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Percy Grainger. La sagacia di un Mowgli della musica

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Academic year: 2021

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(1)

SUONI&CULTURE

edizioni

Museo

Pasqualino

a cura di Sergio Bonanzinga e Giuseppe Giordano

FIGURE

DELL’ETNOGRAFIA

MUSICALE EUROPEA

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edizioni

Museo

Pasqualino

(4)

edizioni

Museo

Pasqualino

Suoni&Culture n. 1

Collana diretta da Sergio Bonanzinga

Comitato scientifico

Giorgio Adamo

Università di Roma - Tor Vergata

Enrique Cámara de Landa

Università di Valladolid Luc Charles-Dominique Università di Nizza Girolamo Garofalo Università di Palermo Giovanni Giuriati

Università di Roma - La Sapienza

Nico Staiti

Università di Bologna

Razia Sultanova

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a cura di Sergio Bonanzinga e Giuseppe Giordano

FIGURE

DELL’ETNOGRAFIA

MUSICALE EUROPEA

Materiali Persistenze Trasformazioni

edizioni

Museo

Pasqualino

(6)

Figure dell’etnografia musicale europea: materiali, persistenze, trasformazioni : studi e ricerche per il 150. anniversario della nascita di Alberto Favara (1863-2013) : Palermo, 13-15 febbraio 2014 / a cura di Sergio Bonanzinga e Giuseppe Giordano. - Palermo : Associazio-ne per la conservazioAssociazio-ne delle tradizioni popolari, 2016.

(Gli archivi di Morgana. Suoni e culture ; 1) ISBN 978-88-97035-18-3

1. Musica popolare – Europa – Scritti in onore.

I. Bonanzinga, Sergio <1958->. II. Giordano, Giuseppe <1981->. III. Favara, Alberto <1863-1923>

781.620094 CDD-23 SBN Pal0295148

CIP - Biblioteca centrale della Regione siciliana “Alberto Bombace”

© 2016 Associazione per la conservazione delle tradizioni popolari

Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino

Piazza Antonio Pasqualino, 5 – 90133 Palermo PA

www.museodellemarionette.it – mimap@museodellemarionette.it

Redazione

Giuseppe Giordano (coordinatore), Francesca Emanuela Chimento Maria Giuliana Rizzuto, Rosario Perricone

Progetto grafico e impaginazione Francesco Mangiapane

Stampa

Fotograph S.r.l., Palermo ISBN 978-88-97035-18-3 In copertina

L’entrata di tonni in Palermo (incisione, prima metà del secolo XIX, part.),

Museo Regionale di Palazzo Mirto (Palermo)

L’editore è a disposizione per eventuali aventi diritto che non è stato possibile contattare. Il presente volume è coperto da diritto d’autore e nessuna parte di esso può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti d’autore.

Dipartimento Culture e Società

Volume realizzato con il contributo di fondi PRIN 2010-2011 (coordinatore nazionale prof. Giovanni Giuriati, responsabile Unità locale prof. Sergio Bonanzinga).

Regione siciliana

Assessorato dei beni culturali e dell’identità siciliana

Direzione Generale Biblioteche e Istituti Culturali

Dipartimento dei beni culturali e dell’identità siciliana

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Studi e ricerche per il 150° anniversario

della nascita di Alberto Favara (1863-2013)

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Indice

Premessa ... 9 Introduzione ...13 Giovanni Giuriati

Sezione I – Sicilia ...19

Alberto Favara e l’indagine etnomusicologica moderna ... 21 SerGio BonanzinGa

Voci di donne nel Corpus di Alberto Favara ... 53 amalia ColliSani

Musiche popolari siciliane fra salotti e campagne:

Francesco Paolo Frontini ... 79 GiuSeppe Giordano

Il “viaggio musicale” di Francesco Pastura

nel feudo di Mandre Rosse ...121 vinCenzo Ciminello

Una lunga e tenace pista siciliana nella musica di Luciano Berio ... 139 maurizio aGamennone

Luciano Berio, la Sicilia di Alberto Favara

e la lezione di Giuseppe Ganduscio ...153 niCola SCaldaferri

Il revival musicale del Corpus. Forme eterogenee di riproposta ... 161 Grazia maGazzù

Ugo Gaisser e Francesco Falsone. Due pionieri della ricerca

sulla musica bizantina degli Albanesi di Sicilia ... 185 Girolamo Garofalo

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Sezione II – Europa ...217

Etnografie del testo verbale? Giggi Zanazzo e Vittorio Imbriani ...219 GiorGio adamo

Alla ricerca del “natural movimento” tra le “intelligenze intorpidite dagli incensi”: Gaspare Ungarelli ... 235 plaCida Staro

Giulio Fara e gli studi di etnofonia in Sardegna ...265 marCo lutzu

Gavino Gabriel. Un precursore dell’etnomusicologia italiana?...293 roBerto milleddu

Cesare Caravaglios e le trincee del «folklore musicale in Italia» ...311 raffaele di mauro

L’etnofonia di Francesco Balilla Pratella ...347 CriStina Ghirardini

Luigi Colacicchi e i Canti popolari di Ciociaria ... 389 GiuSeppina ColiCCie Serena faCCi

Percy Grainger. La sagacia di un Mowgli della musica ... 415 iGnazio maCChiarella

Sixto Córdova y Oña e la musica popolare cantabra ... 435 Grazia tuzi

I rom e la Gora.

Contributo a una interpretazione delle ricerche di Yuri Arbatsky ... 459 niCo Staiti

Ella von Schultz Adaïewsky e la nascita dell’etnomusicologia

(Nota introduttiva di Cristina Ghirardini) ...477 feBo Guizzi

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9 fiGuredell’etnoGrafiamuSiCaleeuropea

Premessa

Con questo volume si inaugura la collana “Suoni&Culture”, che rientra nell’ambito delle rinnovate linee editoriali proposte dal Museo Pasqualino. La denominazione riprende volutamente quella di un progetto nato vent’anni fa grazie al sostegno di una istituzione oggi non più esistente: il Centro per le

Iniziative Musicali in Sicilia (Cims), attivo dal 1985 al 2003 con la direzione

del musicologo palermitano Antonino Titone. Nel 1986 all’interno del Cims si costituisce l’Archivio Etnofonico Siciliano, ribattezzato nel 1995 Archivio

Etnomusicale Siciliano, sotto la direzione di Elsa Guggino, docente di Storia

delle tradizioni popolari nell’Università di Palermo e fondatrice nel 1970 del Folkstudio, un’associazione privata – tuttora esistente – che fra i suoi scopi statutari prevede la promozione di studi e ricerche sulla musica di tradizione orale della Sicilia. Alla chiusura del Cims, l’Archivio Etnomusicale viene ceduto al Cidim - Comitato Nazionale Italiano Musica, fondato nel 1978 a Roma come “Centro italiano di inizativa musicale”, che crea a sua volta l’Archivio

Etnomu-sicale del Mediterraneo, affidando tuttavia al Folkstudio la gestione del

patrimo-nio nastrografico e videografico ai fini di una sua più estesa valorizzazione. Il progetto Suoni e Culture, ideato da Sergio Bonanzinga, prevedeva la pub-blicazione di volumi e antologie discografiche ma, a causa della progressi-va decurtazione dei finanziamenti pubblici alle iniziative di interesse etno-musicologico, l’attività poté svolgersi per soli due anni (1995-1996). In quel periodo si realizzarono quattro opere ormai irreperebili: i volumi Etnografia

musicale in Sicilia (di S. Bonanzinga) e L’Archivio Etnomusicale Siciliano: mate-riali e ricerche (a cura di Emanuele Buttitta e Rosario Perricone); le antologie

discografiche in CD, corredate da ampi libretti illustrativi, Documenti sonori

dell’Archivio Etnomusicale Siciliano 1. Il ciclo della vita / 2. Il ciclo dell’anno (a

cura di S. Bonanzinga con la collaborazione di R. Perricone). Riprendere oggi la denominazione di quel progetto, nell’ambito di una iniziativa editoriale del tutto originale, intende significare la continuità del nostro lavoro nel segno dei Maestri che ci hanno formato e delle Istituzioni che hanno permesso alla Sicilia di affermarsi come eccellenza nel settore della documentazione e dello studio della cultura folklorica nella sua globalità.

Questo primo volume della collana “Suoni&Culture”, felicemente introdot-to da Giovanni Giuriati, è staintrodot-to pensaintrodot-to nell’ambiintrodot-to di una iniziativa celebrati-va: il 150° anniversario della nascita di Alberto Favara (Salemi 1863 - Palermo

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10 a cura di Sergio Bonanzinga e Giuseppe Giordano

1923), un musicista-didatta-compositore che giustamente annoveriamo fra i più brillanti precursori dell’etnomusicologia moderna. Per questo abbiamo ritenuto doveroso collocarne l’attività nel più ampio quadro dell’etnografia musicale europea, con attenzione non soltanto verso l’esperienza storica delle “figure” considerate, ma anche per il valore che i loro contributi rivestono in relazione agli svariati itinerari di ricerca e di analisi che caratterizzano l’inda-gine etnomusicologica contemporanea.

I curatori desiderano anzitutto ringraziare gli autori dei testi qui raccolti e l’Editore che ci ospita, nelle persone di Rosario Perricone (direttore del Mu-seo Pasqualino) e di Janne Vibaek (fondatrice del MuMu-seo insieme al marito Antonio Pasqualino). Siamo inoltre grati a persone e istituzioni che hanno concesso l’uso di immagini e altri materiali qui riprodotti: il signor Pietro Rizzo (fotografie in G. Giordano); le cugine Delia e Lidia Tusa (fotografie in V. Ciminello); la Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio di Bologna (fotografie e documenti in P. Staro); l’Associazione Musicale “Sergio Gaggia” di Cividale del Friuli e le edizioni Libreria Musicale Italiana (LIM) di Lucca per avere reso disponibili i materiali utilizzati da Cristina Ghirardini nella “composi-zione” del testo di Febo Guizzi, che il destino ci ha sottratto prima che potes-se – come era suo espresso desiderio – offrire il proprio contributo a questa pubblicazione. Al caro amico e collega prematuramente scomparso tutti noi dedichiamo questo volume, ché la memoria è unica certezza nell’ineluttabile incedere del tempo.

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FIGURE DELL’ETNOGRAFIA MUSICALE EUROPEA

ISBN: 978-88-9703-526-8 2016 SUONI&CULTURE N.1ISSN: 2532-862X

Ignazio Macchiarella

Percy Grainger

La sagacia di un Mowgli della musica

P

ercy Grainger’s contribution to ethnomusicology and music education are rarely mentioned in the same breath as those of his illustrious contemporaries Bartok and Kodàly, although his feeling for folk music and musicians and his conception of the scope of music education were in some respects broa-der and more perceptive. This is partly because his published output was smaller, and partly because he allowed his eccentricities to over-shadow the basic seriousness of his work and his outlook. [Blacking 1987: 1]

L’apporto di Percy Grainger alla nostra disciplina, in effetti, non ha partico-lare risalto nelle correnti sintesi storiche. Ancora meno conosciuta è la sua fi-gura nel nostro Paese, dove le sue composizioni e la sua attività nell’ambito del-la musica d’arte del primo Novecento sono note a un pubblico assai ristretto1.

1 Per esempio il DEUMM (Dizionario della Musica e dei Musicisti, sub voce) presenta una qua-rantina di righe in cui si afferma che per Grainger fu determinante «l’incontro con Grieg a Londra, nel 1906; fu infatti Grieg ad incoraggiarlo a impiegare il canto e i motivi della danza popolare come base melodica delle composizioni. Una larga parte del catalogo delle opere di G. è occupato da variazioni e da elabora zioni orchestrali di melodie tratte dal patrimonio popolare, recente o remoto, inglese innanzi tutto ma anche scandinavo e danese». Nulla viene detto sull’attività di ricerca mentre a proposito dell’orchestrazione, si sostiene che Grainger tendesse a “inglobare strumenti popolari”. Sui rapporti Greig-Grainger vedi Gilles e Pear 2007, dove si evidenzia la sostanziale diversità di approccio dei due, osservando come Grieg in realtà vedesse nel suo interlocutore “a scientist” della musica. Anche la più diffusa Garzantina (sub voce) presenta poche righe, segnalando solo la pubblicazione di «melodie popolari inglesi alle quali si ispira gran parte della sua produzione per orchestra, per coro e da camera, con impiego frequente della banda». Significativa è anche la vaghezza della voce Grainger in Wikipedia, dove l’attenzione è riversata sugli aspetti biografici e in particolare sugli eccessi: «Grainger fu un uomo contraddittorio: un concertista che odiava esibirsi in pubblico, un pacifista vegetariano avido lettore di sanguinose saghe nordiche, un fanatico della forma fisica che praticava attività sado-masochistiche».

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ii – europa

Una significativa eccezione è il paragrafo intitolato Un australiano alla fiera

di Brigg compreso nella prima parte de L’altra musica di Roberto Leydi (1991:

66-74). Muovendo dalla constatazione che le ricerche sul folklore musicale d’area anglosassone abbiano in generale poco rilievo nelle “storie dell’etnomu-sicologia”, Leydi, dopo averne tracciato un rapido profilo biografico, definisce Grainger «uno dei più interessanti folkloristi musicali […] e un compositore interessante del nostro secolo» (Leydi 1991, ried. 2008: 67)2. L’etnomusicologo

italiano evidenzia quindi alcuni aspetti cruciali dell’opera di Grainger nell’uso sistematico del fonografo “sul campo”, nella promozione delle «prime registra-zioni in studio con veri cantanti popolari» (ibidem), nella realizzazione di un «corpus di trascrizioni eccezionalmente accurate e tese a rendere, nei limiti del possibile, lo stile degli esecutori» (ibidem) e nell’attenzione verso la «modalità della musica tradizionale europea che supera la rigida e scolastica collocazione di essa negli schemi del modalismo greco-ecclesiastico per proporre l’esistenza di un sistema specifico» (ivi: 69). Riportando una trascrizione tratta dal “Jour-nal of the Folk-Song Society” (Grainger 1908: n. 12, vedi infra), sottolineando come questa fosse corredata da indicazioni discografiche per poter «essere verificata» (Leydi 1991, ried. 2008: 71-72), Leydi si sofferma sull’estrema at-tenzione che Grainger poneva alla variabilità delle esecuzioni, al punto da re-gistrare più volte e di seguito lo stesso brano cantato dal medesimo performer.

In parallelo, richiamando l’opera di compositore di Grainger soprattutto «per le sue ricerche e sperimentazioni sul suono, il rumore, la voce e la musi-ca, alla ricerca forse utopica di una free music (come lui stesso la definì), che, emancipata dal sistema musicale occidentale, giustamente sentito come artifi-ciale, liberata dalla dipendenza dalle dai modi, dai ritmi, dalle relazioni armo-niche che la musica occidentale si era venuta imponendo, realizzasse una sin-tesi “democratica” (la definizione è sua) dei suoni naturali e dei suoni umani» (ivi: 73), Roberto Leydi conclude sostenendo che Grainger, nelle sue «scelte musicali, sul versante della ricerca folklorica e della sperimentazione musicale è forse l’unico compositore del novecento che possa davvero porsi, almeno nelle intenzioni, se non per i risultati artistici, accanto a Béla Bartók» (ivi: 74).

1. Una estroversa personalità

Nato a Brighton (Stato di Victoria, Australia sud-orientale) l’8 luglio 1882, Percy Aldridge Grainger trascorre i primi anni della vita, educato alla musica dalla prepotente e ossessiva madre Rose, con la quale, per tutta la vita, ebbe un

2 Le osservazioni di Leydi non tengono conto del fondamentale volume di John Blacking (1987) sull’opera di Grainger di cui dirò più avanti: scrive infatti lo studioso italiano: «Al mo-mento di terminare la stesura di questo testo vedo annunciato un libro di John Blacking sul contributo di Percy Grainger all’etnomusicologia e all’educazione musicale, A Commonsense

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Ignazio Macchiarella perCy GrainGer

rapporto travagliato (cfr. Gillies e Pear 2001)3. Dal 1894 si trasferisce in

Euro-pa, a Francoforte per perfezionarsi in pianoforte, e quindi, dal 1901 al 1914, a Londra dove sviluppa la sua carriera di pianista e insegnante di pianoforte, di-venendo enormemente popolare come solista. Gli anni londinesi sono cruciali nella vita di Grainger, ricchi insieme di stimoli intellettuali e di provocazioni, di abusi e atteggiamenti anticonformismi che segnano la sua personalità e la sua immagine pubblica per tutta la vita4. In particolare il suo senso agonistico

era ben noto sia in virtù di varie imprese portate a termine – pare che a Londra fosse noto come the jogging pianist per l’abitudine di arrivare all’ultimo minu-to, correndo per strada, nelle sale da concerto dove doveva esibirsi (cfr. Isacoff 2011: 328) – ma anche a causa di certi atteggiamenti buffoneschi messi in atto durante le performance sul palcoscenico e soprattutto di un particolare ap-proccio atletico al pianoforte. Nel contempo egli sviluppa una idea di arte che rifiuta decisamente etichette e distinzioni di genere, puntando su una conce-zione a tutto tondo, libera da schemi e strutture. Una idea “democratica” di arte alla quale tutti i cittadini hanno uguale diritto e dovere di partecipare, che guarda anche, in una sorta di raffazzonato universalismo, alle musiche delle culture non occidentali. Agli anni londinesi risalgono le sue composizioni più note, per lo più brani della durata di pochi minuti come Molly on the Shore (1907), Shepherd’s Hey (1908-13), Handel in the Strand (1911-12), The Warriors,

‘music to an imaginary ballet’ (1913-1916), Country Gardens (1919).

È noto che un primo generico interesse di Grainger verso la musica folklo-rica si sia manifestato già nel periodo degli studi in Germania, grazie allo sti-molo di Karl Klimsch, compositore amatoriale ma grande appassionato della

folk music inglese. Con lui, nel 1900, a soli 18 anni, Grainger compì un viaggio

in Scozia, ascoltando e fissando su pentagramma alcune canzoni arrangiate poi per voce e pianoforte (cfr. Porter 1983: 222). Tuttavia, è negli anni di per-manenza a Londra che tale interesse matura e si articola, intrecciandosi con la scoperta delle potenzialità del fonografo. Una circostanza decisiva in tal senso è stata la partecipazione a una conferenza sulle English folksongs tenu-ta all’inizio del 1906 da Lucy Broadwood (1858-1929), all’epoca già rinomatenu-ta studiosa: autrice di numerose ricerche sul campo nel Sussex e in altre regioni dell’Inghilterra e di varie raccolte di folk songs con arrangiamento per

piano-3 La madre, in particolare, programma la sua formazione puntando tutto sulla pratica musi-cale e la composizione, e limitando l’aspetto musicologico, cui Grainger ha potuto dedicare solo pochi mesi di studio sistematico, sotto la guida per altro di tutor da lei stessa seleziona-ti, nonostante il suo già giovanile interesse in merito (Porter 1983: 228).

4 Per esempio in Gillies e Pear è riportata una lettera alla madre del 1911 in cui Grainger scrive di non pensare ad altro che a «sex, race, athletics, speech and art» (2001), evidenziando nel contempo i suoi interessi per la questione razziale, in particolare per le teorie del tempo circa la superiorità della “cultura Nordica” (svedese, danese norvegese) che aspiravano a ri-pulire l’inglese dalle influenze mediterranee e del latino in particolare (cfr. Porter 1983: 227).

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ii – europa

forte, membro fondatore della Folk-Song Society e redattrice del “Folk-Song Journal” (cfr. De Val 2013).

Nell’aprile dello stesso anno Percy Grainger e Lucy Broadwood si recano insieme nel villaggio di Brigg, nel North Lincolnshire, per assistere a una

Musical Competition compren dente una Folk song class, ossia una specie di

gara a premi attribuiti da una giuria di esperti nell’ambito di una grande fiera locale. Le cronache riferiscono che alla fine della gara alcuni cantori abbiano eseguito dei brani in privato per i due ospiti, i quali li registrarono e trascris-sero su pentagramma (cfr. De Val 2013: 100 e Bearman 2003: 436). Il ricorso al fonografo, è quasi certo, non fu un’idea originale di Grainger, ma si deve appunto alla Broadwood, che ne avrebbe appreso l’impiego nell’ambito della

Folk-Song Society (cfr. Bearman 2003: 440). A queste prime registrazioni ne

seguirono altre fino al 1909, anno dopo il quale non risultano altre operazioni di raccolta sul campo da parte di Grainger in Inghilterra (ivi: 453). Nello stesso periodo londinese egli si interessa anche alle musiche dell’Estremo Oriente, studiando una importante collezione di strumenti musicali a Leiden, leggen-do e cercanleggen-do varie occasioni di ascolto nelle tante esposizioni e fiere dell’epo-ca e così via (cfr. Hughes 1937).

Allo scoppiare della guerra Grainger si trasferisce negli Stati Uniti, dove, tra l’altro, incide numerosi rulli per pianoforte meccanico e registrazioni per grammofono per la Columbia Records, lavorando anche per l’esercito ameri-cano come musicista e direttore di banda. Il suicidio della madre, nel 1922, se-gna una svolta nella sua vita: Grainger abbandona la carriera concertistica per diversi anni, viaggiando per l’Europa e l’Australia, realizzando varie raccolte di folk music in diverse regioni – fra cui la Danimarca, in collaborazione con il folklorista Evald Tang Kristensen (cfr. Hughes 1937: 130) – e concentrandosi, nel contempo, sulla attività di educatore musicale.

Divenuto chair del Music Department della New York University, fra il 1932-33, Graiger tiene una serie di lezioni dal titolo The manifold nature of music in seguito riprese dalla Radio Australiana con il titolo Music: A Commonsense View

of All Type, titolo, come è noto, ripreso da John Blacking nel volume già citato

(1987). Con lo scoppio della seconda guerra mondiale riprende l’attività di pia-nista alternata a quella di conferenziere in vari college e università fino all’anno prima della morte avvenuta il 20 febbraio 1961, a White Plains, New York.

A questa fase finale della sua vita appartiene anche la sperimentazione del-la cosiddetta free music. Questa nasceva suldel-la scia dell’esperienza graingeriana degli anni Trenta delle elasting scoring: partiture per differenti combinazioni di strumenti imperniate su un piccolo, duttile giro di altezze destinato all’e-secuzione di tutti i partecipanti con assegnazione delle parti non prestabilita ma realizzata al momento, sulla base delle sonorità degli strumenti e delle voci in gioco (cfr. Hughes 1937: 135). L’azione musicale era sviluppata sia su strumenti tradizionali usati senza intonazione fissa (archi soprattutto) sia, soprattutto, facendo ricorso ai primi strumenti elettronici come il theremins

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Ignazio Macchiarella perCy GrainGer

(cfr. Hugill 2015)5. L’es pressione free music viene proposta da Graiger già negli

anni Trenta per indicare una musica libera da ogni restrizione di scala, metro, pulsazione ritmica, procedimento armonico e così via. Una musica, cui egli ha lavorato attivamente a partire dagli anni Cin quanta, concepita come un fluire irregolare di altezze, secondo una idea che pare sia stata immaginata da Graiger già da ragazzo, ispirato dal suono dell’acqua che lambisce la riva o lo scafo di una barca, oppure il vento che fischia attraverso i fili del telefono (cfr. Nemec 2006: 24, n. 4). Si tratta di una peculiare via alla sperimentazione musicale che il musicista australiano inquadrava all’interno del proprio, per-sonale contributo alla democratizzazione della musica e dell’arte in generale: una aspirazione, un vagheggiato ideale che attraversa e impronta tutta la sua opera, costituendone certamente un tratto caratterizzante e che ha avuto in-dubbiamente riflessi sulla sua opera di studioso di folk music.

5 Negli anni Trenta era diffusa l’idea che Grainger, uomo democratico nella sostanza, mi-rasse a rendere democratica, accessibile a tutti la propria musica, che avrebbe potuto es-sere suonata con soddisfazione anche da parte di mediocri esecutori. Egli si dice aveva in mente performer con più musica nei “propri cuori” di quanta ne avessero nelle dita (cfr. Hughes 1937: 128).

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ii – europa

Fin qui una piccola sintesi, generica come tutti i sunti di “seconda mano”, per presentare sommariamente il personaggio al lettore. Un personaggio complesso e controverso, con tratti contraddittori, spesso soprannominato, negli ambienti musicali londinesi, il Mowgli della musica (in virtù anche della sua amicizia con Rudyard Kipling), capace di mescolare teorie razziali con aneliti universalisti e cosmopoliti. Un musicista che mentre propone una ri-flessione profonda sulla performance delle musiche di tradizione orale, come si vedrà fra poco, discute dell’abolizione di tutti gli aspetti dell’intervento uma-no nell’atto esecutivo nella musica d’arte fiuma-no ad arrivare a immaginare, negli ultimi anni della propria vita, delle free music machines in grado di far musica da sé (cfr. Linz 1997 e Hugill 2015). Un personaggio – ed è questo ciò che con-ta in quescon-ta sede – nel cui approccio alle espressioni musicali di tradizionale orale si riscontrano tratti di sorprendente modernità rispetto al main stream della ricerca e della riflessione etnografica dell’epoca, frutto, se non altro di una speciale sensibilità verso i suoni ma soprattutto verso chi tali suoni pro-duce, anticipando per vari aspetti tematiche dell’etnomusico logia recente e contemporanea. Su questo aspetto le pagine seguenti vogliono offrire delle disordinate considerazioni, muovendo da alcuni passi dei suoi scritti più noti.

2. Un sorprendente Mowgli alle prese con la tecnologia

Come si sarà compreso dalle note biografiche, il lavoro di raccolta e studio della folk music realizzato da Grainger si svolge perlopiù nella prima parte del secolo scorso. Una attività incostante e non sistematica, più interessata al contatto umano sul campo che alla riflessione teorica, limitata a un numero relativamente ristretto di contributi. Dopo alterne e complicate vicende, so-pravvivono a oggi del suo lavoro di ricerca 216 registrazioni, più svariati fram-menti messi a disposizione da Ralph Vaughan Williams e da altri6. Un lascito

di materiali di grande valore, frutto di un lavoro che, visto retrospettivamente, pareva promettere inizialmente molto di più di quanto poi in concreto Grain-ger abbia potuto (o voluto?) realizzare.

La peculiare sensibilità del musicista australiano verso le pratiche musica-li estranee agmusica-li ambienti accademici si manifesta apertamente già nel primo (e forse più importante) contributo teorico, ossia il saggio Collecting with the

Phonograph. Derivato da una lecture tenuta da Grainger in occasione del Folk Song Society’s Annual General Meeting, nel dicembre del 1906, e pubblicato sul Journal della stessa società nel 1908, il testo costituisce una sorta di corposo

(quasi cento pagine) trattato teorico-pratico: a una prima parte incentrata sulla “necessaria importanza” dell’uso del fonografo nella raccolta sul campo, segue una seconda costituita da ventisette schede contenenti “trascrizioni analitiche” di materiali di diversa provenienza. Si tratta, nel complesso, di una

disorgani-6 I siti indicati in coda ai Riferimenti offrono indicazioni riguardo alla dislocazione e alla reperibilità di questi materiali.

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Ignazio Macchiarella perCy GrainGer

ca trattazione che combina l’entusiasmo per le possibilità cognitive offerte dal fonografo con quelle che paiono essere delle intuizioni da musicista d’accade-mia, frutto più dell’istinto che dell’esperienza di ricerca (allora, ovviamente, piuttosto limitata). Un testo con certi aspetti decisamente innovativi per l’epo-ca, tali da suscitare critiche e boicottaggi anche dalla stessa Folk-Song Society committente del lavoro. L’attacco è per certi aspetti folgorante, delineando un peculiare scenario di ricerca che risulta ben diverso rispetto a quello entro cui, di solito, si collocavano le ricerche di etnografia musicale del periodo:

When I first started collecting folk-songs with the phonograph, in the summer of 1906, in North Lincolnshire, I was surprised to find how very readily the old singers took to singing into the machine. Many of them were familiar with gramophones and phonographs in public-houses and elsewhere, and all were agog to have their own singing recorded while their delight at hearing their own voices, and their di-stress at detecting their errors reproduced in the machine was quite touching. The other day, in Gloucestershire, an old folk-singer, on hearing a long song of his re-peated by the phonograph, said «He’s learnt that quicker nor I’; while another old man commented «It do (sic!) follow-up we wonderful». I have often found folk singers show keenness about one another’s records, an interest I have seldom seen the extend to one another’s performances in the ordinary way. [Grainger 1908: 147]

Gli interlocutori di Grainger, a differenza – per esempio – dei contadini registrati da Béla Bartók in Ungheria (ma anche dei carrettieri, pescatori e contadini incontrati da Alberto Favara in Sicilia), hanno dunque una certa familiarità con grammofoni e fonografi, partecipano all’attività di ricerca e si propongono addirittura in prima persona per essere registrati. Essi, inol-tre, ascoltano con attenzione la propria esecuzione, la commentano collet-tivamente (almeno così pare di capire), lamentandosi in “modo straziante” ogni qual volta riscontrino degli “errori”. Lo studioso australiano, insomma, descrive un contesto caratterizzato dalla presenza di performer che hanno una estrema consapevolezza del valore culturale di quanto eseguono, impegnati essi stessi a fissarlo “entro una macchina” che ne garantisca la persistenza nel tempo, fino al punto di dimostrare un interesse maggiore verso le registra-zioni di quanto ne abbiano nei confronti delle comuni esecuregistra-zioni. Grainger prosegue riportando una significativa testimonianza di un altro esecutore e così entrando nel tema dei vantaggi derivati dall’uso del fonografo:

One Lincolnshire singer, Mr. Joseph Taylor, said: «It’s like (like) singin’ with a muz-zle on»; but he sang his best all the same. Even having their heads guided nearer to, or further from, the recording trumpet never seems to break the flow of the old folk’s memory or freedom of delivery. In fact, when once the strangeness of the new method is over, it is far less up-setting to folk-singers and chantymen than having their songs noted in the ordinary way, as it is such a boon to them not to be continually stopped during their performances. Not only does their memory tend to be far more accurate when they are free to sing a song through from end to end (having to stop only at the end of the run of each wax cylinder, i.e. about 2

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ii – europa

1/4 minutes), but their unconscious sense for rhythmic and dynamic contrasts and dramatic effects – in the case of those few singers who indulge in the latter – has such incomparably greater scope. [Grainger 1908: 147]

Attraverso l’uso del fonografo il cantore dunque può essere messo a pro-prio agio, è molto più libero di articolare il propro-prio canto senza doversi con-tinuamente fermare: una attenzione alle ragioni dell’esecutore – folk-singer e

chantyman, termine quest’ultimo poco comune, scritto di solito shantyman,

per indicare in generale la figura dell’improvvisatore/leader nei canti di lavoro a più voci, in forma responsoriale dei marinai – certamente assai significativa.

Mettere a proprio agio i cantori tradizionali pare fosse una dote particolare di Grainger. Si racconta che egli era solito avvicinare i contadini incontrati durante le sue lunghe passeggiate nei campi per chiedere notizie su ciò che cantavano di norma ottenendo subito delle esecuzioni. La sua capacità di inte-ragire con i locali sembra fosse tale da permettergli di registrare decine e deci-ne di brani, anche in località dove deci-nessun altro ricercatore aveva mai raccolto alcunché, oppure di incidere esecuzioni a opera di cantori che si erano sem-pre rifiutati di intonare il proprio repertorio alla sem-presenza di estranei (cfr. Por-ter 1983: 223): insomma il ritratto di un uomo che doveva risultare simpatico e sincero ai propri interlocutori, in possesso di qualità tali da favorire quella speciale relazione umana che, in ultima analisi, costituisce il fondamento di qualsiasi attività di ricerca etnomusicologica, allora come oggi.

Tornando al saggio del 1908, dopo alcune osservazioni tecniche sulla stru-mentazione utilizzata e sui relativi limiti, Grainger evidenzia un altro decisivo vantaggio del new method, ossia la possibilità di favorire, diminuendo la velo-cità di scorrimento del cilindro, una notazione accurata di melodie complesse e dall’andamento veloce. In particolare, note di passaggio, abbellimenti e altre sfumature del canto impossibili da percepire all’ascolto diventano «compara-tively clear and distinguishable» (Grainger 1908: 148), ponendo in evidenza dettagli solitamente trascurati ma che in realtà ampliano la conoscenza delle melodie e dello stile degli esecutori: «the quality of collecting opened up by the phonograph, is, perhaps, of even greater value than the quantity» (ivi: 150). Al contrario di quanto facevano Cecil Sharp e altri raccoglitori, i quali lanciavano dei veri e propri call in occasione delle visite “sul campo” per richiamare quan-ti più cantori, Graiger preferiva invece uquan-tilizzare il fonografo per realizzare il massimo numero possibile di registrazioni dai migliori e più prolifici cantori, spesso scelti fra quelli più vicini alla sua base e che poteva incontrare più volte: per esempio almeno otto sono stati gli incontri con Mister Joseph Taylor con l’incisione di almeno cinquantuno cilindri (cfr. Bearman 2003: 450).

Al di là della semplice notazione l’attività di raccolta deve offrire «an en-during picture of the live art and traditions of peasant and sailor singing and fiddling» (Grainger 1908: 150). È infatti necessario per Grainger evidenziare le qualità vocali, le modalità esecutive e altre caratteristiche personali degli esecutori che costituiscono elementi fondamentali per una corretta “restitu-zione” della folk music, così come, egli sostiene, l’esperienza nel campo della

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musica d’arte lo è per una corretta interpretazione delle varie composizioni. Questo perché, chi ha la buona sorte (the good luck) di ascoltare il canto di «folksinger and chantymen must feel that much of the attractiveness of the live art lies in the execution as well as in the contents of the songs, and will surely welcome the ability of the gramophone and phonograph to retain for future ages what is otherwise but a fleeting impression» (ibidem).

Attribuire pari rilevanza al contenuto e alle modalità dell’atto esecutivo di un folksinger è certamente una prospettiva sorprendente negli anni in questio-ne, quando l’attenzione degli studiosi era tutta (o quasi) rivolta verso ciò che si cantava. Una posizione, si può immaginare, che trovava fondamento nell’in-contro tra la sua personale sensibilità ed esperienza di musicista/performer e le potenzialità garantite dal fonografo, riassunte da Grainger in una tabella che segue il passo prima citato (ibidem):

The following are some of the chief practical advantages of mechanical collecting: 1. Preservation of tune and words, and all details of performance for study by

future generations, and for future mechanical notation when the needful in-ventions are made. […]

2. Not having to interrupt singers during their performances; except at the end of the run of each cylinder.

3. The possibility of having a singer’s single performance (as accurately preserved in the wax) noted down by several different musicians.

4. Being able to note down leisurely and unhurriedly, and to repeat records (in part and in whole) over and over again, and at any degree of slowness.

5. The possibility of comparing the details of various performances of the same song by the same singer.

A questa tabella fa seguito una lista dei principali dettagli propriamente musicali su cui il fonografo può fare luce (ivi: 151):

1. Pitch, key of performance, and relation of intervals one to another. Variability of folk-song scales.

2. Metronome-speed of songs, and chief variations of speed throughout them. 3. Precise degrees of rhythmic irregularities.

4. Precise duration of pauses between verses and half-verses, etc. 5. Melodic variants throughout all the different verses of a song.

6. Dynamic details. (Only reliable, however, where certain precautions have been taken...)

7. Length of notes, staccatos, legatos, etc.

8. Component notes of ornaments, that are hard to catch at the original speed of a performance. Portamentos, etc.

9. Dialect, and its variability. Blends of vowel-sounds.

10. Added meaningless syllables; and all details of the allotment of syllables to notes.

Un elenco, come si vede, alquanto dettagliato alla base del quale è ben evi-dente la specifica attenzione verso i modi esecutivi, che non è fine a se stessa

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ma sottintende una concezione sorprendente (uso ancora una volta l’aggetti-vo!) della creatività musicale individuale dei folksinger. Per Grainger l’ascolto dal vivo dell’esecuzione proposta da un bravo cantore, combinato con l’ascolto (potremmo dire oggi) analitico offerto dal fonografo, può portare alla defini-zione di tutti i dettagli più minuti di ogni brano, comprese le diverse varianti che si verificano nel corso del tempo. Tale definizione, per quanto articolata, non costituisce però il quadro rappresentativo della artistic culture di un can-tore ma soltanto una porzione di esso: una porzione poco più significativa di quanto possa essere un arrangiamento pianistico rispetto a una partitura orchestrale. Al di là dell’indubbia efficacia dell’accostamento, la particolare attenzione sulle varianti rinforza l’impressione che il nostro Mowgli coltivasse (istintivamente?) un’idea di musica in termini che oggi diremo di “processo” piuttosto che di repertori di brani conchiusi alla maniera romantica, in termi-ni di comportamento musicale e non di artefatti sonori (cfr. Blacking 1987: 65 sgg.). Compito dello studioso su campo era dunque quello di cogliere l’atto del cantare del proprio interlocutore e non semplicemente di registrare delle se-quenze di suoni sulla base delle proprie, personali suggestioni e convinzioni (Porter 1983: 224).

Il fonografo usato da Grainger era uno Standard Edison-Bell, molto co-mune dal 1900, costituito da una scatola di legno rettangolare di circa 34 per 25 centimetri per un peso di circa cinque chili, brevettato per il lavoro d’uffi-cio (soprattutto la dettatura delle lettere commerciali) e quindi poco funzio-nale nell’attività “sul campo”. Solo in certe condizioni lo strumento risul tava pienamente efficace e comunque non riusciva a dar conto di tutto lo spettro sonoro entro cui si dipana il canto umano. Uno strumento che, se pure limi-tato, era di fondamentale ausilio per cercare di cogliere ciò che l’orecchio da solo non poteva cogliere nel momento dell’ese cuzione, ma anche per poter ragionare adeguatamente sull’articolazione scalare del canto e su questioni teoriche come l’organizzazione modale (cfr. Grainger 1908: 156 e sgg.): un tema non riassumibile in poche righe, sul quale mi limito a rinviare a Bird 1976 e Blacking 1987.

Non è dunque per caso che al paragrafo sugli Advantages of the phonograph ne segua uno intitolato The need of other inventions to supplement the

gramopho-ne and phonograph. In questo caso credo che il sostantivo gramopho-need (la gramopho-necessità, il

bisogno, l’esigenza e non un semplice auspicio, una speranza) sia una ulte-riore significativa conferma del carattere essenziale dell’attenzione di Grainger verso gli aspetti performativi del fare musica. Dopo avere lamentato come la tecnologia a disposizione non fosse ben precisa per l’esatta indicazione del

pitch di ciascun suono inciso, Grainger sostiene che sia assolutamente

neces-saria (badly needed) l’invenzione di una macchina capace di registrare «on pa-per (as the phonograph does on wax) all sounds played or sung into it, giving the number of vibrations of each note, precise rhythmic durations of notes (by accurately proportioned line lengths-much like the slits in pianola music) and pauses, dynamics, vowel-sounds and blends, etc.» (Grainger 1908: 152).

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In attesa di una tale innovativa macchina, Grainger ribadisce l’inevitabile approssimazione delle proprie trascrizioni, specie per quanto riguarda il rit-mo, affermando che esse costituiscono solo la rappresentazione scritta più prossima a quanto ha potuto percepire all’ascolto: una sorta di excusatio che costituisce una ulteriore conferma della sua sensibilità “filologica”. Il passo, infatti trasparire come egli si rendesse ben conto della complessità del suono “folklorico”, delle sue specificità che vanno al di là di quanto viene ricono-sciuto e quindi concettualizzato dalle norme della musica d’arte occidentale e dunque dalla scrittura su pentagramma.

Va comunque precisato che quelle di Grainger sono delle trascrizioni decisamente accurate, conosciute e apprezzate perfino da Béla Bartók (cfr. Porter 1983: 223; vedi anche Blacking 1987: 181-184). Una scrittura ricca di accorgimenti grafici in grado di proporre rappresentazioni assai articolate delle esecuzioni prese in considerazione, meglio di quanto di solito si trova in altri lavori della stessa epoca. Grainger era convinto di dover pubblicare delle trascrizioni di canti quanto più possibili prossime a come gli erano state proposte dai diretti esecutori e non di “distillare” semplicemente un normal

tune dai canti ascoltati. In una lettera a Cecil Sharp del 1906 egli scrive di

voler pubblicare i propri materiali solo in forma merely scientific, sperando di poter evitare di realizzare i consueti arrangiamenti, con l’obiettivo di arrivare alla pubblicazione di un libro rigoroso sulla folk music entro 15-20 anni (cit. in Porter 1983: 223): un progetto che egli non poté portare a termine, impegnato attivamente nella carriera di compositore e concertista, al punto che solo una trentina di anni dopo questa prima fase di ricerca sul campo egli ha avuto la possibilità di riprendere parzialmente i materiali raccolti.

Le notazioni presentate nel saggio del 1908 sono affatto esemplari dell’i-dea di scientificità di Grainger. Riporto la prima relativa al canto narrativo Six

Dukes went a-fishin’ (es. mus. 1). Oltre al carattere analitico della scrittura si

os-servi, nella nota esplicativa in calce, il riferimento alla diversità di intonazione a seconda della presenza o meno del fonografo, suggerita dall’esecutore, Mr. George Gouldthorpe:

L’attenzione quasi maniacale per i dettagli dell’esecuzione, la minuziosità delle tra-scrizioni e la cura scrupolosa della loro pubblicazione a stampa – economicamente tanto dispendiosa da risultare la più costosa per i bilanci della Folk-Song Society dell’epoca (cfr. Bearman 2003: 436) – non vennero propriamente apprezzati. Al contrario suscitarono critiche da più parti, compresa una clamorosa nota edito-riale, a cura del comitato di redazione (Editing Committee) del Journal, che viene inserita all’interno del saggio di Grainger (1908), interrompendo la trattazione fra un paragrafo dedicato alle strutture scalari e il successivo sulle ornamentazione:

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3. Personalità impresse nel canto

L’entusiasmo per l’uso della tecnologia viene concretamente applicato nel trattare del canto narrativo (narative song), che secondo Grainger acquisisce per l’esecutore uno speciale rilievo:

[…] for him words and music are practically inseparable. To most folk-singers, the tune of a song in (say) its fifth verse is not merely a repetition of the tune of “verse one” sung to different words, but is, rather, the particular music to those particular

words. [Grainger 1908: 153, corsivo nel testo]

Ancora una posizione di sorprendente modernità: nel canto narrativo la melodia non viene meramente, meccanicamente ripetuta stanza dopo stanza del testo verbale, ma l’esecutore usa l’intonazione musicale per interpretare e dunque personalizzare ciò che canta. Una posizione forte per l’epoca, come di-mostra la nota redazionale prima citata, che Graiger sostiene con forza, affer-mando di pensare di non star esagerando la questione poiché essa gli appare ben chiara alla luce della propria, se pur limitata, esperienza di ricerca. Al pari – egli afferma riprendendo il parallelo tra cultivated e folk music – dell’opera di un compositore della musica d’arte, che si sforza di armonizzare diversamen-te ogni riproposizione dello sdiversamen-tesso diversamen-tema, l’istinto musicale del singolo cantore

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creativamente dotato guida un continuo variare melodico, ritmico, dinamico della normal tune di un brano al fine di rendere l’emozione dei differenti versi nelle varie fasi della narrazione cantata: «It is into these small details that he puts the intimate flavour of his personality» (Grainger 1908: 153)7. Perfino

nel caso in cui la versione della stessa melodia proposta da due esecutori sia piuttosto simile per quanto riguarda l’intonazione e il testo verbale «the emo-tional and typical impressions that they create may differ startlingly one from the other; each mirroring the personality of the singer» (Grainger 1908: 163).

Propongo un’altra trascrizione “analitica” di un canto narrativo – Lord

Mel-bourne (es. mus. 2) – in cui va osservata, oltre all’accuratezza della notazione,

con i suoi frequentis simi cambi di ritmo, nell’ampio apparato di note e l’at-tenzione nell’attribuire elementi espres sivi ai singoli esecutori (al riguardo si veda anche Porter 1983: 223). Questa attenzione per l’elemento creativo nel canto narrativo (e in generale nella folk music) e per la personalità musicale dell’esecutore (non di tutti gli esecutori, in realtà, ma di quelli “più dotati”), rappresenta un ulteriore tema cruciale, sorprendente e precorritore, proposto da Percy Grainger già in un breve paragrafo nello stesso saggio del 1908, inti-tolato The impress of Personality in Unwritten music (Grainger 1908: 163-166). Partendo dal presupposto che non è possibile scindere l’artista dall’uomo, vengono posti in evidenza diversi ambiti in cui le peculiarità dei cantori si manifestano: la bellezza dell’intonazione o dell’andamento melodico oppure certe peculiarità nel rendere i contenuti del testo verbale e così via. Dietro questa varietà di caratteristiche personali il raccoglitore e lo studioso che con accuratezza trascrive ogni variante debbono sì individuare il “pulsare comu-ne” (throb of the communal pulse) della tradizione ma anche riconoscere che «each single manifestation of it is none the less highly individualistic and circumscribed by the temperamental limitations of each singer» (Grainger 1908: 164). Il lavoro del raccoglitore, sottolinea Grainger, dipende dal talento dell’individuo ascoltato sul campo, la cui voce viene trascritta, e sempre da parte dello studioso deve esserci un sentimento di gratitudine verso «all such singers as enrich the traditional art of our races» (Grainger 1908: 164). Una riconoscente attenzione verso il music maker di cui l’autore offre già un esem-pio presentando nel testo delle schede relative ai suoi interlocutori privilegia-ti, evidenziando per ciascuno, oltre ai dati biografici, le principali peculiarità performative. È sorprendente, osserva Grainger, come il “gorgheggiare” di un buon cantore sia differente ogni volta che lo si registri, sottolineando come nella sua esperienza di ricercatore sul campo ha potuto notare che nulla o quasi è lasciato al caso e come anche i minimi dettagli siano curati e le

irre-7 Una variabilità, come è noto, diventata oggetto di attenzione nella storia degli studi sulle ballate e il canto narrativo nel corso del XX secolo. Si veda a esempio Porter 1979 e 1983; e per l’Italia, Leydi 1998.

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golarità siano frequenti con non minore uniformità di quanto non lo siano le regolarità melodiche (cfr. Grainger 1908: 154)8.

La stessa intestazione del paragrafo appena visto viene ripresa da Grainger, sette anni più tardi, come titolo di un saggio ampio e per molti aspetti intri-gante (mi spingerei a dire anche entusiasmante!). Un saggio che a partire da una apertura, possiamo dire, in chiave universalista può essere considerato in realtà come un contributo di proto-etnomusicologia, stagliandosi dalla co-mune letteratura folklorica del tempo per l’ampiezza delle questioni trattate e l’interesse verso la pluralità del far musica del mondo. Rinviando all’artico-lato esame proposto da John Blacking (1987: 45 segg.), mi limito a riportare alcuni passi che credo rendano bene la portata innovativa (e ancora una volta sorprendente) del discorso graingeriano9.

Il saggio si apre con un breve paragrafo intitolato Uncivilized Lives Abound

in Music che per alcuni aspetti – escludendo il riferimento all’istinto naturale

– risulta valido ancora ai nostri giorni:

With regard to music, our modem Western civilization produces, broadly spea-king, two main types of educated men. On the one hand the professional mu-sician or leisured amateur-enthusiast who spends the bulk of his waking hours making music, and on the other hand all those many millions of men and women whose lives are far too over-worked and arduous, or too completely immersed in the ambitions and labyrinths of our material civilization, to be able to devote any reason-able proportion of their time to music or artistic expression of any kind at all. How different from either of these types is the bulk of uneducated and “unci-vilized” humanity of every race and color, with whom natural musical expression may be said to be a universal, highly prized habit that seldom, if ever, degenerates into the drudgery of a mere means of livelihood. [Grainger 1915: 418]

Insomma nella nostra società abbondano uomini e donne che vivono lon-tani dall’arte, mentre nelle altre società “uncivilized” (le virgolette dell’origina-le credo siano ben significative) la musica è una espressione naturadell’origina-le, molto apprezzata. Le condizioni di vita delle altre popolazioni, per quanto terribili alcune di loro possano apparire, sono raramente sterili dal punto di vista del “divertimento mentale” (mental leisure), come la maggior parte delle carriere civili della nostra società: anche “l’analfabeta bifolco inglese”, ricapitola Grain-ger, ha molteplici opportunità per dare seguito alla propria passione per il canto. Non solo la nostra schiavitù commerciale (the commercial slavery of our

8 Per apprezzare la posizione di Grainger, valga a esempio si ricordare che Bartók si curava poco delle peculiarità stilistiche dei cantori che registrava, limitandosi (e non sempre) ad annotarne il nome, mentre altri studiosi del tempo non riportavano neanche questo (cfr. Porter 1983: 227).

9 È significativo che il saggio sia stato ripubblicato nel 1991 dalla rivista “The Musical Quar-terly”, in un numero commemorativo dei primi settantacinque anni di pubblicazioni (vol. 75, n. 4, pp. 1-18).

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civilization) limita la naturale crescita della pratica dell’espressione artistica,

ma molte convenzione della società moderna negano alla maggior parte delle persone di avere l’opportunità di utilizzare in pieno i propri istinti vitali. È nel-la sovrabbondanza dell’arte nelnel-la vita degli uomini e delle donne delle campa-gne e delle aree costiere (così come di tante varie popolazioni nel mondo) che Grainger individua la ragione del proprio impegno nella salvaguardia delle loro abitudini musicali, delineando una posizione che con forza ribadisce il carattere di arte vera e propria del far musica trasmesso oralmente: una posi-zione poco o per nulla condivisa nell’opinione degli eruditi all’epoca, e perfino nella letteratura etnografica.

Un altro paragrafo decisamente significativo riguarda la questione della creatività musicale, proposta in termini sorprendenti per l’epoca che, per al-cuni aspetti, risultano anticipatori del concetto di musicalità umana proposto da John Blacking (1986). In un paragrafo intitolato The Impress of Personality:

Unwritten Music Is Not Standardized, Grainger osserva:

The primitive musician unhesitatingly alters the traditional material he has inhe-rited from thousands of unknown talents and geniuses before him to suit his own voice or instruments, or to make it conform to his purely personal taste for rhythm and general style. There is no written original to confront him with, no universally accepted standard to criticize him by. He is at once an executive and creative artist, for he not only remoulds old ditties, but also weaves together fresh combinations of more or less familiar phrases, which he calls “making new songs”. His product is local and does not have to bear comparison with similar efforts imported from elsewhere. [Grainger 1915: 422]

Non è necessario ribadire la modernità della definizione del cantore di tradizione orale, per quanto analfabeta e rozzo egli possa essere (Grainger 1915: 420), come un executive and creative artist. Benché utilizzasse spesso l’aggettivo spontaneous a proposito delle pratiche di tradizione orale egli dovet-te essere ben convinto che l’ardovet-te di molti dei “suoi” folksinger fosse tutt’altro che spontanea, ma consapevole e in qualche modo formalizzata. Tale posi-zione pare trasparire nel seguito del saggio con passi come il seguente, che all’epoca dovettero apparire – e ahimè ancora oggi ho paura possono sembrare per molti – “stramberie”.

It would be difficult to exaggerate the extent to which such traditional singers em-bellish so-called “simple melodies” with a regular riot of individualistic excrescen-ces and idiosyncrasies of every kind, each detail of which, in the case of the most gifted songsters at any rate, is a precious manifestation of real artistic personality so much so that a skilled notator will often have to repeat a phonographic record of such a performance some hundreds of times before he will have succeeded in extracting from it a representative picture on paper of its baffling, profuse characte-ristics. […] The whole art is in a constant state of flux; new details being continually added while old ones are abandoned. These general conditions prevail wherever unwritten music is found […]. [Grainger 1915: 424]

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Ciascun cantore, osserva Grainger, considera la propria tune una personal

property e ne rivendica il possesso come si fa con la pipa o il cappello. Ogni

cantore, inoltre, modifica e personalizza, con consapevolezza, ciò che ha ri-cevuto in eredità: il suo prodotto, la sua proposta artistica deve essere ricono-sciuta come tale. Per dare un’idea dell’importanza di questo senso di proprietà musicale riporta alcuni aneddoti come il caso di un contadino che per appren-dere un canto da un folksinger rivale si era nascosto in un armadio perché quel-lo non avrebbe acconsentito a cantare sapendo che lui era presente, oppure un altro episodio che vide lui stesso nascosto sotto un letto per annotare il canto di una vecchia altrettanto restia a trasmettere le proprie musiche a estranei. O ancora il caso dell’incontro con un vecchio del Lincolnshire a cui aveva fatto ascoltare uno dei brani registrati da un altro cantre della stessa regione per avere il suo parere – non so all’epoca quanti altri raccoglitori realizzavano operazioni di questo tipo, ossia facevano ascoltare a dei cantori tradizionali registrazioni di altri per averne indicazioni, in una sorta di operazione di

fee-dback ante litteram! – ottenendo come risposta «I don’t know about it’s being

fine or not; I only know it’s wrong» e commentando: «To each singer his own versions of songs are the only correct ones» (Grainger 1915: 425).

In questa prospettiva si inserisce anche l’auspicio della costruzione di una «world-wide International Musical Society» con lo scopo di fare conoscere tut-te le musiche del mondo a tutto il mondo per mezzo di «importut-ted performan-ces, phonograph and gramophone records and adequate notations». L’idea è di costituire delle troupe rappresentative di «peasant and native musicians, dancers, ecc.» da inviare in world-tour per tenere concerti nei centri artistici di tutte le aree del mondo: in questo modo tutti i music-lovers avrebbero potuto avere un’idea precisa delle molteplici bellezze (multitudinous beauties) dell’al-lora produzione musicale del mondo:

One program might consist of Norwegian fiddling, pi playing, cattle-calls, pe-asant dances and ballad singing, another of various types of African drumming, marimba and zanze playing, choral songs and war dances, and yet another evening filled out with the teeming varieties of modes of singing and playing upon plucked string instruments indigenous to British India; and so on [Grainger 1915: 433]

Segnalo en-passant uno dei paragrafi seguenti, intitolato The Tyranny of

the Composer, contenente anche un “succoso” passo contro la “tirannia” del

compositore occidentale, creatore aristocratico che considera suo schiavo l’esecutore: «The fact that art-music has been written down instead of im-provised has divided musical creators and executants into two quite separate classes; the former autocratic and the latter comparatively slavish» (Grainger 1915: 432). Per l’eclettico austaliano l’accuratezza della notazione musicale su pentagramma, specie per quanto riguarda il tempo e i segni di espressione, rappresenta (e ha storicamente rappresentato) uno strumento al servizio di questa situazione, che benché abbia prodotto tanti geni musicali di eccezio-nale grandezza, impensabili nella musica primitiva, a suo avviso ha anche

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comportato «the expense of the artistry of millions of performers, and to the destruction of natural sympathy and understanding between them and the creative giants» (Grainger 1915: 432).

4. Idee sulla musica da (ri)scoprire

La rilevanza, la molteplicità degli spunti di riflessione – ma anche le biz-zarrie, i controsensi, le intuizioni “rivoluzionarie” come nel passo appena ri-preso – di Percy Grainger non si esauriscono certamente in quanto qui som-mariamente riportato. Molto altro si può cogliere, specialmente per quanto riguarda le idee sulla musica e il far musica in generale, sul ruolo e sul rilievo dell’esperienza musicale nella nostra società, oltre che sull’educazione musi-cale, altra questione cruciale per la quale rimando ancora una volta a Blacking (1987).

Genio incompreso, studioso tutto istinto/intuizione e poca sistematicità, Mowgli del folklorismo musicale, chissà: poco importa, in vero, trovare una etichetta. Di certo l’opera di Grainger è stata il frutto di una vicenda biografica singolare, imperniata su una visione della musica a trecentosessanta gradi, come esperienza umana da condividere. Un’idea in cui l’attenzione verso la

folk music, avvertita come eredità del passato, si combinava e si integrava con

il più vivido interesse verso l’avanguardia musicale del proprio tempo, con la più appassionata speculazione musicale in prospettiva futura.

Rinviando per l’ultima volta alla guida offerta dal contributo di Blacking, segnalo in conclusione un passo – a mio avviso cruciale – in cui il grande et-nomusicologo irlandese trova nello scritto di Graiger del 1915 la conferma che «the evidences of performances of unwritten music supports overwhelmingly the view that ordinary people are musically inventive and that when they have a chance to be so they invest what they for with their own personal style. Art encroaches upon life because it is a primary modelling system for human though and action. Artistic cognition is a specific capability which all human being possess» (1987: 46).

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Esempi musicali

1. Six Dukes went a-fishin’ (in Grainger 1908: 170)

2. Lord Melbourne (in Grainger 1908: 200)

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