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DANIEL BARENBOIM - PATRICE CHÉREAU, Dialoghi su musica e teatro: “Tristano e Isotta”, a cura di Gastón Fournier-Facio, traduzione di Maria Teresa Crisci, Milano, Feltrinelli, 2008

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(1)Musica Docta. Rivista digitale di Pedagogia e Didattica della musica, pp. 89-90. DANIEL BARENBOIM - PATRICE CHÉREAU, Dialoghi su musica e teatro: “Tristano e Isotta”, a cura di Gastón Fournier-Facio, traduzione di Maria Teresa Crisci, Milano, Feltrinelli, 2008, 198 pp. Diciott’anni di confronto fra direttore e regista: tanto ha atteso Tristano e Isotta secondo Daniel Barenboim e Patrice Chéreau prima di giungere al palcoscenico, da un progetto caduto del 1979 per il Festival di Bayreuth allo spettacolo inaugurale del Teatro alla Scala, stagione 2007/08. Ad accompagnare l’allestimento milanese (poi insignito del Premio Abbiati), è uscito un programma di sala di oltre 300 pagine con fior di contributi musicologici (Giani e Nattiez tra gli altri); mancava però un intervento del direttore – musicista spesso assai facondo –, mentre il regista si limitava a «brevi note preliminari», «tentativi di interpretazione», al fine di «dire due o tre cose che crediamo di aver capito dell’opera». Dopo aver lasciato implicita la loro poetica nello spettacolo, i due artisti la esplicitano in un libro di dialoghi raccolti da Gastón Fournier-Facio alla vigilia, nel corso e all’indomani delle recite e uscito pochi mesi dopo. Cinque sono i capitoli nei quali si articola il lavoro, a loro volta suddivisi in ventisei brevi sezioni complessive. Dalla prima verso l’ultima, uno spunto d’analisi cede al seguente, in una mutazione continua dell’àmbito disciplinare e del rapporto tra gli interlocutori, còlti ora in un conversare alla pari, ora in “monologhi” specialistici, nei quali però la dimensione dialogica non va persa: gli interventi dell’interlocutore rinforzano il discorso principale, gli fanno, come si potrebbe dire con gergo operistico, da pertichino. Riferimenti autobiografici figurano solo per situare nel tempo il maturare delle riflessioni, e il lettore melomane dovrà accontentarsi di ben pochi aneddoti (si apprende però che il compianto Wolfgang Wagner, nipote di Richard ed erede del trono di Bayreuth, si esprimeva in dialetto francone ma incespicava sul buon tedesco). Domina dunque la trattazione di questioni preziose per la formazione del musicista e dell’ascoltatore: un percorso in salita, che va dalla definizione di ruoli e mezzi nel contesto di un allestimento operistico in generale, fino a un corposo dibattito sui grandi temi tristaniani specifici. Direttore e regista esordiscono con la presentazione personale e reciproca del loro lavoro, che sarebbe riduttivo voler restringere al solo testo musicale e all’apparato di scene e costumi. Posta questa premessa, è concorde la loro concezione del teatro d’opera come sistema tecnico di codificazione musicale dei sentimenti: l’interpretazione deve essere fedeltà assoluta al testo, ma quest’ultimo non consiste nella sola lettera poetica e musicale. Da ciò deriva la liceità del sottotesto – valorizzato purché non tradisca l’opera in nome di personali inclinazioni dell’interprete – e la necessità di circostanziare il fatto teatrale con la puntuale descrizione della musica: in quest’ultimo caso, Barenboim non rinuncia al linguaggio specifico della teoria musicale, ma si rivolge al neofita anche con metafore esplicative (l’immagine di una serie di inspirazioni pro-. http://musicadocta.cib.unibo.it ISSN 2039-9715 © 2012 CIB - Alma Mater Studiorum - Università di Bologna.

(2) 90. Francesco Lora. fonde, alle quali non corrisponde mai un’espirazione completa, traspone per esempio la concatenazione di una dissonanza sull’altra, caratteristica del Tristano). Chéreau emerge nel capitolo dedicato ad aspetti della regìa, con osservazioni sulla delicata corrispondenza di durata teatrale e musicale, sul lavoro con l’attore-cantante e sulla gestualità, approfondita dalla prima prova all’ultima recita; il regista ammette che nessuna lettura può essere considerata definitiva: lo dimostra il soprano Waltraud Meier, esperta Isotta nelle recite milanesi, capace di «dodici o venti modi di interpretare questa musica pur restando completamente fedele al testo». Barenboim è a sua volta in primo piano nel capitolo dedicato alla musica, dove alcune proposte d’analisi del Tristano sono attorniate da più generali considerazioni sulla specificità culturale di ciascun testo musicale, che talvolta può indurre (e la musica di Wagner ne è esempio) addirittura a tentazioni e letture nazionalistiche. L’accento cade anche sull’importanza della memoria dell’ascolto; la dialettica wagneriana del Leitmotiv è infatti una palestra eccellente: «l’orecchio fa sempre il confronto con le note precedenti», e conosce il significato di un intero discorso musicale anche in senso retrospettivo. Un vivace dialogo di regista e direttore torna nel capitolo sulla drammaturgia del Tristano: Chéreau ammette il proprio dubbio circa la realizzazione scenica della musica descrittiva (assecondare la musica col gesto o affiancare il gesto alla musica?); entrambi gli interlocutori distinguono tra il valore di Wagner come autore di parole (modesto) e quello come autore di idee (notevole); Barenboim espone infine la tecnica della transizione: essenziale in Wagner, grazie a essa il contenuto psicologico della musica va incontro a una metamorfosi in itinere e senza soluzione di continuità. A un conoscitore già esperto di Tristano e Isotta sono infine destinati i dialoghi conclusivi, che vertono sull’opposizione giorno/notte, sulla scoperta dell’altro, sulla notte d’amore e la filosofia della morte: nell’infervorato stratificarsi di ipotesi interpretative – poste non solo in nome dello studio sulle fonti, ma anche della pratica di golfo mistico e palcoscenico – il duettare di Barenboim e Chéreau, acceso dal filtro magico dell’esegesi, rasenta per passione di ricerca quello degli amanti sorvegliati da un lettore-Brangania. FRANCESCO LORA Bologna. Musica Docta, II, 2012 ISSN 2039-9715.

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