• Non ci sono risultati.

5. Sara Albano, Coltello e forchetta

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "5. Sara Albano, Coltello e forchetta"

Copied!
4
0
0

Testo completo

(1)

COLTELLO & FORCHETTA

Piccolo viaggio nella storia delle posate

Sara Albano

Che mondo sarebbe senza le posate? Strumenti che oggi riteniamo di pre-senza oramai “scontata” sulla tavola imbandita, ma che in realtà sono stati frutto, nel corso dei secoli, non solo del perfezionamento della loro mani-fattura, ma soprattutto di un vero e proprio “percorso di accettazione” del loro utilizzo da parte delle classi sia più che meno agiate. Scopriamo allora insieme alcune curiosità che derivano dalla loro storia.

Sul coltello

Che i coltelli da cucina siano sempre stati affini alle armi, è un dato di fatto che si deduce proprio dalle sue origini. A differenza dei leoni, l’uomo non è in grado di strappare la carne con i denti, fosse per difendersi o per nutrir-si. E’ per questo che ha dovuto ingegnarsi, attraverso le varie ere, nell’in-ventare strumenti da taglio che gli permettessero di compiere le suddette operazioni.

Il coltello, inseparabile amico del cuoco e di chiunque ami dilettarsi in cuci-na, ha un’origine anteriore all’uso del fuoco di addirittura uno o due milio-ni di anmilio-ni. I coltelli sono da sempre stati di fondamentale importanza, per-ché in grado di consentirci di svolgere lavori che con le nostre capacità fisi-che non riusciremmo a effettuare. I primi prototipi di arnesi da taglio sono stati rinvenuti in Etiopia, ed erano fatti in pietra o in osso, intagliati sapien-temente per essere molto taglienti, e risalgono a 2.600.000 di anni fa! Durante l’Età della Pietra, l’uomo iniziò propriamente a creare strumenti da taglio differentemente definiti e adatti a diversi scopi: gli archeologi hanno dissotterrato mannaie, raschietti, nonché ciottoli appuntiti o arro-tondati per pestare il cibo, come antichi mortai. In quest’era anche i mate-riali si evolsero, passando da pietre qualsiasi ed ossa al granito, il quarzo, l’ossidiana e la selce. Quasi scontato sottolineare che coltelli e armi ta-glienti in genere trovarono vera e propria vita solo dall’Età del Bronzo in poi.

Ma come tenere affilato un coltello? A prescindere dal metodo utilizzato, il principio è sempre lo stesso: si affila il coltello limando via una parte del

(2)

metallo, cominciando con un abrasivo grossolano e passando poi a uno più delicato fino a raggiungere il risultato voluto. A dirla tutta, si tratta quasi di una formula fisica: si ottiene un filo tagliente quando due superfi-ci, dette biselli, si congiungono in un sottile angolo a forma di V.

Nell’Europa medievale e rinascimentale, era uso comune portare con sé il coltello ovunque si andasse, sia per difendersi… sia estraendolo al momen-to dei pasti. Il coltello ha dunque attraversamomen-to intere epoche smomen-toriche come accessorio oltre che irrinunciabile utensile, quasi come un moderno orolo-gio da polso, e spesso veniva fabbricato su misura per il suo proprietario. Dai manici in ottone, avorio, conchiglia, ambra, tartaruga, intagliati ad arte a creare disegni e simboli personalizzati, o ancora incastonati con pietre preziose per i membri della classe aristocratica. Il coltello era di conse-guenza, oltre che personalizzato, anche strettamente personale: a quei tempi era inimmaginabile anche solo pensare di mangiare con il coltello di un’estraneo… quasi come fosse ai trattasse di un moderno spazzolino da denti.

La haute cuisine francese, che predominò in seguito nei gusti degli europei facoltosi dal XVIII secolo in poi, come molti sapranno è basata su una mol-teplicità di salse, ma anche sull’utilizzo di coltelli specifici e di alta precisio-ne. I francesi non furono però i primi… Nel 1570 infatti, il famigerato non-ché italiano Bartolomeo Scappi, cuoco dei papi, possedeva già una miriade di arnesi a sua disposizione: coltelli da pasta, da torta, per battere, scimi-tarre, coltelli a lama spessa o sottile, come viene raffigurato nei suoi stessi testi scritti rinvenuti. Il suo unico errore? Averli citati ma non aver creato un codice per il loro impiego, ruolo che passò presto in mano ai francesi con la loro propensione per la precisione in cucina.

Sulla forchetta

Per millenni, per portare il cibo dal piatto alla bocca, ci si è sempre serviti delle mani. Al massimo, si utilizzava la sopra citata punta dei coltelli per in-filzare i pezzi di cibo ancora caldi. Ma quando è entrata in uso la tanto cara forchetta, utilissima anche per svolgere tante altre operazioni in cucina? In realtà un reperto archeologico esposto presso il Museo di Ventimi-glia, rivela che sembra fosse uno strumento – seppur in versione molto pri-mitivo - già in uso presso i Romani, ma il passaggio che la vide diventare

(3)

un arnese a più denti pare avvenne nell’alto Medioevo alla corte di Bisan-zio, dove un acuminato pugnale si trasformò prima in un imbroccatoio (si-mile ad uno spillone) e poi in un primordiale prototipo della forchetta. Nella letteratura italiana, dopo l’anno Mille, le forchette iniziano a girare copiose tra le mani dei mercanti tra Venezia, Pisa e Firenze, ma nelle corti vigeva ancora l’etichetta tradizionale – “dogma” di Ovidio - delle “tre dita”, che imponeva di attingere dal piatto direttamente con le mani per afferrare il cibo solido.

Un concetto, quest’ultimo, che inizialmente fu davvero difficile da riuscire a sradicare dalla tradizione sia popolare che aristocratica. E’ d’esempio una notizia inequivocabile dell’uso della forchetta personale da tavola che dobbiamo a San Pier Damiani (1007-1072), il quale narra di una principes-sa bizantina, recatasi a Venezia per spoprincipes-sare un doge, che non toccava il ci-bo con le mani preferendo usare una forchettina a due denti.

Ma il promesso sposo ne restò scandalizzato, e abbatté tutta la sua colle-ra sullo strumento, giudicandolo un lusso diabolico e una colle-raffinatezza scandalosa; a tal punto che usarlo, in seguito a questo evento, utilizzare la forchetta venne ritenuto un segno di debolezza, soprattutto tra i membri maschili della classe nobiliare.

Ancora una testimonianza giunge a noi da Ludovico Antonio Muratori, autore degli “Annali d’Italia”, che cita - nel 1071 - la presenza della forchet-ta al banchetto allestito in occasione delle nozze del doge Domenico Silvio con un’altra principessa bizantina, ma ancora in epoca tardo medioevale nelle corti si veniva giudicati raffinati se si mangiava “maestosamente”

con le mani!

La probabile “svolta”, ovvero l'imporsi dell'uso della forchetta come sim-bolo delle buone maniere, si verificò solo nel ‘500. Ma mentre la popola-zione cittadina borghese e mercantile cercava di usarla tutti i giorni, i nobi-li la ritenevano non obbnobi-ligatoria, ma da aggiungersi semmai ad altri indi-spensabili segni di civiltà quali abbondanza di tovaglie e tovaglioli e ablu-zioni ripetute prima e dopo gli incontri a tavola importanti.

(4)

Dalle corti italiane la forchetta si diffuse lentamente in Europa, dove anco-ra nel Seicento gli aristocanco-ratici mostanco-ravano resistenze ad abbandonare l'uso delle dita, come testimoniano anche le tradizioni che vigevano alla corte di Luigi XIV.

A conferma di questa riluttanza verso la forchetta, segnaliamo una crona-ca che vedrebbe protagonista Caterina de' Medici. Sembrerebbe che quan-do la regina fece provare la posata a più denti al marito Enrico II e ai propri commensali, questi si rivelarono piuttosto maldestri nel maneggiarla: "Nel

portare la forchetta alla bocca, si protendevano sul piatto con il collo e con il corpo. Era un vero spasso vederli mangiare, perché coloro che non erano abili come gli altri, facevano cadere sul piatto, sulla tavola e a terra, tanto quanto riuscivano a mettere in bocca".

Per arrivare all’utilizzo diffuso della forchetta in Italia, bisognerà aspettare oltre la metà del ‘700, epoca in cui iniziò a celebrarsi più concretamente anche il celebre matrimonio con gli spaghetti (vermicelli). Pare infatti che soprattutto per agevolare la presa dei "fili di pasta", il ciambellano di re Ferdinando IV di Borbone portò a quattro il numero dei rebbi della posa-ta.

Riferimenti

Documenti correlati

Once data are pre-processed, the typical workflow to analyze time series expression data includes: i) the selection of the differentially expressed (DE) genes; ii) a clustering step

We also expected, according to the theory of sense of community (McMillan & Chavis, 1986), that SOC would to be more highly correlated with social cohesion and community

The large b-quark Yukawa coupling arising in this particular scenario brings a pattern of enhancement and suppression in other B meson decays which, if verified or falsified, can

Lastly, welcome to the 6th year above all if it is correctly planned, and if it is dedicated to the clinical practice of the students, which will be also useful to supply the

batti insieme, metti nella pentola, fa bollire, minestra e poni spezie per iscodelle. — Togli latte di pecora e distemperalo fortemente con V ova e poni il lardo nella

La seconda generazione: difficoltà e risorse nella relazione con i contesti sociali, sanitari, educativi (modulo Relazioni di cura: la salute della donna e dei