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Storia naturale del pensiero: scienza e oggettività nel pensiero di Hilary Putnam

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Academic year: 2021

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Storia naturale del pensiero: scienza e oggettivita'

nel pensiero di Hilary Putnam

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Commanding, questioning, recounting, chatting, are as much a part of our natural history as walking, eating, drinking, playing. L. Wittgenstein, Philosophical Investigations § 25

Indice generale

Storia naturale del pensiero: scienza e oggettivita' nel pensiero di Hilary Putnam 1

Introduzione v

Il primo Putnam e le conseguenze del Positivismo Logico 11

I 11

II 15

La filosofia dell'empirismo logico 19 L'epistemologia e la sfida della fisica contemporanea 21 Empirismo logico e a priori dinamico 25

A priori e analiticità 26

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Two Dogmas e la bancarotta dell'empirismo logico 31 Putnam e la distinzione analitico-sintetico 32 Verso una filosofia pragmatica della ragione 43 Dalla logica alla scienza: la riscoperta della filosofia di Dewey 46

Realismo scientifico e realismo metafisico 46

Realismo minimale in uso 48

Realismo scientifico e realismo metafisico 52 Ritorno a una filosofia pragmatica dell'oggettività 60 L'oggettività senza oggetti di Putnam 69

Verso una nozione pragmatista di oggettività 69

Esperienza come attività 72

Esperienza e ambiente 78

Epistemologia di Dewey 82

Valutazioni conclusive 98

Introduzione

"My efforts in philosophy have always been intended to provide intellectual and moral support to those who have realistic sensibilities in science and 'cognitivist' sensibilities in ethics" H. Putnam, Philosophy in an Age of Science: Physics, Mathematics and Skepticism, pag. 93

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Nella cultura contemporanea poche cose appaiono così distanti come l'ambito della scienza e quello della morale. Probabilmente il motivo principale che ha reso Hilary Putnam una voce importante all'interno del panorama filosofico è stata la capacità di elaborare una visione profonda e originale di entrambi i campi del sapere in grado di mostrarne un certo numero di analogie, anziché la radicale separazione. L'idea che il filosofo ha elaborato a partire dagli anni Ottanta, in opere quali reason, truth, and history è incentrata sull'idea che sia possibile una descrizione filosofica della razionalità in grado di cogliere sia il lato che teoretico che pratico di essa. Anzi, una tesi centrale in quasi tutta la filosofia recente di Putnam è che una descrizione adeguata della razionalità deve considerare entrambi questi aspetti nel loro co-originarsi in un'idea peculiarmente umana di razionalità e cognizione. In questo è analogo al suo eroe, Dewey, di cui Putnam celebra l'aver sviluppato un'idea di natura umana trasversale alla dicotomia teoretico-pratico. E' in parte paradossale che un progetto filosofico animato da una tale visione d'insieme non si sia mai tradotto in un'opera di pari organicità. Piuttosto, come tutte le strade portano a Roma, pur godendo ciascuna di una vita propria, Putnam si esprime attraverso una molteplicità di articoli, saggi, conferenze, ciascuno in grado di tratteggiare un possibile percorso nella ricerca di un'unica grande meta attraverso le molteplici vie possibili. Questa scelta, senz'altro segno di un intelletto vivace e inquieto, mai pago dei propri risultati, e quindi in parte rende complicato seguire Putnam nel complicato percorso che delinea all'interno della filosofia analitica. Una situazione resa ancora più complicata dal fatto che della vasta e

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poliedrica opera del nostro alcune provincie sono state molto più indagate di altre. Ad esempio, a seguito della riscoperta di Putnam della tematica morale la filosofia della scienza ha perso interesse nel contributo di questo filosofo, al contrario di quanto avveniva ad esempio negli anni Settanta-Ottanta, per spostarsi su tematiche di interesse più generalmente filosofico come la critica alla dicotomia fatto-valore. La recente pubblicazione della raccolta Philosophy in an age of science ha avuto il merito di rilanciare al centro del dibattito su Putnam la questione dello statuto della scienza nel nuovo assetto concettuale del filosofo. Le precedenti riflessioni sulla razionalità scientifica, infatti, non costituiscono un binario morto all'interno del suo percorso, ma nell'arricchirsi della prospettiva filosofica di Putnam acquisiscono una vitalità rafforzata da uno sguardo più profondo e originale.

Questo lavoro si propone di costituire una prima mappatura del complicato ragionamento di Putnam attorno alla razionalità scientifica. La questione della corretta caratterizzazione dell'oggettività scientifica sarà il filo conduttore all'interno del progressivo dipanarsi del ragionamento di Putnam attorno al rapporto tra mente, Linguaggio e realtà. Per fare ciò seguiremo tre momenti fondamentali del ragionamento di Putnam. Partiremo dalla questione, posta già nei primi approcci di Putnam alla filosofia della scienza negli anni Sessanta-Settanta, del superamento di un'idea di scienza ispirata al positivismo logico. La seconda tappa sarà seguire lo sviluppo di questa tematica negli anni Ottanta, in cui Putnam si trova di fronte l'aporia di non poter dare una formulazione metafisica coerente tanto alla propria posizione realista che alla opposta posizione anti-realista ispirata

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ai positivisti logici. La tappa finale sarà quella di vedere come il superamento di questa aporia passi per Putnam, a partire dagli anni Novanta, attraverso la capacità di articolare un punto di vista normativo sull'oggettività scientifica all'interno del punto di vista specificatamente umano, cioè parziale e estremamente locale.

Particolare interesse sarà posto nel passaggio tra la seconda e la terza parte, al far emergere un certo numero di continuità tra la proposta di Putnam e la filosofia del pragmatismo classico. In particolare, vedremo come proprio sul tema della razionalità scientifica Putnam trovi un certo numero di analogie tra la propia posizione e il contributo specifico di John Dewey. Questo sperando di contribuire a chiarire un rapporto, quello di Putnam con il pragmatismo in generale, e quello specifico con Dewey, che rimane ancora per certi versi poco chiaro, complice la tendenza di Putnam a spostare continuamente la propria attenzione da un riferimento filosofico all'altro nel tentativo di trarre ispirazione da tutti i più grandi filosofi del canone occidentale. Nondimeno è possibile reperire un certo numero di profonde affinità tra la proposta dei due filosofi americani e questo penso possa contribuire alla comprensione dei meriti tanto della specifica proposta di Putnam quanto di una più generale attualità della filosofia di Dewey, tema che si è imposto alla filosofia contemporanea anche aldilà della proposta di Putnam (vale la pena ricordare almeno i contributi fondamentali di Quine e Rorty).

Nel proseguimento del primo capitolo di questo lavoro cercherò di ricostruire e precisare il rapporto di Putnam col positivismo logico, in modo da chiarire quali

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siano le questioni di fondo che il filosofo americano abbia cercato di distillare dalla tradizione precedente. Parte di questo capitolo sarà dedicata a illustrare come il punto di partenza dell'immagine neopositivista di scienza offra a Putnam la possibilità di elaborarne una propria basata su un'idea pragmatica di razionalità scientifica. Vedremo quindi come Putnam elabora una propria prospettiva personale basata sulla difesa di una serie di principi metodologici realisti che egli ritiene siano impliciti nell'indagine empirica sul reale.

Nel secondo capitolo passeremo ai tardi anni Settanta in cui l'attenzione di Putnam si concentra sul definire una formulazione filosofica compiuta della propria posizione realista, elaborata come alternativa all'anti-realismo di empiristi logici quali Carnap. Un tentativo che si rivelerà non facile per il filosofo americano, soprattutto dal punto di vista dell'elaborazione di una teoria adeguata del riferimento. I molti problemi incontrati faranno avvicinare Putnam a una concezione radicalmente opposta (anti-realista) ispirata al filosofo Michael Dummett. In questo capitolo dovremo ricostruire almeno in parte la questione, centrale nella filosofia recente di Putnam, del realismo in filosofia. Proprio questo tema, che Putnam incontra a partire dalla lettura di McDowell, costituisce un catalizzatore nel processo di avvicinamento a una prospettiva, anche sul tema dell'oggettività, ispirata apertamente al pragmatismo di William James e John Dewey.

Il terzo capitolo sarà dedicato a seguire, a partire dalla raccolta Words & Life, come il ruolo di 'eroe' venga sempre più occupato nel pensiero di Putnam dalla

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figura di Dewey. Vedremo come Putnam faccia tesoro della filosofia di Dewey per elaborare una nozione di oggettività in linea con il nuovo punto di vista improntato al realismo diretto, e come trovi nella Logic una epistemologia costruttivista capace di fornire un trattamento di questa tematica in un'ottica ampia, indirizzata a comprendere il complicato rapporto della pratica scientifica con la forma di vita umana nel suo complesso.

Il primo Putnam e le conseguenze del Positivismo Logico

The fact that analytical philosophers were not interested in history does not mean that they escaped being a part of it.

H. Putnam1

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Districare il complicato intreccio di temi e argomentazioni che costituisce il pensiero di H. Putnam non facile per via della loro varietà ed estensione nel tempo, tanto da scoraggiare a volte il lettore o indurre a una comprensione spesso errata del discorso globale del filosofo americano. Un asse di lettura utile a imporre un ordine a uno scenario brulicante e in continua evoluzione può essere quello di seguire il rapporto con la tradizione filosofica precedente, di cui Putnam è un lettore arguto e penetrante. James Conant, editore di molte raccolte di scritti del nostro e filosofo di primaria importanza egli stesso, illustra con invidiabile chiarezza il peculiare approccio di Putnam alle questioni filosofiche in base all'impressione avutane quando lo incontrò in veste di professore all'università:

he would usually motivate the approach he wished to take to a contemporary philosophical issue through a discussion of the work of some philosopher whom he admired. One's first fleeting impression would therefore perhaps be of someone unable to arrive at ideas of his own - an impression, however, that would vanish as one came to realize that Putnam's readings of philosophers tended to be no less idiosyncratic than his own approach to philosophical problems.2

In netto contrasto con molti colleghi anglosassoni, quindi, Putnam è solito riappropriarsi dei temi filosofici partendo da un apprezzamento della loro storia nel dibattito filosofico, ma sempre secondo una chiave di lettura eclettica e peculiare. A rendere particolarmente sfuggente l'opinione personale del filosofo americano, continua Conant, è per di più la tendenza di Putnam a evolvere la propria posizione in base a un bagaglio di riferimenti sempre mobile e in divenire, individuando una serie di 'eroi filosofici' che costituiscono il punto di partenza in

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base a cui costruire riflessioni sempre nuove. In conseguenza di ciò, per Conant è (provocatoriamente) possibile delineare un filo conduttore nel mutevole flusso di pensieri di Putnam prestando attenzione alle strategie testuali di recupero/ abbandono rispetto alle filosofie precedenti:

(...) the membership of Putnam's constellation of heroes, not unlike his own substantive philosophical views, tends to exist in a condition of perpetual flux; at any given point in his career, one has only to glance at the current membership of this constellation to ascertain the general philosophical direction in which he is (often quite rapidly) moving.3

Questa operazione è in realtà soltanto adombrata da Conant come pretesto per introdurre il tema della riscoperta della filosofia kantiana come fattore di novità all'interno dell'opera che si accinge a presentare (Realism with a human face); ciò che invece vorrei tentare di fare è sviluppare in maniera rigorosa questa ipotesi sperando di arricchire la comprensione complessiva della filosofia di Putnam. Sarebbe interessante poter seguire la totalità dei molteplici fili che attraversano tutta la filosofia di Putnam, che comincia come filosofo della scienza, ma i cui interessi sono andati nel tempo ampliandosi fino a comprendere i più svariati ambiti dell'esperienza umana: dalla psicologia, alla morale alle scienze sociali, passando per la linguistica. Sarebbe interessante soprattutto perché lavori di questo tipo sono ancora merce rara all'interno dell'abbondante bibliografia su Putnam; tuttavia per ovvie questioni di tempo e spazio ci limiteremo a seguire uno soltanto dei molti percorsi che è possibile individuare all'interno di una filosofia poliedrica, ma non di meno sistematica. Cercherò quindi di ricostruire lo sviluppo di una

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specifica tematica filosofica all'interno dell'evoluzione generale del pensiero del filosofo americano, sulla scia di altre ricostruzioni di questo tipo come quella di Juliet Floyd relativamente alla questione dell'esternalismo semantico4, di Gary Ebbs sulla corretta caratterizzazione del normativo e del rule-following5, o Mueller e Fine per quanto riguarda la questione del realismo6.

Il tema prescelto è quello dello sviluppo della questione dell'oggettività degli enunciati nell'opera di Putnam, in primis perché penso che la questione dell'oggettività sia una delle questioni più rilevanti per quanto riguarda la riflessione recente sulla scienza7, ma anche perché è una storia ricostruibile in maniera coerente con altri sviluppi tematici di Putnam (vedremo che sarà impossibile svolgere il nostro percorso senza incontrare le altre tematiche summenzionate, in particolar modo quelle inerenti al significato e all'a priori), ma di cui al contempo manca ancora una trattazione esaustiva capace di sottolineare l'interessante proposta di Putnam. Questo probabilmente perché si tratta di un tema meno vistoso di altri che, come la categoria di esternalismo, sono divenuti parole d'ordine della filosofia di Putnam, ma non di meno è un tema capace di mostrare la forte continuità di interessi che attraversa la produzione degli anni Sessanta-Settanta fino alle opere più recenti come Words & Life. Inoltre ricostruire lo sviluppo della teoria di Putnam dell'oggettività ci permetterà di discutere anche del suo tentativo di riformare gli strumenti dell'analisi filosofica e di mettere meglio a fuoco il rapporto tra il nuovo tipo di filosofia che egli auspica e l'eredità del pragmatismo americano, che proprio della tematica della liberazione del metodo

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scientifico da un'immagine metafisica della rappresentazione aveva fatto un suo cavallo di battaglia. Quest'ultimo tema in particolare, quello del rapporto tra Putnam e il pragmatismo è stato molto dibattuto, ma non per questo si è arrivati ad una risposta adeguata o esaustiva alla questione, a cui spero così di fornire un mio, parziale, contributo cercando di porre questa relazione nella giusta luce.

II

Nato nel 1926 a Chicago, compie, dopo aver viaggiato molto, i propri studi superiori a Philadelphia, dove diventa amico del futuro celeberrimo linguista Noam Chomsky. Trasferitosi all'università della Pennsylvania, consegue il proprio titolo di undergraduate studiando con esponenti di spicco della filosofia pragmatista dell'epoca come Wes Churchman e Morton White. Curiosamente, Putnam confessa che proprio in questo periodo sviluppa una fascinazione per il positivismo logico8 (a seguito della lettura del classico di A. J. Ayer Language. Truth, and Logic). Fascinazione che verrà consolidata quando nel 1948-'49 arriva ad Harvard e viene investito a pieno dalla potenza dell'influenza di Quine e delle sue idee sulla filosofia, sull'analiticità e sull'ontologia. Un po' come il maestro9 vive un momento di crisi e disinnamoramento verso la filosofia: “it seemed to me that the great problems of philosophy had turned out to be pseudo-problems, and it was not clear to me that the technical problems that remained to be cleared up possessed anything like the intrinsic interest of the problems in pure logic and mathemathics that also interested me.”10 Putnam è preso dal dubbio: continuare

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con la filosofia o dedicarsi alla matematica, ma il suo approdo presso la UCLA lo porta a conoscere Reichenbach, il quale gli dona una nuova fiducia nell'attività della filosofia:

Within a few months of my arrival in Los Angeles in the fall of 1949 these philosophical “blahs” had totally vanished (…). What overcame my “philosophy is over” mood, what made the field come alive for me, made it more exciting and more challenging than I had been able to imagine, was Reichenbach's seminar, and his lecture course, on the philosophy of space and time. And it was not the technical details of Reichenbach's philosophy that did this, (…), but the sense of a powerful philosophical vision behind those details (…).11

Come specificato da Putnam in questo breve estratto autobiografico, l'incontro con la filosofia di Reichenbach e Quine è fondamentale per la sua formazione filosofica. Sin dalle prime opere (con cui in genere si fa riferimento alla produzione che da fine anni Cinquanta si estende fino grossomodo a metà anni Settanta) si può notare un'appropriazione originale e creativa dei temi dell'empirismo logico e della loro severa critica fattane da Quine.

Nel Putnam di questo periodo il tema dell'oggettività si presenta innanzitutto come riflessione sulle modalità di costruzione e scambio degli enunciati scientifici. In particolare nelle sezioni seguenti cercheremo di ricostruire i suoi tentativi di risolvere alcune distorsioni nel progetto neopositivista di a) caratterizzare le peculiarità della ricerca scientifica rispetto ad altri ambiti disciplinari e b) ridefinire al contempo gli strumenti dell'indagine filosofica stessa. Un rapporto, quello di Putnam con l'empirismo logico, inizialmente segnato da una forte continuità di

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temi all'interno di un recupero creativo che coltiva ed elabora molte delle critiche di Quine, ma che col tempo si consolida in una critica sempre più decisa sia dell'uno che dell'altro.

A fornire il materiale culturale per elaborare un distacco sempre maggiore da una visione informata da una prospettiva di ascendenza neopositivista è l'interesse crescente di Putnam per il pragmatismo classico di William James e John Dewey. Fondamentale nella maturazione di una filosofia apertamente ispirata ai pragmatisti, in generale, e a John Dewey, nello specifico, è il tema del recupero di un realismo filosofico diretto, di cui i pragmatisti sono stati tra i più celebri campioni. E' Putnam stesso che, nelle John Dewey Lectures12 tenute presso la Columbia University, suggerisce una possibile chiave di lettura della propria biografia filosofica in un progressivo ragionamento che si dipana attraverso le opere di una vita attorno al tema del realismo. In particolare la storia che ci viene presentata è quella di una progressiva fuga dal mainstream della filosofia scientificamente orientata (che attraverso gli anni Ottanta si sposta sempre più verso la filosofia della scienze cognitive) per sposare una visione sempre più ispirata dal grande filosofo americano, da cui la serie di lezioni prende il nome. E' quindi molto interessante seguire questo tragitto perché è Putnam stesso a essere spesso molto dettagliato nel chiarire e rileggere le proprie posizioni precedenti alla luce di un'autocomprensione che negli anni va affinandosi e evolvendosi. Indicazioni che sono preziose perché permettono di rendere più chiaro un percorso intellettuale che invece è lungo, graduale, ricco di ripensamenti e poco lineare.

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Similmente a Dewey, che lavorò incessantemente e pubblicò la sua opera maggiore e definitiva poco prima di morire, anche Putnam lavora incessantemente alla propria proposta filosofica, arricchendola, definendola meglio, rispondendo alle critiche e ciò la rende difficile da inquadrare in un punto di apprezzamento critico definitivo.

La filosofia dell'empirismo logico

Probabilmente un tempo, almeno fino a Quine, se si fosse chiesto quali filosofi della scienza si ispirassero alle ricerche di Rudolf Carnap e Hans Reichenbach, la risposta sarebbe stata banalmente 'tutti.', visto che si trattava del paradigma egemone in questo ambito disciplinare, essendo stata la tradizione di ricerca che più aveva contribuito a rendere lo studio filosofico della scienza una disciplina autonoma e dotata di strumenti concettuali propri. Le innovazioni tecniche, lessicali e organizzative di filosofi come Carnap e Reichenbach risultavano decisive nell'aver fatto compiere un salto in avanti alle modalità di indagine filosofica della scienze della natura. Nessuno sarebbe voluto essere associato a una filosofia superata e perdente. La fine della presa egemonica e della spinta propulsiva del lavoro intellettuale di questo paradigma di indagine, ha però significato anche la possibilità di una rilettura più attenta e distaccata della filosofia scientifica della prima metà del Novecento. Per molto tempo tempo l'immagine comune di questo movimento è stata quella diffusa da Alfred Ayer nel

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suo Language, Truth, and Logic, che oggi tuttavia consideriamo una testimonianza poco attendibile, essendo stato Ayer un testimone di passaggio e meno informato rispetto a molti altri autori sulle vicende interne del neopositivismo. Col tempo la nostra immagine si è arricchita di studi e interpretazioni che ne hanno rivelato la natura vivace e pluralistica, spesso quasi contraddittoria. E' ad esempio per noi oggi difficile non pensare che dietro a un termine come Empirismo Logico corrispondano un determinato insieme di filosofi, come ad esempio:

Logical empiricists such as Hans Reichenbach, Rudolf Carnap, Carl G. Hempel, and Herbert Feigl had, by 1950, influenced the major fields of analytic philosophy. They had been instrumental in creating a scientifically and technically informed philosophy of science, in establishing mathematical logic as a topic in and a tool for philosophy, and in creating the project of formal semantics.13,

ma costituito da più gruppi originari (almeno due, quello di Carnap a Vienna, e quello di Reichenbach a Berlino) che condividevano un programma simile di riforma del pensiero scientifico e filosofica, ma con differenze anche piuttosto grandi di opinioni sui dettagli di questo progetto. Lo stesso Putnam mostra di avere, a differenza del suo vecchio maestro Quine, ben poca simpatia per Carnap, laddove invece esprime una posizione più sfumata e ambivalente per Reichenbach14.

Nei prossimi paragrafi cercherò di illustrare più nel dettaglio il contributo di questi filosofi e il modo in cui la filosofia di Putnam prenda le mosse da questi temi oggi 'classici'.

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L'epistemologia e la sfida della fisica contemporanea

Micheal Friedman, importante e originale studioso dell'empirismo logico, per dare un senso alla nascita dell'idea di filosofia scientifica colloca questo evento nel contesto peculiare della cultura tra Otto e Novecento15. In questo periodo infatti giunge a compimento un lungo processo di separazione specialistica tra la filosofia e la scienza che parte dalla loro indistinguibilità all'interno della cultura della Grecia antica e passa per i tentativi moderni di Leibniz e Cartesio di far convivere le due discipline. La nuova geografia culturale porta alla formazione di nuovi interrogativi all'interno della filosofia:

Since philosophy was now clearly demarcated from science, at least professionally, what should be its relation to the sciences? Should it continue to maintain very close relations to the natural and mathematical sciences, as it did in the time of Descartes and Leibniz, say, or should it rather forsake these ties in favor of closer connections to more humanistic disciplines such as history, politics, religion, or the arts?16

La filosofia scientifica, di cui l'empirismo logico si è fatto paladino, nasce appunto a metà Ottocento come reazione agli eccessi metafisici dell'idealismo tedesco. Contro la filosofia speculativa, ovvero la filosofia allora dominante all'interno dell'accademia tedesca, proponevano invece di tornare all'originale idea di Kant di fruttuosa collaborazione tra le due discipline.

Malgrado esistano in realtà un certo numero di connessioni tra la filosofia idealistica e scienza ottocentesca, l'idea dei propositori della filosofia scientifica è

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che si fosse perso il legame più fecondo che invece Kant era stato in grado di instaurare con la pratica scientifica reale. Va ricordato che infatti Kant si interessò molto in gioventù delle recenti scoperte scientifiche, in particolare di Newton, il quale, sintetizzando assieme le due grandi tradizioni antiche della geometria assiomatica e dell'astronomia matematica, aveva prodotto un costrutto epistemologicamente ambiguo, che godeva al contempo della perfetta certezza dimostrativa della geometria euclidea e della ricchezza empirica dell'osservazione fisica. Kant fece quindi suo il problema di comprendere quale fosse il nesso tra queste strutture matematiche astratte e la realtà empirica, posto che lo stretto legame tra spiegazione scientifica e esperienza soggettiva proprio della scienza antica era andato perduto.

Nelle pagine della Critica della Ragion Pura17, l'idealismo trascendetale di Kant si distaccava dalla concezione di Newton di spazio assoluto come sostanza a sé, e lo rendeva un'entità ideale, l'Estetica Trascendentale poneva al contempo lo spazio tridimensionale euclideo infinito come incorporato nella stessa dotazione cognitiva umana. La scelta di Kant riconciliava l'intuizione spaziale umana con un universo altamente matematizzato, e in tal modo permetteva di spiegare sia l'assoluta necessità a priori della geometria euclidea, a cui ogni oggetto d'esperienza possibile doveva conformarsi; sia la possibilità della geometria in quanto conoscenza sintetica, ovvero la sua applicazione ai fenomeni fisici.

Mimando la mossa di Kant, l'interesse iniziale di Schlick e a Reichenbach fu decisamente orientato verso la comprensione e la riflessione epistemologica sulle

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importantissime innovazioni della fisica del loro tempo. In particolare, dal loro punto di vista, la teoria generale della relatività, che articolava al suo interno i risultati di alcuni dei percorsi di ricerca più avanzati della scienza precedente, rappresentava, tra i successi dell'impresa scientifica, quello più esemplare della capacità del metodo scientifico di farci approdare a una conoscenza profonda dei misteri dell'universo. Con la sua accettazione, inoltre, costringeva a rivedere un gran numero di conoscenze, scientifiche, ma anche del senso comune, finora ritenute certe, mostrando come l'indagine scientifica fosse in grado anche di superare, attraverso sperimentazione e riflessione astratta, anche i più nascosti pregiudizi del nostro schema concettuale. Da un punto di vista epistemologico, in particolare, la fisica matematica, negando ogni relazione naturale tra spazio, tempo e moto, e l'esperienza sensoriale ordinaria poneva con estrema urgenza il problema di ripensare il legame possibile tra strutture matematiche altamente astratte e esperienza concreta.

Le innovazioni matematiche del Novecento, però, avevano gettato una seria sfiducia sulla possibilità di questa spiegazione. Il grandioso sviluppo assiomatico della geometria di Hilbert aveva chiarito che nella sua forma pura la geometria non ha un legame intrinseco con lo spazio, e può essere studiata in maniera completamente formale e non interpretata come un insieme di connessioni dimostrative. A sua volta questo aveva reso possibile lo studio di geometrie fino ad allora impensabili perché innaturali, dando corpo a una serie di idee circa la possibilità di sistemi geometrici formali che facessero uso di assiomi alternativi

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rispetto a quelli di Euclide. Il requiem definitivo si ebbe nel momento in cui Einstein, nel compimento della più grande scoperta scientifica contemporanea, si servì della geometria riemanniana perché, sostenne, nonostante il sistema di Euclide fosse più intuitivo rispetto all'astrattezza matematica di altre teorie, portava alla costruzione di una teoria fisica innaturalmente complicata. Questo evento annullò del tutto il legame che sembrava tenere naturalmente uniti spazio fisico e geometria euclidea. Sulla scia delle riflessioni di Einstein in Geometria ed Esperienza18, Reichenbach e gli altri dovettero così notare che in fin dei conti la geometria non godeva per nulla della natura ambigua del sintetico a priori, ma era definitivamente divisa in due parti: la prima, costituiva un sistema formale astratto perfettamente analitico e a priori al pari delle altre discipline matematiche; l'altra, occupandosi di determinare la geometria che più si adattasse alla descrizione dello spazio fisico, era banalmente empirica ed esposta alla revisione empirica tipica della fisica stessa.

Empirismo logico e a priori dinamico

La fortuna della filosofia dello spazio di Kant, però, non era ancora finita. Quando Schlick pubblicò la prima edizione di Teoria generale della conoscenza19, prima opera pubblicata dall'empirismo logico sul tema della correlazione tra fisica matematica e esperienza soggettiva, Reichenbach lo criticò per aver reso la conoscenza scientifica in una maniera troppo grossolanamente empirista, ignorando il ruolo che l'a priori poteva e doveva ancora giocare

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nell'indagine epistemologica. Poco dopo, in Relatività e conoscenza a piori20, difatti, Reichenbach sollevava la questione dell'ambiguità dell'idea di Kant di principi sintetici a priori, e che tra queste due interpretazioni si potesse individuare un ruolo adatto a sopravvivere anche nell'epistemologia contemporanea. Il primo senso di sintetico a priori è quello per cui lo spazio euclideo è assunto come incorporato nella natura umana stessa, cioè al modo di un principio immutabile e necessario della conoscenza umana. Abbiamo già visto come questa idea fosse da ritenere ormai del tutto inadatta al mutato scenario scientifico. Secondo Reichenbach, però, l'intuizione di Kant poteva anche essere letta nel senso della necessità di postulare un qualche insieme di principi costitutivi dell'esperienza stessa, capaci, cioè, di fornirle ordine e sistematicità. Questo secondo aspetto ben si adattava all'idea che tra il sistema formale di una teoria fisica, i cui concetti sono implicitamente definiti dagli assiomi, e il mondo fisico, è necessario postulare una serie di principi di coordinazione, i quali vanno a definire gli spazi altamente astratti di cui la fisica contemporanea parla. Questi principi, che sono certamente destinati a mutare con la pressione dell'osservazione empirica, non possono però essere considerati alla stregua di ordinarie generalizzazioni empiriche, perché loro stessi garantiscono la possibilità dell'applicazione delle leggi fisiche all'esperienza concreta.

A priori e analiticità

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nella filosofia dell'empirismo logico. Difatti l'entusiasmo iniziale per l'idea di Reichenbach, che sembrava aver colto un aspetto molto importante delle teorie fisiche, lasciò presto il posto allo scetticismo per il recupero di una nozione così metafisicamente compromessa. L'idea, per mantenere la conquista epistemologica dell'a priori dinamico, senza il peccato della metafisica, fu suggerita da Schlick. Ispirandosi a Poincaré21 propose di de-trascendentalizzare gli enunciati ritenuti veri a priori riconducendoli a semplici convenzioni linguistiche, definizioni stipulative che rispondo soltanto a criteri pragmatici di semplicità e eleganza:

The axioms of geometry therefore are neither synthetic a priori judgments nor experimental facts. They are conventions; our choice among all possible conventions is guided by experimental facts; but it remains free and is limited only by the necessity of avoiding all contradiction.22

Del resto a breve ('26-'27) gli empiristi logici si dedicheranno a una lunga meditazione sui recenti scritti del giovane Wittgenstein, da cui distilleranno la famosa idea di tautologia come proposizione vuota di significato, ultimo tassello mancante di quella che è divenuta la forma più nota della filosofia scientifica austrogermanica. Molti anni dopo, Reichenbach chiosava così una discussione sulle scelte metriche di una teoria fisica:

The question of the geometry of real space, therefore, cannot be answered before the coordinative definition is given which estabilishes the congruence for this space. … Wich coordinative definition shoul be used for physical space? … we should never forget that we deal with an arbitrary decision that is neither true nor false. Thus geometry of physical space is not an immediate result of experience, but depends on the choice of the coordinative definition. In this connection we shall

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look for the most adequate definition, i.e., one which has the advantage of logical simplicity and requires the least possibile change in the result of science.23

Il primo Carnap tra epistemologia e crisi dei fondamenti

L'iniziale influenza (neo)kantiana non fu estranea neppure a Rudolph Carnap, il quale con Bruno Bauch aveva dedicato molto tempo allo studio della Critica della Ragion Pura. L'esperienza su Kant si consolidò, dopo la guerra e un periodo di studi sulla teoria della relatività a Berlino, nella dissertazione Der Raum24. In quest'opera, basata sulla tripartizione tra spazio fisico, spazio intuitivo e spazio formale, l'ultima tipologia di spazio sorgeva proprio da una serie di convenzioni costitutive, in modo simile a Reichenbach e Schlick, che andavano a definire uno spazio dotato di proprietà metriche sopra lo spazio intuitivo, che invece godeva solo di proprietà topologiche. Ma il recupero più importante della nozione di a priori dinamico la possiamo vedere nella sua traduzione logico-matematica nell'importantissimo La sintassi logica del linguaggio25, con cui prendeva il via una stagione più dedicata alla riflessione sulla crisi dei fondamenti in matematica. Comune alle due importanti imprese dell'empirismo logico è la maniera in cui Carnap pensa di dispensarsi dall'elucidazione dei concetti stessi di enunciato sintetico e analitico.

Seguendo il lavoro metamatematico di Hilbert e Godel, che Carnap aveva letto con interesse, Carnap procedeva a delineare la sua idea di logica della scienza, cioè un'indagine meta-logica della sintassi del linguaggio scientifico. Questa impresa

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per Carnap consisteva in un doppio tentativo. Da una parte la costruzione di modelli logico-formali della scienza permetteva di fornire un'elucidazione della pratica scientifica stessa. Seguendo l'esempio di Frege, Carnap vedeva nella possibilità di sostituire un linguaggio ideale al linguaggio naturale un modo per rendere più trasparenti le procedure di indagine stessa della scienza. Fondamentale è l'idea di fornire agli scienziati la possibilità di risolvere razionalmente qualsiasi disaccordo grazie alla codificazione in termini logico-matematici di criteri per valutare le asserzioni. Questo prevede che nella scelta di un linguaggio scientifico L vengano la sua forma logica e le regole di inferenza. A partire da queste, il valore di verità di alcuni enunciati in L è determinabile dalle sole regole di L, mentre il valore di verità degli altri enunciati può essere determinato attraverso l'osservazione empirica. Gli enunciati veri soltanto in virtù delle regole linguistiche di L costituiscono per Carnap gli enunciati analitici e tramite questo meccanismo formale credeva di aver finalmente ricondotto la questione delle verità logiche e matematiche a una soluzione empirista: queste verità non riposano su una facoltà intuitiva, ma la loro verità riposa su una convenzione linguistica adottata dagli utilizzatori del linguaggio.

In questo modo Carnap non solo poneva le basi per il più avanzato programma di studio delle scienza naturali finora proposto, ma pensava di aver posto fine alle interminabili discussioni della filosofia tradizionale dotando l'analisi filosofica di nuovi strumenti, quali appunto la distinzione analitico/sintetico, capaci di evitare il ricorso a ingombrati nozioni metafisiche. Molti anni dopo, Putnam, sicuramente

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non un grande fan di Carnap, sottolineava con entusiasmo l'audacia futurista di questo progetto:

Thinking of language as if it were formal language, i.e., as if it were a system of signs governed by explicit rules, is thinking of language as it ought to be (at least from Carnap's point of view). In the autobiographical chapter in The Philosophy of

Rudolf Carnap (Schilpp, 1963), Carnap makes no bones about the fact that he

regard planned language and planned society as clearly superior to unplanned language and unplanned society just because they are planned. The formal systems that he talks about are seen by Carnap not as mere rational reconstructions of the language that scientists use, but as forerunners of a future symbolic language that scientists will eventually employ instead of unformalized language. Logical empiricism, at least in Carnap's hands, turns into a sort of futurist intellectual architecture.26

Two Dogmas e la bancarotta dell'empirismo logico

Che il progetto di Carnap, e quindi almeno in parte anche degli altri empiristi logici, non fosse privo di problemi è ben noto, e fu un allievo di Carnap, W.V.O. Quine, a lanciare le critiche più devastanti. In “Truth by convention” il bersaglio è costituito dall'idea di fondare una spiegazione della verità logica su una serie di convenzioni linguistiche, secondo un'argomentazione di cui Putnam farà tesoro:

Quine's argument (…) is that the very activity of laying down conventions, making stipulations, formulating rules, presupposes language. And language, Quine argues (…) presupposes logic. There is no possibility of a language (certainly not of a language rich enough to state generalizations and formulate conventions in) without logical words (all, some, not, and, or, if-then) and without logic enough for their employment. In short, the level at which logic lies is too deep (relative to

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the level at which convention lies) for convention to be prior to logic.27

E' però con Two dogmas of empircism28 che il pensiero di Quine si pone in opposizione all'interno edificio neopositivista (pur restando per molti versi Quine estremamente legato al positivismo logico). Qui il filosofo bolla come disperatamente confuso appellarsi a una nozione intensionale come quella di analiticità nella speranza di chiarire lo statuto a priori della logica e della matematica da un punto di vista radicalmente empirista. Aldilà delle leggi logiche, difatti, nessuna classe di verità analitiche, tra cui si supponevano esserci anche quelle matematiche, può essere chiaramente definita, e questo poiché chiarire la nozione stessa di analiticità ci costringe in un circolo vizioso di nozioni (necessità, sinonimia) altrettanto oscure, tutte egualmente contaminate da una nozione di significato altamente psicologicizzata e poco adeguata alla conoscenza scientifica.

La conclusione di Two Dogmas poneva un monito da cui la filosofia successiva fa ancora fatica a distaccarsi: il principio di verificazione, di cui Carnap e il circolo di Vienna si erano fatti paladini, può fornirci una guida nella questione di analiticità, a patto che non lo si intenda applicabile agli enunciati presi singolarmente. La conoscenza scientifica, secondo la fortunata metafora di Quine, costituisce una rete di enunciati incredibilmente interconnessi su cui la pressione empirica si esercita globalmente, nessun enunciato è indipendente dall'esperienza. Questo sanciva la più controversa tesi della filosofia quineana, ovvero l'idea che la matematica e la logica stessa siano in un qualche senso sintetiche e quindi, anche

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se Quine non l'ha mai esplicitamente ammesso, neppure necessarie. Putnam e la distinzione analitico-sintetico

La ricostruzione di alcune importanti acquisizioni teoriche della filosofia della scienza di matrice neopositivista ci aiuterà ora a comprendere come nelle prime opere di Putnam egli presenti una lettura personale e innovativa di questi autori classici.

In molti degli scritti più fortunati e importanti del Putnam di questo periodo (come ad esempio “the Meaning of 'Meaning'”29 o “the Analytic and the Synthetic”30) si può individuare una strategia comune nell'argomentazione: egli utilizza degli esempi (presi dalla storia della scienza o dal senso comune) per mostrare l'inadeguatezza degli schemi filosofici acquisiti a rendere giustizia della complessità delle nostre intuizioni su questi esempi. Putnam infatti condivide con Quine e i neopositivisti un certo atteggiamento critico verso le possibilità della filosofia tradizionale. Se però per Carnap la filosofia può superare la sua fase metafisica attraverso la costruzione di linguaggi artificiali in cui esplicitare il dibattito filosofico, per Putnam a ostacolare la comprensione del reale di questa disciplina sono dei pregiudizi filosofici, che spesso chiama 'immagini' filosofiche del reale. Questi pregiudizi sono nelle opere di Putnam quasi sempre rappresentati da assunzioni comuni all'interno della filosofia analitica mainstream che il filosofo americano vuole mostrare come acriticamente accettate. Rimuovere questi pregiudizi nell'analisi del reale vuol dire per Putnam muoversi verso una nuova

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forma di indagine filosofica capace di guardare in maniera diretta (“taking at face value”) le nostre pratiche attuali di significazione, indagine, cognizione.

Un ruolo importante nell'elaborazione dell'opposizione di Putnam all'empirismo logico è giocato dalla nozione di analiticità, che come abbiamo visto poco fa, fu uno degli strumenti principali attraverso cui l'empirismo logico cercava di costruire una propria teoria della razionalità, della scienza e del conseguente ruolo dell'indagine filosofica. In particolar modo per quanto riguarda la filosofia della scienza, che qui ci riguarda più da vicino, Putnam avverte come come urgente il compito di liberare la nostra immagine dell'indagine scientifica dalle distorsioni anti-realiste del positivismo logico. Per questo motivo negli scritti degli anni Sessanta e Settanta afferma spesso che il capire approfonditamente la rivoluzione della fisica novecentesca è la questione più interessante e urgente non solo dal punto di vista della filosofia speciale della fisica, ma della filosofia contemporanea in generale: “I think that appreciating the diverse nature of logical truths, of physically necessary truth in the natural sciences, (…), that clarifying the nature of these diverse kind of statements is the most important work that a philosopher can do.”31

Come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, l'approccio di Putnam alla filosofia dell'empirismo logico è inizialmente mediato dalla lettura di Quine, non è quindi sorprendente che un'analisi dell'utilizzo della nozione di analiticità passi proprio dalla sua opera. Il grandioso successo di Two dogmas, in cui Quine sosteneva che non esistesse alcuna distinzione tra analitico e sintetico, ha

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contribuito a rilanciare questo problema al centro dell'attenzione del dibattito filosofico successivo. Putnam ritiene profondamente sbagliata questa posizione di Quine, ma non crede alla risposta, che avverte come diffusa tra i propri contemporanei, di appellarsi all'evidenza di ovvi esempi di analiticità, come il concetto di scapolo. Per il nostro c'è bisogno di un vera proposta teorica circa la natura di questa distinzione, e non solo un apprezzamento della sua esistenza. Da questo nasce l'esigenza di chiarire a fondo il funzionamento di questa distinzione:

We should be able to indicate the nature and rationale of the analytic-synthetic distinction. What happens to a statement when it is analytic? What do people do with it? Or if one wishes to talk in terms of artifical languages: What point is there to having a separate class of statements called analytic statements? (…) The real problem is not to describe the language game we play with words like 'meaning' and 'understanding' but to answer the deeper question, 'What is the point of the game?'32

Quine è tuttavia ritenuto del tutto nel giusto relativamente a un'intuizione fondamentale: dobbiamo criticare l'utilizzo della distinzione analitico-sintetico fatto dall'empirismo logico. Difatti per Putnam c'è un pericolo opposto, ma più grave e diffuso, al negare questa distinzione ed è costituito dal fatto che nelle mani dei positivisti logici la nozione di 'analiticità' diventa troppo carica di importanza filosofica (“overworked”):

Thus I think that Quine is wrong. There are analytic statements: 'All bachelors are unmarried' is one of them. But in a deeper sense I think that Quine is right, far more right than his critics. I think that there is an analytic-synthetic distinction, but a rather trivial one. And I think that the analytic-synthetic distinction has been so radically overworked that it is less of a philosophical error, although it is an error,

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to maintain that there is no distinction at all than it is to employ the distinction in the way that it has been employed by some of the leading analytic philosophers of our generation.33

Come suggerito dalla citazione per Putnam è possibile ricondurre all'ordine il riottoso universo dei fenomeni associati all'analiticità soltanto se si opta per una versione piuttosto austera di essa: esistono chiaramente enunciati analitici (di cui 'ogni scapolo è non sposato' è sicuramente il prototipo), ma è una classe piuttosto ristretta (e filosoficamente poco importante) di enunciati che per Putnam sono veri in virtù di regole linguistiche e sono quindi di interesse principalmente lessicografico. E' invece da opporre l'idea neopositivista di elucidare enunciati che giocano un ruolo importante nelle nostre pratiche cognitive (come ad esempio i principi della geometria o le leggi logiche) considerandoli come analoghi a enunciati analitici in senso stretto.

La critica di Putnam sembra indicare che nonostante sia da rifiutare l'idea razionalista di due fonti distinte della conoscenza (una a priori e l'altra empirica), al contempo i filosofi di ascendenza neopositivista tendono a concepire in maniera troppo semplicistica il ruolo dell'esperienza. Questo perché nell'utilizzo della distinzione di analitico-sintetico degli empiristi logici ogni enunciato che non può essere testato in maniera isolata è da considerarsi analitico. Putnam invece crede risolutamente nel principio fallibilista per cui ogni enunciato scientifico è passibile di venire falsificato dall'esperienza (intendo anche enunciati come quelli logici, che intuitivamente non sarebbero empirici), ma concepisce questo principio

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in base all'idea che esistano differenti tipi di enunciati empirici e quindi differenti modi per essi di essere responsabili di fronte all'esperienza.

The idea that every truth which is not empirical in the second of the senses I mentioned (cioè isolatamente testabile ndr) must be a “rule of langugae” or that all necessity must be traced down to the obligation not to “violate the rules of language” is a pernicious one, and Quine is profoundly right in rejecting it; the reasons he gives are, moreover, the right reasons. What I maintain is that there are no further rules of language beyond the garden variety of rules which a lexicographer or a grammarian might discover, and which only the philosopher can discover.34

It is not that the statements I have mentioned fall into a third category. They fall into many categories. Over and beyond the clear-cut rules of language, on the one side, and the clear-cut descriptive statements, on the other, are just an enormous number of statements which are not happily classified as either analytic or synthetic.35

Un esempio che per Putnam è in grado di rendere manifesto il proprio dissenso dall'empirismo logico è quello della storia della definizione di energia cinetica. Prima di Einstein l'enunciato '' può essere considerato una banale definizione di 'energia cinetica': “...that is just the definition of 'kinetic energy.' There is no more to it than that. The expression 'kinetic energy' is, as it were, a sort of abbreviation for the longer expression 'one half the mass times the velocity squared.'”36 Eppure nel corso della storia della teoria fisica questo enunciato gioca un ruolo più imprevedibile. Nella sua rivoluzione fisica Einstein impone il principio secondo cui le leggi fisiche per essere accettate nella nuova teoria devono essere invarianti rispetto alla trasformazione di Lorentz, e procede a trovare leggi di questo tipo (ad

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es. la ricerca di una legge di gravitazione Lorentz-invariante inizia la teoria generale della relatività). In accordo con questo principio meta-linguistico vengono modificate numerose leggi fisiche precedentemente accettate, molte di chiara natura empirica, ma alla stessa maniera sono modificati anche principi come formula, che abbiano detto essere stato introdotto inizialmente come una specie di definizione stipulativa delle più semplici. Per Putnam è un errore considerare questo processo alla maniera neopositivista: Einstein ha semplicemente sostituito una definizione arbitraria con un'altra. Viste attraverso le lenti della filosofia nepositivista i due enunciati (pre e post-relativistico) sono alla pari in quanto abbreviazioni definizionali vere semplicemente in virtù delle regole lessicali del linguaggio. Per Putnam questo modo di guardare all'utilizzo delle due espressioni implica qualcosa di assurdo, cioè che la definizione pre-relativistica e quella post-relativistica parlino di due oggetti distinti costruiti per convenzione, contrariamente a una descrizione intuitivamente più fondata:

The extension of the term 'kinetic energy' has not changed. If it had, the extension of the term 'energy' would have to have changed. But the extension of the term 'energy' has not changed. The forms of energy and their behavior are the same as always were, and they are what physicists talked about before and after Einstein.37

Per Putnam il modo corretto di guardare a questa storia passa per il prendere sul serio il giudizio metodologico implicito di Einstein nel trattare '' allo stesso modo di altre leggi naturali chiaramente empiriche.

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energia abbia acquisito nel corso del progresso scientifico uno statuto empirico che prima non aveva:

The principle may have been introduced, at least in our fable38, by stipulation; the Newtonian law of gravity may have been introduced on the basis of induction from the behavior of the known satellite systems and the solar system (as Newton claimed); but in subsequent developments these two famous formulas were to figure on a par.39

Per illustrare il modo in cui un enunciato scientifico possa mutare il proprio contenuto empirico Putnam si appella all'olismo di Quine, che rielabora per distillarne 3 tesi sul sistema della conoscenza:

i. le teorie sono sottodeterminate rispetto all'esperienza;

ii. revisioni locali nel sistema possono avere ripercussioni più o meno grandi sull'intero sistema;

iii. Gli enunciati nel nostro sistema concettuale cadono in un continuum che si estende da casi chiaramente analitici a casi chiaramente sintetici.

Queste tre tesi prese collettivamente lo portano a concludere, un'idea caratteristica della filosofia di Putnam, che a seguito di una revisione nel sistema un eunciato possa trovare cambiato il proprio status epistemico (come nell'esempio della definizione di E). Per Putnam, lo stato epistemico (e non solo il valore di verità) è contingente e determinato solo relativamente a un corpus di conoscenze.

Nella teoria di Putnam esistono principi scientifici di livello più fondamentale di quelli comuni, ma il loro ruolo non è spiegabile sulla base di nessuna idea di regola linguistica. Piuttosto la definizione di energia cinetica, la legge di

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gravitazione di Newton, le leggi matematiche, hanno un contenuto empirico che viene dall'esser state utilizzate prima di Einstein in innumerevoli esperimenti come ipotesi ausiliarie, senza per questo essere testate individualmente. Esiste però un modo in cui l'esperienza può rifiutare anche questi principi fondamentali ed è riassumibile nell'idea di Quine che la scienza affronta la falsificazione dell'esperienza come un tutto e le revisioni nel sistema possono occorrere a qualunque livello, anche quelli più basilari delle leggi logiche e matematiche in vigore. Perché però questo processo di correzione di principi fondamentali avvenga occorre che sia disponibile un'intera nuova teoria basata su un'impianto concettuale radicalmente diverso (come ad es. nel caso della teoria di Einstein).

In maniera analoga Putnam illustra lo statuto della geometria, un caso particolarmente importante perché questa ha costituito per lungo tempo un caso esemplare di conoscenza a priori. E' ancora la teoria della relatività, in questo caso nella scelta di adottare una geometria non euclidea come descrizione dello spazio fisico, a segnalare l'insufficienza descrittiva delle categorie filosofiche di analitico/ sintetico. La particolarità di questo esempio è costituita dal fatto che prima dell'elaborazione di teorie geometriche alternative gli enunciati della geometria euclidea avevano uno statuto quasi analitico, nel senso che non esisteva alcun modo per concepire un esperimento in grado di confutarle (questo infatti avrebbe voluto dire affermare un qualcosa di assurdo come “I do not know what geometrical laws are true, but I know the laws of Euclidean geometry are false”).

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indicati, all'interno della scienza non esistono enunciati puramente analitici, ma soltanto enunciati di vario tipo (che chiama 'framework principles') che rappresentano scelte concettuali di fondo e che non sono refutabili isolatamente. Nonostante ciò ogni enunciato scientifico è falsificabile per ragioni di revisioni teoriche di ampia portata, es. la costruzione di una nuova teoria fondamentale.

Verso una filosofia pragmatica della ragione

Da quanto emerso possiamo notare come a partire dalla ricostruzione della distinzione analitico-sintetico Putnam elabori un distacco profondo dalla filosofia analitica precedente non solo in merito alla giusta descrizione della fisica del Novecento, ma utilizzando questo punto di partenza per esemplificare una profonda differenza filosofica generale nell'intendere la natura del linguaggio e del suo rapporto con il mondo e la conoscenza. Difatti per Putnam una corretta visione sul tema dell'analiticità non vuol dire elaborare un criterio distinto o migliore, ma un diverso modo di intendere l'utilizzo del linguaggio per effettuare un'indagine razionale sul reale:

Someone who identifies conceptualization with linguistic activity and who identifies linguistic activity with respense to observable situations in accordance with rules of language which are themselves no more than implicit conventions or implicit stipulations (…) will, it seems to me, have a deeply distorted conception of human knowledge and, indirectly of some or all objects of human knowledge.40

E' quindi possibile indicare la cifra peculiare della filosofia di Putnam rispetto alla filosofia analitica precedente nella scelta di non analizzare la razionalità

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scientifica attraverso la ricostruzione di un sistema formale e ideale, ma prestare attenzione alle caratteristiche dell'indagine scientifica, nel suo carattere locale, situato e incorporato. Una scelta di metodo che non costituisce ancora un recupero esplicito dei classici della filosofia pragmatista americana (a cui praticamente il primo Putnam non fa mai riferimento), ma piuttosto il modo personale del nostro di appropriarsi dei temi dell'empirismo logico. Per quanto riguarda la filosofia della scienza il punto di vista pragmatico si traduce in un'indagine sulla razionalità scientifica dalla prospettiva (interna) di un partecipante con mente aperta in pratiche di ricerca empirica. Secondo Putnam, infatti, un apprezzamento adeguato dei processi che regolano lo scambio e la produzione di enunciati all'interno dell'indagine empirica può avvenire soltanto considerando come primaria la pratica stessa e i giudizi degli scienziati che nella pratica sono impegnati. Questo in aperta polemica con i dogmi del ricostruzionismo logico di Reichenbach e Carnap, che Putnam accusa di anteporre ai giudizi degli scienziati una serie di pregiudizi filosofici e metafisici.

Confrontando l'idea di Carnap con quella di Putnam possiamo vedere come per il primo la questione dell'analiticità può essere risolta solo passando attraverso la specificazione di un sistema algoritmico di regole per valutare le asserzioni, che a sua volta richiede la specificazione di un linguaggio ideale con regole di formazione e sintattiche esplicitamente determinate. Per il secondo bisogna attenersi all'idea della primarietà del punto di vista della pratica, cioè focalizzandosi sui giudizi degli scienziati impegnati nell'indagine empirica e

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pubblica. L'indagine dei principi non empirici di un sistema di conoscenze non può essere un esercizio meramente linguistico e speculativo, poiché il loro status e il loro corretto utilizzo è subordinato alla capacità pragmatica di utilizzo di un dato sistema di conoscenze per produrre enunciati dotati di contenuto empirico verificabile.

Questo porta Putnam a dare un nuovo significato alla nozione di a priori contestuale di Reichenbach: prendendo sul serio i giudizi normativi dei partecipanti nell'indagine il filosofo decreta che gli scienziati hanno ragione ad individuare degli enunciati dotati di uno status speciale (es. gerarchicamente più alto), ma questi enunciati non hanno la solidità indicata da Kant. Esistono verità necessarie in fisica, ma anche esse sono soggette a revisione empirica. Compito dell'indagine metodologica è, per Putnam, quello di chiarire il modo complicato in cui questi enunciati si rapportano all'esperienza e non 'spiegarli via'.

Dalla logica alla scienza: la riscoperta della filosofia di Dewey

Realismo scientifico e realismo metafisico

Analizzando L'analitico e il sintetico abbiamo visto come i primi contributi di Putnam in filosofia della fisica siano caratterizzati dalla ricerca di un modo di guardare all'impresa scientifica alternativo alla filosofia della scienza neopositivista. Proprio questo articolo iniziava constatando che gli errori filosofici in generale hanno profonde ripercussioni sulla filosofia della scienza e che quindi

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la questione di una corretta caratterizzazione dell'impresa scientifica non può che andare di pari passo con un affinamento degli strumenti dell'analisi filosofica. Gli anni successivi sono infatti impiegati da Putnam nel riflettere sulla propria personale concezione filosofica al fine di raggiungere una maggiore chiarezza nei propri assunti. Il periodo tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta può essere visto come dedicato dal nostro a rendere espliciti gli assunti filosofici che nelle opere precedenti operavano ancora a un livello piuttosto implicito nella critica delle posizioni filosofiche a lui contemporanee. Il consolidamento di questa intuizione iniziale in una filosofia compiuta e coerente ha richiesto molti anni di lavoro e niente di meno che una profonda rilettura del proprio pensiero alla luce di una prospettiva più ampia e profonda. Caratteristica del Putnam maturo infatti è la capacità di estendere il proprio ragionamento a uno spettro molto ampio di questioni classiche in filosofia. In aperta polemica con lo scientismo quineano e con la retorica positivista della fine della filosofia41, Putnam trova nei problemi classici della tradizione filosofica moderna (e non) l'ispirazione per radicalizzare la propria riforma del metodo filosofico, e quindi anche la propria filosofia della scienza. E' in questa luce che bisogna considerare il crescente interesse (a partire almeno da Meaning and the Moral Sciences e Reason, Truth, and History) per l'aspetto morale e culturale dell'esperienza umana, che nelle opere più recenti diventa uno dei punti chiave su cui sviluppare una critica all'eredità ancora neopositivista della filosofia analitica. L'attenzione per l'aspetto valutativo e morale della razionalità umana è quindi per Putnam un passo necessario per

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superare una visione tecnocratica e riduttivamente scientista della razionalità nella direzione di una filosofia dal volto umano, capace cioè di rendere conto dell'aspetto policromo della natura umana.

In questo contesto di maturazione teorica significativi progressi sono compiuti da Putnam anche nell'elucidare la propria idea di adottare un punto di vista pragmatico sulle nostre condotte teoriche. In questo capitolo vorrei mostrare come tra le opere degli anni Settanta e quelle più recenti l'intero rapporto tra mente-linguaggio-realtà venga riformulato alla luce delle influenze di Wittgenstein e del pragmatismo americano. L'aspetto più importante di questa rilettura è la riflessione sulle nozioni di verità e riferimento, chiavi di volta attraverso cui Putnam elabora una concezione più articolata del modo peculiarmente umano in cui adoperiamo il linguaggio per effettuare asserzioni sul mondo. Un'acquisizione teorica fondamentale all'interno della filosofia di Putnam perché permette di chiarire e rifondare anche la sua concezione della conoscenza scientifica.

Realismo minimale in uso

Nel 1975 vengono pubblicate le prime due raccolte degli scritti di Putnam risalenti agli anni Cinquanta e Sessanta. Nell'introdurre i lavori contenuti nella pubblicazione il filosofo indica uno dei fili conduttori impliciti in molte opere (soprattutto quelle inerenti alla filosofia della scienza) nell'adozione di una prospettiva realista o anti-antirealista alle questioni analizzate, una prospettiva cioè che si pone in antitesi all'anti-realismo che caratterizzava gli scritti degli

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empiristi logici. Il bersaglio polemico di Putnam è costituito da quella che per il filosofo costituisce una delle caratteristiche centrali del positivismo, vecchio e nuovo, cioè l'idea che la scienza si limiti a descrivere delle regolarità all'interno dell'esperienza umana. Nella sua forma più recente (ad es. in Reichenbach, Carnap e Quine) il riferimento alle esperienze è rimpiazzato da quello a oggetti e proprietà osservabili: “scientific statements about the color of flowers or the eating habits of bears are to be taken at face value as referring to flowers and bears; but scientific statements about such 'unobservables' as electrons are not to be taken as referring to electrons, but rather as referring to meter readings and the observable results of cloud chamber experiments.”42 La corretta interpretazione di asserzioni scientifiche riguardanti entità non-osservabili, ad esempio enunciati che descrivono le proprietà degli elettroni, è quindi quella di non intenderle come letteralmente vere. Come abbiamo visto nel primo capitolo, nel programma degli empiristi logici il progetto di una logica del discorso scientifico aveva il compito di mostrare la natura convenzionale di molti concetti impiegati dagli scienziati. L'analisi della scienza di Reichenbach si proponeva di distinguere all'interno della scienza quello che è convenzionale da quello che è fattuale. Il progetto di Carnap, a sua volta, mirava a mostrare diversi tipi di linguaggi utilizzabili nel produrre asserzioni sul reale, ovvero diverse modalità in cui concettualizzare il dato sensoriale. Viste da questa prospettiva non ha senso domandarsi se le entità presupposte da molte asserzioni scientifiche, come ad esempio gli elettroni, siano effettivamente reali, piuttosto si evidenzia la loro natura di convenzioni

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linguistiche, utili perché permettono di sistematizzare le esperienze sensoriali ordinarie grazie a dei costrutti teorici altamente sofisticati. In ultima istanza la scienza naturale non è un sistema organizzato di entità, ma un sistema di regole per la previsione e il controllo sperimentale di eventi osservativi. Il progetto di una logica induttiva tanto per Reichenbach che per Carnap era volto a individuare un nucleo del metodo scientifico costituito da una serie di principi per la corroborazione empirica degli enunciati a partire da report osservativi. Putnam, invece, si avvicina a filosofi quali Richard Boyd nel riabilitare l'idea di scienza come descrizione letteralmente vera del reale: “The statements of science are in my view either true or false (although it is often the case that we don't know which) and their truth or falsity does not consist in their being highly derived ways of describing regularities in human experience”43.

Questa idea costituisce l'altra faccia della medaglia rispetto al criterio di rivedibilità generale presentato nel capitolo precedente. L'idea di a priori contestuale di Putnam prende in considerazione la prospettiva del partecipante in pratiche di indagine. Unita all'epistemologia fallibilista afferma che la rivedibilità degli enunciati scientifici ha senso nella pratica solo quando sono fornite condizioni appropriate. In caso contrario Putnam crede che non ci sia motivo di dubitare che gli enunciati scientifici costituiscano una conoscenza oggettiva del mondo. Per il Putnam degli anni Sessanta questo nucleo di dottrine costituisce una sorta di realismo minimale che gli scienziati sottoscrivono nella scelta di partecipare a una pratica condivisa di indagine. Si cercherebbe invano, però, negli

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scritti almeno fino a metà anni Settanta una caratterizzazione esaustiva ed esplicita del punto di vista realista, perché, come riconosce Putnam stesso, è un'idea presente in questi scritti in forma ancora implicita più che in una formulazione filosofica generale (come invece in testi successivi quali Realism with a human face):

no paper in this collection is entirely devoted to the topic of realism, for my interest in the last fifteen years has not been in beating my breast about the correctness of realism, but has rather been in dealing with specific questions in the philosophy of science from a specific realist point of view.44

Se però il realismo costituisce in questo periodo una dottrina ancora implicita, nondimeno rimane centrale per capire la posizione di Putnam: Axel Mueller e Arthur Fine45 individuano quattro tesi presenti sin dai primi lavori del nostro che costituiscono il tentativo di articolare una visione della scienza che prenda sul serio le rappresentazioni degli scienziati impegnati in pratiche di indagine empirica. Questi principi incarnano l'idea che le asserzioni empiriche costruite all'interno del sistema di indagine definito scienza sono vere in senso letterale e constatano dei fatti presenti nel mondo. Le prime tre tesi, che vengono definite Principi Referenziali, riguardano il rapporto tra riferimento, verità e oggettività e esprimono l'idea che la semantica referenziale è uno dei presupposti delle pratiche pubbliche di indagine:

1) Normalmente i termini usati descrittivamente in pratiche pubbliche di scambio di enunciati empirici hanno un riferimento;

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