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Don Giovanni o il Convitato di pietra. Note sul rapporto tra proposta di legge costituzionale in materia di iniziativa legislativa popolare cd. “rafforzata” e rinvio presidenziale delle leggi.

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Don Giovanni o il Convitato di pietra.

Note sul rapporto tra proposta di legge costituzionale in materia

di iniziativa legislativa popolare cd. “rafforzata” e rinvio presidenziale delle leggi* di Massimiliano Malvicini **

(8 marzo 2019)

Lo scorso 21 febbraio è stata approvata in prima lettura presso la Camera dei deputati la proposta di legge costituzionale concernente “Modifica all'articolo 71 della Costituzione in materia di iniziativa legislativa popolare, e alla legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1” (A.C. 1173-A; trasmesso al Senato il 22 febbraio 2019 come A.S. 1089). Nato da un progetto presentato nello scorso settembre dai deputati appartenenti ai gruppi parlamentari del Movimento 5 Stelle e della Lega Nord - a sua volta espressione dell’orientamento sulle riforme istituzionali fatto proprio dall’attuale maggioranza sulla base del cd. “contratto di governo” e illustrato, nelle sue linee programmatiche, dal Ministro per i Rapporti con il Parlamento e la democrazia diretta Riccardo Fraccaro alle Commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato nel mese di luglio (su cui v. P. Faraguna, La nuova stagione di riforme istituzionali: verso la

democrazia integrale, ma a piccoli passi, in questa Rivista, 4, 2018, 902 ss) -, il disegno

di legge costituzionale si caratterizza, ancora oggi, per numerosi “problemi” di carattere giuridico-costituzionale che meritano particolare attenzione.

Oltre, infatti, alle obiezioni di carattere politico (e di politica del diritto) relative all’attuale indirizzo riformistico – il quale, è bene rammentarlo, prefigurando la «realizzazione di alcuni interventi “limitati”, “puntuali” “omogenei”, attraverso la

presentazione di iniziative legislative costituzionali distinte e autonome» (secondo la

terminologia adoperata dal Ministro Fraccaro nell’audizione del 12 luglio 2018), rimane esposto al rischio di sottovalutare il complesso intreccio di poteri, attribuzioni e funzioni che costituiscono la trama del nostro ordinamento in mancanza di una visione “strategica” degli interventi proposti, non meno dei progetti di “grande riforma” susseguitisi nel corso della storia repubblicana (su cui v. C. Fusaro, Per una storia delle

riforme istituzionali (1948-2015), in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2, 2015, 431

ss.) -, i ”nodi” riguardano anche i rapporti tra il progetto di riforma e l’ordinamento costituzionale vigente.

In questo senso, accanto alle problematiche derivanti dall’alterazione dell’equilibrio tra istituti parlamentari e potere referendario, espressione della dialettica tra principio rappresentativo e partecipazione popolare diretta, alla base del nostro sistema costituzionale (su cui, di recente, v. G. Brunelli, Il Parlamento, in Rivista AIC, 2, 2018, 11 ss; in generale, v. E. Fraenkel, La componente rappresentativa e plebiscitaria nello

Stato costituzionale democratico - a cura di L. Ciaurro e C. Forte, Torino, 1994),

svettano, per importanza, la definizione dei limiti, formali e sostanziali, concernenti l’iniziativa popolare propositiva e la consultazione referendaria (cfr. il dibattito su Astrid

rassegna, 1-3, 2019 e A. Morrone, Editoriale. L’iniziativa popolare propositiva: per una * Scritto sottoposto a referee.

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democrazia plebiscitaria contro la democrazia rappresentativa?, in Federalismi.it, 23,

2018) nonché l’articolazione del sistema dei controlli (di ammissibilità-proponibilità e/o di costituzionalità) ad essi correlato. Non meno rilevante è poi l’impatto della riforma sul ruolo e le attribuzioni di altri due organi di vertice dell’ordinamento: la Corte costituzionale e il Presidente della Repubblica. Con riferimento alla Consulta, uno dei principali problemi è legato all’articolazione del giudizio di ammissibilità del referendum il quale, a causa della vaga formulazione circa i limiti della proposta di iniziativa popolare, potrebbe portare ad una sovraesposizione della Corte rispetto all’agone politico (v. V. Lippolis, Luci ed ombre nella riforma costituzionale di Fraccaro, in Formiche.net, 10 gennaio 2019).

Per quanto riguarda il Quirinale, posto che l’obiettivo del disegno di legge costituzionale è l’introduzione di un istituto potenzialmente capace di introdurre norme giuridiche nel nostro ordinamento, il principale interrogativo è invece il seguente: come si conciliano le disposizioni che stabiliscono che la proposta di iniziativa popolare sottoposta a referendum «è approvata se ottiene la maggioranza dei voti validamente espressi, purché superiore a un quarto degli aventi diritto al voto» con i primi commi degli artt. 73 e 74 Cost.? Apertis verbis, prima di promulgare la legge di “origine popolare”, il Capo dello Stato può chiedere alle Camere una nuova deliberazione in merito?

Il nodo non è certo di facile risoluzione. Del resto, non è un caso che durante l’esame parlamentare gli uffici della Camera abbiano rilevato l’opportunità di intervenire sul punto (cfr. Dossier AC0168a a cura del Servizio Studi della Camera dei deputati, 16 gennaio 2019, p. 27); suggerimento del tutto disatteso, visto che, eccezion fatta per i rilievi contenuti in una delle relazioni di minoranza (C. 1173-726-1447-A-ter a firma dell’on. Stefano Ceccanti), il rapporto tra le disposizioni del disegno di legge costituzionale e l’assetto dei poteri del Capo dello Stato, con specifico riferimento al procedimento di

formazione delle leggi, non è stato oggetto di ponderazione.

Ciò nondimeno, se in queste circostanze lo spazio per l’interprete tende ad ampliarsi, la Costituzione indica alcuni elementi dai quali è possibile prendere le mosse per provare a rispondere agli interrogativi di cui sopra. In questo senso, il presupposto dal quale prendere le mosse è la presa d’atto che, nel nostro ordinamento costituzionale, il Presidente della Repubblica conserva un suo «spazio, comunque diverso da quelli occupati dagli altri organi costituzionali»), espressione di una “posizione costituzionale”, tale per cui lo studio dei correlativi poteri dovrebbe procedere sulla base di una loro sistematizzazione, al fine di evitare «la piena sovrapposizione con i poter spettanti ad altri organi, Corte costituzionale in testa» (cfr. A. Ruggeri, Rinvio presidenziale delle

leggi e autorizzazione alla presentazione dei disegni di legge fra aperture del modello e delusioni della prassi, in Il Presidente della Repubblica, a cura di M. Luciani e M. Volpi,

Bologna, 1997, 198; A. Morrone, Il Presidente della Repubblica in trasformazione, in questa Rivista, 2, 2013, 297). Alla luce di ciò, nell’ambito di questo contributo, sembra quantomeno opportuno rilevare che la limitazione del potere ex art. 74 Cost., che trae una delle sue ragioni d’essere nella possibilità, per il Presidente, di unire e comporre «le spaccature che in un tormentato processo di produzione legislativa ha prodotto nella comunità sociale» (cfr. P. Falzea, Il rinvio delle leggi nel sistema degli atti presidenziali,

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Milano, 2000, 332) – meramente in ragione del numero di firme raggiunte dal progetto di legge ovvero a fronte dell’esito della consultazione referendaria - sembrerebbe da escludere. A voler ragionare diversamente, si ammetterebbe, tra l’altro, oltre alla creazione di una peculiare tipologia di procedimento legislativo sottratta al sindacato presidenziale a causa dall’intreccio, non determinabile a priori, tra l’origine del progetto di legge, l’oggetto della proposta di legge, la portata dell’intervento parlamentare, la volontà del comitato promotore e, infine, l’esito della consultazione referendaria, la subordinazione dello spazio di salvaguardia (e perseguimento) dell’unità nazionale (da considerarsi come «fonte di legittimazione della posizione costituzionale e dei poteri del Presidente», A. Morrone, cit., 300) alle singole vicende referendarie. Al tempo stesso, come chiosa delle riflessioni svolte in questa sede, è opportuno rilevare che il principale esito dell’esercizio dei poteri ex. art. 74 Cost., vale a dire la “parlamentarizzazione” della legge di iniziativa popolare attraverso una richiesta di riesame, si inserirebbe pienamente nel solco tracciato dalla Carta costituzionale la quale affida, in via generale, alle due Camere l’esercizio della funzione legislativa (da intendersi sia come

coordinamento di indirizzo, sia come controllo legislativo parlamentare – su cui, di

recente v. A. Manzella, L’opposizione in regime di parlamentarismo assoluto, in

Federalismi.it, 4, 2019, 5).

** Dottorando di ricerca in Diritto costituzionale presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.

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