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Rari casi di linfoma anaplastico su protesi mammaria: nostra esperienza

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Academic year: 2021

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Scuola di Medicina

Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia

Tesi di Laurea Magistrale

Rari casi di linfoma anaplastico su protesi mammaria:

nostra esperienza

Relatore:

Prof. Davide Caramella

Dott.ssa Carolina Marini

Candidato:

Marco Matteucci

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SOMMARIO

1. GENERALITà ED EPIDEMIOLOGIA………3 2. EZIOPATOGENESI……….4 3. CLINICA E STADIAZIONE………5 4. DIAGNOSI………8 5. DIAGNOSI DIFFERENZIALE………10 6. IMAGING……….11 7. TERAPIA………..12 8. PROGNOSI………...13

9. NOTA INFORMATIVA REGIONE TOSCANA, LINEE GUIDA NATIONAL COMPREHENSIVE CANCER NETWORK (NCCN) E DEL MINISTERO DELLA SALUTE……….14

9.1 Nota informativa regione toscana………14

9.2 Linee guida National Comprehensive Cancer Network (NCCN)……...15

9.3 Linee guida del Ministero della Salute………15

10. CASE REPORT………19 10.1 Primo caso……….19 10.2 Secondo caso……….30 10.3 Terzo caso……….33 11. CONCLUSIONI………39 12. BIBLIOGRAFIA………..41

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Rari casi di linfoma anaplastico su protesi mammaria: nostra

esperienza

1. Generalità ed epidemiologia

Il linfoma anaplastico a grandi cellule è un raro linfoma a cellule T associato all’ impianto di protesi mammarie. Il primo caso è stato descritto nel 1997 da Keech e Creech.[1,2] Nel 2011 la FDA ha diramato il primo annuncio sulla possibilità dell’associazione con l’impianto di protesi mammarie.[1,3] Nel 2016 la World Health Organization ha classificato il Breast Implant Associated Anaplastic Large Cell Lymphoma (BIA-ALCL) tra i sottotipi di linfoma non-Hodgkin[1,4], enfatizzando l’importanza di una gestione chirurgica della malattia.[5,6]. In Italia, ad oggi, il database ministeriale (dal 2010 al 2019) riporta 41 casi a fronte di circa 411 mila protesi impiantate sul territorio italiano negli ultimi 8 anni. La Food and Drug Administration riporta, al luglio 2019, la segnalazione di 573 casi di BIA-ALCL di cui 385 sviluppatisi su protesi testurizzate, 26 su protesi lisce e 162 su cui non si hanno informazioni riguardo il tipo di impianto.[7]

In generale il linfoma rappresenta solamente lo 0,4-5 % dei tumori del seno e l’ 1-2 % dei linfomi.[8,9] Nonostante sia una patologia rara, ha calamitato negli ultimi anni l’attenzione dei media, verosimilmente perché la mastoplastica rappresenta l’intervento di chirurgia plastica più praticato negli USA e in molte altre zone del mondo.[10] La tipologia di protesi più colpita risulta essere quella con superficie testurizzata (o ruvida) mentre non si sono osservate differenze tra protesi saline o con silicone. Neppure in relazione all’intento, cosmetico o ricostruttivo post mastectomia, si sono osservate differenze.[8,11] L’età media alla diagnosi è di circa 50 anni con una latenza tra l’impianto della protesi e l’insorgenza della neoplasia di circa 7-9 anni[5,10] Studi recenti riportano un’incidenza, nelle donne con protesi del seno, variabile tra 1:3817 a 1:30000[5,12]. Uno studio del 2018 suggerisce che l’incidenza sia variabile in base all’età, con un rischio assoluto identificato attorno a 1/35000 a 50 anni e a 1/7000 a 75 anni. Rimane comunque da determinare se l’età possa essere considerato un fattore di rischio indipendente

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o se i dati raccolti siano da ricollegare ad una maggior durata di esposizione alla protesi.[13,14]

Nonostante sia quindi una patologia rara, le oltre 10 milioni di donne con protesi mammarie in tutto il mondo, fanno capire quanto un continuo aggiornamento dei dati e la collaborazione delle varie società scientifiche sia fondamentale per migliorare la nostra attuale conoscenza di questa patologia.[1,3]

2. Eziopatogenesi

L’eziologia è sconosciuta e probabilmente multifattoriale. Le ipotesi più accreditate prendono in considerazione la predisposizione genetica, le particelle di silicone, la tipologia di superficie dell’impianto e il biofilm. L’associazione con le protesi testurizzate è ben confermata. Dal 2017 la FDA ha raccolto 359 casi e la maggior parte si sviluppava su protesi testurizzate, con una frequenza circa 9 volte superiore rispetto alle protesi lisce.[6,15,16,17] Questo genere di protesi è ampiamente utilizzato poiché, rispetto ad altri, garantisce un rischio minore di contrazioni capsulari o di rotazione della protesi.[18,19] Bisogna comunque evidenziare che, in oltre la metà dei casi riportarti, non si ha alcuna informazione sul tipo di protesi. Questo purtroppo rende difficoltosa l’interpretazione dei dati.[20]

Alcuni studi hanno portato ad una ipotesi secondo la quale l’infiammazione cronica indotta dal biofilm batterico delle protesi ruvide potrebbe mediare l’iperplasia della cellule T e lo sviluppo successivo di BIA-ALCL.[15,16] Studi più recenti sembrano però smentire questa teoria, non riscontrando alcuna differenza tra il microbioma della mammella operata rispetto alla controlaterale sana usata come controllo.[21] In un altro studio si è osservata una associazione tra l’incremento dell’area della protesi ed il rischio di sviluppare BIA-ALCL.[17] Recentemente è anche stata ipotizzata una possibile origine dai Th2. Sono infatti stati ritrovati eosinofili nel contesto della capsula e cellule tumorali le quali esprimevano il fattore di trascrizione GATA3 e producevano IL13. Questo suggerisce una possibile eziopatogenesi allergica della neoplasia.[22]

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In definitiva la patogenesi del BIA-ALCL è probabilmente multifattoriale e coinvolge qualche specie di stimolo cronico, antigene dipendente o no, che induce mutazioni che spesso interessano la via di trasduzione del segnale JAK/STAT.[23,24,25]

3. Clinica e stadiazione

I linfomi non-Hodgkin possono coinvolgere il seno con diverse presentazioni. La maggior parte dei linfomi hanno origine dalle cellule della linea B, mentre i linfomi della linea T rappresentano meno del 10% dei casi. In particolare esistono 3 tipi di ALCL che possono coinvolgere il seno. Questi sono l’ALCL ALK positivo, l’ALCL cutaneo e l’ALCL ALK negativo. A questa ultima tipologia appartiene il BIA-ALCL, generalmente indolente e con una buona prognosi, a differenza dell’ALCL ALK negativo di tipo sistemico, che spesso si presenta in fase avanzata e con elevata aggressività.[1,2]

La presentazione clinica del BIA-ALCL è variabile, ma solitamente si presenta con dolore e rapido ingrossamento della ghiandola mammaria interessata, dovuto alla presenza di una raccolta fluida peri-protesica o più raramente ad una vera e propria massa palpabile che si sviluppa nel contesto della capsula fibrosa. Il sieroma è un segno assolutamente aspecifico e si renderà quindi necessario escludere cause più frequenti che possano presentare la medesima clinica, come i traumi e le infezioni. Altre manifestazioni comuni sono il rush cutaneo, contrazioni cutanee e linfoadenomegalia.[26,27] Si possono inoltre riscontrare irregolarità dei contorni della capsula e zone in cui la stessa si presenta di spessore minore.[28,29] Molti autori sono soliti distinguere due tipologie di BIA-ALCL, “in situ” ed “invasivo”. Il linfoma “in situ”, tumore in cui le “hallmark cells” sono confinate nella capsula in associazione a sieroma, è solitamente più indolente e presenta una buona prognosi con la sola rimozione delle protesi. Il tipo invasivo, caratterizzato da invasione della capsula e/o dei tessuti adiacenti associata alla presenza di una massa tumorale, è invece clinicamente più aggressivo[30] e

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spesso richiede una terapia adiuvante in aggiunta alla rimozione delle protesi.[8] In questo secondo tipo il sieroma può anche essere assente.[1] Non è chiaro se la forma invasiva rappresenti l’evoluzione della forma in situ o se siano due entità distinte con un diverso rischio di disseminazione.[1,15] Ad oggi è probabilmente più appropriato classificare il BIA-ALCL seguendo la stadiazione TNM proposto da MD Anderson[27]:

T: estensione del tumore

T1 confinato al sieroma o nella fibrina presente sul lato luminale della capsula periprotesica.

T2 infiltrante gli strati più superficiali della capsula periprotesica.

T3 infiltrante massivamente la capsula periprotesica.

T4 infiltrante i tessuti extracapsulari.

N: coinvolgimento linfonodale

N0 nessun coinvolgimento linfonodale.

N1 coinvolgimento di un linfonodo locoregionale.

N2 coinvolgimento di più linfonodi locoregionali.

M: metastasi

M0 nessuna metastasi a distanza.

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7 STADIO IA: T1 N0 M0 IB: T2 N0 M0 IC: T3 N0 M0 IIA: T4 N0 M0 IIB: T1-3 N1 M0 III: T4 N1-2 M0

IV: Tany Nany M1

Prima di questo veniva spesso utilizzata la revisione di Lugano della stadiazione di Ann Arbor. (figura1) Molti dei casi di BIA-ALCL rientrano nello stadio IE (83-84%). Lo stadio IIE è il secondo stadio più rappresentato (10-16%). Solo tra lo 0% e il 7% rientrano nello stadio IV.[27]

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4.

Diagnosi

L’iter diagnostico prevede l’uso di esame ecografico, esame RM con MdC ed eventuale esame PET/CT.

La raccolta fluida peri-protesica è presente in circa 2/3 delle pazienti all’ imaging e si pone in diagnosi differenziali con numerose altre entità che possano portare alla presenza di una raccolta fluida peri-protesica quali le infezioni, l’infiammazione, la rottura della protesi, neoplasie maligne, la fuoriuscita di silicone dalla protesi o un ematoma. Secondo un recente studio ogni raccolta fluida che si presenti più di un anno dopo l’intervento di mastoplastica, che non sia giustificabile con un trauma od un’infezione dovrebbe indurre il sospetto di BIA-ALCL.[31] Circa 1/3 delle pazienti presenta invece una massa ben definita a livello della capsula fibrosa periprotesica[8] . La RM o la PET dovrebbero essere utilizzate solamente nei casi in cui l’imaging ecografico non risulti soddisfacente. In uno studio del 2014 su 44 pazienti l’ecografia si è dimostrata superiore alla mammografia nell’identificazione di una raccolta o di una massa periprotesica sia in termini di sensibilità (73% vs 84%) che di specificità (50% vs 75%). La mammografia non è quindi un esame accettabile per la valutazione del BIA-ALCL. (La mammografia può essere utilizzata nell’iter diagnostico previa esecuzione della manovra di Eklund nelle pazienti con mastoplastica additiva).[27,31]

L’esame RM mammario per studio della protesi viene eseguito con sequenze assiali con e senza soppressione segnale-silicone, sequenze tirm sagittali, sequenze assiali diffusione pesate, sequenze T1, sequenze T2 e sequenze T1 post-contrastografiche.

La PET/CT con FDG è fondamentale per valutare le masse, il coinvolgimento della parete toracica o per dimostrare la diffusione sistemica ai linfonodi regionali o a distanza.[27]

Per la diagnosi è decisivo l’esame cito-istologico con approfondimenti immuno-istochimici e immuno-fenotipici, sul fluido periprotesico o sulla massa ottenuti mediante ago aspirato o biopsia, che evidenzia alti livelli della proteina di

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membrana CD30 in aggiunta alla negatività ad ALK1. Nell’80% dei casi risultano positive a CD4 e CD43 e 30% anche a CD3, CD45 e CD 2. Raramente è possibile riscontrare positività anche per CD15 e PAX-5, che pone problemi di diagnosi differenziale con il linfoma di Hodgkin. Le cellule sono grandi, spiccatamente pleomorfe, con abbondante citoplasma, nuclei eccentrici ed a forma di ferro di cavallo e nucleoli prominenti[1,5,32]. Queste cellule vengono chiamate “hallmark cells”.[6] Le cellule possono essere ritrovate come entità singole, organizzate in “clusters”, linearmente nel contesto della capsula fibrosa o diffusamente infiltrate nei tessuti circostanti.[1,5,32]

Se il risultato delle analisi immunoistochimiche è negativo per CD30 il paziente deve essere preso in carico da un chirurgo plastico o del seno per l’osservazione clinica.[1,32]

Nei casi in cui non sia evidente una massa la biopsia non è indicata e l’esame istologico si farà solo dopo la rimozione della protesi e la capsulectomia. In tal caso si dovrà analizzare l’eventuale infiltrazione della capsula, fondamentale per la stadiazione e la scelta terapeutica. Nel caso si evidenzi la presenza di linfoadenomegalia è indicata la biopsia escissionale del linfonodo interessato.[32]

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5. Diagnosi differenziale

La diagnosi differenziale deve tenere conto di:

• Sieroma benigno tardivo: sono raccolte di liquido sieroso che si possono sviluppare spontaneamente in sede periprotesica circa un anno dopo l’intervento e sono la conseguenza di una risposta infiammatoria alla protesi. Si osserva con una frequenza maggiore in relazione alle protesi testurizzate rispetto a quelle con superficie liscia. Alla RM appare iperintenso in sequenze T2 pesate. Più spesso rappresentano la conseguenza di un evento traumatico. Per differenziarlo da un’infezione o un versamento di natura neoplastica è necessaria la negatività agli eventuali esami colturali e citologici. La maggior parte dei sieromi tardivi risultano spesso essere idiopatici. La terapia può prevedere: o drenaggio del sieroma e reimpianto di protesi con o senza capsulectomia; o drenaggio del sieroma e capsulectomia completa senza reimpianto protesico; in alcuni casi si procede solo al drenaggio ecoguidato o ad una terapia antibiotica.[33]

• Ematoma periprotesico: può svilupparsi nel primo periodo post-operatorio o a seguito di un evento traumatico. Gli ematomi tardivi sono rari e hanno alla loro base solitamente traumi, coagulopatie, infezioni, lesioni capsulari o recidive neoplastiche. Alla mammografia si presenta come una massa ben definita iperdensa o eterogeneamente iperdensa. In RM presentano contenuto emoglobinico nei vari stadi.[34]

• Infezione periprotesica: è una complicanza che si verifica abbastanza frequentemente dopo interventi di chirurgia estetica (2,9%) o dopo intervento di ricostruzione mammaria (dall’1% al 53%). Nella maggior parte dei casi si presentano nel periodo post-operatorio per contaminazione della cute, della protesi o degli strumenti chirurgici. Le infezioni tardive sono invece meno frequenti e solitamente riconducibili ad un quadro di disseminazione sistemica. Si manifesta solitamente con dolore, arrossamento cutaneo, tumefazione e febbre. La presenza di un versamento periprotesico aumenta il rischio di sviluppare un’infezione.

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Ecograficamente è possibile apprezzare ascesso con raccolta ipoecogena irregolare ed echi interni. In RM segni indicativi di infezione sono la presenza di una raccolta fluida plurisettata periprotesica, ispessimento cutaneo, edema ed enhancement capsulare.[35]

• Recidiva locale di malattia a struttura mista o solida

6. Imaging

Ecografia: è possibile osservare la presenza di un versamento, fluido o corpuscolato, tra l’impianto e la capsula o periprotesico. Questo può essere omogeneo o presentare sepimentazioni al suo interno prive di vascolarizzazione al color doppler. In alcuni casi il BIA-ALCL si presenta come formazione cistica complessa o come area di tessuto solido disomogeneo in sede sotto o pericapsulare. In alternativa si può riscontrare un contorno irregolare della capsula, indicativo per rottura protesica, con edema e ipervascolarizzazione.[36,37]

RM senza e con MdC: il BIA-ALCL si può presentare come una massa lobulata, a margini irregolari, in sede periprotesica con possibile invasione della parete toracica. Talvolta si presenta come massa con componente cistica e rim enhancement. Nelle sequenze basali è possibile osservare il liquido periprotesico con detriti solidi. Nelle sequenze post-contrastografiche si può osservare una massa con enhancement irregolare, spesso associata a un contorno capsulare irregolarmente nodulare e a linfoadenopatie ascellari. Le acquisizioni basali prevedono: proiezione sagittale T2, assiale T1, sequenza assiale dedicata per silicone con doppia acquisizione, sequenze stir pesate in coronale e tirm sagittale. Successivamente sequenze T1 pesate dopo somministrazione di MdC.[36]

TC torace con MdC: si possono riscontrare linfoadenopatie della catena mammaria interna e del cavo ascellare.

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7. Terapia

Non esiste uno standard di trattamento per il BIA-ALCL. A seguito della diagnosi si procede generalmente con la rimozione bilaterale delle protesi, capsulectomia totale ed eventuale rimozione dei linfonodi sospetti, che risulta spesso sufficiente.[5,6] Questo tipo di intervento chirurgico è quindi la prima scelta di trattamento ed in uno studio su 87 pazienti si è dimostrato superiore, sia in termini di sopravvivenza sia di “event free survival”, rispetto ad una chirurgia più limitata o ad un trattamento sistemico con chemioterapia o radioterapia[7]. La mastectomia radicale, così come lo studio del linfonodo sentinella, non sembrano apportare benefici e la rimozione dell’intero compartimento linfonodale ascellare viene riservato solo ai casi che presentino interessamento metastatico multiplo.[38] Nei casi più gravi si renderà necessaria una terapia adiuvante basata su chemioterapia o radioterapia. In particolare la radioterapia adiuvante viene utilizzata nelle pazienti che presentino malattia molto estesa, resezione subtotale, invasione dei margini capsulari e della parete toracica.

La chemioterapia viene invece riservata ai casi localmente avanzati, con coinvolgimento linfonodale o con metastasi negli organi a distanza. Questa si basa o su una combinazione di chemioterapici (schema CHOP- ciclofosfamide, doxorubicina, vincristina associati ad un farmaco steroideo, il prednisone; schema CHOEP- analogo al precedente con aggiunta di etoposide; schema DA-EPOCH- dose adjusted etoposide, prednisone, vincristina, ciclofosfamide, doxorubicina, rituximab) o sull’uso del Brentuximab vedotin, “target therapy” con anticorpi monoclonali diretti verso CD30.[6,11,27,39]

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8. Prognosi

La prognosi del BIA-ALCL è ottima, con una sopravvivenza a 3 anni intorno al 93%, a 5 anni all’89% e una sopravvivenza media tra i 12 ed i 13 anni.[1] Nonostante la prognosi eccellente ci sono però casi che presentano una prognosi peggiore. In uno studio del 2014 si è osservato, in un follow-up su 60 pazienti, un peggior tasso di sopravvivenza sia a 3 che a 5 anni nei pazienti che presentavano una massa evidente alla diagnosi rispetto a quelli che non la presentavano.[40] Un’altra meta analisi su 62 casi ha evidenziato il medesimo rischio di morte aumentato per le pazienti che presentavano una massa e un aumentato rischio di recidiva e morte nei nelle pazienti che presentavano un’estensione extracapsulare della neoplasia.[41] Quindi il BIA-ALCL nella sua forma invasiva ha una prognosi decisamente peggiore, stimata al 40% a 2 anni.[1]

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9. Nota informativa della regione toscana, linee guida NCCN e

del Ministero della Salute

9.1 Nota informativa della regione toscana

Il 16 aprile 2019 la regione toscana ha deliberato una nota informativa, indirizzata alle aziende sanitarie, per la sorveglianza del rischio di insorgenza di linfoma anaplastico a grandi cellule in associazione con impianti protesici mammari. Da questa riporto la tabella riassuntiva del documento tecnico allegato alla nota.

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9.2 Linee guida National Comprehensive Cancer Network

Nel 2019 la NCCN ha diramato delle linee guida per la diagnosi ed il trattamento del BIA-ALCL di cui riporto la tabella riassuntiva.[39]

Figura 4. Linee guida NCCN

9.3 Linee guida del Ministero della Salute

Nell’ottobre del 2019 il ministero della salute ha pubblicato le “Linee di indirizzo sul percorso diagnostico terapeutico assistenziale per il linfoma anaplastico a grandi cellule associato ad impianti protesici mammari”.

Queste indicano, in un paziente portatore di protesi mammaria che presenti uno o più dei seguenti sintomi sospetti, l’esecuzione di una ecografia mammaria e ascellare (RMN o TC/PET in sospetta rottura di protesi o in presenza di una massa):

• Sieroma periprotesico tardivo (>1 anno dall’impianto), specie se persistente e ricorrente;

• Presenza di una massa mammaria palpabile; • Linfoadenomegalia ascellare;

• Contrattura capsulare di Baker IV con deformazione del profilo in particolare se monolaterale

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Se l’esame ecografico risulta negativo si imposta un follow-up secondo indicazioni mediche. Se risulta positivo per uno o più dei punti precedenti il paziente viene indirizzato verso una breast unit o una struttura sanitaria adeguata ad una valutazione multidisciplinare e ad approfondimenti diagnostici.

Si procede quindi alla esecuzione di un agoaspirato con ago sottile(FNA) sul sieroma(>50ml) e successivo esame citologico o ad una biopsia della massa, della capsula e/o dei linfonodi con successivo esame istologico.

Se il cito-istologico è negativo si continua il follow-up, se incerto si chiede un secondo parere diagnostico presso un altro centro di anatomia patologica, se la diagnosi viene invece confermata si prosegue con la stadiazione.

Per la stadiazione vengono utilizzate TC e PET/CT total body.

Se la malattia è confinata alla capsula periprotesica (stadio IA, IB, IC) la terapia prevede 3 possibili percorsi chirurgici:

• Espianto protesi e capsulectomia radicale en bloc

• Espianto protesi e capsulectomia radicale ma non en bloc • Espianto protesi e capsulectomia parziale

Nelle ultime due tipologie di intervento, o qualora nel primo vi sia residuo di malattia sui margini della capsula si renderà necessaria una terapia adiuvante radioterapica locale o una terapia sistemica chemioterapica o immunoterapia.

Se la malattia è disseminata oltre la capsula periprotesica, ai linfonodi o ad altri organi a distanza (stadio II-IV) la terapia prevede: biopsia osteomidollare per conferma di disseminazione, espianto della protesi e di tutto il tessuto infiltrato resecabile, terapia adiuvante con schema CHOP, CHOEP, DA-EPOCH o con Brentuximab Vedotin nei pazienti refrattari/recidivanti e radioterapia locale per la malattia residua.

Qualunque sia lo stadio della malattia il successivo follow-up clinico radiologico viene eseguito ogni 3-6 mesi per i primi 2 anni e a cadenza annuale fino a 5 anni.

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Ogni caso di BIA-ALCL deve essere segnalato al Ministero della salute con la relativa stadiazione anatomo-patologica.

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18 Figura 6. Linee guida Ministero della Salute-iter terapeutico

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10. Case report

10.1 Primo caso(L.L)

Nel 2009 la paziente è stata sottoposta a mastectomia radicale destra skin

reducing con posizionamento di protesi ruvida sottomuscolare e a mastoplastica riduttiva di simmetrizzazione controlaterale. Successivamente è stata trattata con chemio-ormonoterapia adiuvante terminata nel 2014. Il 25 agosto 2015 giungeva presso il nostro centro senologico per il riscontro di un sieroma freddo

periprotesico destro, associato a grossolana tumefazione retroprotesica che determinava aumento di volume e deformità del profilo della parete toracica anteriore destra, in particolare a livello del QSE e al QII. Nei giorni

immediatamente precedenti era stata ricoverata presso il reparto di medicina interna a causa di un ampio versamento pleurico destro e trattata con toracentesi (1100cc). Il successivo esame citologico sul versamento era risultato negativo per patologia neoplastica. La paziente era stata sottoposta ad esame ecografico eseguito presso il centro senologico il 25/8/15 con riscontro di una raccolta fluida periprotesica a destra con multipli gettoni nodulari adiacenti alla pleura costale. (Figure 7-8)

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Figura 7. Esame ecografico evidenzia versamento periprotesico e multipli gettoni nodulari adiacenti

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L’esame di risonanza magnetica mammaria confermava infatti una grande raccolta liquida periprotesica a destra e una massa captante il mezzo di contrasto posteriormente alla protesi mammaria destra e come reperto collaterale diffusi ispessimenti della pleura parietale a destra. (Figure 9-10-11-12-13-14)

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22 Figura 10. RM, sequenza sagittale T2

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23 Figura 12. RM, sequenza coronale STIR

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24 Figura 14. Sequenza assiale T1 post-contrastografica

Era stata inoltre sottoposta a studio TC toraco-addominale che documentava: versamento pleurico esteso dall’apice sino alla base delle sezioni posteriori dell’emitorace destro con associata atelettasia del parenchima contiguo in sede basale omolaterale; tumefazione solida di circa 24mm in regione mammaria interna destra ed ispessimento della pleura adiacente di circa 39x19mm; ispessimento del muscolo intercostale esterno all’altezza del tratto anteriore della IV-V costa di destra con spessore massimo di circa 68mm in contiguità con l’ispessimento pleurico precedentemente descritto; presenza di raccolta fluida omogenea periprotesica; tumefazione di circa 20mm nel contesto del tessuto adiposo, anteriormente alla VI costa omolaterale; minima falda di versamento pericardico; puntiformi focalità ipodense in ambito epatico ubiquitariamente distribuite e non ulteriormente caratterizzabili date le esigue dimensioni. (Figura 15).

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Figura 15. TC

All’esame ecografico, a seguito di consulto multidisciplinare oncologico-radioterapico si indicava la necessità di una caratterizzazione istologica della massa neoplastica tramite biopsia TC guidata. L’esito di questa indicava la presenza di tessuto fibroso con marcati reperti di flogosi cronica. Successivamente veniva sottoposta a biopsia TC guidata della pleura parietale destra e ad una rivalutazione di alcuni preparati prodotti in altra sede. A questo punto i dati morfologici, fenotipici e clinici non escludevano la diagnosi di BIA-ALCL anche se non si poteva escludere completamente le diagnosi di linfoma T NOS o di linfoma di Hodgkin. Per meglio definire e stadiare la patologia si decideva quindi di proseguire con l’esecuzione di un esame PET/CT.

La PET/CT dimostrava un intenso ipermetabolismo glucidico (SUV max 7,4) nel contesto del tessuto parenchimatoso periprotesico della capsula fibrosa della protesi di destra con interessamento dei tessuti molli dell’emitorace destro. A questo si associano ispessimenti ipermetabolici della pleura costale e mediastinica

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a destra e linfoadenopatie ipermetaboliche (SUV max 11,7) in sede pre-vascolare mediastinica, ascellare e retropettorale destra. (Figura 16)

Figura 16. PET/CT

La paziente veniva quindi affidata al reparto di ematologia e sottoposta a chemioterapia con schema CHOEP per una totale di 4 cicli su 6 programmati.

A seguito si procedeva a rivalutazione tramite TC torace ed addome e a RM mammaria bilaterale senza e con mezzo di contrasto.

La TC toraco-addominale di controllo eseguita con e senza somministrazione di mezzo di contrasto documentava la riduzione del versamento e dell’ispessimento pleurico con riduzione dimensionale del tessuto parenchimatoso localizzato inferiormente e posteriormente alla protesi.

Risultavano invece invariati gli ispessimenti pleurici nodulari a placca a livello costale, diaframmatico e mediastinico.

La RM mammaria bilaterale con e senza mezzo di contrasto documentava: fibroglandular breast tissue tipo 3(50-75%); nelle acquisizioni T2w presenza di iperintensità a livello del profilo pleurico e della parete toracica destra retro e

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periprotesica; minimal background parenchymal enhancement (<25%); esiti di mastectomia destra con protesi bel tollerata e sottile film di versamento periprotesico e retroprotesico; nelle acquisizioni dinamiche sfumato ed aspecifico enhancement retroprotesico e della parete toracica riferibile a pregressa patologia linfomatosa in fase di regressione. Dopo consulto multidisciplinare si decideva di eseguire nuovo studio PET/CT nel marzo 2016 che documentava: completa scomparsa sia della zona di intenso ipermetabolismo glucidico nel contesto del noto tessuto parenchimatoso localizzato posteriormente ed inferiormente alla protesi mammaria destra, che delle linfoadenopatie iperattive in sede prevascolare mediastinica, ascellare e retropettorale sinistra; riduzione dell’ispessimento pleurico ipermetabolico (SUV max 3.5 vs 4.2) localizzato nel segmento anteriore del lobo superiore di destra; invariati, ma con aumento della captazione (SUV max 15 vs 9.5), gli ispessimenti pleurici iperattivi che interessano circonferenzialmente la pleura costale, diaframmatica e mediastinica, con maggiore impegno dei campi polmonari inferiori; comparsa di una focalità ipermetabolica (SUV max 10.2) nel contesto del muscolo retto addominale di destra ( all’altezza di L2) e di linfoadenopatia iperattiva (SUV max 4.3) in sede latero-cervicale sinistra.

A seguito di rivalutazione ematologica si indicava la necessità di una bonifica chirurgica prima di continuare la terapia medica. La paziente veniva quindi sottoposta a capsulectomia e rimozione della protesi nel febbraio 2016. Le successive analisi anatomo patologiche sui tessuti ricavati dall’intervento chirurgico risultavano essere negative. Successivamente veniva trattata con chemioterapia adiuvante fino a giugno 2016 e eseguiva PET/CT di follow up a luglio 2016. A quest’ultima si refertava: sostanziale stabilità del reperto precedentemente descritto in ambito pleurico a livello del segmento anteriore del lobo superiore di destra (SUV max 3.9 vs 3.5); lieve riduzione dell’intensità di captazione della localizzazione di malattia in sede pleurica, costale, diaframmatica e mediastinica (SUV max 13,2 vs 15); scomparsa della focalità ipermetabolica segnalata nel contesto del muscolo retto addominale di destra e della linfoadenopatia iperattiva in sede latero cervicale sinistra.

La paziente si sottoponeva quindi ad immunoterapia prima con Rituximab, poi con Brentuximab per 16 cicli conclusi nel dicembre 2016. Si procedeva quindi al

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follow-up tramite esecuzione di esame PET/CT nel gennaio 2017. Questa documentava: stabilità in termini dimensionali delle zone di ispessimento tissutale a carico della pleura costale posteriore del polmone destro, seppur con lieve rialzo dei valori di iperattività metabolica (SUV max 16.37 vs 13.2); invariati i reperti a carico della pleura diaframmatica e del lobo superiore del polmone destro. La paziente intraprendeva quindi un nuovo ciclo chemioterapico a base di gemcitabina e desametasone per un totale di 6 cicli conclusi nel marzo 2018 e si sottoponeva nuovamente ad esame PET/CT nell’aprile 2018. A questo si evidenziava un quadro patologico sostanzialmente invariato rispetto al precedente. A luglio 2018 la paziente veniva trattata con talcaggio dell’emitorace destro e successivamente sottoposta ad esame TC torace con e senza mezzo di contrasto al quale si evidenziava ispessimento captante il contrasto della pleura costale, prevalentemente posteriore e laterale in sede basale con spessore massimo di 8mm. Si proseguiva quindi il trattamento chemioterapico fino a luglio 2018 e si procedeva a ristadiazione tramite PET/CT nel dicembre 2018. Si refertava: patologico aumento della captazione del radiofarmaco in corrispondenza del cavo pleurico destro con presenza di multipli ispessimenti a carattere ipermetabolico, i maggiori localizzati a livello della pleura costale anteriore della I e III costa e tra la VII e VIII e a livello della pleura costale posteriore all’altezza della III-V e della VII-IX; aumentata captazione nell’ambito dei tessuti molli della parete toracica inferiore omolaterale (SUV max 6.7); lesione focale antero-superiore nel parenchima splenico (SUV max 3.1). Rispetto al precedente la malattia risultava quindi in progressione. Sempre a dicembre 2018 si eseguiva anche esame TC addome, torace e collo con e senza mezzo di contrasto al quale si documentava: comparsa di limitati ispessimenti pseudonodulari della pleura parietale in corrispondenza del seno costofrenico anteriore associati ad ispessimenti dei setti interlobulari e sottili strie fibrotiche; persistenza di malattia negli spazi intercostali anteriori della I, II e III costa con minima riduzione dimensionale di alcune delle tumefazioni nodulari vascolarizzate (asse max 10mm) e dell’ispessimento densitometrico reticolare del tessuto lasso della parete toracica antero-laterale omolaterale allo stesso livello; persistenza di malattia con evidente incremento disomogeneo della captazione contrastografica a livello dei tessuti molli della

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parete antero-inferiore della gabbia toracica destra (VI-VII-VIII costa) con sconfinamento nello spazio intercostale VIII-IX ed assenza di sicuri piani di clivaggio con il profilo diaframmatico consensuale; riduzione dei linfonodi mediastinici, permanenza di linfonodi ascellari bilateralmente con asse corto subcentimetrico.

La paziente intraprendeva quindi una nuova terapia con anticorpo monoclonale anti-PD1 ad inizio 2019 ed eseguiva ristadiazione tramite esame TC torace, addome collo con e senza mezzo di contrasto nell’aprile 2019. Si documentava: modesto incremento dell’interessamento pleurico destro più evidente a livello del lobo superiore con spessore massimo in corrispondenza del segmento apicale (6mm) e del segmento postero-basale del lobo inferiore (12mm) con aumento anche della captazione contrastografica; minimo incremento dimensionale dei linfonodi ad asse corto subcentimetrico in corrispondenza del corno ilare superiore destro e in sede paratracheale, i quali presentano inoltre maggiore captazione contrastografica; comparsa di alcune linfoadenopatie all’ilo sinistro con dimensioni massime di 15 x 12 mm; esile falda di versamento pericardico; comparsa di alcuni millimetrici linfonodi retrocrurali a destra; netta riduzione dell’ispessimento patologico a carico della parete toracica destra in corrispondenza del tratto antero-laterale della VII-VIII e IX costa.

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30 10.2 Secondo caso

Donna di 35 anni con pregressa mastoplastica additiva bilaterale nel 2016 con protesi testurizzate. Nel febbraio 2019 presentava tumefazione della mammella sinistra per la quale intraprendeva terapia antibiotica e cortisonica. Si sottoponeva quindi ad esame ecografico mammario che documentava modesto versamento periprotesico a sinistra in assenza di segni di rottura o contrattura protesica. (Figura 17)

Figura 17. Esame ecografico

Al persistere della sintomatologia eseguiva una visita in chirurgia plastica con richiesta di RM. Nel marzo 2019 si sottoponeva quindi a RM senza mezzo di contrasto che documentava la presenza di protesi retromuscolari bilaterali, riduzione dello spessore della protesi di sinistra con abbondante raccolta di tipo liquido e con lieve dislocazione craniale rispetto alla controlaterale. Si procedeva quindi ad aspirazione del liquido periprotesico ed a successivo esame citologico il cui esito riferiva la presenza di cellule linfoidi atipiche, CD3 e CD30 positive, e quindi il sospetto che potesse essere un caso di BIA-ALCL. La paziente veniva dunque sottoposta ad approfondimenti diagnostici tramite ecografia, mammografia e RM con mezzo di contrasto nell’aprile 2019. All’ecografia di controllo dopo aspirazione del liquido periprotesico si evidenziava protesi a contenuto anecogeno con scarso versamento periprotesico non corpuscolato a sinistra e un lieve ispessimento della capsula periprotesica a destra in particolare

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al quadrante supero-centrale (inferiore ai 4mm). Alla mammografia, eseguita in tomosintesi con proiezioni oblique e con manovra di Eklund non si riscontravano microcalcificazioni sospette. La RM con mezzo di contrasto documentava minimo versamento periprotesico bilateralmente in assenza aree di enhancement patologico.

Si procedeva inoltre a revisione dei vetrini il cui esito riportava la presenza di grandi cellule con marcate atipie nucleari e con profilo immunofenotipico CD3 e CD30 positivi, PAX5, CD20, e AE-AE3 negativi. I reperti osservati sono quindi compatibili con la diagnosi di BIA-ALCL. Si procedeva quindi a stadiazione tramite studio PET/CT dalla quale si riscontrava una lieve e diffusa iperattività metabolica (SUV max 2) in sede periprotesica mammaria bilaterale in assenza di significative focalità di iperaccumulo patologico e un lieve e diffuso ipermetabolismo glucidico (SUV max 2.8) in ambito osteomidollare in assenza di contestuali focalità marcatamente iperattive. (Figura 18)

Figura 18. PET/TC

A seguito di consulto multidisciplinare, in presenza anche dell’ematologo, si concordava di procedere con capsulectomia e rimozione della protesi bilateralmente. La paziente veniva quindi operata nel maggio 2019 ed entrambe le capsule periprotesiche inviate ad esame istologico. L’esito di quest’ultimo

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riportava la negatività per proliferazioni neoplastiche nella capsula periprotesica di destra. Nella capsula periprotesica di sinistra si rinveniva invece materiale fibrinico, adeso alla superficie interna della capsula ed aggregati cellulari costituiti da elementi di grandi dimensioni, ad aspetto pleomorfo, nucleolati, talora multinucleati e/o multilobati (CD30+, CD3+, CD4+, CD5+, TIA-1+, GRANZIME-B+, MUM+, CD8-, ALK-, EMA-) con focale infiltrazione dello strato interno della capsula fibrotica. I reperti confermavano quindi la diagnosi di BIA-ALCL e indicavano una stadiazione T2 della neoplasia. La paziente veniva quindi rivalutata tramite esame PET/CT nel luglio 2019 in cui si refertava la pressochè totale scomparsa della malattia ed una lieve e disomogenea iperattività metabolica a livello dei muscoli pettorali riferibile in prima ipotesi ad esiti di recente intervento chirurgico.

La paziente prosegue ad oggi un follow-up semestrale tramite esame ecografico che è sempre risultato negativo.

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33 10.3 Terzo caso (L.S)

Il terzo caso riguarda una paziente di 56 anni con importante storia oncologica: nel 2006 mastectomia sinistra nipple-sparing con ricostruzione protesica per la presenza di un carcinoma in situ e mastectomia destra nipple-sparing a scopo profilattico. Nel 2013 la paziente aveva subito intervento per carcinoma epidermoide della regione mandibolare sinistra con successiva recidiva nel 2015 trattata con chirurgia e radioterapia. Nel 2015 a seguito di diagnosi di Linfoma di Hodgkin variante nodulare veniva trattata con radioterapia in sede latero-cervicale sinistra (terminata a settembre 2015) e chemioterapia (terminata ad aprile 2016).

Nel maggio 2017 la paziente si presentava presso il nostro centro senologico per autoriscontro di incremento volumetrico bilaterale. All’esame obiettivo in esiti di mastectomia bilaterale nipple-sparing con ricostruzione protesica si evidenziava la presenza di lesione nodulare dura del quadrante superiore interno della mammella sinistra, fissa sul piano profondo e ricoperta da cute lievemente iperemica ed area di addensamento al quadrante equatoriale esterno a sinistra.

La paziente eseguiva quindi esame ecografico mammario che documentava la presenza di un abbondante versamento periprotesico disomogeneo bilaterale con spiccato linfedema dei quadranti superiori/interni di sinistra.(Figure 19-20-21)

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34 Figura 19. Esame ecografico

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35 Figura 21. Esame ecografico

Lo stesso giorno veniva eseguita RM mammaria (3T) con e senza somministrazione di mezzo di contrasto che evidenziava: la presenza di protesi in posizione sotto pettorale bilateralmente; segni di contrattura periprotesica bilaterale ed abbondante versamento periprotesico nettamente più evidente a sinistra dove si rilevava linfedema dei quadranti superiori; nessun segno di rottura intra od extracapsulare.(Figure 22-23-24)

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36 Figura 22. RM, sequenza sagittale T2

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37 Figura 24. RM, sequenza assiale T1 post-contrastografica

Sul nodulo presente nel QSI di sinistra si procedeva a biopsia ecoguidata con TRU-CUT e successivo esame istologico con esito di materiale in gran parte necrotico, liponecrosi, intensa flogosi cronica senza elementi neoplastici nel materiale esaminato. Venivano prelevati anche 20ml di liquido periprotesico sinistro e inviati ad esame citologico, il cui esito riportava la presenza di istiociti (CD68+) e occasionali linfociti di piccola taglia (CD20-, CD3+). Per approfondire il quadro la paziente veniva sottoposta ad una PET/CT. L’esame evidenziava una formazione pseudonodulare a carattere ipermetabolico (SUVmax 6) localizzata a livello dei quadranti interni della mammella sinistra, cui si associa ulteriore formazione, di minori dimensioni e livello del QEE omolaterale (SUVmax 5,8). A queste si associano alcune linfoadenopatie ad elevata attività glucidica (SUVmax 9,3) in sede ascellare sinistra. A Livello ascellare destro si osservano alcuni linfonodi a lieve attività metabolica glucidica (SUVmax 2), di verosimile natura infiammatoria.

La paziente veniva quindi sottoposta ad intervento chirurgico di espianto protesi e capsulectomia en bloc e a successivi approfondimenti anatomo-patologici. Venivano quindi analizzati: un linfonodo del cavo ascellare sinistro di cm 4,3x3,1x2,4, al taglio diffusamente necrotico che risultava essere una metastasi di linfoma non-Hodgkin di derivazione dai linfociti T periferici, anaplastico a grandi cellule associato a protesi mammaria (BIA-ALCL, secondo WHO 2016); all’esame dell’immuno-fenotipo risulta essere CD30+, ALK-, CD3+, CD4+,

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CD43+, CD15-, CD20-, EBV-). Venivano inoltre analizzati due pezzi di tessuto mammario ottenuti dal QSE e dal QII di sinistra che risultavano essere localizzazioni dermo-ipodermiche della medesima neoplasia.

A dicembre 2017 eseguiva esame TC torace, addome e collo senza e con mezzo di contrasto al fine di ristadiare la neoplasia. Si documentava: raccolta fluida periprotesica bilaterale; ispessimento tissutale a morfologia nodulare, omogeneamente captante, a livello dei quadranti interni della mammella di sinistra che, a partire dal piano cutaneo si estende sino in corrispondenza dell’articolazione sterno-claveare della III-IV costa omolaterali ( diametri massimi di 50x21mm); ulteriore ispessimento tissutale con piccola raccolta fluida in regione ascellare sinistra che si estende anche al muscolo pettorale omolaterale (19x29 mm), riferibile agli esiti di linfoadenectomia; multipli linfonodi in regione retropettorale ed ascellare sinistra, alcuni dei quali a morfologia rotondeggiante e con disomogenea captazione post-contrastografica (diametri complessivi massimi di 17x17 mm); linfonodi ad asse corto subcentimetrico in corrispondenza delle varie stazioni mediastiniche, in regione ascellare destra, in sede mammaria interna e sopraclaveare bilaterale. A maggio 2018 la paziente si sottoponeva ad esame PET/CT di follow-up il quale documentava: la pressochè totale scomparsa delle aree di patologica captazione del radiofarmaco in regione periprotesica mammaria sinistra (QIE, QII e QEE); comparsa di aumentata captazione in corrispondenza di nodulazione sottocutanea mammaria destra (SUV max3.6), per la quale si consigliava valutazione ecografica, ed in regione mammaria sinistra (SUVmax 2.9), riferibile in prima ipotesi a patologia flogistica post-chirurgia di espianto protesi. A febbraio 2019 a seguito di esame TC torace con e senza mezzo di contrasto si rinveniva una tumefazione in regione ascellare anteriore destra, sottocutanea di diametri 13x17 mm. Si decideva di approfondirla con esame PET/CT alla quale però risulterà avere un’attività metabolica glucidica all’interno dei range di riferimento per la tecnica utilizzata. La paziente esegue tuttora controlli TC e PET/CT alternati a cicli chemioterapici.

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11. Conclusioni

Il linfoma anaplastico a grandi cellule associato a protesi mammarie è dunque una patologia estremamente rara, seppur l’incidenza evidenziata negli studi più recenti sembra essere superiore a quella ipotizzata inizialmente. La sua bassa incidenza non ci deve però portare verso una sottovalutazione dei sintomi e segni clinici che ne possano essere manifestazione. Sarà quindi opportuno indirizzare le pazienti portatrici di protesi, in particolare se testurizzate, che presentino un quadro clinico sospetto per BIA-ALCL all’esecuzione di approfondimenti diagnostici.

Qualora si presentasse una paziente con sieroma periprotesico, tumefazione, dolore e dolorabilità, presenza di massa palpabile, linfoadenomegalia ascellare o un ulcerazione cutanea dopo più di un anno dall’impianto della protesi mammaria sarà opportuno procedere con l’esecuzione di un esame ecografico per identificare un eventuale versamento o massa. Qualora vengano identificati sarà opportuno procedere con FNAC (fine needle aspiration citology) del versamento o biopsia della massa e alle successive analisi anatomo-patologiche necessarie per poter fare diagnosi di BIA-ALCL.

Questo semplice approccio può sicuramente permettere un’ottima diagnosi differenziale con le principali patologie, sia benigne che maligne, che presentano quadri clinici analoghi come le infezioni periprotesiche, i versamenti benigni, gli ematomi periprotesici e le eventuali recidive tumorali.

Inoltre la rapida esecuzione di questi accertamenti diagnostici può permettere una diagnosi precoce che può influenzare drasticamente la prognosi. Infatti è di fondamentale importanza identificare la patologia prima che sconfini oltre la capsula periprotesica, evenienza che modifica drasticamente i tassi di sopravvivenza.

In definitiva l’estrema rarità della patologia non può essere motivo per sconsigliare l’impianto di protesi mammarie. Queste infatti possono rappresentare un elemento importante nella sfera psichica, sociale e affettiva di una paziente che decida di sottoporsi a mastoplastica additiva o, a maggior ragione, ricostruttiva. Si renderà però necessario includere nel consenso informato pre-operatorio la

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possibile evenienza dello sviluppo di BIA-ALCL e spiegare nel dettaglio alla paziente il quadro clinico che può esserne manifestazione.

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