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Dalla probation alla messa alla prova per gli adulti: il ruolo del servizio sociale.

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INDICE

Sommario

INTRODUZIONE ... 2

PRIMO CAPITOLO ... 8

1. La genesi e l’inquadramento dell’istituto ... 8

1.1 Le differenze strutturali della probation nei diversi paesi ... 11

1.2 La probation nei diversi modelli processuali e la mediazione ... 12

1.3 Cosa è la mediazione ... 17

1.4 La mediazione penale ... 20

SECONDO CAPITOLO ... 23

2. L’evoluzione normativa del codice di procedura penale ... 23

2.1. Le modifiche introdotte dalla l.16 dicembre 1999, n. 479... 24

2.2. Assenza dell’imputato e prosecuzione del giudizio (art.420-bis c.p.p.) ... 26

2.3. La messa alla prova nel processo ordinario: le modifiche al codice penale ... 27

2.4. Quali sono le differenze tra concessione della MAP per i minorenni e quella per i maggiorenni ... 33

2.6. Le regole del Consiglio d’Europa in materia di Probation ... 40

2.7. Mettere alla prova la messa alla prova ... 43

TERZO CAPITOLO ... 45

3. La messa alla prova introdotta dalla l. n. 67 del 2014 ... 45

3.1. La revoca della messa alla prova ... 49

3.2. Cos’è l’U.d.e.p.e.? ... 52

3.3. Contatti con altri servizi e organi... 65

3.4. Qual è l’iter che deve essere seguito alla fine della concessione della sospensione con messa alla prova? ... 66

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3.6. Qual è la differenza con la sospensione condizionale della pena? ... 78 3.7. La messa alla prova nel processo a carico di imputati minorenni ... 80 3.8. Le sedi privilegiate per l’adozione della misura nel processo

minorile ... 82 QUARTO CAPITOLO ... 85 4.Premessa ... 85 4.1 Prima fase: aspetti quantitativi con l’introduzione della legge sulla

messa alla prova ... 87 Figura 5. Dove è stato svolto maggiormente, il lavoro di Pubblica

utilità. ... 90 4.2 Seconda fase: aspetti qualitativi dell’istituto della sospensione del

procedimento con messa alla prova. ... 91 Cambiamento di tipologia e target degli utenti... 99 Conclusioni ... Errore. Il segnalibro non è definito. RINGRAZIAMENTI ... 107 BIBLIOGRAFIA ... 109 SITOGRAFIA ... 111

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2 INTRODUZIONE

Il 17 maggio 2014 è entrata in vigore la legge 28 aprile 2014, n.67, avente ad oggetto le ‘‘Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio”. Tale norma ha inserito nel nostro ordinamento, l’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova per gli imputati o indagati maggiorenni, che ha una natura sia sostanziale che processuale. Tale duplice natura influisce sulla soluzione della questione relativa al diritto interpolare, evidenziando l’assenza di una norma transitoria che consenta di comprendere le sorti di procedimenti già in corso al momento dell’entrata in vigore della legge. Da questi elementi si può facilmente dedurre, come la natura mista del nuovo istituto e l’incompletezza del testo abbiano generato, sin dall’entrata in vigore della legge, molteplici criticità. Questo istituto, anche se ispirato da quello previsto per il processo penale a carico degli imputati minorenni, da questo si differenzia essenzialmente per le finalità rieducative del primo e le finalità deflattive del secondo. Tali differenze si ripercuotono sostanzialmente anche sui due benefici, al punto che la messa alla prova per i maggiorenni non avrà mai la stessa diffusione di quella prevista per i minori. E’ interessante evidenziare come con questa normativa emerga

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un nuovo modo di vedere il carcere, ossia non come un luogo di segregazione e di allontanamento dalla società, bensì come un momento di sollecito, predisposizione e mobilitazione di tutte le strutture sia materiali che psicologiche, necessarie al processo rieducativo del soggetto deviante.

Gli elementi caratterizzanti di tale riforma riguardano, da un lato, la ricezione della ideologia del trattamento rieducativo e dall’altro, l’introduzione di misure alternative alla detenzione. Il lato rieducativo ispira misure alternative quali l’affidamento in prova, la semilibertà e la liberazione anticipata, che si esprime attraverso il reinserimento del condannato nell’ambiente esterno, favorito dal sostegno fornitogli dal servizio sociale (CSSA).

Dopo il D.p.c.m. 84/2015, gli uffici distrettuali di esecuzione penale esterna (U.D.E.P.E.), sono articolazioni

territoriali del dipartimento dell’amministrazione

penitenziaria del ministero della giustizia e la loro organizzazione è disciplinata con regolamento adottato da

quest’ultimo. In questi uffici, troviamo diverse figure professionali, tra cui

gli assistenti sociali che svolgono diverse funzioni1:

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1. svolgono su richiesta dell’autorità giudiziaria, le inchieste utile a fornire i dati utili per l’applicazione, la modificazione, la proroga e la revoca delle misure di sicurezza;

2. svolgono le indagini socio-familiari per l’applicazione delle misure alternative alla detenzione;

3. attività di aiuto e controllo delle persone sottoposte alla prova e all’affidamento in prova al servizio sociale e di sostegno dei detenuti domiciliari;

4. attività di consulenza agli istituti penitenziari per il buon esito del trattamento penitenziario. Ritornando agli istituti precedentemente enunciati, hanno origine dalla probation, come vedremo nel primo capitolo. Essa ha origine nel XIX secolo negli Stati Uniti e consisteva nella sospensione della pronuncia di una condanna a pena carceraria, dove l’imputato, di cui sia stata accertata la responsabilità, ma a cui non era ancora stata inflitta una condanna, veniva lasciato libero sotto la supervisione di un soggetto esterno. Da quel momento, la probation si è progressivamente diffusa in molti paesi europei, negli Stati Uniti e nel Canada, differenziandosi in forme sempre più

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5

complesse.2 Tale diffusione, viene associata alle

innumerevoli ricerche delle scienze sociali e alle forti

pressioni da parte dei legislatori ad impegnarsi

maggiormente ad impiegare le risorse economiche pubbliche in modo efficiente ed efficace.

In sostanza, la sua diffusione è sempre più legata alle determinazioni di maggiori condizioni di sicurezza sia per la collettività che per ridurre il rischio di una recidiva3.

La scrivente ha scelto di analizzare questo tema così emblematico, a motivo della sua esperienza di tirocinio svoltosi presso l’UEPE di Pisa. Attraverso quell’esperienza si è avuto l’occasione di conoscere le diverse dinamiche, i diversi istituti che esistono in ambito carcerario, in particolare l’istituto della messa alla prova, che come si è evidenziato precedentemente, è molto recente e pieno di criticità. Tali criticità sono determinate dai suoi valori di fondo, basati sul modello di giustizia riparativa che pongono in primo piano la posizione della vittima, limitando così il ruolo dello Stato per esaltare quello della società civile. Quindi, in questo modello, il reato è inteso non soltanto come un’azione posta in essere contro lo Stato, ma

2 Il sistema di esecuzione penale esterna in Italia, anche se più lentamente rispetto gli

altri paesi, continua ad estendersi con l’obbiettivo di riuscire ad adeguarsi agli standard europei ed ai loro principi nelle recenti Regole europee sulla probation (2010).

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soprattutto contro la persona offesa. Nello stesso tempo, l’obiettivo della giustizia riparativa è quello di responsabilizzare l’autore del reato, facendogli comprendere in maniera totale la gravità del reato.

La Raccomandazione 1999 del Consiglio d’Europa ha evidenziato che tra le forme di giustizia riparativa più utilizzata, troviamo la mediazione, ossia un procedimento che permette, sia alla vittima che al soggetto che ha commesso il reato, di partecipare attivamente, con il loro libero consenso, alla attenuazione/risoluzione delle difficoltà scaturite dal reato con l’aiuto di un terzo soggetto indipendente, ossia il mediatore. In Italia, la mediazione penale veniva praticata già da decenni in ambito minorile, secondo gli artt. 9, 27 del D.P.R. 22 settembre del 1988 n.448, mentre è molto più recente nell’ambito dell’esecuzione dei condannati adulti, secondo l’art.27 comma 1 D.P.R. 30 giugno 2000 n.230, ‘‘Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà’’.

In questo momento, è di fondamentale importanza il ruolo dell’assistente sociale, in quanto è questa figura che aiuta a far emergere nel soggetto che ha commesso il reato un senso di colpa nei confronti dello stesso, e la voglia di riscatto e di cambiamento nella propria vita. In questo lavoro, verranno

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ampliamente analizzati tutti questi elementi ed elencate tutte le loro differenti caratteristiche.

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PRIMO CAPITOLO 1. La genesi e l’inquadramento dell’istituto

Nel complesso fenomeno della sospensione del processo penale, va certamente anche analizzata la disciplina della sospensione del processo penale minorile con messa alla prova. L’istituto si ispira alla probation del diritto anglosassone.

La probation è in origine, la sospensione della pronuncia di una condanna o pena detentiva comunemente chiamata ‘‘periodo di prova”, in cui l’imputato in questione, di cui sia stata accertata la responsabilità penale e a cui non sia stata ancora inflitta una condanna, è lasciato libero sotto la supervisione di un agente di probation (probation officer). Tra le caratteristiche principali dell’istituto, troviamo l’imposizione di determinati comportamenti imposti dal giudice (probation conditions), che il soggetto ha l’obbligo di rispettare. La probation ha origine in Inghilterra tra il XII ed il XIII secolo e ha origine dalla pratica della common law inglese e dalla nascita di alcuni istituti nati in quel periodo. Attraverso questi nuovi istituti, i giudici tentavano di lenire i principi troppo eccessivi della common law e a personalizzare le sanzioni a seconda delle diverse

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caratteristiche personali del soggetto in questione e del reato stesso.

John Augustus, calzolaio di Boston del XIX secolo4, viene

considerato il padre della probation.

Ciò deriva da un avvenimento particolare, ossia dalla sua decisione di pagare la cauzione per un soggetto alcolizzato, ritenendo che sotto la sua vigilanza, l’uomo avrebbe avuto un cambiamento. Tutto ciò avvenne. In quel momento, il giudice decise di lasciare libero il soggetto deviante e di condannarlo a una pena simbolica di un cent. Augustus ebbe da quel momento una carriera come addetto alla libertà vigilata che durò 20 anni. Naturalmente, non tutti i delinquenti venivano aiutati da lui aiutati, ma venivano sottoposti a una valutazione, svolta da lui stesso. Nella valutazione, venivano considerati diversi elementi, tra cui: il carattere del criminale, l’età, i luoghi e altri fattori che potrebbero influenzarlo.

Da quel momento J.Augustus, divenne il primo probation officer della storia e fu anche il primo ad utilizzare il

4 J.AUGUSTUS, A report of the Labors of John Augustus for the last ten years in

aid of the unfortunate,1852, in H.ABADINSKI, Probation and Parole, 27: ‘‘Quella

mattina incontrai un uomo in tribunale accusato di essere un alcolizzato. Egli mi disse che se gli fosse stata evitata la detenzione, non avrebbe mai più toccato alcun tipo di bevanda alcolica: decisi quindi di pagare la cauzione per ottenere la libertà provvisoria di quell’uomo, ritenendo che non fossero ancora venute meno tutte le speranze di recuperarlo”.

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termine “libertà vigilata’’, in riferimento al suo modo di trattare i soggetti devianti.

E’ necessario evidenziare, come questo sistema contenesse tutti gli elementi caratterizzanti della moderna probation: la sospensione condizionale della pronuncia di una condanna a pena detentiva, l’imposizione di determinate regole di condotte la cui inosservanza poteva determinare la revoca della sospensione, l’affidamento del soggetto ad una persona che si assumeva il compito di guidarlo durante il periodo di prova e la selezione dei soggetti in base alle caratteriste personali, familiari e sociali del soggetto in questione.

La probation per gli adulti è stata ufficialmente istituita negli Stati Uniti nel 1954, nonostante il parere contrario da parte della dottrina e dalla giurisprudenza, che non riconoscevano al giudice il potere di sospendere a tempo indeterminato l’esecuzione di una sentenza di una condanna, in quanto l’esercizio di tale potere era visto come una violazione del principio della divisione dei poteri.

E' cruciale una sentenza della Corte Suprema, con sentenza del 1916, che negò l’esistenza di un potere decisionale dei giudici, ma nello stesso tempo stabilì che tale potere possa essergli legittimamente conferito dal legislatore. Da quel momento la probation cominciò a diffondersi tra i diversi

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ordinamenti statunitensi, attraverso le spinte della c.d. juvenile probation, già sviluppata per i reati commessi dai soggetti minorenni.

1.1 Le differenze strutturali della probation nei diversi paesi

In Europa la probation ha costituito un espediente all’evidente inefficacia risocializzante delle pene detentive brevi ma ha avuto, specie inizialmente, differenti applicazioni nei diversi paesi. L’unico elemento comune era la non applicazione della sanzione.

Come già precedentemente accennato, nella versione anglosassone, la probation consisteva in una ‘‘sospensione della pronuncia della condanna”5, nella versione

franco-belga6 consisteva nella sospensione dell’esecuzione della

pena. Il modello tedesco prevedeva invece, che la sospensione dell’esecuzione dell’autorità venisse ordinata all’autorità amministrativa anziché al giudice.

Sono evidenti le differenze strutturali tra i due istituti: la sospensione della pronuncia di condanna che determina una sospensione del giudizio e in caso di esito positivo della prova, condiziona l’esito del procedimento penale. Nella versione franco-belga, la sospensione della esecuzione della

5 Nel 1879 il Summary jurisdiction Act comporta il primo riconoscimento legislativo

in Inghilterra della sospensione della pronuncia di condanna.

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pena invece, è un modo alternativo di scontare una pena detentiva che già esiste, con la condizione che il condannato eviti di avere nuovamente comportamenti delittuosi.

La forma di probation adottata in Europa è stata quella della sospensione dell’esecuzione della pena. In Belgio nel 1888, la Francia nel 1891, il Portogallo nel 1893, l’Italia nel 1904, la Svezia nel 1906 e la Grecia nel 19117.

1.2 La probation nei diversi modelli processuali e la mediazione

La principale funzione della probation è di offrire programmi di trattamento individualizzati che agevolano il recupero del condannato, evitando il danno che può derivare dalla detenzione presso un istituto di pena. Le origini della probation risalgono al sistema anglosassone, ma recentemente hanno ottenuto un pieno riconoscimento nella normativa internazionale.

La definizione del termine probation è contenuta nell’Appendice II della Raccomandazione R (2010) 1 del Comitato dei Ministri del Consiglio D’Europa (adottata dal Comitato dei Ministri il 20 gennaio 2010 durante una riunione dei Delegati dei Ministri): ‘‘tale termine descrive

7 T. Padovani, L’utopia punitiva, il problema delle alternative alla detenzione nella

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l’esecuzione in area penale esterna di sanzioni e misure definite dalla legge e pronunciate nei confronti di un autore di reato. Essa consiste in una serie di attività e di interventi, che comprendono: la supervisione, consiglio ed assistenza allo scopo di reintegrare socialmente l’autore di reato nella società e di contribuire alla sicurezza pubblica’’.

Come è stato già accennato, la sospensione del processo con messa alla prova ha inizialmente fatto ingresso nel nostro ordinamento soltanto a carico degli imputati minorenni e solo in un secondo momento a carico dei soggetti maggiorenni, attuando un passo importante per la nostra legislazione. Ciò nonostante, la messa alla prova introdotta dalla l. n. 67/2014 presenta caratteristica differenti rispetto a quella anglosassone e da quella applicata all’estero.

Quest’ultime sono un’alternativa alla espiazione della pena, intervenendo dopo una sentenza di condanna; mentre, la sospensione del processo con messa alla prova nel nostro paese, riguarda una fase antecedente alla emanazione della sentenza. A motivo di tali differenze, alcuni autori hanno definito la MAP8 come una forma di probation processuale9

nel senso che: ‘‘essa si colloca in una fase anteriore non solo alla determinazione e/o esecuzione della pena, ma anche

8 MAP: Messa alla Prova.

9 C. Losana, Commento all’art. 28 D.P.R. 448/88, in M. Chiavario, Commento al

codice di Procedura penale, Leggi collegate, I, II processo minorile, Torino, 1994,

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l’accertamento formale della responsabilità; interviene nel corso del processo e ne comporta la sospensione con lo scopo di consentire al giudice di valutare la personalità del maggiorenne o del minorenne all’esito della prova. Vanno comunque sempre tenute distinte le diverse finalità di questi procedimenti: nel caso dei minorenni, che ha finalità totalmente riabilitative, da quella introdotta in Italia per i maggiorenni, che ha sia finalità deflattive che riabilitative10”.

Da questi elementi si può facilmente comprendere come la messa alla prova per gli adulti sia molto differente da quella minorile. Quest’ultimo, da un lato ha come obiettivo quello di limitare la detenzione dello stesso, dall’altro ha come intento di indurlo non solo a non commettere altri reati ma ad attivarsi positivamente in un percorso di maturazione che gli permetta di disassociarsi totalmente dal suo precedente stile di vita deviante. Mentre il nuovo istituto nasce a causa di un necessario cambiamento del sistema processuale e sanzionatorio che dovrà favorire ‹‹il ricorso a sanzioni non penali o comunque alternative alla detenzione›› e a ‹‹porre un più efficace meccanismo di doppio binario processuale, idoneo a selezionare per la trattazione con il rito ordinario i procedimenti meritevoli dell’accertamento dibattimentale,

10 M. Letizia Galati-Lucia Randazzo, La messa alla prova nel processo penale,

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implementando, per tutte le altre ipotesi, modalità alternative di definizione degli affari penali11››. E’

necessario sottolineare, che esistono altri fattori che hanno facilitato le caratteristiche di questo istituto, che riguardano la questione del sovraffollamento delle carceri e quella delle continue condanne da parte della Corte Europea dei diritti dell’uomo per violazione dell’art.312 della Convenzione

europea13.

Inoltre, il legislatore si è focalizzato sulla riparazione e sulla mediazione, considerando il soggetto, autore dell’atto deviante, non soltanto come il destinatario di una sanzione penale, ma anche come una persona che debba essere stimolata ad attivarsi per l’eliminazione del danno patito dalla vittima dell’illecito penale14. Quindi, non esiste più un

vincitore o un vinto: i soggetti non sono più uno contro l’altro, ma vengono ‹‹inseriti in una circolarità di relazioni, reciproche, responsabili, necessarie e da salvaguardare per una sicurezza che è condivisione e non divisione ed

11 F. FIORENTIN, Rivoluzione copernicana per la giustizia riparativa, in Guida dir.,

2014, n 21.

12 Art.3 della Convenzione europea: Nessuno può essere sottoposto a tortura né a

pene o trattamenti inumani o degradanti.

13 Corte europea dei diritti dell’uomo, Sez. II,16 luglio 2009, Sulejeimanovic c.

Italia, in Rass,pen. e crim., 2009, 1975

14 FIORENTIN, Rivoluzione copernicana per la giustizia riparativa, cit., 64. Sul

punto cfr., anche, Marandola, La messa alla prova dell’imputato adulto: ombre e

luci di un nuovo rito speciale per una diversa politica criminale, in Dir. proc. pen.,

2014, 676, a parere della quale la messa alla prova dell’imputato adulto va inserita nel solco della giustizia riparativa, ‹‹ossia di quel modello di giustizia più mite e meno repressivo, alternativo al processo e basato su un paradigma riabilitativo e conciliativo, conferendo al processo e alla pena un ruolo di extrema ratio, limitato alle sole ipotesi di esito negativo della prova››.

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esclusione›› (Foddai 200915; Scaparro 200116;Vezzadini

201217).

Inoltre, è necessario evidenziare, quanto il legislatore nazionale si sia mostrato sensibile a ciò che stato statuito dalla normativa comunitaria, prevedendo nell’art. 464-quater, comma 3,c.p.p. la possibilità per il giudice di condizionare la decisione sulla messa alla prova alle esigenze di tutela della persona offesa dal reato, tenendo conto dei principi espressi nella direttiva 2012/29/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012. La direttiva in oggetto, prevede la disciplina dei servizi di giustizia riparativa (restorative justice); e inoltre, viene estesa la definizione di ‘‘vittima del reato” sino a comprendere la c.d. ‘‘vittima indiretta”, cioè il familiare di una persona, la cui morte deriva direttamente dal reato e che ha subito un danno a causa di tale evento18.

In questo contesto, l’autore del reato, ha la possibilità di legittimarsi all’interno di un contesto sociale che altrimenti, lo vedrebbe solamente stigmatizzato nel ruolo di solo autore di reato e non di membro della collettività. Allo stesso tempo, ‹‹la vittima vedrebbe riaffermata la propria posizione di soggetto della comunità, le verrebbe riconosciuta la

15 M.A. Foddai, La scelta della mediazione. Itinerari ed esperienze a confronto,

Giuffrè, 2009.

16 F. Scaparro, Il coraggio di mediare, Guerini e Associati, 2001.

17 S. Vezzadini, La giustizia come ‘‘riconoscimento”, Milano, FrancoAngeli, 2012. 18 M. Letizia Galati, La messa alla prova nel processo penale, cit., p.136.

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sofferenza patita, e verrebbe ristorato nella perdita; le emozioni negative (rabbia, vergogna) che la vittima in questione ha sviluppato dopo l’evento che l’ha resa tale, alimentano altri sentimenti negativi, come la vendetta e il rancore, che intrappolano il soggetto in questione, nello status di soggetto oppresso››19

1.3 Cosa è la mediazione

Per poter comprendere più adeguatamente cosa sia la mediazione, è essenziale analizzare la prospettiva filosofica nata intorno a tale argomento. Essa viene intesa come una vera e propria esperienza umana e lo si comprende, dalla definizione datale da Morineau (2000),20 ‹‹si tratta di

quell’attività che consente di superare l’atteggiamento di un pensiero che registra semplicemente i dati che si presentano nell’esperienza per riconoscere come è proprio dell’essere dell’uomo il portarsi al di là del dato21››.

In generale, la mediazione viene considerata come un importante occasione per riaprire una comunicazione che ha subito una profonda interruzione o nei peggiori dei casi, una totale rottura. A quel punto, le parti in causa, potrebbero riuscire ad avere una diversa percezione l’una dell’altra e

19 Cfr. S. Vezzadini, La vittima di reato tra negazione e riconoscimento, Clueb,

2012.

20 Jacqueline Morineau è fondatrice del Centre de Médiation et de Formation à la

Médiation di Parigi.

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scoprire un nuovo modo di comunicare, con delle nuove regole, utili ad affrontare il disagio che le vede coinvolte. Infatti, è solo attraverso il reciproco rispetto e dei rispettivi tempi, che il conflitto può diventare più pacifico. Ottenere ciò non è assolutamente facile, è richiesta tanta energia e viene ‹‹imposta la promozione e la tolleranza verso un possibile cambiamento che esige una creatività sempre più rinnovata e rigeneratrice››22. Da ciò, si comprende

l’obiettivo della mediazione: ossia la realizzazione di un progetto di ristrutturazione delle relazioni, determinato dall’avvicinamento delle parti e agevolare l’interazione e lo scambio, rispettando la diversità reciproca. Quindi, nessuno può decidere per l’altro.

E’ interessante, come Jean Pierre Bonafè-Schmitt23,

definisce la mediazione in un suo recente libro: ossia come ‹‹un processo spesso formale, con il quale un terzo, che rappresenta una figura neutra, tenta di mediare i diversi punti di vista delle parti e di cercare, con il suo aiuto, una probabile soluzione al conflitto che li oppone››24. Questo

autore, insieme ad altri (Ponti,199425; Pisapia,1993 26;),

danno un valore funzionale alla mediazione in tutti i campi

22 G. Mannozzi, La giustizia senza spada. Uno studio comparato su giustizia

riparativa e mediazione penale, Giuffrè, 2003.

23Jean-Pierre Bonafé-Schmitt è uno specialista in mediazione scolastica e

mediazione cittadina in Francia.

24 Jean-Pierre Bonafé-Schimitt, Mediazione penale in Francia e Negli Stati Uniti,

LGDJ, 2010.

25 G. Ponti, Compendio di criminologia, Cortina, 1994.

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sociali; infatti, sostengono che essa non possa essere la soluzione solamente in campo giuridico. Inoltre, affermano che se ci fossero più iniziative del genere, si potrebbe assistere ad un crescente cambiamento di paradigma in materia di risoluzione dei conflitti nei diversi ambiti, attraverso il superamento della logica giudiziaria del “vincente/perdente’’.

A causa di tutti questi elementi, è difficile dare una definizione completa al fenomeno della mediazione, ma può essere considerato uno strumento umile, dalle grandi potenzialità e che spesso riesce a toccare alcune delle parti più nascoste dell’uomo.

In questo fenomeno, troviamo diversi approcci e diverse modalità di applicazione: la prima, riguarda l’affidare la risoluzione del conflitto nelle mani di una terza persona (mediatore) che applicherà alcune strategie prestabilite per ricercare un compromesso tra le parti; la seconda, riguarda la pratica del problem solving, basata sul soddisfacimento degli interessi delle parti tramite una terza persona; la terza, che riguarda un ‘‘rito di trasformazione delle persone coinvolte”27.

Secondo questo autore, la mediazione ‹‹rappresenta uno spazio e un tempo nel quale il caos, la sofferenza, possono

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trovare espressione purché non vengano né negati, né repressi: la mediazione è infatti dar voce a questi sentimenti; cioè occuparsi del disordine per trasformarlo in ordine››)28.

1.4 La mediazione penale

La mediazione penale rappresenta uno strumento operativo, caratterizzato dall’utilizzo di strumenti che promuovono la riconciliazione tra due soggetti (imputato e la parte offesa), attraverso una riparazione simbolica e materiale delle conseguenze negative derivanti dal conflitto. Tutti questi elementi, caratterizzano la Giustizia riparativa che non si amministra attraverso un processo, non esiste una pena e soprattutto non esiste la logica di buoni/cattivi o vincitori/vinti, ma si concentra sulla natura relazionale del fenomeno criminoso.

Secondo l’International Scientific and Advisory Council (ISPAC)29, le modalità con cui la giustizia riparativa agisce

sono:

• organizzare incontri tra vittime e autori di reati simili a quello subito dalle vittime;

28 Ibidem.

29 ISPAC (International scientific and professional advisory council of the United

Nation): L’assemblea generale delle Nazioni Unite con la risoluzione 45/107, ha chiesto una maggiore partecipazione alle Orgaizzazioni Non Governative, con lo scopo di chiedergli maggior impegno per la piena realizzazione dei mandati di prevenzione del crimine e giustizia penale e di disporre maggiori risorse e conoscenze tecniche e scientifiche per la cooperazione internazionale in questo ambito.

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• un’attività lavorativa a favore della vittima stessa; • lo svolgimento di un’attività lavorativa a favore della

collettività;

• la mediazione tra l’autore del reato e la sua vittima. Attraverso la giustizia riparativa, viene introdotta e promossa “un’etica della premura’’: che si basa sulla dedizione e sull’impegno verso i veri bisogni dei soggetti coinvolti in un determinato fatto-reato ai quali si richiede la partecipazione per il ripristino del danno recato. Durante il processo, viene riconosciuta alla vittima un’attenzione e una considerazione dalle strutture tradizionali incaricate di occuparsi della risoluzione delle controversie. Un elemento importante nelle misure riparative è la libertà nell’adesione da parte dei soggetti in questione, a compiere i passi adeguati per determinare la risoluzione del conflitto. Lo scopo di questo percorso è quello di far acquisire consapevolezza e un forte senso di responsabilità nei confronti dell’altro, in modo da coesistere, per essere ‘‘manifesti insieme’’30.

In Italia, in ambito civile, è stato fatto un grande passo avanti, attraverso l’art.29 del decreto legislativo 274 del 2000. Essa prevede che il Giudice di Pace, laddove riconosca la possibilità di una conciliazione tra le parti,

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22

possa, durante la prima udienza, decidere di rimandare il tutto per un periodo non superiore ai due mesi, per ricorrere allo strumento della mediazione di centri sia pubbliche che private presenti nel territorio. Il giudice di pace, durante tutto il procedimento, deve far in modo di favorire la conciliazione fra le parti. In sostanza, i reati attribuiti alla competenza del giudice di pace vede come protagonisti familiari o vicini di casa e spesso si tratta di conflitti di lunga durata e che se gestiti male potrebbero determinare l’instaurazione di procedimenti penali, che spesso terminano con una cronicizzazione del conflitto. Nello specifico, i reati che sono oggetto di mediazione sono: minaccia, percosse, danneggiamento e l’ingiuria.

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SECONDO CAPITOLO

2. L’evoluzione normativa del codice di procedura penale Sia il codice di procedura penale del 1865 che quello del 1913, si sono mostrati molto duri nei confronti dell’imputato. In particolare, il codice del 1865 escludeva il diritto alla difesa nel diritto contumaciale31, mentre quello

del 1913 impediva al contumace di fornire prove della sua innocenza.

Invece, presentava caratteristiche differenti il codice del 1930, che disciplinava il giudizio contumaciale nell’ambito dei ‘‘giudizi speciali” e prevedeva, attraverso la rappresentanza dell’imputato da un difensore, lo svolgimento del giudizio secondo le forme ordinarie.

Il nuovo codice di procedura penale ha seguito una linea ispiratrice di carattere innovativo, in forza della quale veniva data importanza al carattere di non colpevolezza della non comparizione dell’imputato

31 Contumacia: Condizione dell’imputato in una causa penale, che senza valido

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24

. E’ stato disciplinato, in maniera esplicita, sia per quanto riguardano i presupposti, che per le relative conseguenze sul piano processuale, l’istituto dell’assenza. Successivamente, il legislatore ha ribadito che il processo contumaciale debba seguire le forme ordinarie inserendo, nel corpo dell’art.520

c.p.p.32 l’importante innovazione della notifica al

contumace, oltre che all’assente, dell’estratto del verbale annunciante la modifica dell’imputazione ovvero la contestazione di reati connessi e di circostanze che potrebbero peggiorare la sua situazione.

2.1 Le modifiche introdotte dalla l.16 dicembre 1999, n. 479 Con la legge del 16 dicembre 1999, n.479 (legge Carotti), il legislatore ha introdotto delle importanti modifiche negli istituti della contumacia e dell’assenza.

Tra queste, troviamo: il trasferimento della relativa disciplina nell’ambito della regolamentazione dello

svolgimento dell’udienza preliminare, prevedendo

solamente alcune modifiche non rilevanti ai fini della complessiva lettura del sistema. Tale modifica è stata fatta, con l’obiettivo di potenziare i meccanismi diretti ad

assicurare l’integrità contraddittoria sin l’udienza

preliminare, conseguentemente alle disposizioni contenute

32 Il comma 1 dell’art.520 c.p.p., è stato modificato dall’art. 10, comma4, della l.28

aprile 2014, n. 67, che ha eliminato la figura della contumacia, venendo rimpiazzata dalla figura dell’assenza dell’imputato ex art. 420 bis.

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25

negli artt. 421-bis e 422 c.p.p., che hanno notevolmente accresciuto l’ambito delle attività esercitabili in tale sede; specie, quelle che riguardano l’integrazione probatoria azionabili d’ufficio, o quelle che riguardano l’ampliamento delle regole di giudizio dettate dall’art. 425 c.p.p33.

L’obiettivo del legislatore era quello di permettere la celebrazione del procedimento, in tutti quei casi, in cui sia stata accertata la conoscenza della pendenza del procedimento dall’imputato stesso. Nel caso contrario, il legislatore prevede che sia necessaria la sospensione del giudizio, prevedendo che il giudice si occupi di effettuare periodiche ricerche dell’imputato. Quindi, in tutti i casi di mancata presenza dell’imputato, sono riconducibili alla fattispecie dell’assenza, ma solo alcune di esse sono idonee a consentire la prosecuzione del giudizio.

In sostanza, il giudice deve svolgere d’ufficio, ai sensi dell’art. 420 bis, un ‹‹accertamento dell’avvenuta a conoscenza da parte dell’imputato: se non ve ne è dimostrazione, si attiva un meccanismo che preveda il tentativo di notifica a mani proprie da parte della polizia giudiziaria e, in caso di esito negativo, la sospensione del processo››.34

33 Attilio Mari-Sabina Calabretta, La sospensione del procedimento, Giuffrè, 2014. 34 M. Galati, op. cit., pag. 60.

(27)

26

Tale legge, dà importanza alla presenza di alcuni fatti o anche chiamati indicatori sintomatici che sono: nomina di difensore di fiducia, indicazione di un domicilio, arresto o sottoposizione a misura cautelare, notifica a mani proprie, esistenza di altri elementi che dimostrino l’avvenuta a conoscenza, da parte dell’imputato, del procedimento.

2.2. Assenza dell’imputato e prosecuzione del giudizio (art.420-bis c.p.p.)

I casi in cui il giudice, nonostante l’assenza dell’imputato decida di disporre la prosecuzione del giudizio, quando non risulti che il soggetto in questione, sia impedito a comparire si concretizzano nei casi, previsti dal nuovo art. 420-bis c.p.p., in cui l’imputato35:

• abbia espressamente rinunciato a comparire, libero o detenuto;

• abbia effettuato una dichiarazione o elezione di domicilio, durante il procedimento;

• sia già stato sottoposto ad arresto in flagranza o a fermo quale indiziato di delitto oppure sia stato sottoposto a misura cautelare;

• abbia nominato un difensore di fiducia;

• abbia personalmente ricevuto la notificazione dell’avviso di udienza;

(28)

27

• sia certo che l’imputato sia a conoscenza del procedimento;

• risulti con certezza che si sia volutamente sottratto alla conoscenza del procedimento o ad atti del medesimo.

Laddove, la notificazione non risulti possibile e non ci siano i presupposti per la pronuncia di una sentenza ai sensi dell’art. 129 c.p.p., il processo verrà sospeso per un anno; applicando l’art. 18, comma 1. Alla scadenza del termine annuale, il giudice dispone nuove ricerche dell’imputato e provvede nello stesso modo a ogni nuova scadenza annuale (art.420-quinquies: Nuove ricerche dell’imputato e revoca della sospensione del processo).

2.3. La messa alla prova nel processo ordinario: le modifiche al codice penale

L’articolo normativo che introduce la messa alla prova è costituito da numerose disposizioni, inserite sia nel codice sostanziale che nel codice di rito. L’istituto della messa alla prova, introdotta dalla legge 28 Aprile 2014, n.67 (Deleghe al Governo in Materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio) ha effettuato delle importanti modifiche:

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28

1) al codice penale, con l’introduzione della sospensione del procedimento con messa alla prova agli imputati maggiorenni, con l’introduzione di disposizioni penali contenute negli art.168-bis, ter e quater c.p.;

2) al codice di procedura penale, con l’introduzione dell’art.464-bis, ter, quater, quinquies, e dell’art. 657-bis c.p.p., che riguardano il periodo della messa alla prova; 3) alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie al codice civile di procedura penale (d.lgs. 28 luglio 1989, n.271);

4) al D.P.R. 14 novembre 2002, che riguarda il testo unico delle disposizioni legislative in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti.

L’obiettivo di tutte queste novità legislative è quello della deflazione carceraria. In pratica, lo Stato rinuncia all’esercizio di tipo punitivo quando ‹‹il percorso di prova, che coinvolge anche la vittima del reato, abbia dato esito positivo. L’istituto mira a offrire ai condannati per i reati di minore allarme sociale un percorso di reinserimento

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29

alternativo e, nello stesso tempo, svolgere una funzione deflattiva dei procedimenti penali››36.

Infatti, lo scopo della probation è quello di riconsiderare l’intero sistema processuale e sanzionatorio che vuole: ‹‹incoraggiare l’uso delle misure alternative alla detenzione e a porre un più efficace meccanismo processuale, idoneo a selezionare per la trattazione con il rito ordinario i procedimenti riferiti a fatti, veramente meritevoli dell’accertamento dibattimentale, attuando, per tutte le altre ipotesi, modalità alternative di definizione degli affari penali, per raggiungere, così, un’equilibrata de-carcerizzazione e a conferire effettività al principio del minor sacrificio possibile per la libertà personale››37.

Secondo l’art.168-bis c.p., comma 2 ‘‘La messa alla prova comporta: la prestazione di condotte che eliminino le conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, e laddove sia possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato. Ciò determina inoltre, l’affidamento al servizio sociale, per lo svolgimento di un programma che può implicare, anche lo svolgimento di un’attività di volontariato di rilievo sociale, e l’osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura

36 A. Marandola, La messa alla prova dell’imputato adulto: ombre e luci di un nuovo

rito speciale per una diversa politica criminale, in Dir. pen. e proc., 2014.

37 G. Tabasco, La sospensione del procedimento con messa alla prova degli imputati

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sanitaria, alla dimora, alla libertà di movimento e al divieto di frequentare determinati locali”.

L’art. 168-bis c.p. prevede che, dopo l’esercizio dell’azione penale, l’imputato possa chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova, se ha compiuti dei reati puniti con la sola pena pecuniaria, per i reati punibili con la pena detentiva non superiore ai quattro anni, resistenza a un pubblico ufficiale (art.337 c.p.), rissa aggravata (art.588, comma2, c.p.), furto aggravato (art. 625 c.p.) e ricettazione (art.648 c.p.). Inoltre, tale disposizione, prevede che ‹‹la sospensione non possa essere chiesta nei procedimenti riferiti ai reati previsti dall’art. 173-bis del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n.58, e successive modificazioni, ma anche dagli articoli 2621 e 2624 del codice civile››38.

Un elemento che è necessario evidenziare, è che la sospensione con messa alla prova è ammissibile solo per determinati procedimenti di competenza del giudice di pace, come previsto dall’art. 2 della legge 28 agosto 2000, n.274. In questo caso, l’obiettivo del giudice di pace in materia penale è quello di tentare una conciliazione tra l’imputato e persona offesa. Come è stato già detto, la competenza del

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31

giudice di pace in materia penale, riguarda solamente determinati reati che sono:

• percosse;

• lesioni personali;

• determinati casi di infortuni sul lavoro con durata superiore a venti giorni;

• ingiuria; • diffamazione; • minacce; • furto;

• deviazione di acque o modifica di luoghi; • danneggiamento.

Ritornando alla messa alla prova, è necessario mettere in risalto un elemento, che è previsto dall’art.168-bis, comma 4 c.p.; secondo cui: la sospensione del procedimento per messa alla prova non può essere concessa più di una volta, questa limitazione è prevista indipendentemente dall’esito positivo o negativo della prova e il suo concretizzarsi, è determinato dalla circolazione del relativo dato informatico. Inoltre, nei casi in cui nei confronti dello stesso soggetto vengano contestati, nello stesso procedimento, più reati è ragionevole pensare, a causa del silenzio della norma, che la messa alla prova possa essere applicata nei confronti

(33)

32

dell’imputato in riferimento a tutti i reati e quindi, si svolgerà nello stesso procedimento.

Tale legge, nel comma 5, prevede che la sospensione del procedimento con messa alla prova non sia prevista, per quei soggetti che siano stati dichiarati: delinquenti, contravvenenti abituali o per tendenza. Un altro requisito dell’ordinanza di sospensione del procedimento, è quello previsto dall’art.464-quater comma 3 c.p.p.: ossia, è disposta quando il giudice avrà ritenuto idoneo il programma di trattamento presentato, e che l’imputato si asterrà dal commettere altri reati. Questo requisito, risulta consono sia alle finalità complessive dell’istituto (probation), sia alla generale disciplina delle condizioni soggettive di ammissibilità.

E′ interessante sottolineare, che la legge non dice nulla in riferimento all’imputato recidivo; quindi, il giudice, dovrà

tener conto del comportamento dell’imputato

antecedentemente alla commissione del fatto. L’eventuale recidiva, determinerà la necessità di una più approfondita valutazione da parte del giudice.

Detto ciò, è facilmente deducibile che la legge consenta al giudice, ai fini della prognosi, di valutare ogni elemento utile, anche con riferimento all’evoluzione della personalità dell’imputato all’esito del programma e della prova. Il

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33

riconoscere al giudice il potere di proiettare il giudizio prognostico anche prima del termine della prova, significa riconoscere, anche se potenzialmente, la funzionalità della prova. In sostanza, il compito del giudice, sarà quello di valutare se le condotte riparatorie siano sufficienti a soddisfare le esigenze di disapprovazione e di prevenzione del reato.39

‹‹E′ necessario evidenziare, che l’impegno risarcitorio viene condizionato all’impegno risarcitorio ai fini dell’accesso al beneficio con la conseguente revoca o esito negativo, se la prestazione risarcitoria non fosse avvenuta››40.

2.4. Quali sono le differenze tra concessione della MAP per i minorenni e quella per i maggiorenni?

Analizzando l’istituto della concessione della messa alla prova per i minorenni, regolamentato dall’art. 2841 del D.

P.R. 22 settembre 1988, n.448 si evince, una prima differenza con la messa alla prova introdotta dalla l. n. 67

39 A. T. D’ Elisiis, La messa alla prova per l’imputato, procedura e formulario,

Maggioli, 2014, pp. 23-24.

40 G. Mastropasqua, I percorsi di giustizia riparativa nell’esecuzione della pena, in

Giur. merito, 2007, p. 881.

41 Art. 28: ‘‘Sospensione del processo e messa alla prova”: il giudice, sentite le parti,

può disporre con ordinanza la sospensione del processo quando ritiene di voler valutare la personalità del minorenne all’esito della prova disposta dal comma 2. Con tale ordinanza, il giudice affida il minore ai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia per lo svolgimento, anche in collaborazione con i servizi locali, delle opportunità di osservazione, trattamento e sostegno. Con il medesimo provvedimento, il giudice può dare delle prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e promuovere la conciliazione del minorenne con la parte offesa dal reato. La sospensione è revocata, in caso di ripetute e gravi trasgressioni alle prescrizioni imposte.

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34

del 28 aprile del 2014, che consiste nel fatto che l’accesso al beneficio per i minorenni non pone limiti di pena. Mentre, nell’art. 168-bis c.p.p., che introduce la messa alla prova anche nei confronti dei maggiorenni, esistono dei limiti ben specifici.

I presupposti soggettivi nel procedimento penale minorile, per la concessione della sospensione con messa alla prova, sono legati alla valutazione della personalità del minore, così come previsto dall’art. 28 del decreto del Presidente della Repubblica n.448 del 1988. Nello specifico, il giudice valuta la circostanza che ha determinato il compimento del reato compiuto dal minore e soprattutto se quest’ultimo, è indice di una scelta di vita o il manifestarsi di un temporaneo disagio adolescenziale, che potrebbe essere superato attraverso l’impegno del minore in un progetto di vita socialmente integrato.

Nel caso di sospensione con messa alla prova nel procedimento nei confronti dei maggiorenni, il giudice, secondo l’art.464-septies c.p.p., se ritiene che la prova abbia avuto esito positivo, in base alla relazione conclusiva dell’Ufficio di esecuzione penale esterna (U.e.p.e), dichiara con sentenza estinto il reato.

In caso contrario, il giudice può disporre con ordinanza che il processo riprenda il suo corso. Per quanto riguarda il

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35

consenso per beneficiare della sospensione con messa alla prova, nel caso di imputati/indagati maggiorenni, deve essere manifestato personalmente o mediante procuratore speciale con una sottoscrizione autenticata nelle forme previste dall’art.583, comma 3 (art.464-bis, comma 3, c.p.p.); nel processo minorile, invece, la dottrina ritiene, che il consenso del minore sia un presupposto sottinteso alla sottoposizione del programma di trattamento.

Nella messa alla prova a carico di minorenni, come già precedentemente accennato, ha come obbiettivo il recupero e la rieducazione del minore. Secondo l’ordinamento della Corte di Cassazione ‹‹Nell’ambito del giudizio minorile, l’ammissione alla messa alla prova dell’imputato con sospensione del processo è strettamente correlata alla decisione del giudice, circa la possibilità di rieducazione e di inserimento del soggetto nella vita sociale ed è espressione di un giudice prognostico, basato sull’analisi di diversi indicatori, correlati sia al reato commesso, sia alla personalità del reo, da lui manifestati, dopo il compimento del reato››42.

Inoltre, il comma 2 dell’art.28 prevede, che il processo venga sospeso per un periodo non superiore ai tre anni, quando si procede per i reati per i quali è prevista la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore ai dodici

(37)

36

mesi. Durante tale periodo, il corso della prescrizione è sospeso. Con l’ordinanza di sospensione, il giudice il minore ai servizi minorili che si occuperanno dell’osservazione, del trattamento e del sostegno del minore stesso.

Il giudice, decorso il periodo di sospensione e dopo aver valutato il comportamento del minore, dichiara estinto il reato, se la prova ha dato esito positivo.

E’ evidente, un’altra differenza sostanziale tra i due istituti: per i minori, è il giudice che sentite le parti, dispone la messa alla prova; mentre, per gli adulti è l’imputato che, ai sensi dell’art.464 bis c.p.p. può chiedere personalmente o tramite un procuratore speciale e successivamente il giudice, dopo aver sentito le parti, ma soprattutto la parte lesa, decide se ammettere l’imputato all’istituto.

In questo caso, nel prendere tale decisione, il giudice valuta diversi elementi, tra cui: la responsabilità dell’imputato per il reato contestato, la volontà, da parte dell’imputato, di non commettere altri reati, il programma di trattamento e la sua idoneità anche in riferimento alle prescrizioni riparatorie e dalla sua stessa funzione risocializzativa e, infine, l’effettiva volontà dell’imputato in ordine alla richiesta.

Se il giudice, dovesse ritenere che la prova abbia avuto esito negativo, nel caso di trasgressioni al programma, di non

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37

osservazione delle prescrizioni imposte dal programma, di mancata esecuzione del lavoro di pubblica utilità o di commissione di un nuovo reato, revocherà mediante ordinanza la sospensione con messa alla prova del procedimento e riprende il procedimento, facendolo regredire al momento in cui era stato sospeso (art.464-octies c.p.p.).

Nel caso contrario, cioè se l’imputato ha rispettato tutte le prescrizioni, il giudice dichiara estinto il reato. Il lavoro di pubblica utilità consiste in una prestazione lavorativa non retribuita, affidata tenendo conto delle attitudini lavorative dell’imputato, ha una durata non inferiore ai 10 giorni, anche non consecutivi, in favore della collettività, da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le aziende sanitarie o enti o organizzazioni, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato. Ovviamente, la prestazione è svolta con modalità che non compromettano le esigenze lavorative, di studio, di famiglia e di salute.

L’art.8 della l.n. 67 del 2014, ‘‘Regolamento del Ministro della giustizia per disciplinare le convenzioni in materia di pubblica utilità conseguente alla prova dell’imputato”, prevede che ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988 n.400 il Ministro della Giustizia, entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge adotti un regolamento

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38

allo scopo di disciplinare le convenzioni che il Ministro di Giustizia può stipulare con gli enti e le organizzazioni enunciate del terzo settore dell’art.168-bis c.p. Inoltre, le convezioni verranno pubblicate nel sito internet del Ministero della giustizia.

E′ necessario evidenziare, che la sospensione del procedimento con messa alla prova, non è prevista: art.102 (abitualità presunta dalla legge), art.103 (abitualità presunta dal giudice), art. 104 (abitualità nelle contravvenzioni), art.105 (professionalità del reato) e per l’art. 108 (tendenza a delinquere). Nonostante tali differenze, ci sono delle similitudini, ossia entrambi presuppongono un affidamento fiduciario, affidato dallo Stato nel comportamento adeguato alla legge da parte dell’imputato e, che lo Stato rinunci alla sua legittima pretesa punitiva dove ‘‘il reo ceda la sua disposizione al reato”43.

2.5. Assicurazione INAIL per i soggetti impegnati in lavori di pubblica utilità

E′ importante analizzare un importante innovazione in campo legislativo, si tratta dell’art. 1, comma 312 della legge 28 dicembre 2015, n.208, che prevede la copertura assicurativa a carico del Fondo sperimentale istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ai soggetti

43 Fassone, Probation e affidamento in prova, in Enc. dir., vol. XXXV, Giuffrè,

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39

ammessi al lavoro di pubblica utilità, per i reati di lievi entità in materia di violazione della legge sugli stupefacenti e imputati con sospensione del processo per messa alla prova. Tale fondo, per effetto della legge di bilancio 2018, ha ricevuto un finanziamento pari a tre milioni di euro anche per gli anni 2018 e 2019 per le finalità contenute nell’art.1 che sono precedentemente elencati.

L’attività prestata dai soggetti impegnati nei lavori di pubblica utilità, ai fini dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, è coperta dall’Inail e l’onere del relativo premio e delle politiche sociali.

I soggetti promotori dei progetti di pubblica utilità sono: lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le aziende sanitarie, gli enti e le organizzazioni di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato.

Il promotore in questione, che intende utilizzare i soggetti impegnati nei lavori di pubblica utilità, attiva una copertura assicurativa per tali soggetti presso l’Inail, sulla base delle risorse presenti presso l’apposito Fondo nazionale istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

La richiesta di attivazione della copertura assicurativa, deve essere inoltrata per via telematica almeno 10 giorni prima

dell’inizio dello svolgimento della prestazione;

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40

degli oneri assicurativi, tenendo conto delle disponibilità del Fondo, che sono continuamente aggiornate.

Il premio speciale unitario, stabilito con decreto ministeriale 19 dicembre 2014, di euro 258,00 annuali per soggetto, è a carico del Fondo istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, ed è continuamente aggiornato in relazione a delle variazioni apportate annualmente alla medesima retribuzione giornaliera.

2.6. Le regole del Consiglio d’Europa in materia di Probation

Le finalità rieducative della pena e di reinserimento sociale del reo, sono stati affrontate al livello europeo, dal Consiglio d’Europa. Questa organizzazione, già dal 1949, si occupa di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo.

Il Consiglio d’Europa, a partire dagli anni ’60 ha elaborato due importanti Risoluzioni in materia di probation, attraverso i quali, ha dettato così raccomandazioni in ordine all’organizzazione e preparazione dei servizi di probation, alle condizioni di impiego degli agenti di probation e il numero specifico dei casi affidati a ciascun agente; questo, per garantire il miglior programma di trattamento possibile. Come è stato già stato spiegato nel precedente capitolo, le misure alternative alla detenzione esistenti in Europa sono

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41

molto diverse tra di loro; infatti, il Comitato di cooperazione penitenziaria, ha affidato nel 1988, al Consiglio Europeo, di elaborare delle regole minime relative all’applicazione delle misure non carcerarie.

In materia di probation, è importante ricordare la Raccomandazione R (2010), del Comitato dei Ministri agli Stati Membri sulle Regole del Consiglio d’Europa. Tale Raccomandazione contiene la definizione del termine probativo: ‘‘tale termine descrive l’esecuzione in area penale esterna di sanzioni e misure definite dalla legge ed imposte ad un autore di reato, che comprende una serie di attività ed interventi, tra cui il controllo, il consiglio e l’assistenza, con l’obbiettivo di un reinserimento sociale dell’autore del reato ed a contribuire alla sicurezza pubblica”44.

Tra i principi più rilevanti contenuti nella

Raccomandazione, troviamo:

1) ridurre il compimento di ulteriori reati instaurando rapporti positivi con gli autori di reato, con l’obiettivo di assicurarne la presa in carico, di guidarli ed assisterli per favorire la riuscita del loro reinserimento sociale;

2) rispetto dei diritti fondamentali degli autori del reato;

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42

3) rispetto dei diritti e dei bisogni delle vittime dei reati; 4) divieto di discriminazione degli autori del reato in base al sesso, alla razza, al colore, alla lingua o qualunque altra situazione;

5) necessità che i servizi di probation siano definiti legislativamente;

6) necessità di dotare i servizi di risorse sufficienti;

7) sostegno dell’efficacia probation da parte della comunità scientifica;

8) diffusione attraverso i mass media delle attività rese dai servizi di probation.

Di notevole importanza, sono le disposizioni riguardanti lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, denominato, nella Raccomandazione n.47, lavoro di interesse generale e viene definito come: ‘‘sanzione o misura applicata all’interno della comunità, che comporta l’organizzazione e la supervisione da parte dei servizi di probation di un lavoro non retribuito al servizio della collettività titolo di riparazione effettività o simbolica di un pregiudizio provocato da soggetto che ha commesso un reato”45.

(44)

43

Come è stato già spiegato, il lavoro di interesse generale, non deve stigmatizzare gli autori di reato e non deve essere eseguito a vantaggio dei servizi in cui viene svolto, ma deve avere come obbiettivo, quello di individuare e far svolgere compiti favorevoli allo sviluppo delle competenze che facilitino l’inserimento sociale degli autori del reato. Seguendo tale premessa e la mancanza di disposizioni analoghe nel testo della l. n. 67/2014, comporta una maggiore attenzione ai programmi di trattamento predisposti dai servizi U.e.p.e. e successivamente approvati dal giudice, per evitare che le prescrizioni siano esageratamente punitive o umilianti per l’indagato/imputato.

2.7. Mettere alla prova la messa alla prova

Sin dall’ inizio, l’adozione della messa alla prova è stata considerata come una sorta di scommessa, che tendeva a valorizzare i temi sia della mediazione penale e della giustizia riparativa. Il successo di questo “esperimento’’, potrebbe essere considerato come un incentivo ad allargare il numero dei reati per i quali è ammesso l’istituto e, solo in tal caso, rappresentare uno strumento valido per diminuire il carico carcerario. Sarebbe auspicabile, se l’avvocatura e la magistratura discutessero insieme dell’istituto e delle sue potenzialità, con lo scopo di evitare domande di sospensione

(45)

44

puramente esplorative, a fronte della mancanza di reale motivazione da parte dell’imputato, facendo così inutilmente sprecare risorse umane per la redazione di progetti, che non verranno mai eseguiti; ma anche evitare che i giudici, a fronte della domanda, concedano sempre e comunque la sospensione per messa alla prova, senza una valutazione scrupolosa sia dell’imputato, ma anche del progetto, con il conseguente spreco di tempo e di risorse. Sarebbe importante, un potenziamento del sistema di esecuzione penale esterna (il fulcro della messa alla prova, come dimostrato dall’art. 141 ter). Sarebbe necessario, infine, la diffusione della cultura della mediazione penale e della giustizia riparativa: istruendo i servizi territoriali, spiegando il senso dell’istituto alle vittime dei reati, selezionando i lavori di pubblica utilità, immaginando forme di controllo non troppo invasive per chi è sottoposto alla messa alla prova e trovando forme di comunicazione rapide fra i diversi soggetti coinvolti nella messa alla prova (autorità giudiziaria, imputato, servizi ministeriali e servizi sociali.

(46)

45

TERZO CAPITOLO

2. La messa alla prova introdotta dalla l. n. 67 del 2014 La l. n. del 2014 ha introdotto la disciplina della messa alla prova, già prevista in ambito minorile, ma che diventa applicabile ai maggiorenni.

L’obiettivo della probation si fonda sulla rimeditazione dell’intero sistema sanzionatorio che mira ad incoraggiare le misure alternative alla detenzione e a ‹‹porre un più efficace meccanismo di doppio binario processuale, idoneo a selezionare per la trattazione con il rito ordinario i procedimenti riferiti a fatti meritevoli dell’accertamento dibattimentale, attuando, per tutte le altre ipotesi, modalità alternative di definizione degli affari penali››46.

Il legislatore, quindi, si è concentrato sulla risocializzazione dell’indagato/imputato rivolgendosi in particolare agli istituti della giustizia riparativa già presenti nel nostro ordinamento alla riparazione ed alla meditazione e successivamente, ha cercato di considerare “l’autore del reato non più soltanto un soggetto passivo, destinatario della sanzione penale detentiva, ma, come, una persona stimolata

46 G. Tabasco, La sospensione del procedimento con messa alla prova degli imputati

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46

ad attivarsi dinamicamente per l’eliminazione del fatto patito dalla vittima dell’illecito penale”47.

Questo istituto, che può considerarsi una probation giudiziale è diversa dalla probation penitenziaria, poiché si richiede nel caso di ordinanza di ammissione, si esegue ‹‹nella fase anteriore all’esecuzione della pena, mentre il secondo muove dal presupposto della esistenza di una condanna definitiva››48.

In sostanza, la messa alla prova consiste nello svolgimento di determinate prestazioni, finalizzate alla riparazione delle conseguenze dannose del reato che hanno compiuto, nel risarcimento dei danni recati alla persona offesa, nella mediazione con la vittima del reato, nell’affidamento al servizio sociale per lo svolgimento di attività di volontariato di rilevanza sociale, nell’osservanza di prescrizioni relative al proprio domicilio, alla libertà di movimento, nella prestazione di lavori di pubblica utilità.

La richiesta di sospensione con messa alla prova, deve essere presentata direttamente dalla persona interessata o da un procuratore speciale; la tempistica per tale richiesta è strettamente correlata a quella per l’applicazione della pena su richiesta delle parti. Cioè, fino a quando non siano

47 A. Marandola, La messa alla prova dell’imputato adulto: ombre e luci di un nuovo

rito speciale per una diversa politica criminale, in Dir. pen. e proc. 2014, n. 674.

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47

formulate le conclusioni a norma degli artt. 421 e 422 c.p.p., oppure entro il termine e con le forme stabilite dall’art. 458, comma 1, c.p.p.49, se è stato notificato il decreto di giudizio

immediato. Secondo tale articolo,l’imputato può chiedere il giudizio abbreviato, depositando la richiesta nella cancelleria del giudice per le indagini preliminari, con la prova della avvenuta notifica al pubblico ministero, entro dieci giorni dalla notificazione del decreto di giudizio immediato. Mentre, il pubblico ministero dovrà esprimere il proprio consenso entro cinque giorni dalla notificazione della richiesta.

Laddove, tale richiesta, venga effettuata nel corso delle indagini, il giudice trasmetterà gli atti al pm, che dovrà esprimere il suo “consenso’’ o il suo “dissenso’’, dietro una

chiara motivazione e contestualizzati al grado

d’imputazione, entro cinque giorni.

In caso di “dissenso’’, l’interessato potrà riproporre la richiesta, entro la dichiarazione di apertura del dibattimento; quando il giudice, se la riterrà idonea, potrà attuare quando previsto dall’ex art. 464 quater c.p.

In caso di consenso, il giudice deciderà con ordinanza la sospensione del procedimento per consentire la messa alla prova, quando, alla luce dei parametri presenti nell’art. 133 c.p., il progetto apparirà idoneo e se riterrà che l’interessato

(49)

48

non commetta nuovi reati. Alla fine della decisione, il giudice può richiedere la raccolta di maggiori informazioni sia alla polizia penitenziaria che ai servizi sociali; tali informazioni riguardano:

1. le condizioni socioeconomiche; 2. la condotta;

3. la situazione familiare;

4. se ci sono le condizioni che permettano il concretizzarsi del progetto.

Dopo aver analizzato tutte queste notizie, il giudice dovrà fissare la durata della messa alla prova (uno, in caso di reati puniti con la sola pena pecuniaria; o due anni, in caso di reati puniti con pena detentiva), potrà integrare il progetto, fissare termini e modalità (sempre modificabili), per permettere lo svolgimento delle diverse attività e la rateizzazione delle somme dovute per il risarcimento. E′ importante evidenziare, che la messa alla prova ha inizia dal momento della sottoscrizione da parte dell’imputato, presso l’U.e.p.e.

Decorso il periodo di sospensione, qualora la prova abbia dato esito positivo, il giudice dichiara con sentenza l’estinzione del reato, avvalendosi delle relazioni redatte dall’ufficio per l’esecuzione penale. La sentenza verrà

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