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Atlante nazionale delle aree a rischio di desertificazione

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Academic year: 2021

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(1)

ATLANTE NAZIONALE

DELLE AREE A RISCHIO

DI DESERTIFICAZIONE

ATLANTE NAZIONALE

DELLE AREE A RISCHIO

DI DESERTIFICAZIONE

Istituto Nazionale di Economia Agraria

Istituto Sperimentale per lo Studio e la Difesa del Suolo

Centro Nazionale di Cartografia Pedologica

Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare

con il finanziamento e il patrocinio del

atlante

(2)

ad Andrea,

indimenticabile amico e collega il cui

prezioso contributo ha reso possibile la

realizzazione di questa opera

(3)

C.R.A.-CONSIGLIO PER LA RICERCA E LA SPERIMENTAZIONE IN AGRICOLTURA

ISTITUTO SPERIMENTALE PER LO STUDIO E LA DIFESA DEL SUOLO

CENTRO NAZIONALE DI CARTOGRAFIA PEDOLOGICA

INEA-ISTITUTO NAZIONALE DI ECONOMIA AGRARIA

ATLANTE

NAZIONALE

DELLE

AREE

A

RISCHIO

DI

DESERTIFICAZIONE

a cura di:

Edoardo A.C. Costantini, Ferdinando Urbano, Guido Bonati, Pasquale Nino, Andrea Fais

Con il finanziamento e il patrocinio del:

MINISTERO DELL’AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

(4)

A

UTORI

ISTITUTO SPERIMENTALE PER LO STUDIO E LA DIFESA DEL SUOLO -FIRENZE Edoardo A.C. Costantini, coordinatore scientifico del progetto

Roberto Barbetti Mario Finoia Giovanni L’Abate Simona Magini Rosario Napoli

ISTITUTO NAZIONALE DI ECONOMIA AGRARIA -ROMA Guido Bonati

Andrea Fais Pasquale Nino Fabrizio Tascone

LIBERI PROFESSIONISTI Michele Bocci, Siena Luca Salvestrini, Siena Massimo Paolanti, Roma Gabriele Leoni, Roma Rosa Rivieccio, Roma Biagio Rastelli, Roma Ferdinando Urbano, Milano

REGIONE SARDEGNA

Giosuè Loj, referente regionale pedologia e lotta alla desertificazione, Cagliari

REGIONE SICILIA

Marco Perciabosco, referente regionale pedologia e lotta alla desertificazione, Palermo

ENTE REGIONALE SVILUPPO AGRICOLO DELLA REGIONE CALABRIA

Giovanni Aramini, referente regionale pedologia, Catanzaro Lido (CZ)

REGIONE PUGLIA

Franco Bellino, referente regionale pedologia, Bari

Citazione dell’opera: Costantini E.A.C, Urbano F., Bonati G., Nino P., Fais A. (curatori) (2007). Atlante nazionale delle aree a rischio di desertificazione. INEA, Roma, pp.108

(5)

Sommario

PRESENTAZIONE... V SINTESI ...VI SUMMARY... VII

1. INTRODUZIONE ... 1

1.1DESERTIFICAZIONE E DEGRADAZIONE DEL SUOLO... 1

1.2OBIETTIVI PROGETTUALI... 3

2. MATERIALI E METODI ... 5

2.1IMPOSTAZIONE CONCETTUALE: AREE A STERILITÀ FUNZIONALE, VULNERABILI E SENSIBILI ... 5

2.2IL MODELLO DI VALUTAZIONE ... 7

2.3SCELTA DEGLI INDICATORI E INDICI DI STATO, IMPATTO E RISPOSTA ... 13

2.3.1 Definizione dell’area di studio... 1 3 2.3.2 Sistema di degradazione del suolo: erosione idrica ... 14

2.3.3 Sistema di degradazione del suolo: salinizzazione ... 14

2.3.4 Sistema di degradazione del suolo: urbanizzazione ... 15

2.3.5 Sistema di degradazione del suolo: deposizione... 15

2.3.6 Sistema di degradazione del suolo: aridità... 15

2.4DESCRIZIONE DELLE BANCHE DATI UTILIZZATE... 16

2.4.1 Banche dati pedologiche... 17

2.4.1.1 La banca dati delle osservazioni puntuali ...17

2.4.1.2 Gerarchia dei pedopaesaggi...19

2.4.1.3 Regioni pedologiche (soil regions) ...20

2.4.1.4 Province pedologiche (soil subregions)...20

2.4.1.5 Sistemi di terre...20

2.4.1.6 Sottosistemi di terre...21

2.4.1.7 Spazializzazione dei dati pedologici puntuali...21

2.4.2 Banche dati climatiche... 22

2.4.2.1 I dati climatici...22

2.4.2.2 Indice di aridità...23

2.4.2.3 Aggressività climatica ...25

2.4.3 Banche dati pedoclimatiche... 26

2.4.4 Banche dati di uso del suolo ... 26

2.4.5 Banche dati delle misure agroambientali ... 27

2.4.6 Banche dati sul pascolamento... 28

2.4.6.1 Composizione floristica e produzione dei pascoli ...28

2.4.6.2 Numero di capi presenti sulle aree a pascolo...30

2.4.6.3 Periodo di permanenza dei capi sui pascoli e loro fabbisogno alimentare...30

2.4.7 Banche dati degli incendi forestali ... 3 0 2.4.8 Banche dati delle aree protette ... 31

2.4.9 Banche dati delle immagini satellitari ... 31

2.4.10 Altre banche dati... 31

2.5INDIVIDUAZIONE DELL’AREA DI STUDIO ... 32

2.6ELABORAZIONE DEGLI INDICATORI E DEGLI INDICI DI PRESSIONE, STATO, IMPATTO E RISPOSTA... 33

2.6.1 Sistema di degradazione del suolo “erosione idrica” ... 33

2.6.1.1 Suoli sottili su forti pendenze ...33

2.6.1.2 Presenza di fenomeni di erosione dalla banca dati dei suoli ...34

2.6.1.3 Analisi dell’indice di vegetazione...35

2.6.1.4 Pressione di pascolamento...36

2.6.1.5 Misure agroambientali...38

2.6.1.6 Aree protette ...39

2.6.1.7 Aree incendiate...39

2.6.2 Sistema di degradazione del suolo “deposizione”... 39

2.6.2.1 Effusioni laviche recenti e alvei fluviali ...39

2.6.3 Sistema di degradazione del suolo “urbanizzazione” ... 4 0 2.6.3.1 Aree urbane e infrastrutture principali...40

(6)

2.6.4.1 Aree con falde idriche potenzialmente saline... 40

2.6.5 Sistema di degradazione del suolo “aridità”...41

2.6.5.1 Numero di giorni di secco ... 41

2.6.5.2 Aree irrigue ... 42

2.7VALIDAZIONE: LE ESPERIENZE REGIONALI E IL FOTOATLANTE...42

3. L’ATLANTE NAZIONALE DELLE AREE A RISCHIO DI DESERTIFICAZIONE...47

3.1DELIMITAZIONE DEL TERRITORIO ITALIANO A RISCHIO POTENZIALE DI DESERTIFICAZIONE ...51

3.2INDICI D’IMPATTO...55

3.2.1 Quadri di sintesi...55

3.2.2 Aggressività climatica e indice di aridità...71

4. LE ESPERIENZE REGIONALI: STATO DELL’ARTE E STRATEGIE D’INTERVENTO...75

4.1SARDEGNA...76

4.1.1 La carta delle aree sensibili alla desertificazione in Sardegna ...76

4.1.2 Attività con il Comitato Nazionale per la Lotta alla Siccità e/o alla Desertificazione (CNLSD) ...82

4.1.3 La partecipazione ai programmi d’iniziativa comunitaria Interreg III B Medocc: Desertnet...82

4.1.4 La protezione del suolo ...83

4.1.5 Conclusioni ...84

4.2SICILIA...85

4.3CALABRIA...90

4.4PUGLIA ...93

5. CONCLUSIONI ...97

5.1INDICATORI E INDICI DI RISCHIO DI DEGRADAZIONE DEL SUOLO ...97

5.2PROSPETTIVE METODOLOGICHE E DI SVILUPPO DELLA RICERCA ...103

(7)

P

RESENTAZIONE

Nei confronti della desertificazione, l’Italia ha molti motivi di attenzione: da un lato il suo impegno come Paese donatore nei confronti di paesi in via di sviluppo dall’altro perché direttamente interessata dall’insorgenza del fenomeno in alcune regioni. L’attenzione si concentra in una pluralità di iniziative. A livello internazionale, l’Italia è fra i maggiori paesi donatori nei confronti della UNCCD (United Nations Convention to Combat Drought and Desertification) e ha avviato numerosissimi progetti di cooperazione internazionale, dall’Argentina all’Algeria, dalla Cina al Niger. La tecnologia italiana (in campo agricolo e forestale e nelle energie alternative) ha avuto numerosi riconoscimenti, e l’attenzione posta nei confronti della desertificazione non ha probabilmente eguali in altri paesi sviluppati. A livello nazionale, invece, sono numerosi i progetti di ricerca, le applicazioni pilota, i sistemi di monitoraggio, le cartografie, gli eventi formativi, che hanno al centro la lotta alla desertificazione. L’Unione Europea ha finanziato numerosi studi che hanno interessato specifiche aree italiane, con il coinvolgimento di università e enti di ricerca; il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, anche attraverso il Comitato Nazionale per la Lotta alla Siccità e alla Desertificazione, ha attivato progetti di ricerca e attività formative avanzate, parimenti con il coinvolgimento delle amministrazioni regionali e di soggetti locali.

Parte di questo attivismo è dovuta anche al timore che i fenomeni siccitosi che hanno caratterizzato l’Italia a partire dal 1990, anziché avere carattere di straordinarietà (come è stato fino ad oggi, interessando solo in modo alternato e per periodi limitati alcune zone del Paese) possano diventare abituali, stravolgendo gli ordinamenti colturali, le caratteristiche della copertura vegetale, e addirittura interi ecosistemi. L’Italia si trova a rischio per la propria latitudine, in quanto Paese in prossimità delle zone desertiche nordafricane; per una pressione antropica che non conosce soste ed è spesso insufficientemente gestita; per un’agricoltura straordinariamente intensiva e tecnologicamente avanzata, ma che proprio per questo tende a esercitare un impatto eccessivo sulle risorse naturali.

In questo quadro è importante per i decisori, a livello centrale e regionale, disporre di supporti conoscitivi avanzati, da potere utilizzare come strumenti di supporto alle decisioni. Un passo importante in questa direzione è costituito da questo Atlante nazionale delle aree a rischio di desertificazione. Si tratta di una prima importante elaborazione di strati cartografici, che tiene conto di dati di base di carattere pedologico, climatico, ambientale, agricolo, forestale. I risultati di questo studio non esauriscono la lettura e la comprensione della desertificazione in Italia; costituiscono piuttosto un punto di partenza, a disposizione della comunità scientifica, per successivi approfondimenti e elaborazioni.

Lo studio costituisce inoltre una testimonianza della collaborazione feconda fra il Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura e l’Istituto Nazionale di Economia Agraria in cui ognuno dei due enti di ricerca apporta le proprie competenze e professionalità, in uno sforzo comune di comprendere e approfondire le relazioni fra ambiente, territorio e attività antropiche.

On. Lino Carlo Rava

Presidente INEA

Sen. Romualdo Coviello

(8)

SINTESI

Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ha finanziato la predisposizione di un Atlante nazionale delle aree a rischio di desertificazione per avere uno strumento propedeutico alla corretta attuazione del Piano di Azione Nazionale per la lotta alla Siccità e desertificazione (PAN). Il PAN è stato adottato dallo Stato Italiano tramite il Comitato Nazionale per la Lotta alla siccità e alla Desertificazione (CNLSD) in attuazione della Convenzione delle Nazioni Unite per la Lotta alla Siccità ed alla Desertificazione (ratificata dall’Italia con legge n. 170 del 4 giugno 1997). Oltre al C.R.A. - Istituto Sperimentale per lo Studio e la Difesa del Suolo (ISSDS) e all’Istituto Nazionale di Economia Agraria (INEA), la ricerca ha coinvolto i referenti regionali per la pedologia e la lotta alla desertificazione delle regioni Sardegna, Sicilia, Calabria e Puglia. Tale coinvolgimento ha avuto lo scopo di confrontare le metodologie d’indagine proposte con le esperienze regionali e di validare gli elaborati prodotti. Al progetto, inoltre, hanno collaborato alcuni liberi professionisti per attività specialistiche.

L’ammontare del finanziamento, l’ampiezza dell’area di studio e i tempi richiesti non hanno consentito di strutturare un progetto con importanti rilievi a terra e indagini dettagliate sui processi di desertificazione e la loro evoluzione temporale. Si era poi consapevoli che in Italia sull’argomento della cartografia del rischio di desertificazione sono state realizzate, o sono in corso di realizzazione, numerose esperienze a livello locale, regionale, nazionale e continentale, molte delle quali seguono l’approccio ESAs (Environmentally Sensitive Areas) proposto nell’ambito del progetto MEDALUS, pur con modifiche ed adattamenti di rilevo. Data la difformità dei risultati ottenuti nelle esperienze precedenti e la scala nazionale dello studio, che mal si adatta all’approccio ESAs, si è deciso di impostare il progetto utilizzando le banche dati presenti presso le Istituzioni partecipanti e un approccio di tipo innovativo, anche in considerazione del fatto che uno degli obiettivi del PAN è proprio quello di promuovere la ricerca scientifica in questo settore.

La metodologia fa riferimento al concetto di area desertificata come area a sterilità funzionale agro-silvo-pastorale, derivante dai processi di degradazione del suolo. Il metodo di lavoro utilizza l’approccio Determinanti–Pressioni-Stato-Impatto-Risposta (Driving force-Pressure-State-Impact-Response, DPSIR) dell’Agenzia Europea per la Protezione dell’Ambiente (European Environment Agency, 2005) e si basa sulle evidenze della realtà fattuale suggerite dagli esperti regionali, documentate fotograficamente e presenti nelle banche dati esistenti. Da queste sono stati elaborati un sistema informativo ed un atlante di carte degli indicatori e indici di sensibilità e di vulnerabilità al rischio di desertificazione, organizzati per sistema di degradazione del suolo (erosione, deposizione, urbanizzazione, salinizzazione, aridità). In questo modo l’Atlante, pur nei limiti imposti dall’incompletezza delle banche dati disponibili, non si è sovrapposto ad altre analoghe attività, ma ha fornito un contributo originale.

Il 51,8% del territorio italiano, in base ad elaborazioni climatiche e pedoclimatiche, è stato considerato potenzialmente a rischio, in particolare la totalità di Sicilia, Sardegna, Puglia, Calabria, Basilicata e Campanile e parte delle regioni Lazio, Abruzzo, Molise, Toscana, Marche e Umbria. All’interno di quest’area, utilizzando i dati a disposizione del progetto, sono stati calcolati 12 indici di impatto che costituiscono la sintesi dell’Atlante. I risultati mostrano che il 21,3% del territorio Italiano (41,1% dell’area studiata) è interessato da fenomeni di degrado delle terre che individuano aree a rischio di desertificazione. Nello specifico, il 4,3% del territorio italiano (1.286.056 ettari) ha già caratteristiche di sterilità funzionale; il 4,7% (1.426.041 ettari) è sensibile a fenomeni di desertificazione; il 12,3% (3.708.525) può essere considerato vulnerabile alla desertificazione.

In questo testo sono descritti i principi metodologici a cui si è fatto riferimento, i materiali e i metodi utilizzati, una sintesi delle elaborazioni cartografiche prodotte ed una panoramica delle esperienze regionali, con indicazioni delle strategie operative d’intervento proposte. La documentazione completa, comprensiva delle cartografie regionali di dettaglio, è riportata nel CD-rom allegato. I riferimenti bibliografici e metodologici, a parte alcuni aggiornamenti puntuali, fanno riferimento allo stato dell’arte disponibile nel periodo in cui il progetto è stato realizzato (gennaio 2003 – gennaio 2005).

(9)

S

UMMARY

The Italian Ministry for Environment and Territory has funded the implementation of a national Atlas on areas with risk of desertification, in order to have a preliminary tool for the correct implementation of the National Action Plan (PAN) to combat drought and desertification. The PAN has been adopted by the Italian government through the National Committed to Combat Drought and Desertification (CNLSD), established in accordance with UNCCD (ratified by Italy with law n. 170 on June 4th 1997).

Besided C.R.A. – Istituto Sperimentale per lo Studio e la Difesa del Suolo (ISSDS) and Istituto Nazionale di Economia Agraria, the present research has involved regional representatives for soil science and desertification in the regions Sardegna, Sicilia, Calabria e Puglia. This involvement aimed at matching the various proposed methodologies with regional experiences and validating final results. Furthermore, in the project were involved a few consultants for specific activities.

Limitations in the budget, compared to the relevance of the area to be examined and to the limited time frame of the project, did not allow to carry out specific localized data collection, as well as detailed local surveys on desertification processes and on their evolution over time. We are aware that in Italy there are several experiences on mapping desertification risks and processes, at local, regional, national and Europe-wide scale, many of them under the ESA (Environmentally Sensitive Areas) approach proposed within the MEDALUS project, although with relevant adaptation and changes. Due to the diversity of results obtained in previous experiences and to the adoption of a national scale in this research (that badly fits into the ESA approach), it was decided to utilize databases already existing in partner institutions and to adopt an innovative approach. One of the objectives of the PAN itself is to promote scientific research in this field.

The adopted methodology considers a desertified area as an area with functional agricultural or forestry sterility, due to degradation processes of soil. The DPSIR (Driving force-Pressure-State-Impact-Response) of the European Environment Agency has been adopted, based on factual evidence suggested by some regional experts, documented and present in available databases. Starting from these, an information system has been implemented, as well as an atlas of indicators and of sensitivity and vulnerability indexes of desertification risks, organised into a system of soil degradation processes (deposition, erosion, urbanization, salinization, aridity). In this way, the atlas, although within the limitation of available databases, did not overlap to previous similar experiences, but rather resulted in an original contribution.

Of the whole Italian area, 51,8% is considered to be at risk of desertification, due to climatic and pedoclimatic factors, including the whole area of regions Sicilia, Sardegna, Puglia, Calabria, Basilicata and Campania and part the regions Lazio, Abruzzo, Molise, Toscana, Marche and Umbria. Within this area, using the data available in the project, 12 impact indexes have been computed, that can be considered as a synopsis of the Atlas. Results show that 21.3% of the whole Italian area (41.1% of the investigated area) features land degradation phenomena, that are found in area with risk of desertification.

Specifically, 4.3% of the whole Italian area (1,286,056 hectare) already shows functional sterility; 4.7% (1,426,041 hectares) is sensitive to desertification phenomena; 12.3% (3,708,525 hectares) can be considered vulnerable to desertification.

In the present document the methodologies on which the work is based are described, as well as materials and method used, a synthesis of maps generated and an overview of regional experiences, with an indication of operational strategies to combat the phenomenon. The complete documentation, including regional detailed maps, is reported in the enclosed CD. All references and methodological aspects, with the exception of a few limited cases, are based on the state of the art available at the moment of the implementation of the research (January 2003 – January 2005).

(10)
(11)

1.

I

NTRODUZIONE

1.1 Desertificazione e degradazione del suolo

Il concetto di desertificazione si è progressivamente evoluto nel corso degli anni nel tentativo di definire un processo che, seppur caratterizzato da cause locali, sta sempre più assumendo la connotazione di un problema globale. Al termine “desertificazione” è associato nell’immaginario collettivo il processo di espansione dei deserti sabbiosi. Quest’immagine però non rende ragione della complessità dei fenomeni di degrado del territorio in atto in Africa o altrove. La desertificazione è stata definita dalla United Nations Convention to Combat Desertification (UNCCD) come "degrado delle terre nelle aree aride, semi-aride e sub-umide secche, attribuibile a varie cause, fra le quali variazioni climatiche ed attività umane" (UNCCD, 1996 – articolo 1, comma a). La Convenzione, partendo dal presupposto che “la desertificazione è provocata da interazioni complesse tra fattori fisici, biologici, politici, sociali, culturali ed economici”, ha scelto di adottare una definizione di desertificazione che circoscriva il suo ambito di intervento territoriale in funzione delle caratteristiche climatiche ed introduca esplicitamente fra le cause del fenomeno l’azione dell’uomo e le variazioni climatiche.

Figura 1- Immagine satellitare di parte del bacino del Mediterraneo (mosaico Modis Blue Marble, NASA, 2002 - http://wms.jpl.nasa.gov/wms.cgi), dalla quale è possibile riconoscere in prima approssimazione le aree desertiche e quelle aride, semi aride e sub umide secche. Per l’Italia queste sembrano interessare essenzialmente le regioni Sardegna, Sicilia, Puglia e parti della Basilicata e della Calabria, con limitate e più incerte attribuzioni per alcune parti del centro e sud Italia.

Sempre secondo l’UNCCD, “il termine terre designa il sistema bioproduttivo terrestre comprendente il suolo, i vegetali, gli altri esseri viventi e i fenomeni ecologici e idrologici che si producono all’interno di questo sistema” e “l’espressione degrado delle terre designa la diminuzione o la scomparsa, nelle zone aride, semi-aride e sub-umide secche, della produttività biologica o economica (...)” (UNCCD, 1996 – articolo 1, comma e, f).

(12)

La desertificazione ed il degrado delle terre interessano con intensità ed estensione diverse i Paesi europei che si affacciano sul bacino del Mediterraneo. In particolare, la desertificazione riguarda le aree dell’Italia centro-meridionale ed insulare esposte a stress di natura climatica ed alla pressione, spesso non sostenibile, delle attività umane sull’ambiente. Infatti, come afferma l’articolo 2 dell’annesso IV della Convenzione della UNCCD (1996), “le caratteristiche ambientali e socio-economiche peculiari della regione nord Mediterranea sono caratterizzate da:

a) condizioni climatiche semi-aride che colpiscono vaste distese, siccità stagionali, grande variabilità del regime pluviometrico e piogge improvvise e molto violente;

b) suoli poveri e sensibili all’erosione, soggetti alla formazione di croste superficiali; c) rilievi eterogenei con forti pendii e paesaggi molto variati;

d) perdite importanti della copertura forestale dovute ad incendi;

e) crisi dell’agricoltura tradizionale, caratterizzata dall’abbandono delle terre e dal deterioramento delle strutture di protezione del suolo e dell’acqua;

f) sfruttamento non sostenibile delle risorse idriche che provoca gravi danni all’ambiente, compreso l’inquinamento chimico, la salinizzazione e l’esaurimento delle falde idriche;

g) concentrazione dell’attività economica nelle zone costiere imputabile allo sviluppo dell’urbanizzazione, delle attività industriali, al turismo e all’agricoltura irrigua.”

Le aree soggette alla desertificazione sono caratterizzate dalla presenza di ecosistemi fragili dal punto di vista ecologico, molto sensibili ad incontrollati sfruttamenti delle risorse idriche e hanno bisogno di interventi specifici per la conservazione dei suoli (Aru, 2002). In queste aree sono pertanto di grande attualità le questioni legate ad uno sviluppo sostenibile, ovvero uno sviluppo socio-economico che possa essere raggiunto mediante una gestione sostenibile delle risorse naturali.

Carte del rischio di desertificazione sono già state realizzate in tempi e a scale diverse. A livello globale si ricordano Eswaran e Reich (1998) e UNEP (1992). Quest’ultimo lavoro è stato realizzato da FAO/UNEP/UNESCO nel periodo 1987-1990 ed è stato pubblicato alla conferenza UNCED di Rio de Janeiro nel 1992. Per un catalogo completo delle carte del rischio di desertificazione prodotte a livello mondiale si veda Rubio e Recatalá (2005).

In Italia, a livello nazionale, il Comitato Nazionale per la Lotta alla Desertificazione (1998) ha realizzato una carta delle aree sensibili alla desertificazione elaborata in scala 1:1.250.000. Sono stati utilizzati come tematismi: l’indice di aridità (clima); l’indice pedoclimatico (suolo); l’uso del suolo (vegetazione); la variazione demografica 1981/1991 (pressione antropica). L’intento di questa cartografia era principalmente individuare i bacini idrografici da indagare a maggior dettaglio. Un’altra carta delle aree sensibili alla desertificazione in Italia è stata prodotta nell’ambito del progetto DISMED (2003) alla scala 1:1.250.000, combinando indici di qualità della vegetazione, del suolo e del clima. Tra le altre esperienze di elaborazione di indici di desertificazione a livello nazionale in ambito europeo è di particolare interesse quella realizzata in Portogallo da Pimenta et al. (1997) e in Italia da Vacca (2004).

A livello regionale si ricordano, fra gli altri, per la Sicilia: Carnemolla et al. (2001), per la Sardegna: Motroni et al. (2004), per la Puglia: Montanarella et al. (2000), per la Basilicata: Ferrara et al. (2005), per la Calabria: Iovino et al. (2005), per la Toscana: DESERTNET (2004). A livello di bacino un esempio è dato dallo studio di Basso et al. (1999), sviluppato nel bacino del fiume Agri nell’ambito del progetto Medalus.

Come si evince anche da un sommario esame degli elaborati cartografici prodotti negli studi menzionati, i risultati sono stati molto diversi e in alcuni casi contradditori; probabilmente a causa dei diversi livelli di dettaglio, banche dati e conoscenze utilizzate, più ancora che delle differenze di approccio metodologico.

(13)

1.2 Obiettivi progettuali

Il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ha incaricato nell’anno 2003 due istituti di ricerca afferenti al Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, l'Istituto Sperimentale per lo Studio e la Difesa del Suolo (ISSDS), attualmente parte del Consiglio per la Ricerca e sperimentazione in Agricoltura (CRA) e l'Istituto Nazionale di Economia Agraria (INEA) della preparazione di un Atlante del rischio di desertificazione in Italia ad un livello di dettaglio proprio della scala di riconoscimento. La richiesta era quella di un Atlante, non di una singola carta. L’attenzione è stata posta quindi sulla definizione di un insieme strutturato di indici ed indicatori che, a partire dalle banche dati esistenti, potessero costituire un sistema informativo in grado di supportare le attività del PAN attraverso una fotografia dello stato dell’ambiente in relazione al fenomeni connessi alla desertificazione. Come viene più estesamente riportato nei paragrafi successivi, la ricerca non ha realizzato un’analisi dei processi, né ha definito un indice unico di rischio di desertificazione, preferendo raggruppare gli indici e gli indicatori per sistemi di degradazione dei suoli chiaramente distinti fra loro, coerentemente con l’approccio metodologico adottato. L’eventuale definizione di criteri d’aggregazione per la produzione di una cartografia di sintesi funzionale a obiettivi specifici, laddove ritenuto utile, è stata lasciata agli utenti dell’Atlante. La ricerca, nonostante i vincoli posti dai tempi progettuali (meno di due anni) e dall’esistenza e reperibilità dei dati, ha cercato di sviluppare un approccio innovativo perché, come affermato da Rubio e Recatalá (2005), c’è ancora bisogno di nuove metodologie per valutare adeguatamente i fattori, le cause e gli effetti dei processi di desertificazione nel contesto europeo.

È da sottolineare che le cartografie realizzate, pur se mostrano un dettaglio in qualche caso rilevante, sono sempre relative ad una indagine effettuata nel complesso ad un livello assimilabile alla scala di riconoscimento, che ha bisogno quindi di una validazione locale. Come sottolineato da Van deer Knijff et al. (1999), una validazione scientifica a queste scale di riferimento è molto difficile. Per questo motivo l’Atlante è corredato di un catalogo fotografico di situazioni di aree desertificate, sensibili e vulnerabili, realizzato con la collaborazione degli esperti regionali, che potrà fornire utili elementi di giudizio sulle relazioni causa - effetto dei diversi sistemi di degradazione del suolo agenti sul territorio.

In sintesi, se l’Atlante non rappresenta un’analisi esaustiva dei fenomeni legati alla desertificazione, mancando uno studio approfondito dei processi di desertificazione e della loro evoluzione temporale, offre un contributo concreto alla conoscenza della reale diffusione delle forme di desertificazione in Italia.

(14)
(15)

2.

M

ATERIALI E

M

ETODI

2.1 Impostazione concettuale: aree a sterilità funzionale,

vulnerabili e sensibili

Il concetto generale di degradazione delle terre, che si relaziona alla diminuzione di una o più qualità del suolo, deve essere distinto da quello di desertificazione, che è un tipo particolare di degradazione delle terre in uno specifico ambito climatico. La desertificazione implica la perdita sostanzialmente irreversibile della possibilità di una produzione agricola e forestale economicamente o ecologicamente sostenibile. Un’area desertificata potrebbe essere coltivata, ma l'input economico e sociale necessario sarebbe così alto che difficilmente potrebbe essere messo in pratica. Essa è caratterizzata quindi da "sterilità funzionale". Si definisce quindi l’area desertificata come area a sterilità funzionale agro-silvo-pastorale in ambiente arido, semi-arido o sub-umido secco.

Il livello di input economico e sociale a cui corrisponde l’abbandono delle terre può variare da Paese a Paese, da regione a regione e nel tempo, secondo il livello di sviluppo economico e la consapevolezza ambientale della popolazione. Storicamente, l’area desertificata corrisponde a quanto gli antichi egizi indicavano con la parola “deshret", cioè suolo sterile di colore rosso, che si contrappone a "kemet", suolo fertile del Nilo, di colore nero.

Una valutazione adeguata delle aree desertificate dovrebbe essere fondata su un inventario di situazioni locali prese come riferimento, che mostri chiaramente le condizioni e i processi di desertificazione in corso. Facendo riferimento ad un sistema di valutazione molto conosciuto, quello della “capacità d’uso delle terre” (Land Capability, Klingebiel e Montgomery, 1961), i suoli con sterilità funzionale appartengono all'ultima classe, l'ottava, sono cioè le terre che vengono usualmente lasciate incolte e utilizzate soltanto per scopi ecologici.

Nell’Atlante viene illustrato il fenomeno della desertificazione in Italia facendo riferimento alle aree che risultano funzionalmente sterili, vulnerabili o sensibili. Il concetto di area a sterilità funzionale non entra nel merito di stabilire se la sterilità funzionale è stata causata da un processo naturale o antropico, attuale o passato, ma si richiama alla definizione dell’UNCCD di degrado delle terre come “diminuzione o scomparsa […] della produttività biologica o economica” (UNCCD, 1996). D’altra parte, l’obiettivo progettuale era proprio quello di fornire al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare una prima versione di banche dati organizzate a livello nazionale per alcuni indicatori e indici utili a stimare i rischi di desertificazione, non un’analisi dei processi, la cui comprensione richiede un complesso studio a livello locale (bacino idrografico) ed un approccio multi-temporale (UNCCD, 2003).

Un’area a rischio di sterilità funzionale è un territorio che è vulnerabile o sensibile ai processi di forte ed irreversibile degradazione del suolo. In un’area vulnerabile, le caratteristiche dei suoli sono vicine a quelle dell’area a sterilità funzionale, ma alcuni fattori, per esempio la copertura della vegetazione o l'irrigazione, attenuano con successo il processo di desertificazione. D'altra parte, una terra sensibile è una superficie in cui il processo che conduce alla desertificazione è attivo, anche se il suolo non ha ancora sterilità funzionale1. Da notare che alcuni processi di degradazione anche severa del suolo, quali i

livellamenti e i movimenti di terra operati per l’impianto di colture agricole specializzate, in particolare i vigneti in collina, non sono da considerarsi processi di desertificazione, in quanto la funzionalità del suolo permane, anche se diminuisce la sua capacità d’uso (Costantini et al., 2004a; Sequi e Vianello, 1998).

1 Questa impostazione concettuale e metodologica è stata ripresa anche nel progetto “Risorse forestali e rischio di

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Figura 2 - Esempio dei concetti di area “sterile”, area “sensibile” e area “vulnerabile”. Nella foto, relativa ad un comprensorio calanchivo dell’Italia centrale, le aree sterili sono costituite dai versanti denudati e non coltivati, le aree sensibili sono le aree coltivate soggette ad intensi ed attivi fenomeni di erosione, le aree vulnerabili sono quelle protette dalla vegetazione arborea.

Figura 3 - Particolare di aree sensibili (aree coltivate, con suoli sottili e in pendenza e fenomeni di erosione di tipo rills e gullies) e vulnerabili (aree boscate) alla sterilità funzionale in Italia centrale. Sullo sfondo, la presenza di piccole aree calanchive già sterili testimonia la fragilità complessiva del territorio.

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Figura 4 – Esempio di suolo degradato, ma non sterile in Italia centrale. Vi sono asportazioni di suolo per oltre due metri di spessore in livellamenti operati per l’impianto di vigneti. La risorsa suolo viene gravemente degradata e la sua capacità d’uso limitata, ma non vi è sterilità funzionale.

L’obiettivo è distinguere chiaramente e il più oggettivamente possibile: i) le aree sterili, ii) le aree che, pur non essendo ancora sterili, appaiono in una fase di attiva forte degradazione o sono fortemente minacciate (aree sensibili), iii) le aree che hanno condizioni ambientali tali da portare alla loro sterilità se i fattori di equilibrio cambiano o vengono perturbati (aree vulnerabili). In una certa misura, queste tipologie richiamano le classi critica, fragile e potenziale definite per le ESAs (Kosmas et al., 1999).

2.2 Il modello di valutazione

Nella scelta del modello di valutazione si è ritenuto che anche per l’Italia valesse quanto espresso da Middleton e Thomas (1997) per molti Paesi, e cioè che le banche dati disponibili per i modelli sono ancora inadeguate a fornire una informazione realistica sull’estensione e severità dei processi di desertificazione a livello nazionale, anche per la mancanza di adeguate metodologie per la valutazione integrata delle interazioni e implicazioni delle attività socio-economiche sui processi biofisici (Rubio e Recatalá, 2005). Questo significa che, volendo seguire una metodologia fondamentalmente deduttiva, cioè basata sulle evidenze fattuali, è preferibile concentrarsi sull’analisi dello stato dell’ambiente, più che dei processi, studiando l’impatto delle pressioni essenzialmente a partire dall’analisi dello stato stesso dell’ambiente.

Come scrivono Eswaran e Reich (1998), se da una parte vi è una certa comprensione delle cause ed effetti dei processi che conducono alla desertificazione, non è ancora possibile distinguere chiaramente i processi dovuti a pressioni diverse, in particolare naturali o antropiche. I cambiamenti climatici, ad esempio, sono allo stesso tempo causa ed effetto della degradazione del suolo. In FAO (2004), nell’ambito del progetto Soil Degradation Assessment (SODA, www.soda-project.com), viene sottolineato come molti indicatori possono essere considerati al tempo stesso determinanti (driving forces) o pressioni, impatti o risposte.

Il modello più diffuso per la valutazione del rischio di desertificazione in ambiente mediterraneo è l’approccio ESAs, sviluppato nell’ambito del progetto MEDALUS (MEditerranean Desertification And

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Land Use, Kosmas et al., 1999), che ha il grande pregio di essere chiaramente standardizzato e adattabile alla disponibilità di dati. Il modello ESAs definisce un concetto di qualità ambientale rappresentata da diverse componenti: suolo, clima, vegetazione e gestione del territorio. Per ognuna di queste componenti, che rappresentano degli ambiti tematici omogenei, vengono identificati indicatori significativi per spiegare i processi di desertificazione. Gli indicatori vengono riclassificati, combinati tramite un sistema di pesi e ad ogni classe viene attribuito un valore di “qualità ambientale”. L’insieme degli indici tematici viene infine raggruppato attribuendo ad ognuno di essi un peso, per ottenere un indice sintetico detto ESAI. Questo indice viene a sua volta riclassificato per esprimere i diversi livelli di rischio: critico, fragile, potenziale, non minacciato (per ulteriori dettagli metodologici si veda nel presente manuale il capitolo sulla esperienza regionale della Sardegna).

La metodologia adottata per l’Atlante invece utilizza come criterio guida la ricerca delle evidenze della realtà fattuale che testimonino dell’avvenuta sterilità funzionale o dei processi che possono portare ad una più o meno imminente degradazione irreversibile. Come si è detto, infatti, la desertificazione è il risultato delle complesse interazioni fra le forze trainanti nella loro dimensione a lungo termine, per cui risulta più opportuno monitorare lo stato dell’ambiente piuttosto che definire dei modelli predittivi (UNCCD, 2003). La valutazione dell’impatto delle pressioni avviene a partire dall’analisi dello stato dell’ambiente, espressione dell’azione esercitata dall’insieme delle pressioni.

La metodologia scelta nella realizzazione del presente Atlante si basa sulla struttura d’analisi dei processi denominata DPSIR (Determinanti, Pressioni, Stato, Impatto, Risposta), applicata anche in Italia per i processi di degradazione del suolo che possono condurre alla desertificazione (Gentile, 1999; Vacca e Marrone, 2004). Lo schema DPSIR può essere usato come riferimento per la sistemizzazione tipologica dei fenomeni di desertificazione, dove le conoscenze sui problemi non sono omogenee fra le diverse regioni (Vacca, 2004). L’organizzazione di indici ed indicatori secondo questo schema, in riferimento ad una specifica scala spaziale, aumenta l’efficacia dell’informazione fornita e ne facilita la comprensione e la comunicazione (Corona et al, 2006).

Nell’Atlante sono rappresentati separatamente i singoli indicatori di pressione, stato e risposta organizzati secondo il modello DPSIR, il cui significato in termini di impatto sui fenomeni di desertificazione è sintetizzato da un insieme di indici che individuano, a livello nazionale, le aree attualmente a sterilità funzionale e quelle che, per i processi climatici ed antropici in corso, sono maggiormente a rischio di sterilità. La codifica degli indicatori di pressione, stato e risposta, in indici di impatto permette ai decisori di individuare direttamente le aree dove intervenire con misure di prevenzione e mitigazione specifiche. In altre parole, si è inteso l’Atlante come un primo passo per creare un sistema informativo per analizzare il fenomeno della desertificazione a livello nazionale, per identificare aree da analizzare a maggior dettaglio e dove intervenire, in prima approssimazione, con misure di prevenzione e mitigazione.

Nel modello DPSIR (tabelle 1a e 1b), le terre a sterilità funzionale, vulnerabili o sensibili sono considerate classi d’impatto delle pressioni sull'ambiente. I determinanti della sterilità funzionale sono le caratteristiche ambientali e antropiche che regolano le pressioni, vale a dire il clima, la geologia e geomorfologia, la pressione umana nelle sue diverse forme (vedi anche Enne e Zucca, 2000). Gli indicatori di pressione considerati sono le aree urbanizzate e le infrastrutture principali, il pascolamento e le aree incendiate, che possono avere come impatto l’aggravamento del rischio o costituire di per sé evidenze d’avvenuto degrado del suolo. Gli indicatori di stato esprimono lo stato dell’ambiente che riflette a sua volta il livello di avanzamento in Italia nei processi di desertificazione, come erosione del suolo, aridità e salinizzazione. Come già sottolineato, è principalmente a partire dall’analisi degli indicatori di stato che si sono valutati indirettamente molti degli impatti delle pressioni esercitate sull’ambiente. Gli indicatori di risposta sono le misure poste in essere in Italia per combattere queste pressioni. In particolare, le misure agroambientali, di pianificazione territoriale e di gestione irrigua, che possono mitigare il rischio di degradazione del suolo e la riduzione della sua funzionalità.

Tutti gli indicatori sono organizzati ed aggregati per sistema di degradazione del suolo (vedi anche Kosmas et al., 1999, e Vacca, 2004), in modo da fornire una serie di indici di impatto. Sono considerati cinque sistemi di degradazione del suolo che possono portare alla sterilità funzionale agricola e forestale: l’erosione del suolo, la salinizzazione, l’urbanizzazione, l’aridità, la copertura per deposizione. Non è trattato un importante processo, l’inquinamento, per mancanza di dati uniformi e diffusi sul territorio nazionale. Sono invece considerate le perdite di suolo per deposizioni laviche recenti e alluvioni, anche se risultano interessare molto marginalmente l’area in studio e costituiscono processi prevalentemente riconducibili a cause naturali, sui cui difficilmente si può intervenire con azioni di prevenzione e mitigazione. L'urbanizzazione, infine, è valutata come un processo di desertificazione, in quanto induce la

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perdita irreversibile della funzionalità agricola e forestale, anche se il suolo acquista altre funzioni (Aru, 2001; Comitato Nazionale per la Lotta alla Desertificazione, 1999).

L’approccio metodologico utilizzato si differenzia quindi sostanzialmente rispetto a quello ESAs di aggregazione per “ambiti tematici”, cioè qualità del clima, suolo, vegetazione e gestione del territorio, che in definitiva impedisce al lettore di cogliere le reali interazioni fra gli indicatori nella ricerca di evidenze del rischio di desertificazione.

Nell’Atlante indicatori appartenenti ad ambiti tematici diversi sono stati raggruppati fra loro per fini funzionali, senza essere messi necessariamente in relazione ad altri dello stesso ambito tematico, ma non attivi nello stesso sistema di degrado. Ad esempio, pendenza, copertura della vegetazione e pressione di pascolamento sono state messe insieme per valutare il rischio di erosione del suolo, mentre per definire il rischio potenziale di salinizzazione, la quota è stata combinata con la distanza dal mare e la presenza di litotipi salini, ma non ha interagito con pendenza e copertura del suolo.

Questo approccio è particolarmente importante nella definizione degli effetti mitiganti e aggravanti il rischio, che sono specifici di un sistema di degrado e non incidono sugli altri. Ad esempio, la pressione di pascolamento è una pressione che aggrava il rischio di erosione, ma non interagisce con la salinizzazione o l’urbanizzazione. Analogamente, il concetto di sterilità funzionale associato alle classi vulnerabili, sensibili e desertificata, che fanno riferimento a situazioni concrete e distinte, difficilmente può essere applicato ad un indice sintetico elaborato tramite aggregazione pesata di tutti gli indicatori stimati su base qualitativa, come propone il modello ESAs. Con questo modello risulta quindi difficile associare ad ogni valore (o intervallo di valori) dell’indice sintetico di desertificazione una descrizione chiara e univoca dello stato dell’ambiente, come era invece nelle finalità dell’Atlante.

È importante sottolineare che i due approcci non sono necessariamente in contrasto tra loro, ma possono essere considerati complementari sia come uscita cartografica, la metodologia ESAs punta soprattutto alla realizzazione di una carta di sintesi, non di un atlante, sia per il livello di dettaglio, la metodologia ESAs infatti è stata sviluppata per una scala di riferimento locale o regionale, dove il rapporto tra qualità dei fattori ambientali e processo di desertificazione è maggiormente conosciuto (Kosmas et al., 1999).

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Tabella 1a - Il modello DPSIR e gli indici di rischio di desertificazione utilizzati (sistemi di degradazione del suolo: erosione idrica e aridità).

Sistema di degradazione del suolo: denudamento per erosione idrica

DETERMINANTI PRESSIONI INDICATORI DI PRESSIONE, STATO E RISPOSTA INDICI DI IMPATTO

Indicatore di pressione Pascolamento Terre sensibili o aggravamento del rischio Indicatore di pressione Aree incendiate Aggravamento del rischio

Indicatore di stato Pendenza

Indicatore di stato Profondità radicabile Terre vulnerabili

Indicatore di stato Presenza di fenomeni di erosione Terre sensibili o aggravamento del rischio

Indicatore di stato Copertura vegetale (NDVI) Terre sterili e sensibili, o aggravamento o mitigazione del rischio

Indicatore di risposta Aree protette Mitigazione del rischio Clima, agricoltura,

pastorizia e selvicoltura, altre azioni dell’uomo

Aggressività climatica, incendi, gestione del suolo

Indicatore di risposta Misure agro-ambientali Mitigazione del rischio

Sistema di degradazione del suolo: aridità

DETERMINANTI PRESSIONI INDICATORI DI PRESSIONE, STATO E RISPOSTA INDICI DI IMPATTO

Indicatore di stato Regioni climatiche

Indicatore di stato Aridità

Indicatore di stato Regimi di temperature e umidità del suolo

Terre ad aridità potenziale (livello nazionale)

Indicatore di stato Numero medio annuale di giorni in cui il suolo è secco Terre ad aridità potenziale (livello regionale) Clima Precipitazione ed evapotraspirazione

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Sistema di degradazione del suolo: salinizzazione

DETERMINANTI PRESSIONI INDICATORI DI PRESSIONE, STATO E RISPOSTA INDICI DI IMPATTO

Indicatore di stato Distanza dal mare

Indicatore di stato Quota

Gestione dell’acqua

Eccessivo

emungimento degli acquiferi costieri e in aree su litotipi salini, irrigazione con

acque saline Indicatore di stato Litotipi salini

Terre vulnerabili

Sistema di degradazione del suolo: urbanizzazione

DETERMINANTI PRESSIONI INDICATORI DI PRESSIONE, STATO E RISPOSTA INDICI DI IMPATTO

Incremento demografico, espansione urbana, mobilità, sviluppo di aree industriali

Urbanizzazione Indicatore di stato Aree urbane e infrastrutture principali Terre sterili

Sistema di degradazione del suolo: copertura del suolo per deposizione

DETERMINANTI PRESSIONI INDICATORI DI PRESSIONE, STATO E RISPOSTA INDICI DI IMPATTO

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EROSIONE Incendi

EROSIONE Pascolamento

EROSIONE

Suoli sottili su forti pendenze

EROSIONE Analisi NDVI aree naturali

EROSIONE Aree protette

EROSIONE

Misure agroambientali su seminativo

EROSIONE

Misure agroambientali su pascolo

URBANIZZAZIONE Aree urbane e infrastrutture

ARIDITÀ

Aridità A

RIDITÀ

Aree irrigue S

ALINIZZAZIONE

Acquiferi potenzialmente salini D

EPOSIZIONE Deposizioni laviche recenti

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2.3 Scelta degli indicatori e indici di stato, impatto e risposta

Al livello di dettaglio richiesto dal progetto, la scelta degli indicatori è stata fatta considerando in primo luogo i parametri suggeriti dalle precedenti esperienze internazionali, nazionali e regionali riportate in letteratura (FAO, 2004; Enne e Zucca, 2000; Motroni et al., 2003; Brandt et al., 2003). Un indicatore è un parametro la cui funzione è sintetizzare e comunicare le informazioni rilevanti per la valutazione di un fenomeno in modo trasparente e inequivocabile. Un indicatore è quindi il risultato di un processo che, a partire da misure ed osservazioni, permette di ottenere informazioni consistenti e coerenti su un fenomeno utili per diversi tipi di utilizzatori. Gli indicatori generalmente semplificano la realtà per rendere quantificabili processi complessi (European Environment Agency, 2005). Gli indici rappresentano un insieme di dati aggregati o pesati, più adatti a fungere da strumenti operativi nelle mani dei decisori. Gli indicatori e gli indici devono soddisfare alcuni requisiti essenziali: devono basarsi su solide acquisizioni scientifiche; devono rappresentare un aspetto fondamentale della tematica in esame; il numero di indicatori deve essere limitato e rappresentativo del sistema; deve essere stabilito un insieme minimo di indicatori standardizzati in relazione alle azioni di intervento a vari livelli territoriali; il costo della raccolta ed elaborazione di dati deve costituire un criterio nella scelta degli indicatori; gli indicatori devono essere misurati con facilità ed espressi come valori numerici. In sintesi, gli indicatori devono essere facilmente identificabili, fornire una visione sintetica dello stato della degradazione del sistema, essere utili nel processo decisionale (Comitato Nazionale per la Lotta alla Desertificazione, 1999). La Convenzione delle Nazione Unite per la lotta Contro la Desertificazione individua negli indicatori lo strumento tecnico per stimare, valutare, monitorare e rappresentare cartograficamente la dimensione del fenomeno.

Seguendo l’impostazione metodologica descritta, gli indicatori e gli indici utilizzati, in riferimento al modello DPSIR, sono relativi a pressioni, stato, impatti e risposte, più che ai determinanti. La difficoltà maggiore nella scelta degli indicatori e degli indici per l’Atlante è risultata dal contrasto fra l’estensione dell’area geografica (il territorio nazionale, o comunque tutta la porzione del territorio potenzialmente affetta) e il dettaglio informativo richiesto dalla ricerca. Se da una parte l’estensione dell’area di studio implicava la scelta di quelli definiti da Kosmas et al. (1999) come “Indicatori Regionali”, sulla cui base possono essere selezionate aree da indagare eventualmente a maggior dettaglio, la scala di riferimento dell’Atlante 1:250.000 (che è arrivata per molti indicatori al dettaglio della scala di riferimento 1:100.000) richiedeva banche dati di dettaglio tipicamente regionale o addirittura locale. Di queste era difficile avere una copertura nazionale, sia per la mancanza di dati in alcune regioni, sia perché le banche dati regionali non sempre sono coerenti fra di loro e risulta quindi complesso armonizzare le informazioni. A questo si aggiungeva la difficoltà di definire un modello di valutazione unico per tutto il territorio, dove i sistemi di degradazione dei suoli che generano il rischio di desertificazione hanno cause e caratteristiche fortemente locali. Queste condizioni hanno limitato l’effettivo utilizzo degli indicatori presenti in letteratura alla possibilità concreta di disporre, recuperare e armonizzare con i tempi e i mezzi a disposizione le basi di dati specifiche per tutta l’area d’indagine, al livello di dettaglio geometrico, semantico e qualitativo richiesto. Gli indicatori e gli indici scelti sono quelli ritenuti, di concerto con gli esperti regionali, di maggior significato nel descrivere i processi di desertificazione al livello di dettaglio prescelto, tenendo in considerazione i vincoli descritti.

2.3.1 Definizione dell’area di studio

Il primo passo nel processo di valutazione del rischio di desertificazione è stato la delimitazione della porzione del territorio nazionale a rischio potenziale di desertificazione e quindi da indagare a maggior dettaglio. Infatti è nelle zone aride, semi-aride e sub-umide secche che esiste un fragile equilibrio fra risorse ambientali e attività produttive che, se rotto, può portare rapidamente a situazioni di degrado anche non reversibili dei suoli con conseguenze sull’uomo e sull’ambiente. Ciò è stato fatto su base climatica e pedoclimatica. Gli indicatori usati sono stati l’indice di aridità (rapporto tra piogge medie annuali ed evapotraspirazione potenziale secondo Hearthgraves), i regimi pedoclimatici secondo la Soil Taxonomy (Soil Survey Staff, 1999) e le regioni climatiche d'Italia (Finke et al., 1998; Righini et al., 2001, Costantini et al., 2004b). Sono stati considerati i regimi pedoclimatici perché il suolo è capace di immagazzinare acqua e attenuare le escursioni di temperatura e il rischio di aridità nella zona radicale. I regimi di umidità del suolo ustico, xerico, xerico secco e aridico identificano infatti territori con diverso grado di deficit idrico

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potenziale. Inoltre, i suoli con regime di temperatura termico e ipertermico si riferiscono a terre con alte temperature nella zona radicale, che possono aumentare il tasso di decomposizione della materia organica, particolarmente negli usi agricoli. La delineazione geografica dell’area potenzialmente a rischio è stata fatta sulla base delle geometrie delle regioni climatiche. I dettagli metodologici sono riportati nei capitoli seguenti.

2.3.2 Sistema di degradazione del suolo: erosione idrica

Fra i sistemi di degradazione del suolo, l’erosione idrica è senza dubbio il più rilevante. Un elemento comune che associa molte aree soggette a desertificazione è la progressiva riduzione dello strato superficiale del suolo e della sua capacità produttiva. Questo fenomeno è legato alla storia dell’uso del suolo sia agricolo che extra-agricolo e si stima che negli ultimi decenni, con la modernizzazione dei sistemi produttivi, l’erosione abbia superato di 30 volte il tasso di erosione tollerabile (Pagliai, 2004; Pimentel, 1993). L’erosione, provocando la perdita dello strato fertile di suolo, degrada le terre coltivate, fino a renderle, nei casi estremi, improduttive. Oltre alla perdita di suolo, l’erosione crea notevoli problemi ambientali. I fertilizzanti e i pesticidi, utilizzati in modo massiccio, vengono asportati con le particelle del suolo creando un danno economico, di inquinamento e di distruzione degli habitat naturali. Le cause principali di tale erosione accelerata sono dovute essenzialmente ad un non corretto uso del suolo e non solo per finalità agricole. Effetti non trascurabili sono dovuti in parte anche ai cambiamenti climatici: sono sempre più frequenti, infatti, eventi piovosi notevoli concentrati in poco tempo che aumentano l’aggressività erosiva delle piogge.

Se negli ultimi decenni la copertura forestale del nostro Paese è aumentata, aumentando parallelamente la difesa del suolo dall’aggressività climatica, permangono molte situazioni, soprattutto nell’Italia centro meridionale, dove ad una scarsa copertura vegetale corrisponde un eccessivo sfruttamento dei pascoli. La presenza di pascolamento intenso è stato considerato un indice di sensibilità o di aggravamento del rischio di degradazione del suolo per erosione. Un altro ben noto indice di aggravamento del rischio di erosione del suolo è rappresentato dagli incendi forestali.

Sono stati previsti due indicatori di risposta: l’attuazione delle misure agroambientali previste dall’Unione Europea e la presenza di aree protette, sia a carattere nazionale che regionale, che dovrebbero costituire una mitigazione del rischio di erosione idrica del suolo e una limitazione dell’espansione urbana

Nelle nostre elaborazioni non sono state fatte distinzioni tra superfici denudate per cause antropiche o per cause naturali. In effetti, non conducendo un’analisi temporale dei processi, ma solo della situazione di fatto, non è stato possibile stabilire con certezza l’origine e l’epoca del denudamento. È noto, inoltre, che i cicli di denudamento e rigenerazione della copertura vegetale possono essere di natura e lunghezza molto complessa e di non facile discernimento.

2.3.3 Sistema di degradazione del suolo: salinizzazione

Nei suoli di alcune pianure costiere delle regioni d'Italia a clima sub-umido secco o semi-arido, in particolare Toscana, Sardegna, Sicilia, Puglia, Calabria e Basilicata, specialmente nelle zone più prossime al mare, vi sono alti tenori di sali più solubili del carbonato di calcio. L’aumento della salinità è dovuto alla risalita capillare ed all’utilizzo di acque ricche in sali, a causa del crescente fenomeno di intrusione di acque marine nei corpi acquiferi continentali, a sua volta determinato dal massiccio emungimento, spesso incontrollato, delle acque dolci sotterranee, ed a non corrette pratiche irrigue. Ciò può accompagnarsi a un’irrigazione con acque sempre più salate, soprattutto se le caratteristiche di permeabilità del substrato non consentono una spontanea perdita dei sali verso gli strati più profondi. Un drenaggio imperfetto, legato alla presenza di strati impermeabili, quali possono essere depositi argillosi lagunari, spesso presenti nel sottosuolo di terreni alluvionali costieri, causa il permanere, in prossimità della superficie, di acqua di scarsa qualità e la conseguente risalita capillare nella zona radicale. Inoltre, l’eliminazione o la riduzione dell’effetto tampone delle zone umide costiere sul cuneo salino ad opera della bonifica meccanica non opportunamente organizzata e monitorata può accelerare il processo di salinizzazione delle pianure costiere. Oltre alla penetrazione del cuneo salino dalle acque del mare, un’altra fonte di possibile contaminazione salina delle falde idriche superficiali è rappresentato dalla presenza di litotipi salini, quali quelli che appartengono alla serie “gessoso solfifera”, particolarmente diffusi in Sicilia.

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2.3.4 Sistema di degradazione del suolo: urbanizzazione

Una terza forma di perdita irreversibile della funzionalità produttiva ed ecologica del suolo, che può essere compresa nel concetto di desertificazione, è rappresentata dall’urbanizzazione, riferita anche come “sigillamento” o “impermeabilizzazione” (soil sealing). I consumi di suolo per l’aumento delle superfici occupate da strutture ed infrastrutture hanno raggiunto valori elevatissimi in alcune aree d’Italia, causando problemi di varia natura, tra cui l’aumento del rischio di alluvioni. Per citare alcuni dati, in Pianura Padana il 9,9% della superficie della regione pedologica è occupato da attività extra-agricole quali opere di urbanizzazione, cave e discariche, con massima concentrazione nell’alta pianura (12,5% della superficie) e sulle colline moreniche (16,9% della superficie). In Versilia e nelle pianure interne della Toscana, Umbria e Lazio il consumo di suolo per attività extra-agricole raggiunge il 10,6% della superficie. Nelle aree collinari vulcaniche dell'Italia centrale e meridionale, le attività extra-agricole coprono in media l’11,5% della superficie, ma superano il 50% nella provincia di Napoli (Costantini e Righini, 2002). L’urbanizzazione è considerata causa di perdita pressoché irreversibile della risorsa suolo anche nei casi in cui investa aree a sterilità funzionale. Le aree a sterilità funzionale agricolo-forestale, infatti, sono sempre aree a valenza ecosistemica importante, per cui la loro perdita è sempre una degradazione dell’ambiente. Peraltro, nella realtà fattuale le aree urbanizzate non si sovrappongono quasi mai a quelle a sterilità funzionale.

2.3.5 Sistema di degradazione del suolo: deposizione

Oltre all’urbanizzazione, si è evidenziata la copertura del suolo per deposizione a causa di eruzioni vulcaniche recenti. Le aree con inondazioni frequenti, invece, non sono state cartografate singolarmente, per il livello di dettaglio richiesto, ma rientrano nelle aree naturali scoperte e nei corpi idrici dell’analisi NDVI (Normalized Difference Vegetation Index). La perdita di suolo è in questi casi di carattere prevalentemente od esclusivamente naturale, ma rappresenta ugualmente un importante processo d’impoverimento della risorsa suolo per usi agricoli e silvopastorali

2.3.6 Sistema di degradazione del suolo: aridità

L’aridità è una condizione che indica una vulnerabilità potenziale, cioè un attributo predisponente al rischio di perdita di funzionalità del suolo per mancanza d’acqua utilizzabile per le piante. Per ottenere una valutazione più dettagliata dell’aridità potenziale, adeguata a livello regionale, è stato utilizzato come indicatore il numero medio annuale di giorni in cui la sezione di controllo del suolo è secca. Questo valore, calcolato tenendo il prato asciutto come coltura di riferimento, può essere utile per individuare le aree dove senza l’irrigazione non sono possibili la maggior parte delle colture estive; oppure dove le autunno-invernali, in particolare cerealicole, possono soffrire del fenomeno della “stretta”, cioè del mancato riempimento della cariosside a seguito della mancanza di acqua nella fase di formazione dell’amido. Sono queste le aree dove è tradizionalmente diffusa la pratica del maggese. Come indicatore di risposta è stata considerata la presenza di sistemi irrigui, che hanno un’azione mitigante l’aridità.

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Figura 6 – L’immagine satellitare dell’illuminazione notturna nel bacino del Mediterraneo (sensore DMSP/DMSP, NASA, 2000 - http://visibleearth.nasa.gov/view_rec.php?id=1438) fornisce un’idea della pressione per urbanizzazione. Come si può notare, a parte i principali agglomerati urbani, sono le aree costiere le più a rischio di perdita di suolo.

2.4 Descrizione delle banche dati utilizzate

La lotta alla desertificazione, così come la difesa dell’ambiente, si attua con una corretta utilizzazione della risorsa suolo la quale, è bene ricordarlo, nella generalità dei casi non è rinnovabile o lo è in tempi molto lunghi. Per questo è necessaria un’adeguata conoscenza di tale risorsa, ma tale conoscenza è purtroppo carente in Italia ove manca, ad esempio, un servizio del suolo nazionale. Lo stato delle conoscenze è particolarmente limitato per alcuni tipi di suolo, quali i suoli affetti da salinità (Dazzi, 2002), particolarmente soggetti alla desertificazione. Anche per l’Italia quindi vale quanto espresso da Middleton e Thomas (1997) per molti Paesi, e cioè che le banche dati disponibili sono ancora inadeguate a fornire una informazione realistica sull’estensione e severità dei processi di desertificazione a livello nazionale.

Attualmente, nell’ambito del Programma Interregionale “Agricoltura e Qualità” Misura 5 “Pedologia”, le regioni a statuto ordinario hanno ottenuto le risorse finanziare per la realizzazione della Carta dei Suoli d’Italia in scala 1:250.000. In questo ambito l’Istituto Sperimentale per lo Studio e la Difesa del Suolo ha coordinato il progetto “Metodologie Pedologiche” al fine di uniformare i criteri per la realizzazione di tale Carta dei suoli nazionale, e ha realizzato un Centro Nazionale di Cartografia Pedologica presso la Sede Centrale di Firenze, dove vengono raccolti ed armonizzati dati pedologici puntuali e cartografici. L’attività è tuttora in corso, nell’ambito del progetto “banca dati dei suoli d’Italia”, finanziato dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, tramite l’Osservatorio Nazionale Pedologico e per la Qualità del Suolo Agricolo e Forestale. Questa è sicuramente una buona base di partenza per individuare le aree più suscettibili al rischio di desertificazione e per realizzare una cartografia nazionale delle aree soggette a tale fenomeno.

Oltre alla banca dati pedologica del CRA-ISSDS, le banche dati tematiche principali utilizzate nel corso del progetto sono state quelle dell’uso del suolo e delle politiche agro-ambientali mantenute dall’INEA. Per l’uso del suolo e per le politiche agro-ambientali è stato possibile realizzare una copertura del territorio

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nazionale vasta e completa. Per i suoli i dati utilizzati, ancorché numerosi, non sono omogeneamente distribuiti sul territorio nazionale, lasciando scoperto circa il 20% delle aree di interesse. Nelle aree prive di informazione si è preferito lasciare l’indicazione di aree non descritte da dati esistenti piuttosto che utilizzare modelli geostatistici o predittivi impropri o non sufficientemente affidabili. Altre banche dati di grande rilevanza, quale ad esempio quella sugli incendi forestali, sono risultate non complete, o non omogenee per il territorio nazionale, oppure di difficile reperimento o non disponibili, o realizzate a livelli di dettaglio diversi, oppure con metodologie non standardizzate.

In questo testo viene presentata una sintesi della descrizione delle banche dati utilizzate e delle elaborazioni effettuate. Per una trattazione completa di questi argomenti si rimanda alla relazione finale del progetto consegnata al Ministero dell’Ambiente (Costantini et al., 2005a).

Tecnicamente, il progetto è stato realizzato utilizzando una piattaforma software costituta da ArcGIS (ESRI) per la gestione dei dati vettoriali, il collegamento con le banche dati non geografiche e la produzione degli output cartografici, ERDAS Image e GRASS per l’elaborazione di dati telerilevati da satellite e MS Access per l’archiviazione e l’analisi dei dati pedologici puntuali. Ad ogni strato informativo è stato associato un metadata secondo lo standard ISO 19115.

2.4.1 Banche dati pedologiche

La conoscenza del suolo è l’elemento chiave per l’identificazione delle aree soggette a sterilità funzionale e per la comprensione dei processi di degrado delle terre. In Italia non esiste un servizio pedologico nazionale e questo rende molto complessa la valutazione delle caratteristiche del suolo su tutta l’area di studio del progetto. In altri progetti relativi allo studio del rischio di desertificazione si è scelto di parametrizzare le classi tipologiche di suolo indicate nelle cartografie pedologiche tradizionali (dalla scala 1:1.000.000 fino alla scala 1:25.000, a seconda della disponibilità e dell’estensione dell’area analizzata) per ognuna delle caratteristiche funzionali del suolo per il rischio di desertificazione (acqua disponibile, spessore, contenuto di argilla, sostanza organica, ecc). Si è utilizzata quindi una categoria tassonomica, anziché dei reali profili di suolo, per ricavare dei parametri funzionali. L’approccio innovativo adottato utilizza invece come riferimento la banca dati dei suoli tenuta dal Centro Nazionale di Cartografia Pedologica presso l’Istituto Sperimentale per lo Studio e la Difesa del Suolo di Firenze, dove sono raccolti ed armonizzati dati sui suoli di tutta Italia, siano essi informazioni puntuali od organizzati all’interno di cartografie pedologiche. La banca dati, all’epoca della realizzazione dell’Atlante, conteneva 27.300 osservazioni (prevalentemente profili e pozzetti pedologici e, marginalmente, altre osservazioni speditive), delle quali 19.080 ricadevano nell’area di studio. Poiché per la valutazione del rischio di desertificazione i fattori pedologici devono essere rappresentati da una distribuzione continua nello spazio, si è dovuto ricercare il metodo di spazializzazione più idoneo agli obiettivi progettuali e alla disponibilità di dati. Per ottenere questo tipo di distribuzione a partire dalle informazioni puntuali si possono impiegare diversi metodi che afferiscono al campo della statistica applicata e che hanno lo scopo di stimare il più fedelmente possibile, a partire dai valori noti della variabile in alcune posizioni, i valori incogniti della stessa variabile in tutta l’area d’interesse. Questo tipo di procedura è denominato “spazializzazione”. Le tecniche di spazializzazione si distinguono secondo l’algoritmo di calcolo usato. In questo progetto, i dati pedologici puntuali sono stati spazializzati con un modello predittivo basato sul paradigma suolo (Hudson, 1992), che si appoggia sugli elementi poligonali dei sottosistemi di terre come unità geografiche di riferimento. Questo approccio è largamente condiviso nella ricerca attuale a livello internazionale per quanto riguarda lo studio dei metodi di cartografia numerica delle relazioni fra il suolo e l’ambiente (Mc Bratney et al., 2003).

Avendo scelto di effettuare le nostre valutazioni utilizzando solo dati relativi a profili e pozzetti, descritti ed analizzati, presenti in banca dati, è risultato che circa il 20% del territorio in studio non è al momento coperto da informazioni pedologiche e risulta quindi non valutato per i fattori pedologici.

2.4.1.1 La banca dati delle osservazioni puntuali

I dati pedologici utilizzati nel progetto sono ricavati dalla banca dati nazionale dei suoli d’Italia, creata, gestita e aggiornata dal Centro Nazionale di Cartografia Pedologica in collaborazione con i servizi pedologici regionali ed altri istituti di ricerca. Il CNCP raccoglie dati sui suoli in forma di profili, trivellate e pozzetti realizzati in tutta Italia da amministrazioni pubbliche, enti, istituti di ricerca, università e ditte private. Le osservazioni pedologiche sono armonizzate ed informatizzate nella banca dati gestita da

Figura

Figura 2 - Esempio dei concetti di area “sterile”, area “sensibile” e area “vulnerabile”
Figura 4 – Esempio di suolo degradato, ma non sterile in Italia centrale. Vi sono asportazioni di suolo per oltre due  metri di spessore in livellamenti operati per l’impianto di vigneti
Tabella 1a - Il modello DPSIR e gli indici di rischio di desertificazione utilizzati (sistemi di degradazione del suolo: erosione idrica e aridità)
Figura 5 – Quadro sinottico delle elaborazioni nazionali degli indici di impatto per sistema di degradazione del suolo
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