellando le piccole cavità e affossando i granuli minerali (soprattutto quarzo) che emergono e sporgono all’infuori. La superficie, con impasto grossolano, risulta più o meno liscia ma sempre opaca. Questo procedimento viene effettuato sempre nei manufatti realizzati a mano, i quali presentano pareti molto irregolari dopo la foggiatura. Può essere applicata prima della stesura dell’ingobbio oppure sul manufatto senza aggiunta di questo.

Non è raro, però, trovare manufatti torniti che presentano la sola lisciatura esterna, probabilmente realizzata contestualmente alla foggiatura.

La brunitura avviene, invece, mediante l’energico sfregamento delle pareti del contenitore con arnesi rigidi (ciottoli, osso, legno) e mira ad attenuare la porosità superficiale del manufatto; ciò

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avviene mediante la compressione e l’avvicinamento delle particelle di argilla più esterne. In tal modo il manufatto oltre a risultare meno permeabile all’acqua, si caratterizza per una lucentezza più o meno accentuata. Il processo di livellamento lascia segni di striature piuttosto cospicui e profondi, a seconda della pressione esercitata durante l’operazione.

Si trova solitamente nella ceramica lavorata a mano, dove disegna cerchi concentrici orizzontali. Anche se caratteristica dei manufatti realizzati a mano, è possibile che anche alcuni manufatti al tornio rechino questo trattamento.

Il processo di politura è molto simile a quello della brunitura, tanto che il risultato delle due operazioni è pressoché il medesimo. Un manufatto polito a differenza di uno brunito, non reca segni profondi sulla superficie trattata, la politura, come la brunitura, dona lucentezza al manufatto, anche se in misura minore. I segni lasciati dallo strumento sono appena visibili e quasi impercettibili al tatto. Questo trattamento è tipico dei manufatti realizzati al tornio, solitamente con pareti sottili (non superiori a 0,7 cm di spessore). Viene effettuata con arnesi duttili e lo sfregamento, meno energico, fa in modo che l’ingobbio si disponga sul manufatto come una patina inferiore ad 1mm di spessore. Durante il processo di finitura, può essere applicato sul corpo ceramico, come anticitato, un rivestimento. Le ceramiche nubiane realizzate al tornio, presentano nella maggior parte dei casi un rivestimento superficiale, l’ingobbio, fatta eccezione per alcuni manufatti di uso comune. Questo tipo di rivestimento è presente anche su molti manufatti realizzati a mano.

L’ingobbio è una soluzione composta generalmente da una sostanza colorante in combinazione con argilla finemente depurata, a volte può essere ottenuto anche con la sola argilla diluita con acqua e olio. Questa sostanza può essere applicata sul manufatto in diversi modi: versando il composto direttamente sul corpo ceramico, o immergendo quest’ultimo all’interno della soluzione.

Nei materiali registrati nel sito di Abu Erteila si possono notare molte delle caratteristiche sopra descritte.

Colui che per primo realizzò una sistemazione organica del patrimonio ceramico dell’antica Nubia fu W.Y. Adams che nel 1986 pubblicò il testo “Ceramic industries of medieval Nubia” gettando le basi per i successivi studi della ceramica nubiana. Purtroppo, da questo articolato lavoro sono quasi totalmente esclusi i siti dell’isola di Meroe, fatta eccezione per alcuni manufatti provenienti dalla capitale e qualche ritrovamento dal sito di Musawwarat es Sufra. Dal momento che la maggior parte dei manufatti analizzati da W.Y. Adams provengono dalla Bassa Nubia, e da contesti prettamente cimiteriali, la scrivente ha deciso di non utilizzare, nella schedatura del materiale, le tipologie codificate dallo studio, pur facendovi riferimento nel testo. In particolar modo per quanto riguarda l’articolazione degli stili decorativi, si ravvisano analogie nei materiali provenienti dal sito di Abu Erteila.

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La decorazione costituisce l’ultima finitura apportata al manufatto prima della cottura. La ceramica meroitica mostra una grande varietà di tecniche per imporre l’ornamentazione sulle diverse tipologie di forme, oltre ad un’ampia gamma di motivi decorativi.

Molte delle decorazioni, presenti nel sito di Abu Erteila e nell’isola di Meroe in generale, si rintracciano anche nei siti della Bassa Nubia, a sottolineare la continuità culturale che pervade l’interno territorio meroitico. All’interno del database, in cui sono registrati i frammenti, sono state individuate dieci tipologie di motivi decorativi, associate a sei diverse tecniche. Va inoltre evidenziato che, spesso, i motivi compaiono in associazione, così come le tecniche con cui vengono realizzati.

La serie di motivi, indicata in questa sede con la nomenclatura generica di “puntini ad incavo”, comprende alcuni manufatti in cui è possibile rintracciare l’accostamento di piccoli elementi di forma oblunga o quadrata/rettangolare, a formare decorazioni più o meno complesse. La tecnica utilizzata è definita “incisione a pettine”, viene realizzata mediante l’utilizzo di uno strumento con superficie sagomata, che, premuto sulla superficie del manufatto, lascia impronte in negativo. Questa tecnica è spesso associata a quella dell’incisione, per realizzare ulteriori segmenti di forme diverse. Nel sito di Abu Erteila 18 campioni presentano questa tipologia di decorazione.

Tutti i manufatti decorati da puntini ad incavo rientrano nella produzione realizzata a mano, non tutti presentano ingobbio e anche per quanto riguarda le colorazioni, si riscontrano superfici con colorazioni differenti che vanno dal grigio, al rosa, al beige.

L’insieme dei motivi così realizzati può essere fatto rientrare in quello che W.Y. Adams definisce “Meroitic domestic Style”(D.I). Non si segnalano particolari differenze tra le ornamentazioni descritte da W.Y. Adams e quelle ritrovate nei diversi contesti della regione di Meroe, segno di una condivisione tra nord e sud di uno stesso repertorio figurativo.

Altri manufatti presentano come unico elemento decorativo la presenza di linee, se ne distinguono tre principali tipologie: con andamento rettilineo, a zig-zag, oppure ondulate. Principalmente le ornamentazioni si sviluppano al di sotto dell’orlo, sia lungo la superficie interna che lungo quella esterna della forma vascolare.

Anche questo tipo di ornamentazione è fatto rientrare da W.Y. Adams nel cosiddetto “Meroitic

Domestic Style” (D.I). In questa sede si è deciso di considerare la tipologia decorativa che vede

l’impiego di linee, separatamente dai motivi realizzati mediante puntini ad incavo. Questa divisione viene apportata al fine di sottolineare la presenza di linee di diverse tipologie, alcune che interessano solo i manufatti realizzati a mano, ed altre che possono essere osservate in tutte e due le manifatture. Come si evince, i motivi sono presenti su diverse tipologie vascolari, che spaziano dalla giare, alle ciotole, ai bacini. Ancora oggi, nel moderno Sudan, le giare di grandi dimensioni,

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utilizzate nei villaggi come contenitori per l’acqua, recano lungo la superficie esterna linee ondulate o a zig-zag. Si tratta di grandi giare, dall’imboccatura larga, con fondo emisferico, sistemate su appositi supporti. La scrivente ha avuto modo di osservarne degli esempi di questi manufatti sia nel piccolo villaggio di Kabushia sia nell’odierna capitale sudanese Khartoum.

Un’altra tipologia decorativa presente esclusivamente su manufatti lavorati a mano è quella che vede impresse impronte di tessuto sulla forma vascolare. Questa particolare modalità di esecuzione della decorazione, presente su 11 dei frammenti catalogati, sembra essere ottenuta mediante la pressione di una stuoia o tessuto sul materiale argilloso, ancora fresco, prima della cottura di questo, o dall’uso di lasciare asciugare i recipienti su stuoie.

Un’ulteriore ripartizione effettuata nelle decorazioni, registrate nel sito di Abu Erteila, vede la dicitura “Meroitic Fancy Style”, ripresa dal lavoro di W.Y. Adams “Ceramic Industries of Medieval

Nubia”, per indicare tutti quei manufatti che recano decorazione dipinta, in cui il soggetto non

risulta riconoscibile o che aderisce in maniera sostanziale allo schema decorativo riportato nel suddetto lavoro. Le decorazione incluse sotto questa dicitura presentano tutte una dipintura primaria realizzata mediante la stesura di pigmenti che vanno dal nero, al marrone scuro al violaceo, più rare le sfumature dal rosso mattone al vermiglio.

Raramente le ornamentazioni vedono l’utilizzo di un solo elemento decorativo isolato, ma presentano spesso l’utilizzo di più tecniche connesse con la realizzazione di fregi continui.

Nel “Meroitic Fancy Style” considerato nell’eccezione utilizzata in catalogo, vengono riportati elementi decorativi pittorici, da soli o in associazione con altre tecniche decorative, presenti in larga parte sulla ceramica cosiddetta “egg-shell”. Nella casistica, 11 frammenti presentano le caratteristiche della ceramica fine, mentre 4 si caratterizzano per l’impasto differente, appartenente alla ceramica di uso comune.

Negli 11 frammenti annoverati come facenti parte della cosiddetta “egg-shell”, 4 presentano l’utilizzo di bande nelle tonalità del rosso (Munsell 7.5R 4/6) all’interno della decorazione, a volte, inquadrate entro linee incise. I soggetti identificati riguardano essenzialmente il mondo vegetale e vedono sia esecuzione pittorica che incisa. I motivi presentano essenzialmente raffigurazioni a carattere floreale, in un solo caso si registra la presenza di un elemento decorativo raffigurante un volatile.

Oltre a essere spesso in associazione con ulteriori motivi, le bande, dipinte ed incise, possono presentarsi anche come unico soggetto della decorazione, solitamente sviluppate in linee sovrapposte che vedono l’alternanza di colorazioni chiare e scure. In catalogo sono registrati 12 frammenti la cui decorazione è composta da bande. Quando le bande costituiscono l’unico elemento decorativo, presente sul pezzo, queste rientrano nel cosiddetto “Meroitic Striped Style”.

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Il motivo a bande, solitamente, non esclude la presenza di ulteriori ornamentazioni, realizzate con tecniche diverse, come urei realizzati a stampo. L’esecuzione della decorazione a stampo vede la pressione di un punzone con la raffigurazione a rilievo del soggetto, lungo la superficie del corpo ceramico, prima della cottura di questo. I motivi religiosi mutuati dal patrimonio figurativo egiziano vedono anche la raffigurazione di urei dipinti nei toni del bianco.

Quattro degli esemplari, che presentano raffigurazioni di ureii, recano un impasto fine e superfici chiare, attribuibili alla tipologia “egg-shell”, due, invece, sono realizzati su manufatti aventi ingobbio nei toni del rosso, con impasto mediamente fine, e pertanto rientrante della tipologia

“fine-ware”. Ulteriori simboli religiosi a stampo vedono la raffigurazione di una tavola d’offerta

sormontata dalle corna di vacca che racchiudono il disco solare, simbologia isiaca assai diffusa nel periodo meroitico. Ulteriori motivi, a tema religioso, vedono presentano crescenti lunari sormontate da forme ovali. La raffigurazione di una corona atef,compare, invece, su di un unico frammento di impasto grossolano, così come un unico esemplare conserva la raffigurazione di un motivo decorativo che vede la reiterazione di stendardi realizzati a stampo.

Un caso particolare è costituito da una serie di simboli, i cosiddetti “pot-marks”. Si tratta di marchi, noti per il territorio Nubiano già dal periodo Kerma classico.

L’esatto significato di questi marchi non è ancora noto: potrebbe trattarsi di simboli di possesso, così come di marchi che indicano la proprietà reale dell’oggetto. La maggior parte dei ritrovamenti su ceramica, è avvenuta in contesti funerari, per questo il ritrovamento dei medesimi simboli su supporti fittili anche in contesto differente riveste particolare importanza.

Il sito di Abu Erteila ha restituito 11 “pot-marks” (di cui 10 in catalogo), sei dipinti e cinque incisi. Dopo essere stato decorato, il manufatto è pronto per la cottura, le fornaci rinvenute in territorio nubiano sono solitamente composta da strutture a doppia camera, con camera di combustione nettamente separata dalla camera di cottura, ne sono un esempio i forni rinvenuti nei siti di Muweis ed Hamadab. Il processo di cottura e raffreddamento tocca da vicino la colorazione che il manufatto va ad acquisire. All’inizio del ciclo termico (da temperatura ambiente fino a 200°C) il calore porta all’eliminazione dell’acqua residua d’impasto, non evaporata durante l’essiccamento, e la trasforma in vapore acqueo. Tra i 300°C ed i 600°C avviene la combustione delle materie organiche, che vengono eliminate per la maggior parte sotto forma di anidride carbonica e vapore acqueo. La reazione richiede abbondante atmosfera ossidante ed esotermica. Qualora l’ambiente di cottura sia riducente o scarsamente ossidante, la combustione resta incompleta, si forma ossido di carbonio che non trova sufficiente ossigeno per trasformarsi in anidride carbonica, quindi le sostanze organiche, almeno in parte, restano allo stato di particelle carboniose. Queste possono restare intrappolate nello spessore interno del manufatto, formando una zona nerastra dai confini

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irregolari, chiaramente visibile in sezione: è il caso di molti manufatti rinvenuti nel sito di Abu Erteila. Nell’intervallo di temperatura compreso tra i 450° e i 650° avviene la decomposizione dei materiali argillosi (illite, caolinite, montmorillonite ed altri) con liberazione dell’acqua chimicamente combinata sotto forma di ossidrili. A 573°C avviene la trasformazione di fase del quarzo (presente nell’argilla come degrassante naturale oppure aggiunto), che passa alla forma beta, con aumento di volume. Intorno agli 800°C avviene la dissociazione dei carbonati presenti nell’argilla; questa reazione si completa intorno agli 870°C. Superati gli 800°C avvengono una serie di reazioni chimico fisiche: le prime consistono nella formazione di composti molto complessi prevalentemente formati da silice e allumina (quali silicati di ferro e calcio, ferriti di calcio, altri composti silico-alluminosi) ad opera principalmente dei fondenti-leganti (calcite, ossidi e idrossidi di ferro) e dei minerali argillosi. La granulometria dei fondenti esercita una forte influenza: più essa è fine, maggiore è il potere legante. Subito dopo avvengono le reazioni fisiche che consistono nell’ammorbidimento di alcuni silicati, i quali assumono la funzione di “colla” nei riguardi dei componenti cristallini dell’argilla. Avviene così un consolidamento, ossia un inizio di sinterizzazione: i fondenti-leganti formano un sottile velo viscoso con l’avvio di una fase vetrosa che, pur essendo incompleta ed appena accennata, riesce a creare dei collegamenti tra tutti i componenti dell’argilla, cementandoli insieme. I granuli di quarzo molto fini si trasformano in silicati, i granuli più grandi subiscono l’inizio della fase vetrosa che ne può arrotondare il contorno. Si ha così la trasformazione della morbida argilla in corpo ceramico.

Nel caso del rivestimento applicato sul manufatto, il processo di sinterizzazione può avvenire con maggiore intensità poiché lo strato è molto sottile e composto da una miscela argillosa di granulometria molto fine, omogenea, ricca di ossidi di ferro. L’intensità maggiore o minore delle reazioni ora descritte ed i tempi sono influenzati dall’atmosfera di cottura, ossidante o riducente. Solitamente si ha una naturale alternanza del ciclo termico, il combustibile utilizzato brucia lentamente, quindi l’atmosfera diventa ossidante quando tutto il combustibile viene consumato, mentre è riducente nel momento in cui viene immesso altro materiale ad ardere, con l’emissione di fumi neri più o meno densi. Le fasi riducenti prevalgono al salire della temperatura e influiscono sulle reazioni chimiche ed il ripetersi e sovrapposti di fasi ossidanti e riducenti influisce sulla colorazione del corpo ceramico. Se si vuole ottenere atmosfera ossidante, viene rallentato l’apporto di combustibile, se invece si vuole atmosfera riducente viene immesso ulteriore combustibile al fine di incentivare la presenza di sostanze fumogene. In quest’ultimo caso, intorno alla temperatura massima di cottura, l’artigiano può provocare una fase fortemente riducente mediante l’immissione nella fornace di sostanze fumogene (soprattutto sostanze organiche), l’ingobbio acquista quindi colore nero per la trasformazione dell’ossido di ferro (ematite, rossa) in ossido ferroso (nero) e

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ossido ferroso ferrico (magnetite, nera). Sull’intensità del grado di nero influiscono la potenza del processo di riduzione e la durata della fase di cottura a temperatura massima.

La fase finale della cottura corrisponde alla temperatura massima raggiunta. Questo indica il momento in cui tutte le reazioni possibili a quella temperatura sono già avvenute. Al raggiungimento della temperatura massima segue un periodo più o meno lungo di mantenimento della stessa. La durata della temperatura massima è stimata in relazione alle dimensioni della fornace e a quella dei manufatti, quindi maggiori sono le dimensioni di fornace e manufatti, tanto più cresce la necessità di prolungare l’intervallo termico per riuscire ad uniformare la temperatura all’interno della camera di cottura. Successivamente inizia la diminuzione di temperatura ed il conseguente raffreddamento. Quest’ultima operazione è estremamente delicata, poiché nel manufatto possono verificarsi tensioni interne tanto più pericolose ora che è allo stato solido, dotato di coesione e durezza elevata. Inserita l’ultima carica di combustibile, viene chiusa la camera di combustione, lasciando aperti solo i fori all’interno della camera di cottura per permettere la fuoriuscita del vapore acqueo presente all’interno del forno. Così facendo, il calore si conserva a lungo e diminuisce lentamente. Nei focolari all’aperto, la diminuzione di temperatura ed il processo di raffreddamento sono solitamente casuali e non controllati.

Come detto in più volte, i materiali in catalogo provengono dal sito di Abu Erteila. il sito si trova a nord est della moderna città di Shendi, dista nove chilometri dalle più settentrionali necropoli di Meroe e meno di cinque dalla sponda orientale del Nilo. A pochi metri, lungo le sue propaggini occidentali, corre la moderna Tahadi Road, che collega Khartoum ad Atbara. All’estremità orientale dell’insediamento antico si trova il piccolo villaggio di Erteila, popolato essenzialmente da famiglie dedite alla pastorizia. Procedendo a nord, a meno di un chilometro si trova infine il sito di Awlib. A partire dal 2008, grazie alla sottoscrizione di un accordo di cooperazione internazionale tra l’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente (IsIAO) e l’Istituto di Studi Orientali dell’Accademia Russa delle Scienze (IOS-RAS) il sito è divenuto oggetto di regolare indagine da parte della missione italo-russa che vede come Condirettori responsabili de progetto Eugenio Fantusati in rappresentanza, dell’IsIAO ed Eleonora Kormysheva in rappresentanza dell’IOR-RAS.

La licenza di scavo accordata dalla NCAM (National Corporation for Antiquities and Museums of the Sudan) prevedeva una durata quinquennale del progetto poi rinnovata e interessa un’area approssimativamente rettangolare paria a 190x265 m. per una superficie totale di circa 50.000 metri quadrati, dei quali almeno 3.000 gravati da emergenze archeologiche. Il sito ha restituito strutture di notevole interesse, appartenenti ad un ampio arco cronologico, che va dal dall’era cristiana, con l’attestazione di un cimitero e tombe scavate in fosse, spesso rintracciate all’interno delle strutture preesistenti, fino al periodo meroitico. Il sito consta di una grande struttura palaziale collocata sul

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Kom I con più fasi di occupazione, e di una struttura templare, rintracciata sul Km II, datata gli ultimi anni di regno dei sovrani Natakamani ed Amanitore. Viene, quindi confermato il binomio tempio-palazzo e l’importanza cultuale del sito, rimarcata dal rinvenimento di numerosi oggetti interpretabili come donativi alla divinità tutelare del tempio, la cui identificazione è ancora oggetto di studio. La struttura di culto, così come indagata, presenta fase successive di rimaneggiamento e aggiunta di ambienti al suo interno. Il binomio palazzo-tempio, fa di Abu Erteila una possibile stazione di sosta durante il viaggio di incoronazione del sovrano che da Napata muove fino a Meroe.

Nel corso delle nove stagioni di scavo effettuate nel sito, il materiale ceramico rinvenuto è stato accuratamente indagato e catalogato secondo modalità ben precise. In primo luogo, durante le operazioni sul campo, si è provveduto a registrare i reperti mediante la ripartizione in “square”, in un secondo momento, al materiale prelevato è stato attribuito il numero relativo alla stanza. Pertanto, il materiale è indicato nelle schede del catalogo con la suddivisione in “square” rapportata poi alle diverse stanze di provenienza con indicazione della periodizzazione relativa alle fasi di uso dell’edificio.

Il materiale, una volta liberato dalla terra, e registrato in base al contesto di ritrovamento, è stato sottoposto al processo di lavaggio, facendo attenzione a non intaccare il rivestimento o la decorazione presente sulla superficie. La successiva operazione di asciugatura è stata effettuata all’ombra, al fine di non recare danni durante l’asciugatura, dovuti al ritiro dell’acqua. Una volta asciutti i materiali sono stati riposti in apposite buste/cassette con le relative indicazioni apposte all’interno e all’esterno del contenitore. Per i frammenti considerati diagnostici sono stati effettuati disegni e foto.

Alla fine di ogni stagione, il materiale è stato trasportato a Khartoum per essere conservato nei magazzini del NCAM.

Ad oggi la mole di materiale fittile portata alla luce, in gran parte in stato frammentario, supera le 10.000 unità, di queste, poche sono le forme conservate per oltre la metà e pochissime le forme intere. Si registra un gran quantità di pareti, essenzialmente riferibili a manufatti di grandi dimensioni interpretabili come giare per lo stoccaggio di liquidi e cibo, oltre ad un gran quantità di pareti dallo spessore inferiore ad 1cm riferibili a ciotole. Pochi ritrovamenti sono invece rappresentati dai fondi dei manufatti, da notare come, con molta probabilità, la maggior parte delle forme avesse il fondo in forma emisferica, e solo pochi esemplari recassero la presenza di un fondo piano.

Pochi anche i ritrovamenti riferibili a ceramica egg-shell e fineware, imputabili, per buona parte, a survey di superficie.

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Al fine di stabilire uno standard di registrazione per i manufatti è stata effettuata una tipologia di orli e fondi, indirizzata a suddividere le diverse tipologie di manufatti, data l’impossibilità di risalire alla forma intera. Successivamente è stata elaborata una tipologia di forme che comprende: giare con corpo tubolare lavorate al tornio, giare con corto collo e spalla pronunciata lavorate al tornio, giare globulari lavorate al tornio, giare con pareti “sinuose” lavorate al tornio, giare con pareti “modanate” lavorate al tornio, piccole giare con corto collo lavorate al tornio, giare globulari con orlo rientrante lavorate al tornio, giare globulari con orlo rientrante lavorate a mano, giare globulari con lungo collo lavorate a mano, giare/bacino, bacini, ciotole con orlo estroflesso a tesa breve lavorate al tornio,ciotole con orlo estroflesso a sezione rettangolare lavorate al tornio, ciotole con orlo arrotondato lavorate al tornio, ciotole con orlo piano modanato lavorate al tornio, ciotole con ingobbio bianco ed orlo arrotondato lavorate al tornio, ciotole brunite con colorazione scura lavorate al tornio, ciotole con orlo piano lavorate a mano, ciotole con orlo arrotondato lavorare a mano, ciotole brunite con colorazione scura lavorate a mano, piatti e piattini, brucia - incenso su alto supporto coppe e bicchieri con diverse tipologie di impasto.

Il catalogo dei materiali presentati, rappresenta solo una piccola parte di quello portato alla luce. iI reperti sono stati selezionati in base alla loro frequenza nel settore scavato, allo stato di conservazione e al coefficiente diagnostico insito nei frammenti.

L’esigua quantità di ritrovamenti (3 frammenti) riferibile alla presenza di anse, non è stata sufficiente per stilare una tipologia relativa ai manufatti presenti, ma indica comunque la presenza di brocche e anfore nel sito.

Al fine di redigere il catalogo è stata elaborata, dalla scrivente un’apposita scheda recante diverse voci. Nella prima parte è inserita la Foto del manufatto, ripreso sia nella sua parte esterna che nella sua parte interna; seguono una serie di informazioni raggruppate sotto la voce Riferimenti, si tratta di voci relative al contesto di ritrovamento del manufatto, contenute tutte nelle sigla apposta su di esso (Anno, Sigla, Square, Kom/Survey). A queste indicazioni si aggiunge la voce Scheda, che identifica il numero d’ordine attribuito al pezzo nel catalogo.

Successivamente si passa ad analizzare i dati relativi alle dimensioni, inseriti nel raggruppamento che prende il nome di Misure, in questa sezione si registrano dati riguardanti : Altezza, Larghezza,

Spessore e, ove definibile, Diametro del manufatto. Inoltre è stata aggiunta la voce Note, nella

quale inserire eventuali informazioni non indicate in altre voci.

Il successivo insieme di informazioni è indicato come Caratteristiche, qui viene analizzato il manufatto dal punto di vista tecnico. Le informazioni fornite, sono le seguenti: Stato di

conservazione, Materiale, Trattamento delle Superfici, Impasto, Foggiatura, colore interno e colore esterno del manufatto, presenza di ingobbio interno ed esterno.

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Dopo la sezione in cui vengono analizzate le caratteristiche tecniche del manufatto, si passa all’analisi della Decorazione apposta su di esso. Non tutti i manufatti presentano una decorazione, quindi il primo campo, Decorazione può o meno essere spuntato. Nel momento in cui viene spuntato, si passa alla compilazione dei successi che riguardano: i Motivi decorativi oggetto della raffigurazione, la Tecnica decorativa con cui sono realizzati e la Descrizione della decorazione presente.

Il raggruppamento seguente risponde soprattutto a criteri di carattere tipologico e grafico, le voci riportare riguardano: il Tipo di Orlo, il Tipo do Fondo, il Numero del Disegno così come il

Numero della Foto. Mentre il numero della foto è presente per tutti i manufatti, così come la foto

di ognuno, per il disegno il campo può restare vuoto. Stesso discorso vale per il tipo di orlo ed il tipo di fondo, chiaramente non sempre specificabili o identificabili.

I campi successivi riguardano la Forma e la Descrizione di questa.

Ultimo campo citato è quello riguardante Bibliografia e Datazione, in cui vengono registrati dati inerenti a questi due ambiti.

All’interno della scheda, molte delle voci sono a scelta multipla mediante l’utilizzo di menù a tendina. La struttura della scheda fornisce l’insieme dei dati raccolti per ciascun manufatto del sito, per un totale di 284 esemplari.

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