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Prefazione a "Castel del Monte : la storia e il mito"

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Academic year: 2021

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PREFAZIONE di Francesco Violante

Dopo quattro anni e molto lavoro, Massimiliano Ambruoso consegna alla riflessione della comunità scientifica e civile un nuovo volume su Castel del Monte. Dopo il Manuale storico di sopravvivenza edito da CaratteriMobili nella collana “Questioni di storia”, che avevo l’onore di dirigere insieme con Raffaele Licinio, Ambruoso approfondisce alcune questioni già trattate nel lavoro precedente, ma che evidentemente lasciavano ancora margini interessanti di discussione, traendone un testo a tutti gli effetti nuovo nel suo complesso. Mi riferisco in particolare alle molte pagine che dedica – ritengo in modo del tutto esaustivo e dirimente – al problema di interpretazione del termine actractus, una crux filologica intorno alla quale gli studiosi di Castel del Monte hanno dibattuto per decenni a partire da una dubbia nota di Huillard-Bréholles al noto documento emanato a Gubbio nel 1240. Nonostante alcune proposte recenti, l’ampia documentazione che Ambruoso analizza – coeva e relativa a numerosi esempi meridionali – non lascia dubbi su quale sia la corretta interpretazione del termine, spesso in endiadi con apparatus, che vale come materiale da costruzione che è necessario acquistare, approntare e preparare nei cantieri castellari. Un simile minuzioso lavoro di chiarimento del significato del termine, fondato sui migliori e più recenti lessici medievali e soprattutto sulla lettura della documentazione scritta, risulta tanto più utile quanto più Ambruoso, garbatamente ma fermamente, aggiorna gli elementi di critica a recenti e troppo fortunate ipotesi sulle funzioni del castello – queste invece affermate spesso con toni non degni di un civile confronto scientifico – che ne fanno immaginare un “tempio per la cura e la riabilitazione del corpo”. L’argomentazione di Ambruoso, oltre ad essere stringente e convincente, lega infatti questa questione ad un problema più generale di costruzione di un “medioevo immaginario”, su cui Umberto Eco, Giuseppe Sergi e Tommaso di Carpegna Falconieri hanno scritto pagine innovative e illuminanti, giustamente riprese nel volume e rese aderenti allo specifico di Castel del Monte. L’ampia rassegna delle tesi direi “incrostate” intorno a Castel del Monte, e ovviamente a Federico II, consente al lettore di seguire fedelmente la genealogia del sogno del Medioevo nutrito da una certa idea dell’edificio e della figura del suo committente,

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CASTEL DEL MONTE. LA STORIA E IL MITO

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una genealogia che è una storia intellettuale di una parte della cultura contemporanea – almeno da quando si volle costruire a tavolino l’immagine di Federico II come elemento identitario e giustificativo di un asse tra Roma e Berlino – sempre rimasta sostanzialmente ai margini del dibattito scientifico ma che ha plasmato, e plasma ancora, il senso comune e il rapporto che la società mantiene con i suoi beni culturali, con il suo territorio e il suo passato.

Si tratta ancora oggi, così come accadde quando prima Giosuè Musca, e poi Raffaele Licinio, contestarono duramente e pubblicamente le derive antiscientifiche della produzione letteraria su Castel del Monte, di una battaglia civile, democratica e culturale degna del massimo sostegno: il Medioevo esoterico, tradizionalista, iniziatico, di estrema destra che si impone nell’opinione pubblica non solo non ha alcun fondamento nelle fonti, non solo nega qualsiasi confronto basato su condivise regole di comunicazione e argomentazione storiografica, ma soprattutto è funzionale ad un discorso politico che giustifichi una (del tutto presunta) superiorità di un’élite su una massa da lasciare intorpidita nel suo timore reverenziale per il mistero, l’occulto, il sapere nascosto.

Stando così le cose, non è nemmeno possibile scomodare l’aureo principio di parsimonia di Guglielmo di Ockham (pluralitas non est ponenda sine necessitate ponendi, o anche entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem): il principio, cioè, per il quale, se vi sono più teorie possibili che si adattano a tutte le prove disponibili, la teoria migliore è quella con meno variabili, meno ipotesi, meno idee astratte. La ragione per cui non si applica è che, appunto, fondamentale risulta l’adattamento dell’ipotesi a tutte le prove (a tutte le fonti, in questo caso) disponibili. Se le ipotesi sono in accordo con tutte le prove disponibili, allora la spiegazione più semplice è da preferire; nel caso di Castel del Monte, invece, le teorie in concorrenza tra loro non si adattano a tutte le fonti disponibili: ne selezionano alcune, ne trascurano altre, ne travisano il significato. Non c’è dunque bisogno del rasoio di Ockham per affermare, come dimostra Ambruoso, che l’unica ipotesi possibile su Castel del Monte è che sia, appunto, un castello.

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