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Outcomes a breve termine dell'emicolectomia destra laparoscopica per cancro: anastomosi intra- versus extra- corporea.

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell'Area

Critica

Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in

Medicina e Chirurgia

______________________________________________________________________________

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN MEDICINA E

CHIRURGIA

TESI DI LAUREA

“OUTCOMES A BREVE TERMINE DELL’EMICOLECTOMIA

DESTRA LAPAROSCOPICA PER CANCRO:ANASTOMOSI INTRA-

versus EXTRA-CORPOREA”

RELATORE CANDIDATO

Chiar.mo Prof. Piero Buccianti Vito Fabio Asta

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SOMMARIO ...

RIASSUNTO………..5

CAPITOLO UNO: IL CARCINOMA DEL COLON-RETTO 1.1EPIDEMIOLOGIA .... ………9

1.2EZIOLOGIAEFATTORIDIRISCHIO ... 11

1.3BIOLOGIAMOLECOLARE ... 14

1.4ANATOMIAPATOLOGICAEVIEDIDIFFUSIONE ... 17

1.5 CLINICA ... 21

1.6 DIAGNOSI ... 22

1.7 STADIAZIONE ... 24

1.8 PROGNOSI ... 26

CAPITOLO DUE: CHIRURGIA 2.1 ANATOMIA CHIRURGICA DEL COLON DESTRO ... 29

2.2LALAPAROSCOPIA ... 37

2.3 L’EMICOLECTOMIA DESTRA LAPAROSCOPICA ... 40

CAPITOLO TRE: OUTCOMES A BREVE TERMINE DELL’EMICOLECTOMIA DESTRA LAPAROSCOPICA PER CANCRO: ANASTOMOSI INTRA- VERSUS EXTRA-CORPOREA 3.1 INTRODUZIONE ... 49 3.2 MATERIALI E METODI ... 50 3.3 ANALISI STATISTICA... 50 3.4 RISULTATI ... 51 3.5DISCUSSIONI ... 55 3.6 CONCLUSIONI ... 61 BIBLIOGRAFIA...62

(4)

A chi mi è stato vicino

e ha sempre creduto in me.

(5)

RIASSUNTO

Background: il carcinoma del colon-retto è la quarta forma di neoplasia a livello mondiale e

rappresenta quindi un’importante causa di mortalità e morbidità. La chirurgia laparoscopica rappresenta oggi il gold standard per il trattamento delle patologie benigne e maligne colorettali. All’interno della comunità scientifica internazionale esiste, attualmente, un vero e

proprio dibattito sul tipo di anastomosi ileo-colica da utilizzare al termine di un emicolectomia destra laparoscopica: extracorporea o intracorporea. Oggi, la tecnica più utilizzata è quella di anastomosi extracorporea caratterizzata da maggiore mobilizzazione del colon, maggiore trazione sul mesentere e estrinsecazione dell’ileo terminale e del colon destro attraverso un’incisione chirurgica più ampia rispetto a quella dell’anastomosi intracorporea e localizzata

nei quadranti medio-superiori dell’addome. L’emicolectomia destra laparoscopica con anastomosi intracorporea, tuttavia, viene utilizzata oggi in maniera crescente nonostante richieda una maggiore esperienza chirurgica: sembrerebbe caratterizzata da una minore invasività e potrebbe, quindi, essere associata ad un minor tasso di complicanze a breve e lungo termine.

Scopo: confrontare l’anastomosi intracorporea e l’anastomosi extracorporea nell’emicolectomia destra laparoscopica per cancro per quanto concerne l’outcome a breve termine.

Materiali e metodi: Abbiamo analizzato retrospettivamente i dati di tutti i pazienti sottoposti

consecutivamente da Gennaio 2015 a Marzo 2017 ad emicolectomia destra laparoscopica per cancro, presso la U.O. Chirurgia Generale S.S.N. dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana (A.O.U.P.). Tutti i pazienti sono stati stadiati con pan-colonscopia e TC torace-addome. Abbiamo escluso dal nostro studio tutti quei pazienti trattati con emicolectomia destra open e con emicolectomia destra laparoscopica con anastomosi extracorporea manuale; allo stesso

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modo abbiamo escluso le resezioni palliative (per tumori metastatici o infiltranti gli organi limitrofi) o i pazienti con patologia oncologica sincrona.

Alla fine della selezione, il nostro campione era costituito da un totale di 69 pazienti, di cui 31 (44.9%) trattati con anastomosi intracorporea (AI) e 38 (55.1%) con anastomosi extracorporea (AE).

Risultati: il nostro campione risulta omogeneo in termini di parametri anagrafici (sesso, BMI,

ASA, precedenti interventi chirurgici sull’addome), parametri clinici (decorso post-operatorio, ripresa della canalizzazione, numero di pazienti trasfusi), parametri anatomo-patologici (numero di linfonodi, margini prossimali e distali, staging e grading), durata media dell’intervento (204.45±68.25 minuti per le AE vs 232.65±69.02 minuti per le AI) e complicanze mediche e chirurgiche a breve termine; l’unica differenza statisticamente significativa è quella relativa all’età dei pazienti al momento dell’intervento (AI 67.77±11.34 vs AE 73.50±10.34 con P*< .032).

Conclusioni: l’anastomosi intracorporea rappresenta un’alternativa valida e sicura

all’anastomosi extracorporea per il ripristino della continuità intestinale nell’emicolectomia destra laparoscopica per cancro, senza tuttavia mostrare differenze in termini di short-term outcome.

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CAPITOLO UNO

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1.1 EPIDEMIOLOGIA

Il carcinoma del colon è la più comune neoplasia maligna del tratto gastrointestinale e rappresenta un’importante causa di morbilità e mortalità in tutto il mondo. Dal punto di vista clinico ed epidemiologico i tumori del colon si mantengono distinti da quelli del retto in quanto mostrano incidenza e mortalità diverse. Ciò suggerisce che i due tumori possano avere cause correlate, ma non completamente identiche, e caratteristiche biologiche diverse. Il carcinoma del colon-retto (CRC) è la quarta neoplasia per frequenza nel mondo, rappresenta infatti il terzo tumore più comune negli uomini (746.000 casi, il 10% del totale) e il secondo

nelle donne (614.000 casi, il 9.2% del totale)1. In Italia sono oltre 427.000 i pazienti con

pregressa diagnosi di carcinoma del colon- retto (53% maschi), al secondo posto tra tutti i tumori e pari al 14% di tutti i pazienti oncologici. In linea con la tendenza mondiale, in Italia, la maggior parte di queste persone si concentra nelle fasce d’età più avanzate, con una proporzione, oltre i 75 anni di età di 2.914 casi ogni 100.000 abitanti, doppia rispetto alla fascia 60-74 anni e di 8-10 volte maggiore di quella 45-59. Notevoli differenze si registrano tra le regioni del Nord e del Centro Italia (rispettivamente 730/100.000 nel NO, 714 nel NE, 671 nel Centro) rispetto al Sud (413/100.000 )Dati AIRT 2016.

Quasi il 55% dei casi si verifica nelle aree del mondo più sviluppate. Esistono diverse variazioni geografiche di incidenza in tutto il mondo e gli schemi geografici sono molto simili tra uomini e donne: i tassi di incidenza nelle varie regioni del mondo variano di 10 volte in entrambi i sessi e le stime più alte si registrano in Australia / Nuova Zelanda ( 44.8 e 32.2 per 100.000 in uomini e donne rispettivamente) mentre le più basse in Africa occidentale (4.5 e

3.8 per 100.000)2-4. In Italia il carcinoma del colon-retto è in assoluto il tumore a maggiore

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passato da un andamento in crescita (+2.3% l’anno) fino alla metà degli anni Duemila, ad una successiva riduzione (–7.1%/anno), effetti associati con l’attivazione dei programmi di screening organizzati e dei round cosiddetti di prevalenza. Tra le donne l’aumento (+2.1%/anno) e la successiva riduzione (–4.2%/anno) non risultano statisticamente significativi. I confronti geografici nazionali mostrano valori omogenei nel Centro-Nord e inferiori a Sud sia nei maschi (Sud –18% rispetto al Nord) sia nelle femmine (Sud –13%) Dati AIRT 2016.

Nei paesi occidentali, nonostante incidenza e prevalenza siano maggiori, si registrano tassi di mortalità più bassi (694.000 morti, 8.5% del totale) rispetto ai paesi meno sviluppati (52% del

totale)5. In Italia nel 2012 sono stati osservati 19.202 decessi per carcinoma del colon-retto

Dati ISTAT 2016 (di cui il 54% negli uomini) neoplasia al secondo posto nella mortalità per tumore (10% nei maschi, 12% nelle femmine). La mortalità per questa patologia è in moderato calo tra i maschi (–0.6%/anno) e più evidente tra le femmine (–1.2%). Si è ridotto il gradiente Nord-Centro-Sud: nelle regioni settentrionali, centrali e meridionali i tassi standardizzati di mortalità per 100.000 sono rispettivamente di 25.2, 24.7 e 21.8 per i maschi e 14.6, 14.4, 13.6 per le femmine Dati AIRC 2016.

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Figura 1. Incidenza e mortalità mondiali del CRC.

1.2 EZIOLOGIA E FATTORI DI RISCHIO

La sua eziologia è sconosciuta; studi epidemiologici suggeriscono però che nella genesi del CRC possano avere una certa rilevanza fattori dietetici diversi mentre sembra documentata l’esistenza di popolazioni a rischio più elevato.

Fattori dietetici: alcune osservazioni attribuiscono ad una dieta povera di fibre e ricca di grassi

un ruolo importante; infatti il cancro del colon-retto è poco comune nelle popolazioni africane che consumano abbondanti quantità di frutta e verdura rispetto ai Paesi industrializzati dove predominano invece sofisticati regimi alimentari poveri di fibre. Inoltre tra i componenti di alcune comunità religiose cui sono imposte rigide restrizioni dietetiche, l’incidenza di questa patologia è sorprendentemente rara al confronto con i riscontri globali nell’area geografica nella quale essi vivono.

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I meccanismi attraverso cui la dieta potrebbe influenzare lo sviluppo della neoplasia sono, al momento, soltanto ipotizzabili:

• le fibre, promuovendo un più rapido svuotamento intestinale e legando le sostanze

potenzialmente cancerogene, ridurrebbero la durata del contatto tra queste e la mucosa;

• alcuni derivati del colesterolo, isolati anche nelle feci, potrebbero essere responsabili

di un danno genetico, come è stato sperimentalmente dimostrato sia in colture cellulari che nell’animale;

• l’elevato consumo di grassi indurrebbe, attraverso l’aumento della secrezione di acidi

biliari, una più intensa proliferazione cellulare della mucosa colica 6-8.

Popolazioni a rischio: la possibilità che il carcinoma del colon-retto si sviluppi, in alcuni

soggetti, con incidenza significativamente aumentata rispetto alla popolazione globale è ampiamente documentata.

Numerose sono le condizioni a “rischio”

• Poliposi familiare: la probabilità che da questa malattia possa, in assenza di

trattamento, svilupparsi un cancro del grosso intestino raggiunge il 100%. Addirittura l’80% dei pazienti presenta già al IV decennio di vita una neoplasia maligna e il rischio aumenta progressivamente con l’avanzare dell’età9-11.

• Familiarità per il cancro colorettale: condizione nella quale la neoplasia si presenta

con frequenza maggiore in determinati gruppi familiari rispetto alla popolazione generale (2-3 volte). Il ruolo dell’ereditarietà è stato peraltro dimostrato nella “sindrome familiare neoplastica colorettale” (sindrome di Lynch 1) e nella “sindrome

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adenocarcinomatosa ereditaria” (sindrome di Lynch 2): la prima si caratterizza per la comparsa, in età relativamente giovanile, in più membri ed in più generazioni della stessa famiglia, di tumori, spesso multipli, esclusivamente nel colon-retto e soprattutto nel settore destro; nella seconda, il processo neoplastico, che coinvolge diversi componenti di un identico gruppo familiare, ha primitivamente sede in organi diversi (colon-retto, stomaco, ovaio, mammella)12, 13.

Tabella 1. Sindromi cliniche con un aumentato rischio per il carcinoma del colon-retto e loro basi genetiche

(da Fearnhead NS. et al, British Medical Bulletin 2002).

• Polipi neoplastici: il fenomeno degenerativo in senso maligno è di più comune

riscontro negli adenomi villosi (35-40,8%) ed in quelli tubulo-villosi (16-22,5%) rispetto ai tubulari (1-4%) e nelle lesioni multiple e di maggiori dimensioni (oltre i 2,5 cm).

• Malattie infiammatorie dell’intestino: nella storia naturale della rettocolite ulcerosa la

degenerazione maligna è evento non trascurabile (7-15%), specialmente se la malattia è precoce, grave, estesa e di lunga durata (10-15 volte). Rilievi analoghi, seppur a livelli significativamente più bassi, vengono riferiti anche per il morbo di Crohn14. • Polipi amartomatosi: nonostante sia ancora dibattuto la maggiore incidenza del cancro

(14)

potrebbe essere ascritta alla degenerazione dell’amartoma ma è più probabile che consegua a fenomeni di rimaneggiamento degli adenomi spesso concomitanti.

• Pregresse patologie neoplastiche. • Irradiazione della pelvi6.

1.3 BIOLOGIA MOLECOLARE

Il CRC è una malattia eterogenea, caratterizzata da numerose alterazioni genetiche ed epigenetiche. Queste alterazioni genetiche, quando ereditate, predispongono all’insorgenza dei CRC ereditari, i quali tuttavia costituiscono solo il 20% dei CRC totali. Molto più frequentemente quindi, sono i fattori ambientali descritti precedentemente che, nel corso della vita di un individuo, alterano direttamente il DNA delle cellule epiteliali della mucosa intestinale, inducendo o promuovendo la progressione tumorale delle forme sporadiche del CRC (80%).

Sono state descritte 2 principali vie di alterazioni genetiche: la via APC/- catenina, attivata

nella classica sequenza adenoma-carcinoma, e la via dell’instabilità dei microsatelliti, associata a difetti nel sistema di riparazione dei mismatch del DNA e ad un accumulo di mutazioni nelle regioni ripetute microsatellitari del genoma15.

• La classica sequenza adenoma-carcinoma (Figura 2A) rappresenta fino all’80% dei

tumori del colon sporadici e comprende in genere la mutazione di APC all’inizio del processo neoplastico16, 17. Il gene APC fisiologicamente codifica per una proteina citoplasmatica che promuove la degradazione della beta-catenina, limitando in questo modo la trascrizione dei geni del ciclo cellulare controllati da Wnt18. Tale gene è un tumor suppressor ed è coinvolto in una varietà di processi cellulari quali

(15)

proliferazione, migrazione e adesione; inoltre è correlato al mantenimento della stabilità cromosomica, nonché dell’organizzazione del citoscheletro. L’aggravarsi degli adenomi e la progressione verso la forma di carcinoma è legata all’acquisizione di mutazioni a livello del gene KRAS. La famiglia Ras è costituita da tre membri noti come HRAS, KRAS ed NRAS, localizzati su cromosomi e codificanti per proteine G del peso di 21 KDa. La proteina KRAS è localizzata nella membrana cellulare ed è dotata di attività GTPasica19. Il legame extracellulare di specifici ligandi a recettori transmembrana come l’EGFR (Epidermal Growth Factor Receptor) comporta l’attivazione di una cascata di eventi di trasduzione del segnale che mediano le risposte

cellulari ai segnali di crescita. Il 50% dei casi di CRC sporadico presenta mutazioni puntiformi a carico del gene KRAS, il 70% delle quali si verifica a livello dei codoni 12 e 1320. La mutazione attivante KRAS svolge un ruolo fondamentale nella

progressione tumorale del CRC, in quanto sembrerebbe essere associata all’acquisizione di un comportamento più invasivo da parte delle cellule tumorali, ed è

seguita da delezioni del cromosoma 18q con la perdita di SMAD4, localizzato a valle di TGFß (Transforming Growth Factor-ß), e da mutazioni del gene TP53 nel passaggio da adenoma avanzato a carcinoma. Il gene TP53 è frequentemente deleto nelle forme tumorali ad alto rischio, che hanno una minor probabilità di sopravvivenza, ma tuttavia non è del tutto considerato un marcatore prognostico come KRAS poiché non è stato possibile correlare la sua perdita all’outcome dei pazienti nel trattamento farmacologico21.

• Nella via di instabilità dei microsatelliti (MSI) (Figura 2B) l’accumulo di ripetizioni

può interessare regioni codificanti o promotrici dei geni coinvolti nella regolazione della crescita cellulare. In questi casi, le prime tappe della tumorigenesi coinvolgono

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alterazioni della cascata di segnali attivata da WNT. Tale alterazione è frequentemente seguita, nei casi con MSI, da mutazioni del gene BRAF (una chinasi a valle di KRAS) piuttosto che da mutazioni in KRAS; le mutazioni dei due geni sono mutualmente esclusive, ed è stato dimostrato che mutazioni di BRAF hanno un effetto biologico simile a quello determinato dalle mutazioni di KRAS, in quanto entrambe si verificano all’interno della stessa pathway cellulare e nella stessa fase di passaggio dall’adenoma al carcinoma. D’ altra parte, le mutazioni del gene BRAF sono in genere riscontrate in tumori meno avanzati, a differenza delle mutazioni di KRAS22, 23. La presenza di mutazioni di microsatelliti a livello dei geni TGFBR2 (TGFβ Receptor 2), IGF2R (Insulin-like Growth Factor 2 Receptor) e BAX, determina l’attivazione di un meccanismo di progressione tumorale indipendente da TP53.

• Altre alterazioni molecolari: uno degli oncogeni a più alta frequenza di mutazione nei

tumori solidi è il fattore di trascrizione MYC, che risulta amplificato e sovraespresso nel tumore del colon, della prostata, del polmone e nel medulloblastoma24. I geni

attivati da MYC sono coinvolti nel metabolismo cellulare, nella biosintesi delle proteine, nel ciclo cellulare e nell’apoptosi. Inoltre MYC regola numerosi microRNA,

come il cluster miR-17-92, sovraespresso in molti tumori e considerato ormai un onco-miR25. Inoltre MYC è a sua volta controllato dalla pathway di Wnt/-catenina, che ne

promuovono l’espressione, e per questo motivo gioca un ruolo nella formazione delle

cellule staminali tumorali o cancer initiating cells18. Queste cellule rappresentano solo una piccola sottopopolazione, presentano specifici marcatori di superficie (CD133 nel tumore al colon) ed hanno un’estensiva capacità proliferativa in vitro e tumorigenica in vivo26.

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A

B

Figura 2- A,B. Sequenza adenoma-carcinoma: via di APC (A); via di MSI (B).

1.4 ANATOMIA PATOLOGICA E VIE DI DIFFUSIONE

Aspetto macroscopico: pur potendo il tumore del colonretto assumere numerose

conformazioni macroscopiche, si distinguono essenzialmente le forme:

• vegetante (Fig.3a): si presenta come una neoformazione sessile che protrude nel lume intestinale, d’aspetto fungoide o “a cavolfiore”, a superficie e margini irregolari; • ulcerata (Fig.3b): assume le caratteristiche tipiche di un’ulcerazione maligna con

fondo sanioso e margini sollevati, irregolari, eversi; circolare od ovoidale, con il diametro maggiore orientato lungo l’asse trasversale del viscere nel quale si estende per oltre i 2/3 della circonferenza;

(18)

• infiltrante (Fig.3c): è costituita da un diffuso ed esteso ispessimento della parete, in buona parte ricoperta da mucosa normale; rappresenta spesso l’evoluzione di una forma vegetante o ulcerata ed è di frequente riscontro nella rettocolite ulcerosa; • anulare-stenosante (Fig.3d): si estende per tutta la circonferenza intestinale e

determina un restringimento del lume; ha superficie irregolare, con estesi processi necrotici e tendenza ulcerativa; la parete infiltrata è deformata e rigida.

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Aspetto microscopico: La grande maggioranza dei carcinomi colorettali sono adenocarcinomi NAS, circa il 10% adenocarcinomi mucoidi, mentre gli altri istotipi sono molto rari (carcinoidi, tumori di origine mesenchimale, tumori linfoidi e forme non classificabili). I carcinomi a cellule ad anello con castone ed i carcinomi a piccole cellule sono neoplasie a prognosi sfavorevole. Gli adenocarcinomi mucoidi presentano un comportamento clinico sostanzialmente non differente da quello degli adenocarcinomi NAS, pur differenziandosi da questi per numerose caratteristiche patologiche, biologiche, genetiche27, 28.

L’aspetto delle cellule, disposte a formare strutture ghiandolari, varia a seconda del grado di differenziazione; nelle neoplasie più differenziate l’architettura generale è relativamente conservata, con tubuli ghiandolari solo lievemente allungati o tortuosi ed iniziali accenni alla gemmazione; presentano, inoltre, perdita del gradiente di differenziazione cellulare dalla base della cripta alla superficie, nuclei allungati, ingranditi, polarizzati e stratificati. Nelle forme scarsamente differenziate invece, si hanno cripte con ramificazioni e gemmazioni irregolari, variamente coalescenti, nuclei francamente ipercromici, tondeggianti od ovali, marcatamente ingranditi, nucleolati, per lo più privi di orientamento polare. Le cellule, stratificate, hanno citoplasma omogeneamente denso, senza differenziazione mucipara e possono presentare strutture epiteliali complesse (aspetti cribriformi, crescita back-to-back)29, 30.

All’analisi delle loro caratteristiche citologiche, si evidenziano diversi gradi di

differenziazione:

• Grado I, in cui le formazioni tubulo-ghiandolari sono regolari e le cellule mostrano

scarso pleiomorfismo nucleare e poche mitosi.

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disordinatamente in uno o più strati, nelle quali si osservano numerose mitosi.

• Grado III, allorquando la disposizione strutturale primitiva è quasi o del tutto assente e

si rilevano invece ammassi irregolari di cellule, con molteplici mitosi6.

Modalità di diffusione: la neoplasia si può propagare localmente (per continuità, contiguità,

disseminazione esfoliativa) e a distanza per via linfatica o per via ematica.

• Locale: si verifica lungo l’asse trasversale e longitudinale del viscere, con invasione

successiva dei diversi strati della parete intestinale, del grasso pericolico, degli organi e delle strutture adiacenti; dopo aver superato la sierosa è anche possibile, la diffusione celomatica nel peritoneo (carcinosi peritoneale).

• Per via linfatica: è un fenomeno ampiamente prevedibile; procede in maniera

progressiva e graduale, interessando, con distribuzione segmentaria, i linfonodi peri e paracolici e soltanto successivamente i linfonodi più distali (stazioni intermedie e principali); è raro il riscontro di metastasi ai linfonodi principali senza il contemporaneo interessamento di quelli più prossimali (salto del linfonodo)31. L’entità del coinvolgimento varia notevolmente (33-62%), in stretta relazione con l’estensione parietale del tumore: è infatti più probabile dopo superamento della muscularis propria e raggiunge i livelli massimi dopo infiltrazione della sierosa.

• Per via ematica: nel corso del processo espansivo la neoplasia può infiltrare i piccoli

vasi venosi della parete intestinale o dei tessuti pericolici determinando così il passaggio in circolo (portale soprattutto) di foci tumorali: il fegato in primo luogo ed i polmoni rappresentano, infatti, le sedi più frequentemente colpite dalla

(21)

metastatizzazione a distanza. Si è osservato che, al momento della diagnosi, il 20-25% dei pazienti ha già in atto metastasi epatiche e/o polmonari6.

1.5 CLINICA

I sintomi ed i segni clinici dei tumori del grosso intestino variano in rapporto alla sede che occupano nei vari segmenti del viscere: ciò è da attribuire, da un lato, alle differenti peculiarità morfologiche della neoplasia nelle diverse localizzazioni e, dall’altro, alle caratteristiche anatomiche e funzionali del settore interessato. In linea di massima è opportuno considerare separatamente i tumori del colon destro da quelli del colon sinistro caratterizzati prevalentemente da una sintomatologia occlusiva fin dalle fasi precoci.

Il Colon destro (cieco, ascendente, flessura epatica, trasverso prossimale) ha un lume piuttosto rilevante ed un contenuto essenzialmente liquido ed è preposto al riassorbimento di acqua ed elettroliti; le lesioni che si sviluppano a questo livello sono tipicamente vegetanti, spesso di grosse dimensioni e talora ulcerate, facilmente sanguinanti.

I principali elementi clinici sono: anemia, secondaria alla cronica e costante perdita ematica della superficie neoplastica, con rara evidenza macroscopica del sangue nelle feci (meno del 20% dei casi) in quanto esso, mescolandosi con il contenuto intestinale, non risulta obiettivabile; dolore, di tipo gravativo, non molto intenso, subcontinuo, localizzato nei quadranti addominali di destra e, talora, all’epigastrio; si accompagna spesso ad un vaga

sintomatologia dispeptica; astenia, riconducibile per lo più all’anemizzazione; massa

palpabile nell’emiaddome destro tipica delle fasi più avanzate della malattia; anoressia,

dimagrimento ed alterazioni aspecifiche dell’alvo32, 33.

A volte il cancro del colon-retto può esordire con i sintomi di una sua complicanza: l’ileo

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perforazione, che può insorgere a livello della neoplasia, per fenomeni necrotici o nei

segmenti colici a monte, per sovradistensione e successiva fissurazione, si riscontra più spesso nel colon destro ed in particolare nel cieco; le sue manifestazioni sono quelle della peritonite, localizzata o diffusa. I sintomi del carcinoma del colon destro sono quindi, assai spesso, vaghi ed aspecifici, tali cioè da essere facilmente trascurati sia dal paziente che dal medico6.

1.6 DIAGNOSI

L'evoluzione del CRC è lenta; per questo motivo, lo screening è uno strumento importante per la diagnosi precoce e per organizzare una migliore strategia terapeutica. Esistono chiare evidenze che la riduzione della mortalità per CRC può essere ottenuta attraverso l'identificazione e il trattamento della neoplasia in stadio precoce e soprattutto con l'asportazione dei polipi adenomatosi, precursori del CRC. Infatti, la maggior parte sono adenocarcinomi che derivano della trasformazione di un polipo adenomatoso attraverso la sequenza adenoma-carcinoma34-36.

Ricerca di sangue occulto nelle feci: si tratta di un test di screening da effettuare ogni due

anni nelle persone con età compresa tra i 50 e i 69 anni. Deve essere fatto su tre defecazioni consecutive; se positivo, il corretto approfondimento diagnostico è la colonscopia, in alternativa la rettosigmoidoscopia e il clisma opaco a doppio contrasto37.

Clisma a doppio contrasto: è una radiografia dell’intestino, previa introduzione di una miscela

di aria e bario, che funge da mezzo di contrasto. Non può essere considerato un valido test di screening dal momento che può non evidenziare piccoli polipi, non permette l’esecuzione di biopsie, né l’asportazione di polipi. Nei casi dubbi è sempre indicata l’esecuzione di colonscopia.

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Colonscopia: o meglio la pan-colonscopia, permette la visualizzazione di tutto il colon,

l’identificazione ed asportazione dei polipi nonché la possibilità di effettuare biopsie. Non mancano degli svantaggi che includono la preparazione, il disagio per il paziente, potenziali complicanze, i costi e la possibile carenza di strutture. In virtù del lungo effetto protettivo e dell’alta sensibilità la colonscopia può essere considerata il più efficace test di screening ed è quello raccomandato dall’America College of Gastroenterology for screening38. Può essere

condotta ambulatorialmente, preferibilmente con opportuna sedazione. Occorre procedere fino a visualizzare il cieco. Una revisione della letteratura evidenzia un rischio di perforazioni dello 0,1%, di emorragia di grado maggiore dello 0.3% ed una mortalità dello 0.01-0.03%. La sensibilità è del 96-97% e la specificità del 98%39. I principali indicatori di qualità della colonscopia sono: il raggiungimento del ceco in più del 90% dei casi, un’adeguata preparazione intestinale, un tasso di sanguinamento post-polipectomia inferiore allo 0.5% e anche i tassi di individuazione degli adenomi e successiva polipectomia40, 41. I prelievi bioptici effettuati permettono l’analisi istologica del campione e l’eventuale conferma diagnostica. La

conferma istologica nelle neoformazioni del colon dovrebbe essere sempre disponibile prima dell’intervento chirurgico ma può essere (in rari e ben selezionati casi) omessa in caso di neoformazioni coliche non facilmente raggiungibili con l’endoscopia e con iconografia inequivocabile42.

Colonscopia virtuale: per ovviare al disagio del paziente derivante da una colonscopia

classica, recentemente è stata messa a punto la colonscopia virtuale, un esame di tomografia assiale computerizzata (TAC) dell’addome, eseguito dopo aver disteso il colon con aria o anidride carbonica. Completato l’esame, le immagini TAC sono inviate a un computer ed

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colon in 2 e 3 dimensioni. In caso di riscontro di polipi o tumori, il soggetto dovrà comunque eseguire una colonscopia tradizionale per la biopsia o la polipectomia. Tuttavia la colonscopia virtuale non può ancora essere proposta come metodica di screening, ma può essere utile per lo studio del colon in alternativa al clisma opaco nei soggetti che non hanno effettuato una colonscopia completa43.

1.7 STADIAZIONE

La più comune classificazione istopatologica del CRC (Figura 4), sia sporadico che ereditario, proviene dall’American Joint Committee on Cancer (AJCC); è in vigore in tutto il mondo dalla metà degli anni ‘80 e si basa su 3 parametri: il parametro T, che indica il grado di invasione della parete intestinale; il parametro N, che indica il grado di coinvolgimento dei linfonodi; il parametro M, che misura il grado di metastatizzazione (Figura 4). Per questo motivo il sistema è detto TNM e rappresenta un’evoluzione del sistema di Dukes, più semplice, meno stratificato e basato sempre su parametri morfologici. Da questo sistema è inoltre possibile ricavare un’ulteriore suddivisione in stadi. Gli esami utilizzati per la stadiazione sono rappresentati principalmente da ECO-addome e RX-torace (tra le metodiche di primo livello), ma il gold standard è oggi la TAC42. Per la valutazione del parametro N le indagini radiologiche a oggi disponibili presentano limitazioni, essendo la diagnosi basata su criteri dimensionali e morfologici. Al momento il criterio morfologico (forma rotondeggiante, eterogeneità interna, irregolarità della superfice per infiltrazione della capsula) è il più affidabile nella identificazione dei linfonodi metastatici44. L’accuratezza diagnostica diventa bassa quando i linfonodi hanno dimensioni inferiori agli 8 mm. Le metastasi epatiche (parametro M) devono essere ricercate preferenzialmente con una TAC. Se l’ecografia è positiva o dubbia vi è indicazione all’esecuzione di una TAC spirale o anche in determinati

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casi di una RMN addome. Le metastasi polmonari vanno escluse con una Rx Torace o preferenzialmente con una TAC Torace. L’impiego di metodiche diverse (e costose) quali RMN, scintigrafia ossea e PET scan va riservato a casi selezionati. In particolare la PET può essere considerata nei pazienti candidabili a resezione chirurgica di secondarismi epatici o polmonari45.

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1.8 PROGNOSI

La sopravvivenza complessiva a 5 anni è del 60%46. L’estensione locale del tumore attraverso

la parete (T) e a distanza nei linfonodi (N) sono i fattori istopatologici più importanti e che condizionano maggiormente il rischio successivo di recidiva locale ed evoluzione metastatica. Fondamentale, quindi, risulta un’adeguata valutazione dell’infiltrazione linfonodale che secondo la classificazione più recente dell’ UICC prevede l’asportazione di almeno 12 linfonodi. Secondo i lavori di Hermanek l’esame di 12 linfonodi permette di individuare il 92% delle metastasi, mentre quello di 20 il 100%. E’ stato inoltre recentemente dimostrato che in mancanza di infiltrazione linfonodale la prognosi era strettamente correlata al numero di linfonodi prelevati47. La linfoadenectomia non ha però solamente un’importanza prognostica ma anche terapeutica come dimostrato da uno studio americano48: la sopravvivenza, in funzione del numero di linfonodi asportati, passa dal 56 al 90% nei tumori classificati N1 (1-3

N+) e dal 43 al 71% nei tumori N2 (più di 3 linfonodi N+). Ciò dimostra come la qualità dell’exeresi chirurgica sia un fattore prognostico essenziale49.

Altri fattori istopatologici debbono essere indicati dall’anatomopatologo sulla sua risposta, oggi standardizzata50:

• stabilire la differenziazione tumorale: bene, moderatamente e scarsamente differenziato

• precisare la presenza di emboli vascolari e/o la presenza di infiltrazioni perinervose:

Infine, il patologo deve precisare la qualità della resezione chirurgica:

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• le resezioni R1, che sono macroscopicamente complete ma microscopicamente incomplete;

• la resezione R0 che corrisponde a un’exeresi completa sia a livello macro- che microscopico.

• altri fattori prognostici minori e quindi non impiegati per indicare un trattamento

adiuvante sono: ploidia, mutazioni della proteina p53, della timidialto sintetasi, la perdita del braccio lungo del cromosoma 18 o lo stato di MSI.

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CAPITOLO DUE

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La chirurgia rappresenta la principale, se non l’unica, opzione terapeutica con intento curativo delle neoplasie colorettali e dovrebbe essere effettuata in tempi ragionevolmente brevi.Essa prevede l’exeresi segmentaria del colon, l’asportazione delle diverse stazioni linfonodali satelliti e il ripristino della continuità. Indicatori di qualità sono rappresentati dall’asportazione di almeno 12 linfonodi ed è preferibile avere una distanza di 5 cm tra la neoplasia e i margini distale e prossimale48, 51.

2.1 ANATOMIA CHIRURGICA DEL COLON DESTRO

Il colon è la porzione del tratto digerente compresa tra la valvola ileocecale e il retto. Mentre il suo limite prossimale è sempre facilmente evidenziabile, quello distale lo è meno: per gli anatomici l’angolo retto-sigmoideo corrisponde al segmento intestinale al davanti della terza vertebra sacrale, dove scompaiono le tenie e laddove l’arteria rettale superiore si divide. Per i chirurghi invece è individuato da un discreto restringimento del calibro che, ad intestino teso, si pone al davanti del promontorio.

Figura 5. Morfologia generale del colon (trasverso ed epiploon sollevati). - Ceco; Colon ascendente; Angolo destro o epatico;

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Si distinguono anatomicamente sette porzioni successive (Figura 5): ceco, colon ascendente, angolo o flessura destra, colon trasverso, angolo o flessura sinistra, colon discendente e sigma. Il colon destro, in particolare, comprende il ceco, il colon ascendente, relativamente superficiale e che risale nel fianco destro per flettersi a livello dell’angolo destro (flessura epatica). La vascolarizzazione del colon destro dipende dall’arteria mesenterica superiore mentre quella del colon sinistro dalla mesenterica inferiore, unite, quando presente, dall’arteria colica media. Possiamo comunque definire il colon destro e il sinistro come due entità separate, ognuna con la propria vascolarizzazione arteriosa e venosa, drenaggio linfatico e innervazione52.

Macroscopicamente il colon si distingue facilmente dal tenue, per il calibro maggiore, per il suo aspetto con multiple bombature e per il colore più pallido, grigio-azzurognolo. La sua superficie è inoltre percorsa longitudinalmente da delle banderelle biancastre di circa 1 cm di larghezza, dette tenie, derivanti dalla confluenza dello strato muscolare longitudinale esterno che riveste il resto del tratto GE. Le tenie sono in numero di tre e vanno dal ceco al sigma: una è anteriore sul margine libero (mesenterica) e le altre due postero-laterali (anti-mesenteriche). A livello del sigma, le banderelle si riducono a due: anteriore e posteriore, per scomparire subito a monte della giunzione colo-rettale.

Il colon è rivestito dalla sierosa peritoneale che lo collega al peritoneo pre-aortico avvolgendo la lamina ove decorrono i vasi: il mesocolon. Il mesocolon dei segmenti colici di destra e di sinistra, dopo lo sviluppo embrionario, si pone su un piano frontale schiacciato sulla parete addominale anteriore; la sua fusione con il peritoneo parietale posteriore costituisce le fasce di accollamento di destra e di sinistra, le fasce di Toldt. Molto importante è anche la fascia di Gerota, o fascia prerenale, distinta dalla fascia di Toldt e davanti alla quale deve passare la dissezione oncologicamente corretta del mesocolon. Le zone di accollamento di destra e di

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sinistra definiscono quindi i segmenti fissi del colon che si contrappongono a quelli liberi o mobili.

Il mesocolon trasverso è libero e fluttuante; la sua lunghezza aumenta da destra verso sinistra. La sua “radice” individua il limite superiore dell’accollamento e la sede della riflessione del foglietto peritoneale sulla parete posteriore; incrocia, sul davanti, la seconda porzione del duodeno e la faccia anteriore della testa pancreatica. La disinserzione di questa radice è sempre possibile, rispettando l’arcata vascolare di Riolano, e questa liberazione è fondamentale nella mobilizzazione del colon. Il mesocolon pelvico è anch’esso libero. Il limite inferiore della fascia di Toldt, obliquo verso il basso e l’esterno, rappresenta la radice

secondaria del mesosigma; la radice primitiva, verticale, unisce invece la porzione terminale del sigma e la giunzione retto-sigmoidea: con la sua inserzione disegna una V invertita che delimita in alto la fossetta sigmoidea.

A livello del trasverso, il colon è unito al grande epiploon (o grande omento). Quest’ultimo è paragonabile a una sorta di grembiule che dallo stomaco si porta a ricoprire anteriormente la matassa intestinale. È costituito da una piega del peritoneo del mesogastrio posteriore che si stacca dalla grande curvatura dello stomaco, scende al davanti del colon e poi risale per aderire alla faccia superiore del mesocolon prima di raggiugere il peritoneo parietale posteriore, limitando così la retrocavità degli epiploon. Il colon è unito allo stomaco tramite il legamento gastro-colico e al diaframma dai legamenti freno-colici. Lo scollamento colo-epiploico risulta più agevole a sinistra della linea mediana, a causa della piega formata dalle vene originate dal tronco gastro-colico.

L’esplorazione della totalità della cornice colica richiede in chirurgia aperta una ampia

laparotomia, solitamente mediana. In alternativa può essere impiegata la via d’accesso laparoscopica; questa tuttavia non permette di palpare un’eventuale lesione e l’associazione di

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un’endoscopia intraoperatoria può rappresentare un utile complemento53

In entrambi i casi risulta semplice l’esplorazione dei segmenti mobili del colon, mentre quella dei segmenti fissi sarà possibile solamente dopo lo scollamento parieto-colico.

Figura 6. Le zone fisse (3) si contrappongono a quelle mobili (1).Zone cerniera (flessure e sigma) (2) le separano.

Ceco: rappresenta la porzione iniziale del colon ed è costituito da una sorta di palloncino

rigonfio, normalmente accollato con la sua faccia posteriore alla fossa iliaca destra. Il tenue terminale, al quale fa seguito, sbocca nella sua faccia interna (mediale) al di sopra dell’impianto dell’appendice, situata al punto di convergenza delle tre tenie cecali. La sua forma è variabile. La parete anteriore del ceco in posizione fisiologica, iliaca destra, corrisponde ai muscoli larghi dell’addome, con la possibile interposizione del grande omento e talvolta delle anse del tenue. Attraverso la fascia di accollamento posteriore è in rapporto con il muscolo ileo-psoas, l’uretere e i rami nervosi che decorrono sulla sua faccia anteriore: nervo crurale (femorale), nervo genitocrurale e nervo femorocutaneo (cutaneo laterale della coscia). Lo sbocco del tenue sulla sua faccia interna avviene a livello della valvola ileo-cecale (ostio ileale). Questo orifizio è munito di una valvola che il chirurgo può palpare sotto forma di ispessimento circonferenziale di circa 0,5 cm. L’importanza dell’accollamento cecale è variabile: può esistere, tra due pieghe parieto-coliche, una fossetta (recesso) retrocecale, occupato talvolta dall’appendice. Il ceco può essere completamente libero, mobile e a rischio

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di volvolo soprattutto se l’assenza di accollamento riguarda anche il colon ascendente. La sede del ceco è molto variabile: in sede alta corrisponde alla porzione superiore della fossa iliaca destra o anche talvolta persino alla regione sottoepatica. In sede bassa si situa al di sotto dei vasi iliaci di destra, nella pelvi. In qualche caso può essere ribaltato in fossa iliaca sinistra.

Colon ascendente e angolo destro: di calibro meno ampio rispetto al ceco, lungo circa 10-15

cm, il colon ascendente ha un percorso verticale, verso la faccia inferiore del fegato. È leggermente obliquo verso dietro, essendo l’angolo destro più profondo del ceco. In avanti è in rapporto con le anse del tenue, l’epiploon e la parete addominale anteriore. È fissato posteriormente in fianco destro dalla fascia di Toldt di destra. Attraverso questa è in rapporto con la parete muscolare posteriore (muscolo psoas e quadrato dei lombi), con il plesso lombare, il rene e l’uretere e con i vasi genitali. Per il chirurgo i rapporti essenziali dell’angolo destro sono posteriori: è infatti fisso sul blocco duodeno-pancreatico e, con l’interposizione della fascia, prende rapporto con la metà inferiore della seconda porzione del duodeno e con la parte destra della testa del pancreas. Giunto a contatto con la faccia inferiore del fegato, si incurva ad angolo acuto in avanti e in basso. La fissità di questo angolo del colon viene assicurata dal legamento freno-colico destro. Le pliche peritoneali saranno più o meno marcate e, di solito, contengono molto grasso e sono percorse da piccoli vasi. Possono proseguire in alto e medialmente verso la faccia inferiore del fegato, la colecisti e il duodeno (legamento cistico-duodeno-colico).

Colon trasverso: il colon trasverso con i suoi 2/3 iniziali appartiene al colon destro ed è molto

variabile, a seconda degli individui, nella sua lunghezza e decorso e nello stesso individuo a seconda della sua posizione. Descrive una curva a concavità superiore più o meno ampia e va dall’ipocondrio destro al sinistro seguendo la grande curva gastrica; l’angolo sinistro è sempre

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più profondo del destro. E’ molto mobile, essendo fissato all’apice delle fasce di accollamento solamente a livello degli angoli colici. A destra ha rapporti in avanti con la colecisti e il fegato, poi con la parete addominale anteriore attraverso il grande epiploon. Posteriormente è in rapporto con il ginocchio inferiore, la terza porzione del duodeno e il pancreas. Ha poi rapporti indietro, con l’angolo duodeno-digiunale e con i suoi 2/3 di sinistra, con la matassa digiunale. In alto, il trasverso di sinistra corrisponde alla grande curva gastrica e poi al polo inferiore della milza, da cui è separato dal legamento sospensore della milza. Propaggini epiploiche uniscono spesso, in particolare nell’obeso, il «corno di sinistra» del grande epiploon, alla porzione iniziale del colon discendente e soprattutto alla milza. Queste propaggini devono essere cercate e sezionate prima di qualsiasi manovra per evitare emorragie da trazione sulla capsula splenica.

Vasi del colon destro: le arterie provengono dall’arteria mesenterica superiore. Si distinguono così:

• l’arteria colica ascendente, ramo dell’arteria ileocolica, che vascolarizza la porzione

inziale del colon ascendente, l’appendice e il ceco;

• l’arteria colica destra che risale verso l’angolo destro a livello della fascia di

accollamento;

• l’arteria intermedia, presente solo nel 10% dei casi, che può dirigersi dalla mesenterica

superiore verso la porzione media del colon ascendente54.

• l’arteria colica media che nasce più in alto, direttamente dalla mesenterica superiore a

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l’1/3 di sinistra del colon trasverso: questa arteria è molto variabile nel suo calibro, nel suo percorso e nella sua modalità di divisione. È stata descritta una sua origine a partire dall’arteria splenica55. È incostante e presente nell’80% dei casi circa, ma può,

paradossalmente, essere eccezionalmente predominante56.

A 2-3 cm dal margine mediale del colon, ogni arteria colica si biforca a T e si anastomizza con i rami corrispondenti delle arterie sovra e sottostanti. Si forma in tal modo, lungo tutta la cornice colica, un’arcata marginale, talvolta sdoppiata, in particolare a livello dell’angolo destro o del trasverso. Quest’arcata vascolare paracolica o arcata di Riolano (Drummond marginal artery per gli anatomisti anglosassoni), collega i territori mesenterici superiore e inferiore e permette una supplenza arteriosa sufficiente su tutta la cornice colica in caso di interruzione di uno dei suoi peduncoli arteriosi rendendo così possibili ampie resezioni del colon. Questa arcata non è visibile normalmente su un’arteriografia: compare solo in caso di anomalia circolatoria57. L’arcata marginale sarebbe assente nel 5% dei casi a livello del colon destro, essendo invece costante l’anastomosi colon destro/colon sinistro58. Dall’arcata nascono

i vasi di destra che raggiungono il margine mediale del colon. Salvo intervento pregresso o patologia arteriosa associata, la legatura all’origine dei peduncoli arteriosi di destra in caso di exeresi regolata per tumore non mette a repentaglio la vascolarizzazione del colon restante.

• Le vene del colon di destra seguono le arterie incrociandole sul davanti per confluire

nella vena mesenterica superiore al suo margine destro. La vena colica destra può unirsi alla vena gastroepiploica destra e alla vena pancreaticoduodenale superiore e anteriore per formare il tronco venoso gastrocolico (tronco di Henle). Per il chirurgo, questo tronco venoso relativamente breve decorre in una densa atmosfera cellulo-adiposa a livello della porzione superiore della fascia di accollamento del colon, verso

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il margine destro del mesentere, appena al di sotto della radice del mesocolon trasverso: può risultare difficile da individuare e da controllare al momento della legatura dei vasi del colon destro in corso di colectomia regolata per cancro.

• I linfatici del colon seguono i peduncoli arterovenosi. I linfonodi si ripartiscono in

cinque gruppi:

o gruppo epicolico, a contatto con la parete intestinale;

o gruppo paracolico, a contatto con l’arcata marginale;

o gruppo intermedio, lungo i peduncoli;

o gruppo principale, all’origine dei rami colici sull’arteria mesenterica;

o gruppo centrale, periaortocavale, sulla faccia posteriore della testa del pancreas.

La linfoadenectomia, quando indicata, implica sempre il sacrificio dei peduncoli vascolari corrispondenti59.

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Innervazione: l’innervazione autonoma del colon proviene da una rete preaortica complessa,

formata a partire dalla catena addominale che riceve delle fibre parasimpatiche del nervo vago destro attraverso i gangli celiaci e delle fibre simpatiche dal tronco latero-vertebrale (nervi piccoli splancnici). I gangli formano due plessi: il plesso mesenterico craniale, destinato all’innervazione del colon destro situato all’origine dell’arteria mesenterica superiore. Le sue fibre seguono gli assi arteriosi. I gangli del plesso mesenterico inferiore, destinato al colon sinistro, sono raggruppati attorno all’origine dell’arteria mesenterica inferiore. Tra i due plessi si situa il plesso intermesenterico.

2.2 LA LAPAROSCOPIA

Negli anni ’80 la diffusione della chirurgia mininvasiva ha consentito di apportare notevoli vantaggi rispetto alla chirurgia a cielo aperto per quanto concerne il decorso post-operatorio in termini di: diminuzione del dolore, precoce recupero funzionale, minore morbilità dovuta anche alla diminuzione della degenza media, riduzione delle perdite ematiche, miglior risultato estetico e più rapido ritorno al lavoro ed alla vita sociale60, 61; tutto questo ha portato la laparoscopia a diventare il gold standard per il trattamento chirurgico delle patologie colorettali benigne e maligne.

Anche la chirurgia laparoscopica mininvasiva presenta tuttavia alcuni svantaggi, legati alla fissità dei punti di ingresso degli strumenti che costringono ad una ridotta possibilità gestuale, ed aumentano i difetti legati all’ampiezza del movimento ed al tremore fisiologico delle mani dell’operatore. Inoltre si evidenzia l’assenza di un controllo diretto del campo operatorio

legato alla proiezione su video della ripresa di una telecamera, con conseguente bidimensionalità dell’immagine ed una scarsa percezione della profondità del campo

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operatorio, e la relativa perdita della percezione tattile.

Nonostante gli indubbi vantaggi, l’adozione della tecnica laparoscopica nella chirurgia colorettale ha avuto un decorso più lento rispetto ad altri campi di applicazione62.

La ragione è sicuramente multifattoriale. In una review Canadese, per esempio, tra i fattori principali sono emersi la mancanza di un adeguato training e eccessivi tempi operatori63. È

stato inoltre dimostrato che il raggiungimento di adeguate capacità nella chirurgia laparoscopica colorettale richiede una significativa curva di apprendimento64.

In particolare, per esempio, l’emicolectomia destra laparoscopica è considerata molto più difficile tecnicamente rispetto ad una sigmoidectomia laparoscopica, sia nel caso di un’anastomosi ileo-colica extracorporea che, ancora di più, qualora l’anastomosi sia intracorporea65-67.

Strumentario:

Insufflatori di CO2: il campo operatorio è ottenuto mediante l’insufflazione di CO2 che viene mantenuta a pressione costante in modo che i flussi siano adeguati e ben tollerati da parte del paziente. Durante le procedure laparoscopiche prolungate, la temperatura e l’umidità del gas possono rappresentare dei fattori importanti soprattutto in quei pazienti che hanno una funzionalità renale alterata; per tale motivo gli strumenti più recenti sono dotati di sistemi di riscaldamento, particolarmente utile in corso di chirurgia laparoscopica "avanzata" con tempi operatori superiori alle 2 ore.

Ottiche: possono essere classificate a seconda del calibro e dell'angolo di visione. Il calibro dell'ottica può variare dai 10 ai 2 mm ed è inversamente proporzionale alla qualità dell'immagine, soprattutto in termini di luminosità. Le ottiche possono avere una visione diretta ovvero a 0°, oppure obliqui a 30°, 45° fino a 90°. Maggiore è l ́angolo di visione,

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maggiore sarà l ́assorbimento della luce che dovrà, quindi, essere compensato da un aumento dell'intensità della fonte luminosa e della qualità della telecamera68.

Videocamere: devono consentire una elevata risoluzione ed adeguata maneggevolezza. Per rispettare queste caratteristiche tutte le telecamere disponibili sul mercato sono basate sul sistema CCD (Charge Coupled Device), comunemente chiamato "chip". Questo sistema è formato da una base di silicio ricoperta da materiali fotosensibili dai quali si originano i pixel (elementi base di una immagine) ciascuno con dimensioni di 17 × 13 mm; maggiore è il numero dei pixel, più elevata è la qualità dell’immagine. Nelle apparecchiature più recenti sono presenti sistemi di zoom e di messa a fuoco automatica.

Strumenti chirurgici:ferri da laparoscopia classici come pinze, dissettori, forbici, porta-aghi e aspiratore- irrigatore.

Applicatori di clip e suturatrici meccaniche: le clip sono solitamente in titanio. L ́intera gamma di suturatrici meccaniche da tempo utilizzate per la chirurgia tradizionale è disponibile anche in versione endoscopica e con estremità terminale angolabile.

Fili di sutura, aghi, porta-aghi: i fili di sutura endoscopici vengono prodotti già montati su ago e hanno una lunghezza piuttosto limitata per facilitare il confezionamento dei nodi. Gli aghi sono costruiti con gli stessi materiali utilizzati per la chirurgia tradizionale ma di un colore che ne renda facile il reperimento e che non rifletta eccessivamente la luce dell'ottica.

Bisturi ad ultrasuoni (armonico): il bisturi armonico è dotato di una lama singola ad uncino o a doppia branca, che oscillando ad elevatissima frequenza (circa 55.000 volte al secondo), provoca l ́esplosione delle cellule del tessuto con il quale viene in contatto, per vaporizzazione

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delle molecole di acqua in esse contenute (effetto di cavitazione), a cui si somma un effetto meccanico, determinato dall'oscillazione della lama che provoca la distruzione anche dei tessuti fibrosi più resistenti. Ciò permette di ottenere un effetto di coagulazione/dissezione, in quasi assenza di fumo, con riduzione del danno ai tessuti circostanti.

Pinza bipolare a radiofrequenza: è un dispositivo che coagula mediante la generazione di onde elettromagnetiche ad altissima frequenza, provocando la rapida oscillazione degli ioni cellulari e quindi elevatissime temperature, che permettono la coagulazione di vasi di calibro sino a 7 mm. Il calore generato dallo strumento risulta interamente compreso tra le due branche del manipolo69.

2.3 EMICOLECTOMIA DESTRA LAPAROSCOPICA

Preparazione paziente: un’analisi di Cochrane del 2011 su 18 trials randomizzati ed oltre

5.800 pazienti ha dimostrato l’equivalenza tra preparazione intestinale meccanica e non, in termini di deiscenze anastomotiche, mortalità perioperatoria, reinterventi chirurgici ed infezioni della ferita70. Nonostante non ci siano evidenze conclusive sulla sua utilità, la maggior parte dei chirurghi continua tuttavia ad utilizzare la preparazione meccanica associata a una dieta povera di scorie ma ipercalorica. Nella nostra esperienza, eseguiamo il pomeriggio prima dell’intervento una preparazione meccanica con clistere e dieta idrica.

Profilassi TVP-embolia polmonare: i pazienti operati per neoplasia colo-rettale hanno un

rischio aumentato di TVP in conseguenza della malattia neoplastica, dell’età spesso avanzata e del possibile allettamento. In questi pazienti è stata dimostrata da tempo l’efficacia della profilassi con eparina calcica o con eparina a basso peso molecolare che ha la stessa efficacia con minor rischio di sanguinamento71, motivo per cui questa è quella che utilizziamo

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routinariamente. Il trattamento deve essere effettuato per 30 giorni anche quando l’intervento è eseguito con tecnica laparoscopica72.

Profilassi antibiotica: è stata definitivamente dimostrata l’efficacia della profilassi antibiotica

di breve durata nel ridurre le infezioni dal 30-50% all’11% o meno73. Nella nostra esperienza è utilizzata come profilassi Amoxicillina + Acido clavulanico 2,2gr e Metronidazolo 500mg all’induzione, continuati per massimo 48 ore ogni 8 ore.

Posizione del malato e dell’equipe chirurgica: solitamente il paziente viene messo in

decubito supino con il braccio destro lungo il corpo e il sinistro abdotto (Figura 8); il chirurgo si posiziona alla sua sinistra. In alternativa si può utilizzare la lithotomy position detta anche “a doppia equipe” e che permette l’accesso addominale e perineale; quest’ultima viene usata più raramente e sarebbe da preferire in caso di necessità di una colonscopia intra-operatoria o per esempio in caso di fistole ileo-vescicali; alcuni chirurghi la preferiscono per la possibilità di stare tra le gambe del paziente durante la dissezione del mesocolon destro e la mobilizzazione del colon ascendente.

Si esegue una cateterizzazione vescicale sterile prima dell’approntamento del campo operatorio. Il SNG viene posizionato sistematicamente e rimosso alla fine dell’intervento. Il secondo operatore, responsabile della telecamera, è posto alla destra del chirurgo; la strumentista si posizionerà alla sinistra del chirurgo e il terzo assistente sulla destra del paziente (Figura 8). La colonna laparoscopica viene posta vicino la gamba destra del paziente. La procedura richiede alcune posizioni estreme per cui è necessario fissare il paziente al tavolo operatorio e prendere le opportune precauzione per evitare danni da compressione a carico delle strutture nervose74.

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Figura 8.Posizione del paziente e dell’equipe chirurgica. 1. Anestesista; 2. II operatore, 3. I operatore; 4. infermiera; 5. III

operatore.

Posizionamento dei trocar: il primo tempo dell’intervento consiste nell ́induzione del

pneumoperitoneo per creare il campo operatorio. Questo può essere ottenuto tramite l’introduzione del trocar primario mediante tecnica aperta secondo Hasson, oppure per via percutanea utilizzando un ago a punta protetta secondo Verres (quest’ultima tecnica è quella utilizzata maggiormente nella nostra esperienza). La tecnica di Hasson permette la visualizzazione diretta della fascia e la sua incisione, che viene seguita dal posizionamento sotto visione diretta di un trocar a punta protetta. In alternativa la tecnica di Verres prevede l’introduzione di un ago a punta protetta attraverso una piccola incisione cutanea, in genere a livello periombelicale, collegato ad uno strumento che è in grado di insufflare CO2 con un flusso ed una pressione regolabile dall'esterno. Quando la punta dell'ago di Verres è correttamente posizionata e si procede all'insufflazione di gas, si assiste ad un lento aumento della pressione intraddominale che progressivamente raggiunge i livelli di 10-15 mmHg. A questo punto possiamo inserire il primo trocar, solitamente da 12 mm a seconda della telecamera. Preferibilmente gli accessi laparoscopici dovrebbero essere distanti circa 8–10 cm l’uno dall’altro. I trocar operatori vengono poi inseriti sotto visione in base alla tecnica

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individuale: noi utilizziamo un trocar da 5 mm in ipogastrio, uno da 5 mm in ipocondrio destro ed un trocar (da 12 mm o da 5 mm in base al tipo di anastomosi) in epigastrio (Figura 9).

Figura 9.Posizione dei trocar. 1. Trocar ombelicale per l’ottica; 2. trocar da 5/12 mm in epigastrio; 3. trocar da 5 mm in ipogastrio; 4. trocar supplementare da 5 mm in ipocondrio destro; 5. tracciato della minilaparotomia di estrazione trasversa

destra in fossa iliaca destra.

Esposizione del campo operatorio: Il paziente dev’essere posto in posizione di

Trendelemburg e ruotato verso sinistra.

Esplorazione della cavità addominale: Si procede ad esplorare l’intera cavità addominale,

esaminando attentamente il peritoneo, il mesentere e il fegato (con eventuale ecografia intraoperatoria) alla ricerca di eventuali localizzazioni secondarie e di carcinosi peritoneale. È inoltre opportuno vedere se infiltra la sierosa, se non la infiltra non sempre è palpabile; questo rende conto del fatto che una delle maggiori difficoltà della laparoscopia sia proprio l’individuare la sede della lesione e dimostra ulteriormente la necessità di un’adeguata valutazione preoperatoria tramite pan-colonscopia o eventualmente, ove questa non fosse possibile, tramite clisma a doppio contrasto e/o colonscopia virtuale. Particolarmente utile si

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dimostra marcare le neoplasia con inchiostro di china o blu di metilene durante l’esame endoscopico75. Infine, si può ricorrere alla colonscopia intraoperatoria76.

A questo punto può iniziare l’intervento: il grande epiploon viene ribaltato, scoprendo il colon trasverso, e poggiato sullo stomaco che dev’essere vuoto. Le anse del tenue “cadono” così in ipocondrio sinistro, permettendo l’esposizione ottimale del ceco, del colon ascendente, del mesocolon destro e dei peduncoli ileocolico e colico superiore destro. Durante tutte le procedure è opportuno ridurre al minimo la manipolazione del tumore.

Mobilizzazione: per l’emicolectomia destra oncologicamente corretta (legatura dei vasi

all’origine, linfoadenectomia e escissione radicale del mesocolon destro) sono possibili due diversi accessi: uno “laterale”, che prevede quindi una dissezione in senso latero-mediale, e uno “mediano” con dissezione in senso medio-laterale del mesocolon destro e liberazione del colon. L’accesso mediano evita una mobilizzazione troppo precoce del colon, che potrebbe rappresentare un ostacolo al momento delle legature vascolari in situ e, allo stesso tempo, permette quindi una legatura immediata dei vasi all’origine. Al contrario, l’accesso laterale risulta meno pericoloso, soprattutto per i chirurghi meno esperti e sembrerebbe ridurre al massimo il rischio di lesioni vascolari, ureterali e della C-duodenale. L’atteggiamento più diffuso attualmente è quello di utilizzare l’accesso laterale in caso di patologie benigne, come ad esempio il M. di Crohn, e di riservare invece l’accesso mediano alle patologie maligne.

• Accesso mediano: Identificata la lesione si tira verso l’alto il blocco ileocecale tramite

una pinza, in modo da esporre il mesocolon destro ed evidenziare il peduncolo vascolare ileo-colico, che viene preparato e sezionato selettivamente fra clip all’origine dei vasi mesenterici superiori. La dissezione viene quindi condotta in senso

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medio-laterale, fino a liberare il mesocolon dal blocco duodeno-pancreatico con scollamento progressivo della fascia di Toldt, in basso verso il blocco ileocecale e in alto verso la flessura epatica. A questo punto si passa quindi in regione sovra-mesocolica e si provvede all’apertura della retro-cavità degli epiploon, previo sollevamento del grembiule omentale e distacco colo-epiploico condotto dal colon trasverso fino alla flessura colica destra. Durante tale tempo è importante identificare i rami destri del peduncolo colico medio, i quali vengono sezionati all’origine. Si completa la mobilizzazione del colon mediante distacco parieto-colico destro condotto sul piano di Toldt. Durante tutte queste manovre è essenziale rispettare i piani anatomici, pena il rischio di lesioni iatrogene ureterali, vascolari del plesso gonadico omolaterale e di traumi duodeno-pancreatici. A questo punto è possibile provvedere alla emicolectomia destra.

• Accesso laterale: diversamente dal precedente, prevede come primo tempo operatorio,

la mobilizzazione del colon destro partendo dalla doccia parieto-colica lungo il piano avascolare di Toldt. Si procede poi alla mobilizzazione della flessura epatica ed alla sezione del legamento gastrocolico. Si legano infine i peduncoli vascolari, e da tale momento l’intervento è sovrapponibile a quello eseguito con approccio medio-laterale.

Resezione e anastomosi: a questo punto la tecnica chirurgica cambia in base al tipo di

anastomosi che si intende fare. Dopo l’asportazione del segmento colico interessato dalla neoplasia, del suo meso e dei linfonodi satelliti è necessario, ovviamente, ripristinare la continuità del tratto intestinale tramite anastomosi dei segmenti a monte e a valle rispetto alla neoplasia. Si confeziona quindi un’anastomosi ileocolica latero-laterale extracorporea, meccanica o manuale, o intracorporea meccanica. Diversi studi hanno ormai dimostrato il

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beneficio dell’anastomosi latero-laterale in termini sia di recidiva che di morbilità77, 78.

• anastomosi extracorporea: è quello maggiormente utilizzato per completare l’emicolectomia destra. Dopo avere eseguito una ampia mobilizzazione del colon destro e dell’ultima ansa ileale, si procede alla desufflazione. A questo punto si pratica un’incisione laparotomica di servizio (sottocostale destra o mediana periombelicale) sulla quale si applica un dispositivo di protezione parietale e si estrinseca il colon destro; questo passaggio necessita di una maggiore mobilizzazione del colon per la sua esteriorizzazione e questo aumenta il rischio di torsione del mesentere senza una diretta visione dell’orientamento dell’intestino. Inoltre può essere particolarmente difficile confezionare un’anastomosi tension-free attraverso la laparotomia in quei pazienti che hanno dei mesi corti e voluminosi. Si scelgono i punti di resezione sull’ileo terminale e

sul colon trasverso. A questo punto si provvede ad eseguire fori sul lato antimesenterico dei due monconi e si esegue una anastomosi ileo-colica latero-laterale meccanica anisoperistaltica mediante suturatrice meccanica lineare TLC75 mm (ETHICON ENDO-SURGERY™ Linear Cutter ) e mediante la stessa suturatrice si asporta il pezzo operatorio realizzando un emicolectomia destra. La linea di sezione è rafforzata da un sopraggitto in monofilamento riassorbibile in continua. Si riposiziona il viscere in addome e si sutura l’incisione di servizio per strati anatomici. A questo punto si provvede alla reinsufflazione e alla verifica del corretto riposizionamento dei mesi; quindi alla riperitoneizzazione mediante applicazione di colla di fibrina.

• Anastomosi intracorporea: dopo la mobilizzazione del colon destro, si pratica la sezione dell’ileo terminale e del colon trasverso sui punti prescelti mediante una suturatrice meccanica Echelon 60mm (ETHICON ENDO-SURGERY™ Linear

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Cutter ) realizzando un emicolectomia destra. A questo punto il pezzo operatorio è posizionato in un apposito sacchetto (Endo-bag). Tramite la stessa suturatrice si confeziona in laparoscopia una anastomosi ileo-colica latero-laterale isoperistaltica meccanica e si procede alla chiusura delle brecce in continua a doppio strato. A questo punto l’intervento è praticamente concluso e si provvede all’incisione di servizio per estrarre il pezzo previo posizionamento di dispositivo di protezione di parete. Solitamente eseguiamo un’incisione sovra-pubica secondo Pfannenstiel, anche se a volte in una minoranza dei casi usiamo un’incisione mediana periombelicale e ancor più raramente un’incisione sottocostale destra. Anche qui riperitoneizzazione con colla di fibrina (Tissucol), previa verifica dei mesi (ben orientati, privi di tensione e ben vascolarizzati). Questa tecnica richiede di solito un tempo operatorio maggiore rispetto al precedente approccio e maggiori capacità laparoscopiche del chirurgo, ma allo stesso tempo riduce la manipolazione degli organi addominali dal momento che il pezzo operatorio viene rimosso dopo il confezionamento dell’anastomosi.

In entrambi i casi dopo la riperitoneizzazione eseguiamo lavaggi della cavità addominale ed emostasi. Solitamente non dreniamo il campo operatorio e, alla fine dell’intervento, rimoviamo il SNG lasciando in sede il catetere vescicale.

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CAPITOLO TRE

Outcomes a breve termine

dell’emicolectomia destra laparoscopica per

cancro: anastomosi intra- versus

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