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Guarda Fabienne Agliardi, Buona la prima (Venti prime volte che contano) (Milano, Morellini, 2020, 248 pp. ISBN 978-886-298-7523)

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I raccomandati/Los recomendados/Les recommandés/Highly recommended

N. 24 – 11/2020 ISSN 2035-7680

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Fabienne Agliardi,

Buona la prima

(Venti prime volte che contano)

(Milano, Morellini, 2020, 248 pp. ISBN 978-886-298-7523)

di Paolo Caponi

Racconta, questo romanzo d’esordio di Fabienne Agliardi, venti prime volte che contano nelle vite di giovani donne come Maia Mao, che nonostante il nome di un certo peso non condivide libretti rossi con nessuno. E nonostante non sia, il nome, esattamente di tipo comune, lo sono di più le sue esperienze, anzi, le sue prime esperienze, che rimandano a tappe più o meno iniziatiche nella vita della donna occidentale contemporanea. Quindi, niente lanci col paracadute, o inseguimenti alla James Bond (che, comunque, sono assai meno rari di una volta), ma un viaggio più normale attraverso venti soglie quasi ubiquitarie tra secondo e terzo millennio. Il primo libro letto, il primo appuntamento, la prima dieta, il primo esame all’università (la Statale di Milano, ça va sans dire) e naturalmente “quella” prima volta, che invece una donna del primo millennio, e anche di buona parte del secondo, mai avrebbe pensato di raccontare. Eccetera.

Pubblicato con la Loredana Rotundo Literary Agency (l’inglese è nel testo), questo arioso romanzo si inserisce nella collana “Varianti” di Morellini, l’editore, in cui l’esordiente Agliardi si ritrova gomito a gomito con Barbara Garlaschelli. Quarantenne, regolarmente iscritta all’albo dei giornalisti della Lombardia dal 9 gennaio 2008, Agliardi ci dice in una nonchalant quarta di copertina che avrebbe dovuto chiamarsi Gaetana (che, in effetti, con il fiabesco Fabienne c’entra proprio pochino) ma, causa un

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405 irrigidimento dei genitori in zona Cesarini riguardo ad alcuni dettami di famiglia, Gaetana non fu poi chiamata determinando con ciò il destino della sua mancata portatrice e, appunto, definendo una tranquilla traiettoria lontana dai lasciti ereditari e vicina alle (venti) soglie dei comuni portatori di mutuo.

“Scriva! Scriva! Vedrà come arriverà a vedersi intero”, diceva il dottor S. a Zeno Cosini che, riluttante, si accingeva a scrivere la storia della sua vita attraverso nuclei tematici che scardinavano, senza clamori, le diacronie romanzesche. In questo caso, Mao arriviamo a vederla intera anche noi, attraverso un percorso che passa però attraverso le prime volte anziché le ultime (sigarette). Percorso meno terapeutico e più cronologico, sapientemente scandito in “Bianco e nero”, “Polaroid” e “Digitale” che, contrariamente a quanto prevede di norma quest’ultimo, non porta con sé alcuna “morte pulita” da computer, anzi. Tutti i file sono eternati per il completamento, definitivamente provvisorio, della lunga marcia di Mao. Raccontate con rara disinvoltura e ironia, le venti prime volte in questione ci portano a sorridere e qualche volta apertamente a ridere, riflettendo anche sulla forma romanzo della letteratura italiana contemporanea. E tutto senza alcuna esitazione: sicura e decisa si muove la penna di Fabienne tra la materia narrativa, senza che tremi una vena o un polso, fin si diceva alla quarta di copertina che così ironicamente la rappresenta e che è come la ciliegina sulla torta di un libro senza sbavature. Un sicuro talento, quello di Fabienne, che si può affinare con la cultura, ragguardevole, e con una tesi sulle parodie shakespeariane, certo, ma che come vuole il vecchio adagio non si compra al supermercato. Tutto ha, questa prima prova narrativa, per piacere ai lettori di oggi: umorismo, leggerezza, trasparenza, stile, e un accuratissimo evitamento del rischio e di tutto ciò che potrebbe appesantire la materia, che si vuole sempre leggibile e interfacciata con le realtà quotidiane che ci circondano, anche nella loro natura più mediatica o stagionale. Risente della tv, potrà piacere alla tv. Un sapiente, ben congeniato contributo italiano alla chick lit, quella letteratura al femminile che ha avuto e sta avendo tanto successo in Angloamerica e che parla di donne più o meno comicamente in carriera. A proposito: andrebbe benissimo, questo romanzo di oggi, al cinema italiano di oggi. Novella Bridget Jones, Maia Mao non aspetta altro che la sua fissazione su celluloide. E l’inizio di una serie di seconde volte che, spesso, possono riservare anche più sorprese delle prime.

_____________________________________ Paolo Caponi

Università degli Studi di Milano paolo.caponi@unimi.it

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