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Segnali di una fine. Un'autodiagnosi del cinema contemporaneo in tre film

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Academic year: 2021

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Conclusioni

Affrontare un'analisi, più o meno dettagliata, del cinema della contemporaneità comporta invitabilmente il confronto con quei caratteri di crisi e inefficienza che, come abbiamo visto, hanno portato i più scettici a pensare ad una sua imminente scomparsa. Dai più recenti studi emerge infatti come al giorno d'oggi sia impossibile continuare a pensare al cinema e approcciarsi ad esso come lo si faceva anche solo fino a vent'anni fa. L'obiettivo di questa tesi presenta dunque una duplice finalità: da una parte si è voluto restituire un quadro generale di tutti quegli aspetti critici che hanno portato il cinema ad un'ennesima rivoluzione e ad un'inevitabile autoridefinizione; dall'altra, si è tentato di dimostrare come, ancora una volta, il cinema sia riuscito ad attivare quei meccanismi di autodiagnosi e "resistenza" che rendono possibile una sua sopravvivenza.

Si è voluto quindi partire dall'esperienza postmoderna, sottolineando le caratteristiche principali che hanno influenzato il panorama cinematografico di quegli anni, mettendone in crisi quei «valori che avevano fondato la forza della settima arte nell'orizzonte della modernità»:1 l'emergere di una sempre più diffusa

indeterminazione identitaria nel rapporto con lo spettatore dovuta ad inedite modalità di visione, enunciazione e consumo dell'immaginario; il venir meno 1 M. Fadda, Corto circuito: o di cosa parliamo quando parliamo di cinema contemporaneo, in

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dello specifico cinematografico, sempre più compromesso dall'invasione da parte di altre forme di comunicazione ed espressione, quei new media che oggi sembrano rispondere maggiormente alla "domanda di presente" e di immediatezza che caratterizza il nostro vivere e la nostra società nell'era della convergenza.2

Le cause di questa inedita inadeguatezza da parte del cinema vanno rintracciate soprattutto nell'evoluzione sempre più influente, non solo in campo cinematografico, della tecnologia digitale. Intervenendo su vari livelli, il digitale ha infatti portato ad una serie di cambiamenti che hanno aperto numerosi e accesi dibattiti sulla nuova natura del cinema contemporaneo: la possibilità di creare

immagini di sintesi attraverso l'uso esclusivo del computer ha apparentemente

sciolto quel legame indessicale con la realtà che il cinema aveva sempre cercato si salvaguardare; i nuovi mezzi di ripresa digitale, basandosi sullo sviluppo di

immagini fotonumeriche, hanno eliminato quel processo foto-chimico da sempre

considerato il fondamento della rappresentazione cinematografica,3 portando alla

graduale scomparsa della pellicola; la digitalizzazione delle immagini e la comparsa di nuovi dispositivi di visione hanno di fatto imposto al cinema di uscire dalla sala buia per rilocarsi altrove, occupando inediti spazi ed espandendo i suoi confini.

Una serie di cambiamenti che all'interno di questa tesi, condividendo le analisi di vari studiosi, sono stati identificati come il risultato di una vera e propria riforma del cinema, non come una rivoluzione. Una riforma che ci permette ancora oggi di poter continuare a parlare di cinema, a prescindere dal fatto che questo sia realizzato in digitale, magari con un videofonino, o che occupi lo schermo ridotto 2 Ivi, pp. 10-11.

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di un tablet; una riforma che ancora una volta permette al cinema di testimoniare la sua sopravvivenza, prendendo atto del fatto che «un medium, se è vivo, è continuamente in uno stato di autotrasformazione».4

Casetti indica due modalità differenti di persistenza del cinema contemporaneo, identificandole rispettivamente come l'assottigliarsi del mezzo e il paradosso del

riconoscimento.5 Il primo termine vuole indicare il raggiungimento da parte del

cinema di una "leggerezza", anche istituzionale, mai vista prima; si pensi per esempio alla "pesantezza" che lo caratterizzava nel periodo classico degli studios, delle grandi sale e all'insieme di norme e di vincoli che prima gestivano la vita di un film. Oggi l'accesso al film, non solo è più facile e diretto ma «il diradarsi dell'atmosfera che lo circonda ne mette in luce la vera natura [...]. Non più protetto dallo spessore di un'istituzione, esso ci parla pienamente di sé».6 Con paradosso

del riconoscimento si intende invece quella modalità di resistenza attraverso la

quale sarebbe il cinema stesso a chiedere di essere identificato e allo stesso tempo accreditato come cinema, qualunque sia la sua veste. Allora spetta a noi soddisfare questa richiesta di riconoscimento, partendo proprio dalle difformità che il cinema manifesta rispetto al suo passato; ma in che modo? Per esempio, sorvolando sul fatto che non siamo in una sala, che ci troviamo di fronte ad uno schermo fluorescente anziché riflettente, che l'oggetto della nostra visione non sia nemmeno un film ma magari il breve episodio di una serie tv. Allo stesso modo però dobbiamo accentuare tutti quegli elementi che continuano a farci pensare al cinema così come l'abbiamo conosciuto, come ad esempio il fatto di essere, come sempre, di fronte ad immagini riprodotte meccanicamente, «che ci fanno 4 D. N. Rodowick, Il cinema nell'era del virtuale, cit., p. 60.

5 Cfr. F. Casetti, La galassia Lumière, cit., p. 316. 6 Ivi, p. 318.

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incontrare di nuovo la realtà e insieme che danno concretezza a una fantasia».7

Accettando le sue diversità rispetto al passato e allargando il quadro dei riferimenti includendo nuove possibilità, diamo al cinema un'identità che non si lega a un modello fisso, destinato a riproporsi per sempre o a morire definitivamente, ma che ha la sua base in una continua trasformazione.8

Considerando l'instabilità del suo divenire «sempre più marginale rispetto ad altre esperienze dell'audiovisione che paiono relegarlo nel cono d'ombra di un'eclisse non momentanea»,9 il cinema sembra allora mettere in atto quella consapevolezza,

già esibita in passato,10 grazie alla quale compiere una cosciente e attenta

autodiagnosi della propria crisi.

Per concludere quindi, i tre film analizzati nell'ultimo capitolo di questa tesi, in maniera non esplicita e con modalità divergenti, attestano ancora una volta la capacità che il cinema ha di mettere in scena le sue inquietudini, il suo smarrimento e le proprie ansie, esorcizzando così gli spettri di una fine imminente.

Un film come Cosmopolis ad esempio, denunciando e partendo proprio dall'incapacità - tutta contemporanea - che il cinema incontra nell'esprimere attraverso le immagini il carattere sfuggente e irrappresentabile del capitalismo finanziario, si segnala come il più efficace e coerente tentativo di restituire sul grande schermo la natura sfuggente e a tratti incomprensibile della crisi economica nella quale siamo immersi: solo ammettendo questa sua "incapacità" il cinema riesce a rappresentare l'irrappresentabile. Altrettanto astratto e sfuggente, 7 Cfr. Ivi, pp. 318-320.

8 Cfr. Ivi, p. 322.

9 L. De Giusti, Forme intermediali nel cinema dopo il cinema, in Id.(a cura di), Immagini

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Holy Motors fornisce un quadro abbastanza completo – e complesso – di tutte

quelle caratteristiche che compongono il quadro cinematrografico attuale. Passando in rassegna generi, tecniche e stili - dal musical al gangster movie, dalla simulazione in performance capture al dramma familiare - il film di Carax mette in scena il carattere multiforme ed espanso del cinema contemporaneo, manifestando quanto sia difficile, se non impossibile, far rivivere un medium senza cambiarne la faccia e quanto sia indispensabile per il cinema diventare altro da sé per poter restare se stesso e sopravvivere.11 Tale consapevolezza la si può

trovare anche in Il cavallo di Torino, dove però assume una valenza apparentemente più pessimistica. Se Holy Motors infatti, con la sua disanima delle nuove forme assunte dal cinema della contemporaneità, propone allo stesso tempo un'elaborazione del lutto rivolta verso il futuro, Béla Tarr col suo ultimo film ragiona sulla scomparsa della settima arte mettendo in scena un'apocalittica fine della vita sulla Terra, riportando il tutto a quel buio, quell'oscurità, che un tempo identificava qualsiasi esperienza filmica e che oggi, fuori dalle sale, sembra sempre più superfluo.

Il cinema quindi dimostra per l'ennesima volta, partendo come abbiamo visto dalla valorizzazione dei propri caratteri invariati, di riuscire ad essere ancora oggi

-contemporaneo, e ad svolgere quelle facoltà che da sempre l'hanno caratterizzato;

su tutte, la facoltà di esercitare quel "pensiero critico"12 quanto mai necessario per

comprendere se stesso e il mondo che lo circonda, manifestando in certi casi anche quell'instabilità e quelle contraddizioni ereditate dalla sua, dalla nostra società.

11 Cfr. F. Casetti, La galassia Lumière, cit., p. 71.

12 Cfr. L. Malavasi, Quel che resta del cinema, «Fata Morgana», VIII, 24, (settembre/dicembre 2014), p. 229.

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