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August Bover, Cloc!, pròleg de Màrius Serra, Tarragona, Arola Editors, 2011, 2ª edició 2014, 106 pp. + 11 dibuixos de Pere Capellà Simó / Beabà, prefaci de Denise Boyer i Eliseu Trenc, Tarragona, Arola Editors, 2014, 126 pp. + 26 dibuixos de Pere Capellà

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Academic year: 2021

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Con la pubblicazione nel 2018 della raccolta Tornaveu, August Bover (Barcelona 1949), cattedratico emerito di Filologia Catalana dell’Università di Barcellona e poeta dalla voce suadente nella sua incisività, completa una trilogia poetica iniziata con Cloc! (2011 e 20142) e proseguita con Beabà (2014). Il cerchio creativo che adesso si chiude segna un momento ulteriore nella traiettoria lirica dell’autore, caratterizzato da una profunda intensità e dall’espressione e dalla declinazione variata di temi e modalità che da sempre rendono la voce di Bover unica e riconoscibile.

Una voce che si era manifestata in precedenza attraverso raccolte intense, quali En pèlag d’amor (Palma de Mallorca, Documenta Balear, 1999), L’hivern sota el Cadí (Tarragona, Arola Editors, 2001), Mojave (Sitges, Papers de Terramar, 2006), Vicino al mare (antologia bilingue, Cagliari, Arxiu de Tradicions, 2006), Terres de llicorella. Imatges del Priorat (Tarragona, Arola Editors, 2007), oltre a essere presente in diverse antologie collettive. Spesso, inoltre, la poesia di August Bover si intreccia e si fonde con l’opera di altri artisti, in una collaborazione creativa sempre rinnovata; per esempio con i pittori Salvador Alibau e Pere Capellà Simó (che illustra la trilogia recensita), il fotografo Toni Vidal o il compositore Manuel Garcia Morante. La sua poesia è stata tradotta in svariate lingue, per esempio in tedesco, in inglese, in coreano, in spagnolo, in francese, in italiano e in giapponese.

Le pagine preliminari di ciascun volume della trilogia sintetizzano in modo sapiente ed efficace la poetica di Bover. Il prologo di Cloc!, firmato da Màrius Serra, dal significativo titolo Boverisme, descrive il fenomeno cui allude la definizione che egli stesso ha coniato per introdurre la raccolta: ossia, lo stato mentale che il lettore è sul punto di attivare e che gli consen -August Bover,

Cloc!, pròleg de Màrius Serra, Tarragona, Arola Editors, 2011, 2ª edició 2014, 106 pp. + 11 dibuixos de Pere Capellà Simó.

Beabà, prefaci de Denise Boyer i Eliseu Trenc, Tarragona, Arola Editors, 2014, 126 pp. + 26 dibuixos de Pere Capellà Simó.

Tornaveu, pròleg de Vicent Pitarch i Almela, Tarragona, Arola Editors, 2018, 75 pp. + 4 dibuixos de Pere Capellà Simó.

Veronica ORAZI

Università degli Studi di Torino

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tirà di avvicinarsi all’autore e di condividerne la visione e le esperienze. Questo “boverismo” viene alimentato dall’enginy verbal, prosegue il prefatore, che costituisce una sorta di incrocio in cui convergono ordine e caos, cifra e verbo. In Cloc!, infatti, l’autore dialoga con la tradizione della letteratura potenziale, iniziata dai matematici e dai poeti francesi del gruppo Oulipo, esplorata anche da altri poeti catalani, quali Víctor Sunyol, Jordi Vintró, Joan-Lluís Lluís e Màrius Serra. Questa raccolta, dunque, apre nuove prospettive alla letteratura potenziale in lingua catalana, attraverso il concetto fondamentale di costrizione, di ostacolo, che rappresenta la condizione previa alla scrittura. Ciò costituisce al contempo un limite e uno sprone, che a livello di prassi poetica si traduce nell’autoim -posizione di restrizioni che complicano il fuire della scrittura ma al tempo stesso la stimolano, orientandola verso percorsi inediti e fecondi. In questi versi, August Bover si confina in un labirinto che lo conduce, tra le mille difficoltà di attraversamento, alla creazione di poesie magnifiche: poesie con eco, gentilizi ed etnici dislocati, lipogrammi monovocalici, ricorso intensivo alla pratica monosillabica (supportata da un aspetto linguistico tipico del catalano), creazione di sequenze in cui ogni verso è un tauto -gramma e cosí via. Il poeta, però, si spinge oltre i meccanismi tradizio nali di questo genere di espressione e ne plasma di nuovi o ne rinnova profundamente alcuni già sperimentati, (ri-)usando in maniera originale e potentemente creativa il trattino, la dieresi, la lettera, i trittonghi, l’omofonia, i clitici, le onomatopee, per dare forma ancora una volta e in modo irrimediabilmente seducente a quella che Màrius Serra nelle parole finali del suo prologo definisce con lucidità e precisione una «augusta enginyeria verbal», dalla quale possiamo solo lasciarci ammaliare e trascinare in un vortice creativo in cui il poeta avviluppa il lettore.

La prefazione della seconda raccolta della trilogia, Beabà, si articola in due parti: la prima, di Denise Boyer; la seconda, di Eliseu Trenc. In questa pagine dense i due prefatori enfatizzano alcuni aspetti chiave della nuova linea di indagine poetica che Bover ha iniziato con la raccolta precedente. Questa seconda raccolta, infatti, prosgue lungo la linea di creazione sperimentale oulipiana, in cui però la contrainte alla base dello stesso meccanismo poetico è originale o originalmente rinnovata nel profondo. Se in Cloc! la costrizione variava da poesia a poesia, in Beabà essa è di un tipo solo: ogni poesia – compreso il titolo – è un tautogramma, in cui la lettera iniziale di tutte le parole è sempre la stessa. La raccolta riflette la struttura di un abbecedario (el beabà del titolo, appunto) e le poesie sono ordinate alfabeticamente; tuttavia, questo suggestivo sillabario poetico reinterpreta il concetto in modo soprendente: a ogni lettera è dedicata un’intera poesia, la quale viene creata attraverso una serie di procedimenti

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complessi e ammalianti, resi ancora più ardui da una costrizione ulteriore che il poeta si auto-impone, ossia quella metrica (con un uso massiccio se non esclusivo di eptasillabi e rari pentasillabi e trisillabi), riproducendo con una certa frequenza forme poetiche tradizionali (come la terzina, la quartina, il sonetto, ecc.). L’obiettivo è dimostrare «algunes de les possibi -litats lúdiques del català», come ha affermato lo stesso autore, perché il meccanismo compositivo che deriva da questa pratica non è esente da elementi umoristici, come ad esempio quelli generati dall’impiego siste ma -tico della paronomasia, gli improvvisi cambiamenti di tono, l’etero geneità, la stranezza del lessico e dei registri espressivi (arcaismi, neologismi, termini colti e popolari, dialettalismi e tecnicismi e molto altro); e poi ancora le ricorrenti sequenze asindetiche che suscitano l’impressione di una lunga litania, in contrasto umoristico col tono giocoso delle enumerazioni caotiche. La raccolta, però, racchiude anche un altro valore inestimabile, che comprende persino aspetti che si potrebbero definire pedagogici: dimostra e usa in modo creativamente potente la ricchezza lessicale del catalano, contiene frequenti riferimenti a questo specifico ambito linguistico, in tutta la sua ampiezza, rievoncandone la storia, la letteratura, la cultura popolare, la dimensione tradizionale, gli elementi tipici del paesaggio, i toponimi, gli etnici e gli antropotoponimi (non dimentichiamo che August Bover è autore di un Diccionari dels gentilicis catalans). La raccolta quindi, in linea di principio aliena all’impegno, finisce per rivelarsi un sillabario di cultura nazionale, in tutta la sua ricchezza e varietà identitarie, che affonda le radici nel passato storico ma al contempo si proietta nel futuro, oltre la contemporaneità. Questo aspetto è rafforzato dalla quasi totale assenza della prima persona poetica) significativamente sostituita dalla forma plurale), del ricordo e dell’esperienza soggettiva.

Tronaveu, la raccolta che chiude questa sorprendente trilogia dedicata alla poesia potenziale, è introdotta da alcune preziose pagine di Vicent Pitarch i Almela. Anche in questo caso, come per le due opere precedenti, il prefatore riesce a fissare in una sintesi densa le caratteristiche fonda -mentali di questa terza pubblicazione. Uno degli aspetti principali sottolineati da Pitarch i Almela è che questa trilogia ha rappresentato un forte impulso alla diffisione della ricezione del movimento Oulipo e delle sue tecniche in ambito catalano, circostanza che ha fatto di August Bover un riferimento obbligato e un’autorità dell’oulipismo in Catalogna. Il secundo tratto centrale è rappresentato dal superamento della visione ingenua e persino futile di questo genere di operazioni, orientate in modo deciso e ancora una volta proficuo verso la ricerca poetica nel senso della ricerca attorno al linguaggio e alle possibilità di rinnovarlo, estremizzan -done gli usi quotidiani e convenzionali per spingersi decisamente oltre, sia dal punto di vista fonetico che della creazione di paradossi linguistici ma

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anche del riconoscimento del potenziale ludico del discorso e molto altro ancora. L’obiettivo, è evidente e lo sottolinea con grande lucidità il prefatore, è «esprémer la llengua fins als límits de les possibilitats del poeta, d’esprémer-la en tots els seus nivells pragmalingüístics, […] el fònic, el semàntic i el discursiu, sense negligir-ne ni tan sols el gràfic» (p. 10). A tutto questo si aggiunge il portato di invenzione ludo-linguistica, che va dall’impiego dei trattini, degli accenti e dei diacritici, fino all’artificiosità più audace della combinazione di parole e di strutture morfosintattiche, ma che investe anche gli effetti sonori, di grande rilevanza in questa raccolta, nella trilogia e nella stessa ricerca poetica di August Bover. Tra gli altri aspetti da ricordare emerge il procedimento di depurazione morfologica, che produce una sensazione di forte tensione linguistica: la presenza minima di connettori, la riduzione drastica delle forme verbali e la conseguente preponderanza del lessico nominale, ancora una volta organizzato in sequenze asindetiche che alimentano l’impressione volutamente ingannevole di trovarsi di fronte a enumerazioni caotiche, e una sintassi minimalista. Assieme alla depurazione del linguaggio, e connessi con essa, spiccano l’abbondanza di monisillabi, l’uso del verso breve (specie del tetrasillabo) e la frequenza del componimento ugualmente breve, che confermano la somma abilità poètica dell’autore e il suo riallacciarsi a una tradizione antica, basata sulla capacità espressiva estrema del lessico catalano, che va da Cerverí de Girona, passa per Jaume Roig e arriva fino a Pere Quart. Così, in Tornaveu spiccano le ricercate tortuosità foniche (e di conseguenza grafiche), morfologiche e semantiche, i contrasti, il gioco con i prestiti e gli stranierismi, la soppressione totale dei diacritici, gli artifici combinatori che sfruttano gli elementi cromatici o i numerali (come nell’indicazione delle ore) oppure i pronomi deboli e molto altro. Ancora una volta, anche in questa ultima raccolta della trilogia giocano un ruolo chiave i toponimi, sia dal punto della riflessione e della sperimenta -zione attorno alla lingua, sia come radici identitarie imprescindibili, che danno voce a una rivendicazione nazionale profundamente sentita.

Insomma, un’altra sfida soprendente dagli esiti ancora più soprendenti di quella ricerca e di quello sperimentalismo poetico che caratterizzano l’intera traiettoria lirica dell’autore. E, ancora una volta, il lettore non potrà che restare affascinato e irrimediabilmente irretito dalla poesia di August Bover, che rivela una cultura, una consapevolezza, una dimestichezza con la tradizione e al contempo con le sperimentazioni contemporanee davvero impressionante. Per tutto questo e per molto altro ancora il compimento della trilogia oulopiana del poeta ci offre la possibilità di conoscere una sfaccettutura ulteriore della sua ricchissima e suggestiva produzione e di lasciarci condurre in un nuovo mondo, in una nuova dimensione originale, ricca e irrimediabilmente affascinante.

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