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Le misure cautelari a favore del credito tributario

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA Facoltà di Economia

Corso di laurea in Consulenza Professionale alle Aziende

Tesi di laurea magistrale

Le misure cautelari a favore del credito tributario

Relatore: Candidato: Prof.ssa Giulia Boletto Filippo Betti Contro Relatore:

Prof.ssa Luisa Azzena

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INDICE

CAPITOLO PRIMO

LA TUTELA CAUTELARE A FAVORE DELL’ENTE IMPOSITORE E DELL’AGENTE DELLA RISCOSSIONE

1. La tutela cautelare nell’ordinamento giuridico……….7

2. La tutela cautelare a favore della parte pubblica in materia tributaria…10 2.1 Gli strumenti di tutela cautelare a favore dell’ente impositore……….12

2.1.1 L’ipoteca esattoriale………...12

2.1.2 Il fermo amministrativo generale ex art. 69, c. 6, R.D. 2440/1923…22 2.1.3 Il fermo dei beni mobili registrati………...30

2.1.4 La sospensione dei rimborsi ex art. 23, c. 1, D. Lgs. 472/1997…….33

2.1.5 La compensazione dei tributi……….50

CAPITOLO SECONDO L’IPOTECA E IL SEQUESTRO CONSERVATIVO 1. L’ipoteca e il sequestro conservativo in materia civile………...53

1.1 L’ipoteca………53

1.2 Il sequestro conservativo………...57

2. L’ambito soggettivo di applicazione………...61

3. L’ambito oggettivo di applicazione: i crediti e gli atti oggetto della tutela ……….70

4. I presupposti per la concessione………..74

4.1 La necessaria presenza del fumus e del periculum………74

4.2 La prova del fumus e del periculum………..78

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CAPITOLO TERZO

IL PROCEDIMENTO DI APPLICAZIONE DELL’IPOTECA E DEL SEQUESTRO CONSERVATIVO

1. Il processo cautelare davanti alla commissione tributaria………...87 2. I rapporti con gli altri processi………..102

CAPITOLO QUARTO

Conclusioni………116

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CAPITOLO PRIMO

LA TUTELA CAUTELARE A FAVORE DELL’ENTE IMPOSITORE E DELL’AGENTE DELLA RISCOSSIONE 1. La tutela cautelare nell’ordinamento giuridico – 2 La tutela cautelare a favore della parte pubblica in materia tributaria – 2.1 Gli strumenti di tutela cautelare a favore dell’ente impositore – 2.1.1 L’ipoteca esattoriale – 2.1.2 Il fermo amministrativo generale ex art.69, c.6, R.D. n. 2440/1923 – 2.1.3 Il fermo dei beni mobili registrati – 2.1.4 La sospensione dei rimborsi ex art. 23, c. 1 D. Lgs. n. 472/1997 – 2.1.5 La compensazione dei tributi

1. La tutela cautelare nell’ordinamento giuridico.

L’utilità della tutela cautelare è quella di garantire che il tempo necessario per il processo, non vada mai adanno della parte che avrà ragione; tutela che si muove su un piano parallelo, non strettamente necessario e che nasce dalla consapevolezza che il decorso del tempo dall’azione giurisdizionaleal giudicato, vada a incidere sull’effettività della tutela giurisdizionale.

La tutela cautelare è espressione dell’art. 24 Cost., giacché ha lo scopo di permettere alla parte vittoriosa in processo di ottenere quanto previsto dalla normativa sostanziale.

Affinché possa essere invocata la tutela in esame, devono sussistere due presupposti: il periculum in mora, cioè il fondato timore, da parte dell’Ufficio, di perdere la garanzia del proprio credito e il fumus boni iuris, in italiano “parvenza di buon diritto”1, cioè la probabile attendibilità e sostenibilità della pretesa tributaria di cui si chiede la tutela cautelare. La valutazione di questi due elementi deve essere eseguita congiuntamente e riguarda profili di pari dignità e la mancanza di uno solo di tali requisiti impedisce di ottenere la cautela richiesta. Per quanto riguarda il primo presupposto, fumus boni iuris, occorre dire che non vi sono particolari

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aspetti da segnalare, in quanto si può fare riferimento alla sua tradizionale considerazione. Si tratta di un requisito che viene accertato attraverso la delibazione del merito, cioè attraverso un esame, seppur sommario, succinto e poco approfondito, della fondatezza della domanda. Per quanto concerne il secondo presupposto, periculum in mora, in piena sintonia con quanto previsto dall’art. 671 c.p.c., il pericolo di perdere la garanzia deve essere attuale e deve essere fondato su elementi obiettivamente sintomatici di un pericolo reale e non basato semplicemente su generici apprezzamenti psicologici e personali. In particolare, deve essere svolta una valutazione con riferimento sia a dati oggettivi, quali ad esempio l’entità della pretesa erariale, sia a dati soggettivi, ossia con riferimento ai comportamenti del debitore, da cui possa evincersi la volontà di sottrarsi all’esecuzione, depauperando in tal modo il patrimonio. Tali presupposti solitamente vengono valutati in un procedimento sommario e rapido utilizzando gli stessi modi, tempi e tecniche con cui, nel processo dichiarativo, si raccoglie il materiale rilevante per la decisione.

Ciò detto, la tutela cautelare è variamente prevista in tutte le giurisdizioni: ordinaria, amministrativa e tributaria.

Dal punto di vista della giurisdizione ordinaria gli aspetti processuali della tutela cautelare sono disciplinati dagli articoli dal 669 bis2 al 669 quaterdecies3 c.p.c. che costituiscono il c.d. procedimento cautelare uniforme mentre, le singole misure cautelari, quali il sequestro giudiziario e il sequestro conservativo, vengono disciplinati da norme apposite.

Vista l’ampiezza e la portata generale del procedimento cautelare uniforme, questo assume un grande rilievo anche in materia tributaria.

2 Articolo 669 bis c.p.c.: “Forma della domanda: La domanda si propone con ricorso depositato nella

cancelleria del giudice competente.”

3 Articolo 669 quaterdecies c.p.c.: “Ambito di applicazione: Le disposizioni della presente sezione si

applicano ai provvedimenti previsti nelle sezioni II, III e V di questo capo, nonché, in quanto compatibili, agli altri provvedimenti cautelari previsti dal Codice civile e dalle leggi speciali. L'articolo 669septies si applica altresì ai provvedimenti di istruzione preventiva previsti dalla sezione IV di questo capo.”

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Nella giurisdizione tributaria, l’analisi risulta essere più complessa a causa della particolare posizione dell’Amministrazione Finanziaria che, come noto, pur acquisendo la veste formale di convenuto, è attore in senso sostanziale4 (poiché è attore colui che instaura il processo mediante la notifica dell’atto introduttivo del giudizio contenente la vocatio in iudicium ed è convenuto colui contro il quale la domanda è proposta).

A tale proposito, giova operare una distinzione netta sulla natura e sulle caratteristiche specifiche fra misure cautelari in favore del contribuente e misure cautelari a favore dell’Amministrazione Finanziaria:

· le prime sono dirette a paralizzare un atto del fisco (la cartella esattoriale, il ruolo, l’avviso di accertamento);

· le seconde, invece, sono volte a costituire garanzie reali a tutela dei crediti dell’Amministrazione Finanziaria.

Quindi in un contesto nel quale solitamente è il contribuente ad avere esigenze cautelari, fanno eccezione le misure di cui all’art. 22, D. Lgs. n. 472/1997: sequestro conservativo e ipoteca.

Detto in altri termini, dal lato della parte pubblica la tutela cautelare del credito tributario è conferita dal legislatore che ha attribuito agli atti emessi dall’Amministrazione efficacia esecutiva senza un previo accertamento giudiziale5; dal lato della parte privata, invece, il ricorrente può chiedere al giudice di inibire gli effetti esecutivi di detti atti.

Il presente lavoro si riferirà alle misure cautelari a tutela del credito tributario, attivabili dal giudice tributario su richiesta dell’attore in senso sostanziale e quelle attivabili in autotutela da parte dell’Amministrazione Finanziaria e dell’Agente della riscossione.

4 F. BATISTONI FERRARA – B. BELLE’, Diritto tributario processuale, IV ed., Cedam,2011, p. 59 e 60 5 A. PODDIGHE, Giusto processo e processo tributario, Giuffrè, 2010, p. 126

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2 La tutela cautelare a favore della parte pubblica in materia tributaria.

In merito alle misure cautelari a favore della parte pubblica, si possono osservare diverse classificazioni.

La prima distingue le misure cautelari adottabili in assenza di un titolo di credito certo, liquido ed esigibile (ipoteca e sequestro conservativo, il fermo ex art. 69, c. 6, R.D. n. 2440/1923, la sospensione dei rimborsi6 ex art. 23, c. 1, D. Lgs. n.472/1997) e quelle adottabili in presenza di un titolo di credito certo, liquido ed esigibile (ipoteca e fermo dei beni mobili registrati).

Una seconda classificazione, invece, distingue le misure cautelari adottabili in via di autotutela (il fermo ex art. 69, c. 6, R.D. n. 2440/1923, la sospensione dei rimborsi ex art. 23, c.1, D. Lgs. n. 472/1997, il fermo sui beni mobili registrati e l’ipoteca adottabile dall’agente della riscossione) da quelle adottabili in via giudiziale (l’ipoteca e il sequestro conservativo adottabili dall’ente impositore).

L’adozione di quest’ultime è subordinata a una pronuncia da parte del giudice tributario, che avviene in seguito alla proposizione di un’istanza da parte dell’ente impositore ai sensi dell’art. 22 del D. Lgs. n. 472/97, mentre nelle prime il vaglio di legittimità avviene, eventualmente, dopo la loro adozione, attraverso un ricorso proposto dal soggetto destinatario delle misure cautelari stesse.

Nella prima categoria vi rientrano le misure cautelari adottabili in assenza di un titolo esecutivo autoprodotto dall’Amministrazione statale. Ad esempio, l’ipoteca e il sequestro conservativo possono essere adottate sulla base di un processo verbale di constatazione.

6 B. BELLE’, Dichiarazione dei redditi, rettifica o ritrattabilità e rimborso dell’imposta, in Rivista di

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Il fermo amministrativo generale, invece, può essere adottato sulla base di una mera ragione di credito vantata da un’amministrazione pubblica. In questo caso le misure cautelari sono adottate su iniziativa dell’ente impositore.

Nella seconda categoria, invece, le misure cautelari vengono adottate quando il debitore non adempie all’obbligo di pagamento nei termini stabiliti dalla cartella di pagamento o dall’atto di accertamento esecutivo. In questo caso le misure cautelari sono adottate su iniziativa dell’Agente della riscossione.

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2.1 Gli strumenti di tutela cautelare a favore dell’ente impositore. 2.1.1 L’ipoteca esattoriale

L’ipoteca è un istituto disciplinato dall’art. 22 del D. Lgs. 18 dicembre 1997 n. 472. Questa misura è adottabile dall’ente impositore, in seguito a un’autorizzazione giudiziale, per tutelare i crediti di natura tributaria e sanzionatoria, nonché i relativi interessi, quando vi è fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito. Un’analisi sulla sua evoluzione nel corso del ventesimo secolo aiuta a comprendere a fondo il ruolo che riveste nell’attuale sistema giuridico.

Il R.D. 25 marzo 1923, n. 796 attribuì all’Intendente di Finanza la facoltà di promuovere tutti gli atti cautelativi contenuti negli artt. 603 e ss. c.p.p. al fine di assicurare gli interessi dell’erario. In particolare, l’art. 4 disponeva che attraverso il verbale di contravvenzione, l’intendente di finanza potesse procedere a tutti gli atti cautelativi che riteneva necessari a garantire i diritti dell’erario e consentiva, altresì, la possibilità d’iscrivere ipoteca.

Alla fine degli anni venti, con la Legge 7 gennaio 1929, n. 4 la disciplina in esame subì profonde modifiche avendo come obiettivo quello di riordinare il sistema sanzionatorio tributario e di stabilirne le disposizioni generali. L’intendente aveva la facoltà di chiedere al Presidente del Tribunale l’iscrizione di ipoteca o l’autorizzazione a procedere al sequestro conservativo nei confronti dei beni del trasgressore i cui presupposti erano identificati nell’esistenza di un processo verbale di constatazione e nel pericolo nel ritardo.

Per quanto riguarda la fondatezza della pretesa, la prassi e parte della dottrina7 ritenevano che la valutazione non dovesse essere rimessa al

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giudice, ma all’intendente, questo per snellire il procedimento in quanto una valutazione da parte dell’autorità giudiziaria sarebbe stata inutile e superflua. Secondo questa impostazione, il Tribunale doveva limitarsi ad accertare l’esistenza del verbale ed il pericolo nel ritardo.

Secondo altra dottrina, tenuto a una valutazione del fumus boni iuris doveva essere il giudice, in quanto “la valutazione di tale presupposto non si può far rientrare nella discrezionalità dell’Intendente di Finanza perché il testo della disposizione legislativa non autorizza una tale interpretazione contrastante con i lavori preparatori della legge e con la lettera di essa”8. La titolarità del potere di richiedere l’adozione delle misure cautelari veniva affidata all’Intendenza di Finanza ma, in seguito alla sua abolizione ad opera della Legge n. 358/1991, fu attribuita agli Uffici delle entrate. Se le violazioni contestate avevano le caratteristiche del reato, il soggetto destinatario dell’ipoteca poteva proporre impugnazione, la quale non aveva alcun effetto sospensivo, dinanzi al Tribunale penale mentre, in caso contrario, l’impugnazione doveva essere proposta dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria e riguardava solamente i presupposti richiesti dalla legge per la concessione delle misure cautelari e non il merito della controversia.

Quindi, il contenuto dell’azione riguardava in primis se esso fosse stato richiesto e concesso nelle forme previste e da un giudice competente, in secondo luogo se fosse stato richiesto dall’Intendente di Finanza competente e se fossero stati rispettati i requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora.

Nel caso in cui le violazioni avessero costituito reato, le misure cautelari potevano essere adottate finché il condannato non avesse prodotto opposizione contro il decreto di condanna. Infatti, una volta investita

8 Corte di Appello, sent. 17 luglio 1951.

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l’autorità giudiziaria, cessavano i poteri dell’Intendente di Finanza e il Tribunale poteva adottare le misure cautelari previste dal codice di procedura penale.

Il giudizio, se favorevole all’attore, costituiva titolo per conseguire la cancellazione dell’ipoteca.

Nei primi anni novanta, avvenne una riforma che riguardò le misure cautelari disciplinate dal codice di rito civile.

Questa introdusse un unico procedimento per ottenere le misure cautelari contenute sia nel codice di procedura civile sia in leggi speciali qualora, queste ultime, fossero compatibili ai sensi dell’art. 669 quaterdecies c.p.c.. Nonostante la riforma, la dottrina non ritenne che gli strumenti cautelari previsti dal codice potessero essere adottati dall’Amministrazione Finanziaria, in primo luogo perché mancava il nesso strumentale fra misura cautelare e processo, in secondo luogo, l’Amministrazione finanzia non poteva richiedere al giudice ordinario l’adozione delle misure cautelari previste dal codice di rito in quanto, competente nel merito, era il giudice tributario.

Sempre in questo periodo avvenne, inoltre, una riforma del codice di procedura penale la quale stabilì l’abrogazione dell’ipoteca in ambito penale e la sostituzione dell’ipoteca legale per illeciti penali prevista da altre disposizioni di legge, con il sequestro conservativo secondo quanto previsto dagli articoli 316 e 320 del c.p.p. e ovviamente la dottrina si chiese se, con riferimento alle violazioni finanziarie che costituivano anche reato, l’Intendente della Finanza potesse richiedere l’iscrizione d’ipoteca ex art. 26 o se, invece, dovesse richiedere l’applicazione del sequestro conservativo ex art. 316 c.p.p.

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Alcuni9 sostenevano che, dopo l’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, non poteva più essere autorizzata l’ipoteca legale anche per gli illeciti finanziari, in quanto sostituita dal sequestro conservativo ai sensi dell’art. 218 delle disposizioni di coordinamento del codice di procedura penale.

Altri10, invece, sostennero che l’art. 218 disp. att. c.p.p. si riferisse esclusivamente all’ipoteca legale per illeciti penali prevista da altre disposizioni di legge.

Altri ancora11, sostennero che la riforma riguardò, in materia tributaria, unicamente il secondo comma dell’art. 27 e pertanto poteva ancora essere autorizzata l’iscrizione di ipoteca ex art. 26 per le violazioni finanziarie cui erano connessi reati ma l’impugnazione doveva avvenire solamente dinnanzi al Tribunale civile.

Ci furono diverse ragioni a sostegno dell’impostazione favorevole all’utilizzo dell’ipoteca ex art. 26 successivamente alla riforma in materia penale.

La motivazione prevalente si basava sul fatto che l’art. 218 disp. att. c.p.p. riguardava gli “illeciti penali” mentre l’art. 26 si correlava agli illeciti amministrativi.

Sempre intorno alla fine degli anni novanta, il legislatore sentì la necessità di revisionare la disciplina delle sanzioni tributarie non penali per renderle conformi ai principi dettati dalla legge 24 novembre 1981, n. 689, riguardante i principi generali delle sanzioni amministrative. Tale revisione andò a toccare direttamente anche le misure cautelari.

9 In giurisprudenza, Cons. Stato, 27 settembre 2004, n. 4356.

10 In giurisprudenza, Cass. SS.UU., 17 gennaio 2007, n. 875 e 876, in Riv. Esec. Forzata, 2007, p. 163. 11 Cass. SS. UU., 23 giugno 2006, n. 14701, in CED Cassazione, 2006.

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Infatti, vi furono numerose incertezze per quanto riguardava la compatibilità della disciplina con le disposizioni contenute nel codice del rito civile e penale e la loro applicazione.

Le misure cautelari disciplinate dalla Legge n. 4/1929 furono oggetto di critiche sotto diversi profili.

Vi era infatti il dubbio se le misure cautelari potessero essere adottate sulla base di atti diversi dal processo verbale e dai provvedimenti sanzionatori, come ad esempio l’avviso di accertamento.

Oppure era controverso se il giudice dovesse limitarsi a prendere atto dell’esistenza del processo verbale o se dovesse considerare anche la fondatezza della pretesa.

Tutti questi problemi specifici unitamente alle esigenze di riforma del sistema sanzionatorio nel suo complesso, posero le premesse per l’emanazione della legge delega del 23 dicembre 1996 n. 662 “misure di razionalizzazione della finanza pubblica”.

Successivamente a questa disposizione fu emanato il D. Lgs. n. 472/1997, che con l’articolo 29, espressamente abrogò la precedente normativa relativa all’ipoteca e al sequestro conservativo, contenuta negli articoli 26 e 27 della legge 7 gennaio 1929 n. 4, facendo confluire, la nuova disciplina, nell’art. 22.

Con la nuova disciplina sono state apportate numerose modifiche.

In primo luogo è stato attribuito al solo giudice tributario il potere di concedere l’adozione delle misure cautelari; diverso il caso in cui il contribuente ponga in essere operazioni rilevanti penalmente, dove potrà essere adottato il sequestro preventivo e conseguentemente la confisca con un diverso procedimento del Tribunale penale.

Inoltre, oggi è prevista la revoca delle misure cautelari in presenza di una decisione non definitiva favorevole al contribuente e anche nel caso in cui

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non venga prontamente emanato il provvedimento sanzionatorio in seguito all’adozione della misura cautelare (art. 22, comma 7).

L’instaurazione del contraddittorio è obbligatoria, ad eccezione di ipotesi di particolare urgenza, nella fase costitutiva delle misure conservative.

Nel 2008, fu consentito espressamente, per la prima volta, la possibilità di adottare l’ipoteca (ed anche il sequestro conservativo) sulla base di atti diversi dal processo verbale di constatazione e dai provvedimenti sanzionatori.

Sebbene diversi problemi non siano stati ancora risolti, tutte le modifiche citate sopra, denotano un’ampia conformità della materia tributaria ad alcuni principi previsti dal codice e dalla Costituzione.

L’art. 77 del D.P.R. n. 602/1973, intitolato “iscrizione di ipoteca” dispone, al primo comma, che decorsi inutilmente sessanta giorni dalla notifica della cartella di pagamento, il ruolo costituisce titolo per iscrivere ipoteca sugli immobili del debitore e dei coobbligati per un importo pari al doppio dell’importo complessivo del credito per cui si procede. Tale misura cautelare può essere adottata solo per debiti nel complesso superiori alla soglia dei 20.000,00 euro e inoltre, prima di procedere con l’ipoteca, al debitore deve essere notificata una comunicazione preventiva annunciante l’intenzione, da parte di Equitalia, di avvalersi di tale strumento in esame, se le somme non vengono pagate entro i successivi trenta giorni.

Qualora non dovesse avvenire l’iscrizione a ruolo in quanto viene emesso un avviso di accertamento esecutivo, l’ipoteca può essere adottata decorsi sessanta giorni dalla notifica dell’atto impositivo con ulteriori trenta giorni dall’affidamento di tale atto all’Agente della riscossione.

Dunque l’ipoteca rappresenta per l’Agente della riscossione una garanzia reale che comporta il diritto di essere soddisfatto con preferenza sul prezzo

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del ricavato dall’espropriazione dei beni vincolati e, allo stesso tempo, gli consente di non iniziare immediatamente il procedimento di esecuzione. La giurisprudenza sostiene che questa ipoteca non possa essere classificata né nell’ambito delle ipoteche legali né nell’ambito di quelle giudiziali. Dalle prime differisce perché l’iscrizione avviene su iniziativa dell’Agente della riscossione e quindi non avviene automaticamente, dalle seconde in quanto non vi è alcuna autorizzazione giudiziale.

Secondo la dottrina maggioritaria, invece, l’ipoteca esattoriale rientra nella categoria delle ipoteche legali, più precisamente tra le ipoteche amministrative.

Per quanto riguarda l’oggetto del diritto di garanzia12, si ritiene che questo non sia limitato ai soli beni immobili appartenenti al debitore e ai coobbligati, secondo quanto disposto dal primo comma dell’art. 77, ma comprenda anche tutti i diritti immobiliari previsti dai numeri 2 e 4 dell’art. 2810 c.c., cioè l’usufrutto, la nuda proprietà, il diritto di superficie e il diritto di enfiteusi.

Il D.L. n. 16/2012, convertito, con modificazioni, nella L. n. 44/2012 e successivamente modificato dal D.L. n. 69/2013 convertito, con modificazioni nella L. n. 98/2013, inserendo nell’art. 77 il comma 1 bis prevede che: “l’Agente della riscossione, anche al solo fine di assicurare la tutela del credito da riscuotere, può iscrivere la garanzia ipotecaria di cui al comma 1 (anche quando non si siano ancora verificate le condizioni per procedere all’espropriazione di cui all’art. 76, commi 1 e 2) purché l’importo complessivo del credito per cui si procede non sia inferiore complessivamente a ventimila euro”.

12 G. GIANNI, Contributo sulla natura cautelare o esecutiva dell’iscrizione di ipoteca, del sequestro

conservativo e del fermo amministrativo e sulla giurisdizione, per le relative controversie, del giudice tributario, in Il fisco, 2003, p.6119.

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Il secondo comma dell’art. 77 dispone che se l’importo del credito per cui si procede non supera il cinque per cento del valore dell’immobile da sottoporre a espropriazione forzata, l’Agente della riscossione deve, prima di procedere all’esecuzione, iscrivere ipoteca. Una volta decorsi sei mesi dall’iscrizione senza che il debito sia stato estinto, l’Agente della riscossione può procedere all’espropriazione;

questo comma, prevede l’iscrizione di un’ipoteca obbligatoria, contrapposta alla c.d. ipoteca volontaria prevista dal primo comma dell’art. 77.

L’ultimo comma dell’art. 77, il comma 2 bis, aggiunto dal D.L. n. 70/2011, convertito con modificazioni nella L. n. 106/2011, prevede che “l’Agente della riscossione è tenuto a notificare al proprietario dell’immobile una comunicazione preventiva contenente l’avviso che, in mancanza del pagamento delle somme dovute entro il termine di trenta giorni, sarà iscritta ipoteca”. Prima di questa aggiunta, l’Agente della riscossione poteva emettere il provvedimento costitutivo dell’ipoteca senza che il titolare del diritto reale da sottoporre a ipoteca ne avesse una preventiva conoscenza.

L’ipoteca esattoriale è adottabile quando vi è un titolo esecutivo. Poiché il credito vantato dall’ente impositore è certo, liquido ed esigibile, il legislatore ha ritenuto opportuno attribuire all’Agente della riscossione degli strumenti di garanzia attivabili in autotutela amministrativa, cioè degli strumenti che non richiedono un’autorizzazione giudiziale per essere attivati.

Il soggetto sottoposto a tali misure potrà, eventualmente, invocare la tutela giurisdizionale successivamente, impugnando il provvedimento che dispone l’adozione della misura cautelare.

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La natura giuridica di questo istituto, secondo la dottrina maggioritaria e secondo la prassi, è cautelare, in quanto volta a impedire che la parte privata realizzi delle operazioni pregiudizievoli sul proprio patrimonio nelle more dell’esecuzione.

Altra dottrina, invece, ritiene che l’istituto in esame sia atto dell’esecuzione forzata.

Altri ritengono che sia un istituto volto a conservare il bene con la finalità di garantire e consentire il soddisfacimento del credito, ma si esclude la natura cautelare in quanto non si ritiene ci sia un nesso di strumentalità con il processo.

Il problema dell’individuazione della natura giuridica ha comportato un ulteriore problema in merito all’individuazione del giudice competente a risolvere le controversie.

Prima della riforma del rito tributario avvenuta nel 2006, la dottrina maggioritaria riteneva che il giudice competente fosse quello tributario. Coloro che sostenevano questa tesi, si basavano, in particolar modo, sulla riforma del processo tributario avvenuta nel 2001, che, modificando l’art. 2 del D. Lgs. n. 546/1992, ampliò la giurisdizione tributaria a tutti “i tributi di ogni genere e specie”. Chi riteneva, invece, che avesse natura di atti esecutivi, ovvero funzionali all’espropriazione forzata, riteneva altresì che competente fosse il giudice ordinario; così come per tutti gli atti dell’esecuzione successivi alla notifica della cartella di pagamento.

Per risolvere questi dubbi interpretativi, nel 2006 il legislatore è intervenuto aggiungendo nell’art. 19 del D. Lgs. n. 546/1992 la lettera e ter), la quale ha inserito nell’elenco degli atti autonomamente impugnabili dinanzi al giudice tributario il provvedimento di ipoteca.

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Quest’intervento, secondo molti sembrerebbe risolvere questa

problematica13.

L’Agente della riscossione quindi, può a sua discrezione decidere se adottare o meno l’ipoteca, nonché decidere su quali beni eventualmente procedere.

Anche se non espressamente indicati all’interno di questa norma, secondo alcuni, l’Agente della riscossione, prima di procedere all’iscrizione dell’ipoteca, deve valutare la fondatezza della pretesa e l’esistenza del pericolo della riscossione.

L’inosservanza di questa valutazione può costituire motivo d’impugnazione del provvedimento dinanzi al giudice tributario. Tale provvedimento è caratterizzato anche per la sua provvisorietà, infatti perde efficacia qualora si estingua l’obbligazione tributaria oppure quando vengono meno i presupposti sulla base dei quali l’Agente della riscossione ha agito.

Oltre a svolgere una funzione cautelare, l’ipoteca svolge anche una funzione di pressione psicologica, volta a indurre il soggetto sottoposto a questa misura ad adempiere spontaneamente al pagamento.

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2.1.2 Il fermo amministrativo generale ex art. 69, c. 6, R.D. n. 2440/1923.

Il "fermo amministrativo", disciplinato dall'art. 69 ultimo comma, della Legge di Contabilità Generale dello Stato (R.D. 2440/1923) costituisce uno strumento di natura cautelativa diretto alla tutela delle ragioni di credito delle Amministrazioni statali verso terzi e, come tale, con carattere

chiaramente provvisorio14. Tale articolo prevede che: “Qualora

un’amministrazione dello Stato che abbia, a qualsiasi titolo, ragione di credito verso aventi diritto a somme dovute da altre amministrazioni, richieda la sospensione del pagamento, questa deve essere eseguita in attesa del provvedimento definitivo”. Il fermo in esame consiste in un provvedimento discrezionale di autotutela amministrativa che può essere adottato da un’Amministrazione senza una previa autorizzazione da parte di un giudice. L’istituto ha efficacia temporanea, poiché i suoi effetti hanno efficacia solamente sino a quando non viene emesso un provvedimento definitivo che ne dispone la revoca in seguito all’accertamento dell’insussistenza del credito vantato dall’amministrazione statale, all’adempimento della parte privata, o all’incameramento attraverso la compensazione delle somme dovute al privato.

La dottrina maggioritaria15 ritiene che questa misura abbia natura cautelare in quanto la sua funzione è quella di assicurare il soddisfacimento di una pretesa erariale, infatti, soltanto dopo l'accertamento dell'esistenza di eventuali debiti nei confronti del terzo da parte di Amministrazioni statali, dell'importo, del titolo e della relativa scadenza, potrà avvenire, con provvedimento definitivo (espressamente previsto dalla norma citata),

14 S. CIAMPANI, La tutela del contribuente nei confronti del fermo amministrativo, in Fisco, 1991, p.

5717.

15 M. TRIVELLIN, Sospensione dei rimborsi e compensazione, in F. Moschetti – L. Tosi (a cura di),

Commentario alle disposizioni generali sulle sanzioni amministrative in materia tributaria, Padova, 2000, p. 735.

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l'effettivo incameramento delle somme dovute dallo Stato al terzo e, di conseguenza, la compensazione legale dei debiti con i crediti dello Stato. Con la richiesta del fermo amministrativo l'Amministrazione fa uso di un potere discrezionale che, di massima, non determina lesione di un diritto soggettivo tutelabile dinanzi alla Magistratura ordinaria. Tuttavia, se le ragioni del credito dovessero risultare arbitrarie o temerarie o comunque inesistenti il fermo amministrativo può essere impugnato davanti al giudice ordinario.

Né il diritto né la giurisprudenza forniscono una rigorosa definizione di ragione di credito.

A riguardo l'Avvocatura Generale dello Stato ha fornito il seguente parere: "Il concetto di ragione di credito è insuscettibile di una definizione rigorosa, collocato com’è nella zona grigia che va dalla pretesa creditoria pura e semplice (pertanto anche arbitraria e temeraria) al credito certo, liquido ed esigibile. L'una, com’è ovvio, insufficiente in sé e per sé a radicare il potere di fermo (che altrimenti ne conseguirebbe un inammissibile arbitrio), l'altro, eccedente in requisiti richiesti dalla legge, perché di per sé idoneo a far realizzare i fini cui l'istituto del fermo è preordinato - c.d. compensazione - senza bisogno della tappa intermedia di natura cautelare. L'unico termine idoneo a qualificare la pretesa come atta a radicare il potere di fermo, sembra potersi mutuare dal processo civile, ed è il c.d. "fumus boni iuris", cioè la ragionevole apparenza di fondatezza". Affinché questa pretesa creditoria diventi ragionevole, secondo la prassi ministeriale, è sufficiente che venga emesso un processo verbale di constatazione mentre, in dottrina, è stato sostenuto che la ragionevolezza del credito si concretizza solamente se esistono provvedimenti, non definitivi, in grado di produrre effetti nella sfera giuridica del contribuente.

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Secondo la prassi ministeriale16 non vi è alcun obbligo da parte dell’Amministrazione di notificare un provvedimento di fermo nei confronti del soggetto che subisce la sospensione del pagamento, in quanto il soggetto interessato potrà impugnare successivamente il provvedimento di compensazione.

In dottrina, è stata criticata questa interpretazione ministeriale, poiché trascura il fatto che il provvedimento di fermo è la risultante di un procedimento amministrativo, comunque frutto di valutazioni, che deve avvenire nel rispetto dei principi di legalità, imparzialità e trasparenza di cui alla legge n. 241/9040, in grado di determinare una lesione attuale della sfera giuridica del soggetto.

Per questa ragione, il provvedimento di fermo, oltre a dover essere notificato, deve contenere una motivazione al fine di consentire un eventuale sindacato sulle valutazioni compiute dall’Amministrazione pubblica.

La motivazione deve indicare l’apparenza del credito vantato, il pericolo di sottrazione del creditore agli obblighi ai quali è tenuto e la proporzionalità della somma di cui si dispone il fermo, nonché il danno effettivamente paventato.

I soggetti legittimati a richiedere e a eseguire il fermo sono solamente le Amministrazioni statali. Pertanto, non possono richiedere o eseguire il fermo, né le Amministrazioni regionali, provinciali e comunali, né gli Enti pubblici dotati di personalità giuridica distinta dallo Stato.

In sostanza sono tre i soggetti coinvolti: l’Amministrazione creditrice, l’Amministrazione debitrice e il soggetto che subisce il provvedimento. Parte della dottrina ritiene che l’Amministrazione creditrice e debitrice

possano coesistere nella stessa Amministrazione; qualora

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l’Amministrazione creditrice e debitrice coincidano, secondo una circolare ministeriale e secondo parte della dottrina, non è necessario un provvedimento cautelativo di carattere temporaneo, potendo questa procedere direttamente alla compensazione.

Questa interpretazione è stata da altri criticata poiché la compensazione può avvenire solamente quando la ragione di credito si traduce in una pretesa certa, liquida ed esigibile. Quindi, nel caso in cui non si sia in presenza di una pretesa creditoria certa, liquida ed esigibile l’Amministrazione può provvedere autonomamente a disporre il c.d. fermo su se stesso e solo se emetterà il provvedimento definitivo potrà eseguire la compensazione.

Il fermo può trovare applicazione sia nel caso in cui l’Amministrazione Finanziaria rivesta la qualifica di soggetto legittimato a richiedere il fermo che la qualifica di soggetto obbligato a eseguirlo.

Nel primo caso è l’Amministrazione Finanziaria a vantare una ragionevole pretesa creditoria nei confronti di un soggetto creditore di un’altra Amministrazione statale la quale dovrà sospendere il pagamento fintantoché l’obbligazione tributaria non si definisca e si possa, eventualmente, procedere alla compensazione.

Il secondo opera quando il contribuente presenta un’istanza di rimborso all’ufficio impositore ma questo, pur riconoscendo il diritto, sospende il pagamento perché un’altra Amministrazione statale afferma di vantare una ragionevole pretesa.

Qualora la pretesa creditoria dotata di ragionevole apparenza e fondatezza non dovesse trasformarsi in un diritto di credito, l’Amministrazione dovrà revocare il fermo ed erogare il rimborso, in caso contrario potrà operare la compensazione.

La revoca del fermo e l’erogazione del rimborso dovranno avvenire anche nel caso in cui la parte privata estingua il proprio debito prima che avvenga

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la compensazione oppure nel caso in cui l’amministrazione creditrice annulli in autotutela la propria pretesa creditoria.

La dottrina17 e parte della giurisprudenza ritengono che questa misura cautelare non possa essere cumulata con altri strumenti di garanzia, ossia essi possono essere adottati alternativamente.

Per esempio, una volta sospeso il pagamento attraverso il fermo, l’Amministrazione Finanziaria non può richiedere la prestazione di una fideiussione o cauzione al soggetto che subisce il provvedimento, in quanto, realizzato l’interesse pubblico, mancherebbero i presupposti di utilizzo del potere. Difatti, non avrebbe senso che l’Amministrazione Finanziaria chieda una fideiussione se ha già realizzato l’interesse pubblico in altro modo.

Secondo la giurisprudenza di legittimità più recente18il fermo

amministrativo generale può essere impugnato dinanzi al giudice al quale è attribuita la cognizione della controversia sulla ragione di credito tutelata pertanto, se il rimborso è sospeso dall’Agenzia delle entrate o da altre Amministrazioni statali in relazione a un credito tributario la competenza è del giudice tributario.

Viceversa, se l’Agenzia delle entrate sospende il rimborso sulla base della richiesta di un’altra Amministrazione statale, la competenza è del giudice ordinario o del giudice amministrativo secondo la situazione soggettiva lesa.

Il fermo amministrativo dovrebbe scontare i seguenti presupposti: a) il credito, che un’Amministrazione vanta verso creditori di un'altra Amministrazione, deve avere una ragionevole apparenza di fondatezza, tale cioè da poterlo classificare fra i crediti certi;

b) il credito colpito deve appartenere all'Amministrazione statale che

17 L. PACIFICO, Fermo amministrativo e crediti verso l’erario. p.4313. 18 Cass., SS.UU., 22 dicembre 2010, n. 25983

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dispone il fermo (non si possono colpire cespiti di cui lo Stato è semplice intermediario);

c) l'Amministrazione creditrice dev'essere diversa da quella debitrice.

Quando si tratta di Amministrazione che nello stesso tempo sia creditrice e debitrice, non ricorre la necessità di un particolare provvedimento cautelativo di carattere temporaneo, quale è quello di cui al ripetuto articolo 69, potendosi direttamente e più celermente giungere alla compensazione tra debiti e crediti, purché sussistano i requisiti di cui all'art. 1243 del Codice Civile e cioè l'omogeneità dei termini e la liquidità ed esigibilità dei crediti che vi entrano a far parte.

L'ultimo comma dell'art. 69 della vigente legge di contabilità generale dello Stato, che regola l'istituto del fermo amministrativo, stabilisce che la sospensione dei pagamenti nei confronti del soggetto che sia debitore nei confronti dell'Erario è richiesta, dall'Amministrazione che abbia le ragioni del credito stesso, alle altre Amministrazioni eventualmente debitrici nei confronti del medesimo, le quali sono tenute ad eseguirla in attesa di un successivo provvedimento definitivo di incameramento o di sblocco del pagamento oggetto del provvedimento cautelare.

Non essendo necessario un intervento di questo Dicastero, né in forma ordinativa della sospensione, né, conseguentemente, per la sua revoca, le Amministrazioni sono tenute a provvedere direttamente all’emanazione dei provvedimenti riguardanti i fermi amministrativi.

Tali fermi possono essere proposti direttamente dai titolari degli Uffici centrali, oppure, ove sia ritenuto opportuno, secondo i criteri che ciascuna Amministrazione ritiene far parte della propria competenza ed in rapporto alla struttura dei propri servizi, dai titolari degli Uffici periferici, rivestenti qualifica dirigenziale, preferibilmente con competenza territoriale non

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inferiore a quella provinciale, quali ad esempio le Direzioni Regionali delle Entrate, le Prefetture, i Provveditorati Regionali alle Opere Pubbliche ecc.

Ovviamente lo stesso Ufficio centrale o periferico che emette il provvedimento di fermo deve avere cura di disporne tempestivamente la revoca, non appena il credito erariale sia stato recuperato, al fine di evitare eventuali danni ai soggetti colpiti dal fermo stesso.

Nei casi in cui, per la delicatezza delle questioni giuridiche sottostanti o per qualsiasi altro motivo appaia probabile o anche possibile un ricorso alla Magistratura, si suggerisce alle Amministrazioni che intendono disporre il fermo amministrativo, di rivolgersi preventivamente all'Avvocatura Generale dello Stato o a quelle distrettuali, per il parere di competenza.

Si ribadisce, inoltre, che è compito dell'Amministrazione che ha emanato il fermo amministrativo di disporre, su segnalazione di variazioni sull'entità del credito erariale da parte di altre Amministrazioni, l'elevazione o la riduzione dell'importo.

Analoghe modalità sono da applicarsi per la revoca del fermo già disposto, che dovrà operarsi non appena sia stato recuperato l'intero credito erariale.

Per quanto riguarda gli sviluppi dei fermi suddetti, le Amministrazioni centrali o periferiche che li hanno disposti sono pregate di segnalare al Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, con periodicità almeno semestrale, gli incameramenti parziali disposti o conseguiti, le azioni intraprese e ogni altra notizia idonea a far seguire lo svolgimento del recupero dei crediti erariali.

Si ritiene oltremodo opportuno rammentare che, per il disposto di cui al secondo comma dell'articolo 562 delle istruzioni generali sui servizi del

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Tesoro, gli atti impeditivi di cui trattasi devono essere notificati alle Tesorerie competenti nei casi in cui le stesse siano già in possesso di titoli di spesa emessi in favore del debitore erariale, ovvero per le eventualità che i predetti titoli, sebbene emessi, non siano ancora pervenuti alle stesse. Per effetto di tale disposizione, la notifica in parola deve recare l'indicazione dei titoli per i quali si chiede la sospensione del pagamento. In assenza di questa indicazione, le Tesorerie segnalano formalmente alle Amministrazioni scriventi l'inapplicabilità dell'atto cautelativo qualora, trascorsi sessanta giorni dalla notifica stessa, non abbiano ricevuto alcun ordinativo di pagamento in favore dei debitori nei cui confronti siano stati disposti i fermi amministrativi.

L'Amministrazione che ha disposto il fermo, avuta notizia dell'esistenza del debito nei confronti del soggetto colpito dal provvedimento cautelativo da parte delle altre Amministrazioni, invita queste ultime ad incamerare le somme dovute ai debitori sino a concorrenza dei crediti vantati dall'Amministrazione procedente.

A tal fine, l'invito deve contenere il capo ed il capitolo del bilancio cui imputare le somme oggetto di compensazione e la relativa causale.

La giurisprudenza19 ritiene, altresì, che l’amministrazione possa adottare il fermo anche quando il proprio credito sia contestato, poiché il suo presupposto normativo non è la provata esistenza del credito, ma la sua ragionevole apparenza di fondatezza.

Il giudice di legittimità ha altresì ritenuto che l'adozione del fermo amministrativo di crediti tributari è incompatibile con il divieto di intraprendere azioni individuali in seguito alla dichiarazione di fallimento di cui all'art. 51, R.D. n. 267/1942.

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30 2.1.3 Il fermo dei beni mobili registrati.

Il “fermo dei beni mobili registrati”, oggi disciplinato dall’art. 86 del D.P.R. n. 602/1973, sancisce, nel suo primo comma, che decorsi inutilmente sessanta giorni dalla notifica della cartella di pagamento l’agente della riscossione può disporre il fermo dei beni mobili del debitore o dei coobbligati iscritti in pubblici registri, dandone notizia alla Direzione regionale delle entrate e alla Regione di residenza.

Nel caso in cui non dovesse avvenire l’iscrizione a ruolo poiché viene emesso un avviso di accertamento esecutivo, il fermo può essere adottato decorsi sessanta giorni dalla notifica dell’atto impositivo più ulteriori trenta giorni dall’affidamento dello stesso all’Agente della riscossione.

Così come per l’ipoteca, anche in questo caso, la sospensione legale dei termini di centottanta giorni non trova applicazione.

Poiché questo istituto comporta l’inutilizzabilità del bene, il comma 3° dell’art. 77 prevede l’irrogazione di una sanzione nei confronti di chiunque circoli con i beni mobili registrati sottoposti a fermo.

Il terzo comma dell’articolo in esame, prima della modifica apportata dalla Legge n. 98/2013,prevedeva che il fermo si eseguisse mediante iscrizione del provvedimento, che lo disponeva, nei registri mobiliari, a cura del Concessionario, che ne dava altresì comunicazione al soggetto nei confronti del quale procedeva.

In conformità a questa previgente disposizione, decorso il termine di sessanta giorni dalla notifica della cartella di pagamento, l’Agente della riscossione poteva disporre il fermo senza avere alcun obbligo di comunicazione preventiva al debitore.

Nonostante il chiaro dettato normativo, l’Agenzia delle Entratedispose, al fine di dare un ulteriore stimolo all’adempimento spontaneo da parte del debitore, che gli Agenti della riscossione dovessero far precedere

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l’iscrizione del provvedimento di fermo nei registri mobiliari dall’invio del c.d. preavviso di fermo, contenente l’invito a pagare le somme dovute entro venti giorni.

Qualora il debitore non pagasse o non chiedesse il rateizzo entro detto termine, il preavviso assumeva valore di comunicazione dell’iscrizione del provvedimento nei registri mobiliari, così come richiedeva il secondo comma allora vigente.

Tale preavviso, in seguito alla modifica apportata dalla richiamata Legge n. 98/2013, è oggi previsto normativamente infatti la nuova previsione è coerente con il necessario contraddittorio preventivo.

La nuova formulazione del secondo comma prevede che la procedura d’iscrizione del fermo nei pubblici registri debba essere avviata dall’Agente della riscossione con la notifica al debitore o ai coobbligati, di una comunicazione preventiva contenente l’avviso che, in mancanza del pagamento delle somme dovute entro il termine di trenta giorni, sarà eseguito il fermo, senza necessità di ulteriore comunicazione, mediante iscrizione del provvedimento che lo dispone nei registri mobiliari.

Il legislatore ha così “recepito” quell’atto chiamato dall’Amministrazione Finanziaria “preavviso di fermo”, allungando da venti a trenta giorni il periodo di tempo concesso al debitore affinché estingua spontaneamente il proprio debito.

Inoltre, la nuova formulazione prevede che se il debitore o i coobbligati, nel termine prima indicato, dimostrino all’Agente della riscossione che il bene mobile è strumentale all’attività d’impresa o della professione, quest’ultimo non dovrà eseguire il fermo.

Quest’ulteriore modifica, che costituisce una sospensione ex lege dei poteri dell’Agente della riscossione, è fortemente garantista nei confronti dei debitori che svolgono un’attività imprenditoriale o professionale, i quali

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possono impedire l’iscrizione del provvedimento di fermo nei registri mobiliari dimostrando che il bene è strumentale all’attività.

Il quarto comma dell’art. 77 suddetto prevede che, per l’attuazione della norma sul fermo dovrà essere emanato un decreto ministeriale che regoli i termini, le procedure e le modalità di esecuzione del provvedimento.

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2.1.4 La sospensione dei rimborsi ex art. 23, c. 1 D. Lgs. n.472/1997

Sommario: 2.1.4.1. Il fermo dei rimborsi e successiva compensazione: una speciale applicazione del fermo “generale” alla materia tributaria - 2.1.4.2. Natura giuridica del potere di fermo speciale e presupposti per la sua applicazione - 2.1.4.3. Sui rapporti tra fermo speciale e sospensione dei rimborsi Iva (ex art. 38/bis, comma 8, del DPR. n. 633/72) - 2.1.4.4. La tutela del contribuente.

2.1.4.1. Il fermo dei rimborsi e successiva compensazione: una speciale applicazione del fermo amministrativo generale alla materia tributaria.

L’art. 23 D. Lgs. n. 472/97 disciplina l’istituto della sospensione del rimborso e successiva compensazione, istituto che originariamente trovava applicazione nei soli casi in cui l’Amministrazione Finanziaria, a fronte della richiesta di rimborso del contribuente, vantasse crediti di natura sanzionatoria nei confronti dello stesso, e che di recente è stato esteso - a seguito della novella apportata dall’art. 16, comma 1, lett. h), D. Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, in attuazione dell’art. 8, comma1, della L. 11 marzo 2014, n. 23 - ai casi in cui essa vanti crediti per tributi. Esso ha assunto, dunque, portata generale, nonostante la sua disciplina rimanga nell’ambito delle disposizioni generali sulle sanzioni amministrative tributarie.

L’istituto prevede, in buona sostanza, che l’Amministrazione Finanziaria possa sospendere il pagamento di un rimborso nei confronti di un contribuente – o dei coobbligati in solido - cui sia stato notificato un atto di contestazione o di irrogazione di sanzioni o un provvedimento con il quale vengono accertati maggiori tributi, ancorché non definitivi; è previsto, inoltre, che la sospensione possa essere disposta nei limiti della somma

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risultante dall’atto o dalla decisione della Commissione tributaria20. Una volta che il provvedimento diviene definitivo, poi, l’Ufficio competente per il rimborso è legittimato a pronunciare la compensazione del debito.

Tale istituto viene comunemente considerato diretta specificazione del fermo “generale”, previsto dall’art. 69, comma 6, della legge di contabilità di Stato (R.D. 18 novembre 1923, n. 2440), ai sensi del quale “qualora un’amministrazione dello Stato che abbia, a qualsiasi titolo, ragione di credito verso aventi diritto a somme dovute da altre amministrazioni, richieda la sospensione del pagamento, questa deve essere eseguita in attesa del provvedimento definitivo”; l’amministrazione creditrice richiede, cioè, a quella debitrice di sospendere in via provvisoria il pagamento dovuto, in presenza di una generica ragione di credito nei confronti del beneficiario e fino a che non sia possibile provvedere al soddisfacimento del credito erariale, ovvero alla revoca del fermo.

Entrambi gli istituti hanno la funzione di evitare il pagamento di somme in presenza di crediti da riscuotere e sono finalizzati a consentire la futura compensazione tra debiti e crediti dello stesso soggetto: pur condividendo la medesima ratio, tuttavia, la loro disciplina presenta molte differenze, alcune meramente formali, altre più sostanziali.

Il fermo “generale” è costruito come un ordine che un’amministrazione, potenziale creditrice di un privato, rivolge ad altra amministrazione, debitrice effettiva del medesimo soggetto, affinché quest’ultima sospenda il pagamento dovuto; dal lato pubblico vi sarebbe, in sostanza, una relazione bilaterale ed interna, atteso che l’amministrazione che si pretende in credito non è la stessa che si trova in debito. Ciò non ha impedito, tuttavia, di ritenere che il fermo generale possa operare anche nel caso in cui una stessa

20 Ciò significa che l’intervento di una sentenza, seppure non definitiva, che disconosca in tutto o in parte

la pretesa tributaria rende inefficace, in tutto o in parte, l’atto di sospensione del rimborso. Così TRIVELLIN, Commento all’art. 23 del D. Lgs 472/1997, Sospensione dei rimborsi e compensazione, in

Commentario alle disposizioni generali sulle sanzioni amministrative in materia tributaria, Padova,

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branca dell’amministrazione statale sia nel contempo debitrice e creditrice nei confronti del terzo21: se l’istituto è funzionale a proteggere l’interesse pubblico connesso alle esigenze finanziarie dello Stato22, si è detto, sarebbe irragionevole ritenere che tale interesse è meritevole di tutela solo quando il rapporto credito/debito coinvolga più amministrazioni.

Per il fermo speciale, viceversa, il legislatore dice espressamente che sul versante pubblico sta solo l’Amministrazione Finanziaria la quale ricopre al tempo stesso il ruolo di creditrice e debitrice23; ciò non significa, tuttavia, che vi debba essere identità tra Ufficio titolare della posizione creditoria e Ufficio titolare della posizione debitoria. Sul punto, a dire il vero, l’art. 23 cit. non è esauriente, in quanto si limita a dire che l’ufficio che emette il provvedimento di compensazione è quello competente per il rimborso, mentre non dice sul soggetto che si deve pronunciare sulla sospensione. Secondo parte della dottrina24, pur non sussistendo alcun dubbio che ai due istituti (sospensione e compensazione) possano concorrere Uffici diversi, è corretto attribuire la competenza ad emettere il provvedimento di sospensione allo stesso Ufficio competente per la compensazione; ciò impone, evidentemente, dei passaggi interni procedimentali, nel senso che l’ufficio debitore, competente ad adottare il provvedimento, dovrà essere informato dall’ufficio creditore dell’esistenza del debito del contribuente per sanzioni o tributi.

Ancora, nella disciplina dettata per il fermo “generale” non v’è cenno alcuno al rapporto quantitativo che deve sussistere tra importi che si assumono dovuti dal privato e somme di cui quest’ultimo sia creditore (le

21 Così, Corte Cost. Sentenza n. 67/1972, in Foro it., 1972, 1, 1146 e ss.

22 In questi stessi termini la Corte Costituzionale giustifica la previsione del fermo generale, nella

sentenza n. 67/1972, cit. ritenendo infondate le questioni sollevate con riferimento alla presunta violazione dell’art. 3 Cost.

23 DEL FEDERICO, Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di

norme tributarie, in Commento agli interventi di riforma tributaria. I decreti legislativi di attuazione delle deleghe contenute nell’art. 3 della L. 26.12.1996 n. 662 a cura di M. MICCINESI, Padova, 1999,

1128.

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quali potrebbero, in teoria, essere maggiori), mentre la sospensione di cui all’art. 23 cit. opera, per espressa previsione normativa, solo fino al limite massimo della coincidenza tra ammontare del debito per sanzioni o tributo e del credito per rimborso. Tuttavia, se davvero l’amministrazione pubblica potesse sospendere l’erogazione di rimborsi, anche a fronte di crediti di esigua entità, il fermo generale rappresenterebbe un privilegio irragionevole per lo Stato: è preferibile allora quell’interpretazione dell’art. 69 cit. che limita in ogni caso la sospensione del pagamento di un debito entro l’ammontare del credito, non ancora esigibile, dell’amministrazione statale25.

Quanto alla situazione soggettiva che legittima l’emanazione del provvedimento di sospensione, infine, le differenze sono più apparenti che reali; l’art. 69 cit. parla genericamente di “ragione di credito”, facendo pensare che sia possibile sospendere il rimborso dinanzi ad un credito erariale futuro, arbitrario e, quindi, non certo, mentre l’art. 23 cit. precisa che la pretesa dell’Amministrazione Finanziaria deve essere formalizzata in un atto del procedimento e, segnatamente, nell’atto di contestazione di cui all’art. 16 ovvero nell’avviso di irrogazione o nel provvedimento che accerta un maggior tributo. Si deve ritenere, tuttavia, che, in generale, la pretesa creditoria che poggia su un rapporto pubblicistico diventa ragionevole nel momento in cui sono state espletate almeno le fasi essenziali del procedimento di accertamento del credito, e che, per contro, la semplice apparenza della fondatezza della pretesa finirebbe per legittimare l’esercizio arbitrario del potere di sospensione del pagamento26. A questo riguardo la Ragioneria Generale dello Stato con la circolare n. 21 del 29 marzo 1999 ha ulteriormente specificato che il termine “ragioni di credito” sottintende la sussistenza nel caso concreto di una ragionevole

25 Così TRIVELLIN, Commento all’art. 23 del D. Lgs 472/1997, Sospensione dei rimborsi e

compensazione, in Commentario alle disposizioni generali sulle sanzioni amministrative in materia tributaria, Padova, 2000, cit. 737.

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apparenza di fondatezza, tale cioè da poterlo classificare fra i crediti certi, requisito senza il quale si avrebbe un comportamento senza potere, eventualmente causativo di danno risarcibile.

I due istituti, presentano, viceversa, tratti di sostanziale differenza nel loro raggio di applicazione determinato, da un lato, dai soggetti legittimati a richiedere tali misure e, dall’altro, dai soggetti nei confronti dei quali tali misure possono essere opposte. Con riguardo al primo aspetto, la disciplina speciale (art. 23 cit.) attribuisce espressamente il potere di sospensione dei rimborsi all’Amministrazione Finanziaria, quindi a tutti gli apparati amministrativi che gestiscono tributi con gettito destinato allo Stato, e cioè alle Agenzie fiscali e agli Uffici ad esse riconducibili; tuttavia, per effetto dell’art. 16 D.Lgs n. 473/97, che stabilisce che “Alle violazioni delle norme in materia di tributi locali si applica la disciplina generale sulle sanzioni amministrative per la violazione delle norme tributarie….”, il potere di fermo deve ritenersi attribuito anche agli enti locali, quindi a Regioni, Province, Comuni, i quali, viceversa, non possono avvalersi del fermo generale in quanto, per previsione espressa, prerogativa delle sole Amministrazioni Statali.

Con riguardo al secondo aspetto – cioè ai soggetti nei confronti dei quali tali misure sono opponibili -, si osserva che il fermo speciale opera ed è opponibile non solo ai rimborsi dovuti all’autore della violazione, che è il soggetto nei cui confronti viene applicata la sanzione e/o richiesto il maggior tributo, ma anche ai rimborsi dovuti ai soggetti obbligati in solido; se, ad esempio, un ente collettivo privo di personalità giuridica ha presentato istanza di rimborso e l’Amministrazione Finanziaria ha irrogato una sanzione al suo rappresentante legale, l’ente può subire l’applicazione del fermo in quanto responsabile in solido per il pagamento della sanzione ai sensi dell’art. 11, comma1, D.Lgs. 472/97. Si osserva, a questo riguardo, che il generico riferimento ai soggetti coobbligati in solido induce a

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ritenere che a seguito della novella apportata dall’art. 16, c. 1, lett. h), D. Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, - che, come ricordato, fa del fermo speciale un istituto di portata generale, applicabile cioè a fronte di crediti dell’Amministrazione Finanziaria di qualunque natura -, la sospensione del rimborso possa essere opposta anche nei confronti dei coobbligati in solido al pagamento dell’imposta, quindi anche nei casi di responsabilità di imposta; il responsabile di imposta che abbia chiesto il rimborso di un credito a titolo personale può vedersi notificare, cioè, il provvedimento di fermo a fronte di un debito per il quale è coobbligato in via dipendente insieme al soggetto che ha ricevuto il provvedimento di accertamento.

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2.1.4.2. Natura giuridica del potere di fermo speciale e presupposti per la sua applicazione

L’istituto, tanto nella parte in cui consente all’Amministrazione di disporre la sospensione dei pagamenti, quanto nella parte in cui prevede la compensazione delle obbligazioni, è da inquadrare nell’ambito del potere discrezionale di autotutela attribuito all’Amministrazione Finanziaria per garantire la riscossione dei crediti non ancora esigibili27: la sua funzione è ibrida, in parte cautelare ed in parte esecutiva, essendo finalizzato a consentire la compensazione fra debiti e crediti dello stesso soggetto allorché acquisiscano i requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità.

L’esercizio del potere di sospensione dei rimborsi è facoltativo e discrezionale28; l’Amministrazione Finanziaria, dunque, in presenza dei presupposti previsti dalla legge si troverà a ponderare l’interesse pubblico a che i crediti dell’erario siano adeguatamente tutelati, con quello dei privati incisi dal provvedimento, per i quali, in determinate circostanze, la sospensione dei rimborsi potrebbe pregiudicare fortemente la posizione economico-finanziaria, fino a creare situazioni di illiquidità e quindi di insolvenza.

La sospensione del rimborso è, ovviamente, misura temporanea e provvisoria, destinata a risolversi nella revoca oppure nella compensazione. La risoluzione della garanzia mediante revoca deve essere disposta allorché il contribuente o il coobbligato solidale adempiano direttamente all’obbligazione per sanzioni o tributo, oppure nel caso in cui il provvedimento sia definitivamente annullato in sede giudiziale; la compensazione avrà luogo nel caso in cui il provvedimento divenga inoppugnabile, oppure passi in giudicato la sentenza che rigetta il ricorso del contribuente avverso di esso. La norma non sembra lasciare margini di

27 MESSINA, La compensazione nel diritto tributario, Milano, 2006, 86-87. 28 Circolare n.180/E 10 luglio 1998.

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discrezionalità all’ufficio competente per il rimborso nel decidere se opporre o meno la compensazione in caso di provvedimento definitivo. Qui il legislatore affermando che “l’ufficio pronuncia la compensazione del debito” impone all’organo erariale l’adozione del provvedimento con cui opporre la compensazione al verificarsi del requisito indicato, e cioè alla definitività del provvedimento.

Per alcuni si tratterebbe di compensazione amministrativa29 in quanto conseguente a manifestazione di volontà della pubblica amministrazione, e sarebbe riconducibile, per utilizzare le categorie civilistiche, alla compensazione volontaria disposta dall’amministrazione tra crediti reciproci non omogenei, dal momento che originano da situazioni giuridiche diverse, e cioè da una potestà amministrativa (sanzionatoria o di accertamento), quello dell’Amministrazione Finanziaria, e da un diritto soggettivo (ancorché nascente da disposizioni tributarie) quello del contribuente.

Altri, invece, ritengono che la compensazione di cui all’art. 23 sia riconducibile alla categoria di quelle legali, benché non sia pienamente rispondente al modello offerto dall’art. 1243 c.c., in quanto la compensazione legale opera solo se “opposta”, mentre l’art. 23 cit. collega l’effetto della compensazione all’intervenuta definitività del provvedimento sanzionatorio o di accertamento del maggior tributo30.

Tanto la sospensione del rimborso quanto la compensazione dei reciproci crediti deve avvenire attraverso l’adozione in via autoritativa di un provvedimento formale di tipo discrezionale, rispetto al quale il soggetto

29 GUIDARA, Indisponibilità del tributo e accordi in fase di riscossione, Milano 2010, 203 e ss.

30 La compensazione disciplinata nel c.c. negli artt. 1241 e seguenti, si distingue a sua volta in

compensazione legale (su richiesta di una parte ma con effetti dal giorno della coesistenza “tra due debiti che hanno per oggetto una somma di denaro o una quantità di cose fungibili dello stesso genere e che sono ugualmente liquidi ed esigibili”), giudiziale (disposta dal giudice quando “il debito opposto in compensazione non è liquidi ma è di facile e ponta liquidazione”), e volontaria (per volontà delle parti e in difetto dei requisiti previsti per le precedenti).

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destinatario può chiedere la verifica giurisdizionale dei presupposti di legittimità e opportunità.

L’emanazione di un formale provvedimento di fermo è stata ritenuta imprescindibile anche dalla Corte di Cassazione, che, nella sentenza n. 23601 del 2011, ha puntualizzato che la sospensione del rimborso avviene; a) in via autoritativa, b) previa valutazione discrezionale; c) dopo una motivata ricognizione della sussistenza dei presupposti di legge, ed in

particolare in ordine al fumus riscontrabile nella pretesa

dell’Amministrazione. I giudici di legittimità, di conseguenza, hanno escluso l’opponibilità della ragione di fermo direttamente in sede processuale in quanto, ammettendo che l’Amministrazione Finanziaria possa opporre la sospensione mediante una mera eccezione processuale, si finirebbe per eludere la disciplina formale che regola l’esercizio del potere, e che assicura, insieme con la notificazione del provvedimento, la verifica giurisdizionale in ordine alla sussistenza dei presupposti.

Per continuità interpretativa dell’art. 23, si è poi fatto notare31 come anche nel caso in cui il controcredito sia definitivo e consenta l’estinzione per

compensazione l’Amministrazione debba adottare un formale

provvedimento di compensazione non potendosi limitare a formulare un’eccezione processuale.

Ricapitolando, il potere di sospensione dei rimborsi può essere esercitato al verificarsi dei seguenti presupposti e limiti: 1) il credito tributario dell’Erario deve risultare da atti di contestazione o di irrogazione di sanzioni o da provvedimenti che accertano maggiori tributi, che siano stati notificati, ancorché non definitivi; 2) la sospensione opera nei limiti della somma risultante dall’atto o dalla decisione del giudice; 3) la sospensione deve essere adottata con provvedimento che deve essere notificato all’autore della violazione e ai soggetti obbligati in solido; 4) qualora il

31 BASILAVECCHIA, Necessaria l’adozione del provvedimento formale per sospendere i rimborsi, in

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credito tributario diviene definitivo, l’ufficio competente per il rimborso emette un nuovo provvedimento compensativo di credito e debito; 5) il provvedimento compensativo deve essere notificato agli interessati.

Malgrado la natura cautelare della misura, risulta evidente l’estraneità del requisito del periculum in mora nell’adozione del provvedimento di fermo. L’art. 23 cit. infatti prevede una situazione inversa rispetto a quella che caratterizza le altre misure cautelari (ipoteca e sequestro conservativo); nel sospendere il rimborso l’amministrazione non deve valutare il periculum nella riscossione, che, quindi, non è condizione necessaria ai fini della sospensione. Esso è, insomma, un elemento irrilevante anche se di fatto il timore di non riscuotere il proprio credito può sussistere ed essere anche l’elemento che induce all’adozione del provvedimento. L’Amministrazione trattiene le somme di spettanza del contribuente, quindi, senza la necessità di compiere e/o di esplicitare una valutazione siffatta ma solo in vista dell’eventuale compensazione con quei crediti che al momento di adozione del provvedimento di fermo non sono liquidi né esigibili.

Il provvedimento di sospensione dei rimborsi deve, viceversa, dar conto dell’apparenza del diritto vantato (fumus): non pare necessario, tuttavia, che il fermo rechi un’apposita illustrazione logico-giuridica delle ragioni a sostegno della pretesa dell’amministrazione, dal momento che essa dovrebbe risultare già compiutamente descritta negli atti in cui la pretesa è formalizzata, e cioè nell’atto di contestazione o di irrogazione delle sanzioni o nel provvedimento nel quale si accerta un maggior tributo. Sembra più ragionevole ritenere, allora, che il provvedimento di fermo debba contenere un riferimento, eventualmente nella forma della motivazione per relationem o del rinvio, alla contestazione, all’irrogazione, all’accertamento o alla sentenza. Ciò nonostante laddove il contribuente voglia investire la commissione tributaria del sindacato sui fondamenti

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