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AMD

Il Giornale di AMD 2011;14:70

Efficacia dell’automonitoraggio glicemico

strut turato nel diabete di tipo 2: studio STeP

Aprile 2011 – Come noto, esistono pochi studi che do-cumentino l’utilità dell’automonitoraggio glicemico nelle persone con diabete di tipo 2 non trattate con insulina: un aspetto cruciale, in un’epoca nella quale la crescente diffusione della patologia e la contemporanea necessità di razionalizzare le spese della sua gestione richiedono evidenze di efficacia che ne giustifichino l’utilizzo. Un elemento più volte sottolineato è il fatto che, nella mag-gior parte dei casi, le rilevazioni glicemiche non vengono adeguatamente utilizzate per modificare l’alimentazio-ne, l’attività fisica o la terapia farmacologica. Tale pro-blema riguarda certamente l’attività clinica, ma spesso ha connotato anche il disegno degli studi clinici che si sono poi rivelati deludenti nei loro esiti. Il paziente è in grado di eseguire un adeguato automonitoraggio? Qual è la frequenza ideale dei controlli, anche in relazione alle limitazioni imposte dai rimborsi dei vari sistemi sanita-ri o assicurativi? Chi lo effettua possiede la convinzione sufficiente per apportare le opportune modifiche al pro-prio stile di vita o al propro-prio regime terapeutico (in caso di risultati insoddisfacenti), anche qualora ciò comporti l’introduzione dell’insulina? E per quanto riguarda chi lo ha in cura, vi sono risorse sufficienti (in termini di tempo e di energie) per un’accurata valutazione dei profili regi-strati? Sono alcune delle domande che rendono compli-cato fornire dati conclusivi su questo argomento.

Alcune risposte giungono dallo studio STeP (Structured Testing Program), i cui risultati sono stati da poco pubbli-cati dal Dott. William H. Polonsky (San Diego, California - USA) e coll. su Diabetes Care (1). Nell’ambito di questo trial, condotto per 12 mesi presso 34 centri statunitensi, 483 soggetti con diabete di tipo 2 (HbA1c media: 8,9%) sono stati randomizzati tra un gruppo di controllo atti-vo, che prevedeva l’educazione dei soggetti a utilizzare il proprio glucometro sulla base delle informazioni ricevu-te dal Curanricevu-te, e un gruppo di autocontrollo strutturato, nel quale pazienti e medici condividevano la trascrizione dei valori misurati su un registro cartaceo organizzato in modo da agevolare l’analisi dei risultati e dei pattern delle glicemie; questi individui dovevano effettuare, per 3 giorni consecutivi, un profilo costituito da 7 rilevazioni glicemi-che (a digiuno, prima e 2 ore dopo i 3 pasti principali), nei giorni immediatamente precedenti la visita di controllo. Il grado di coinvolgimento dei pazienti era particolarmente elevato, prevedendo la loro educazione a interpretare i

pattern glicemici osservati per modificare il grado di atti-vità fisica, le dimensioni delle porzioni e la composizione dei pasti. Nel corso delle visite, poi, venivano concordate le opportune variazioni allo schema farmacologico. I ri-sultati mostrano una riduzione dei livelli di HbA1c (en-dpoint principale dello studio) già dello 0,9% nel gruppo di controllo attivo, potenziata ulteriormente di 0,3-0,5 punti percentuali (a seconda della tecnica statistica utilizzata) nei pazienti dell’automonitoraggio strutturato (p = 0,04 all’analisi in “intention-to-treat”; p < 0,003 a quella per protocollo, più adatta a valutare i soggetti effettivamente aderenti allo schema consigliato). Come prevedibile, un numero significativamente maggiore di soggetti del grup-po dell’autocontrollo strutturato ha ricevuto indicazioni ad apportare modificazioni alla propria terapia, indipendente-mente dai livelli basali di emoglobina glicata (76 vs. 28%; p < 0, 0001); entrambi i gruppi, inoltre, hanno mostrato un miglioramento significativo del grado di benessere sogget-tivo (p < 0,0001), imputabile certamente alla soddisfazione derivante dal vedere i propri sforzi premiati (e quindi da una maggiore responsabilizzazione). Il consumo di strisce reattive, infine, non è risultato superiore a quello standard, prevedendo unicamente una maggior razionalizzazione del loro impiego.

Come ben sottolineato dal Dott. Irl B. Irsch, nell’editoriale di accompagnamento all’articolo (2), la buona notizia de-riva dalla prova che la collaborazione tra un paziente ben motivato e un Clinico coinvolto e interessato può portare a risultati altamente soddisfacenti, con il solo ausilio delle terapie disponibili e di uno strumento cartaceo, e quindi alla portata di tutti. Quella cattiva, dal fatto che si continu-ino a dedicare tempo, energie e denaro per valutare l’im-patto dell’automonitoraggio sulla gestione del diabete di tipo 2, mentre si sottovaluta cronicamente (nella routine clinica, lontana dalle condizioni sperimentali) come poter migliorare i nostri sistemi assistenziali in modo da permet-tere al medico di dedicare le necessarie risorse di tempo e di infrastrutture all’analisi dei risultati, in quest’epoca di efficientismo clinico e di ricerca di incrementi della produt-tività. Tra le possibili soluzioni avanzate, un maggiore uti-lizzo delle risorse messe a disposizione dalla tecnologia per l’educazione e l’assistenza ai pazienti (web e applicazioni degli smart-phone), ma anche delle visite di gruppo, degli educatori diabetologici e delle collaborazioni “tra pari” dei pazienti stessi.

1. Diabetes Care. 2011;34(2):262-267. 2. Diabetes Care. 2011;34(2):527-528.

Le news sugli argomenti

di questo numero

a cura di Marco Gallo

mgallo4@molinette.piemonte.it

SCDU Endocrinologia Oncologica

Ospedale Molinette, Torino

Il Giornale di AMD, 2011;14:70

Rubrica di

commento agli articoli

della letteratura scientifica

che si riferiscono a temi

trattati in questo fascicolo

Le News sono tratte

da quelle pubblicate

bisettimanalmente sul sito

www.infodiabetes.it di AMD

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