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Tomasz Rakowski, Hunters, gatherers and pratictioners of powerlessness: An ethnography of the degraded in postsocialist Poland, New York, Oxford, Berghahn, 2016, pp. XIII-312.

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Academic year: 2021

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2019 | ANUAC. VOL. 8, N° 1, GIUGNO 2019: 243-245

R

ECENSIONI

Tomasz RAKOWSKI | Hunters, gatherers, and practitioners of powerlessness: An ethnography of the degraded in postsocialist Poland, New York, Oxford, Berghahn, 2016, pp. XIII-312.

La letteratura antropologica sulle aree di crisi dovuta a traumi ecologici, industriali, politici, economici ha messo in luce diverse trame di azione che in esse possono avere luogo. Si va da una tendenza verso la “conservazione” delle risorse naturali e culturali ancora presenti – con le strategie pubbliche apprestate in questa direzione – alla ricerca di vie di “rinnovamento” degli equilibri ecologici e sociali verso una modernizzazione del territorio conno-tata anche in chiave simbolica.

Il quadro di riflessione proposto da Tomasz Rakowski riguarda invece un caso di crisi e di mutamento non diretto ancora verso una direzione di scio-glimento chiara: quello della traumatica transizione in corso nelle aree indu-striali minerarie della Polonia, in particolare nella Bassa Slesia e del Sud del Paese, in seguito al crollo della Repubblica Popolare nel 1989-1990 e all’in-gresso nell’economia di mercato.

La crisi in questione è quindi quella del rapido sconvolgimento del pae-saggio minerario-industriale-agrario e dell’emergere di un paepae-saggio fisico e umano inedito. L’indagine di Rakowski è rivolta ai losers, ai perdenti del po-st-comunismo, a diversi gruppi sociali che vivono nel territorio con una spe-cifica agentività, in qualche modo, di risposta alla crisi. Questa risposta deli-nea – per Rakowski – una dimensione sociale nuova. Oltre a quella del “pri-vato”, dello “stato”, del “welfare”, appare una nuova realtà sociale i cui atto-ri sono definibili hunters-gatherers. In sostanza, esiste, nella lunga transizio-ne post-comunista, una Polonia “cacciatrice-raccoglitrice”.

Questa dimensione è indagata in tre etnografie sulla resilienza di fronte a un collasso economico e a una catastrofe culturale. In esse, ci troviamo di fronte a tre tentativi di attuare delle strategie di sopravvivenza ma anche, e soprattutto, a tre tentativi di rimettere insieme la realtà.

This work is licensed under the Creative Commons © Felice Tiragallo 2019 | ANUAC. VOL. 8, N° 1, GIUGNO 2019: 243-245.

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244 TOMASZ RAKOWSKI | HUNTERS,GATHERERS,ANDPRACTITIONERSOFPOWERLESSNESS

Il primo terreno di ricerca riguarda una vasta area fra Szydłowiec, Przysu-cha e le valli di Świętokrzyskye, in cui si estendeva, prima del 1989, un siste-ma di produzione agricola di conduttori privati ampiamente sostenuti e ga-rantiti dal credito statale, da enti di acquisto della produzione e di sostegno sia agli ammodernamenti, sia al consumo. Dopo il 1989 irrompe il libero mercato. Una parte del sistema produttivo di modernizza. Un’altra parte, la rete dei piccoli produttori, è spinta alla marginalità. La loro reazione nella “ricomposizione della realtà” è duplice. Da un lato si diffonde una sorta di coscienza ecologica svelata da racconti e giudizi pubblici condivisi sul degra-do dell’ambiente, ora (solo ora?) intossicato dai fertilizzanti. Dall’altro la di-lagante mancanza di lavoro è associata ad un attivismo nella manutenzione delle abitazioni, delle recinzioni e delle proprietà assai diffuso e quasi osses-sivo. Un attivismo totalmente esibito, esposto al reciproco controllo, che ri-manda – per Rakowski – alla elaborazione condivisa di un sentimento di ver-gogna (pp. 49-50).

Il secondo caso riguarda il distretto ex-minerario di Wałbrzyck-Borguszó-w-Gorce, nella Bassa Slesia. In esso il processo di assorbimento e di elabora-zione della catastrofe sociale, economica ed ecologica ha preso le forme della costruzione culturale-materiale prima indicata. La dismissione di numerose miniere di carbone a cielo aperto, presenze di lunga durata nel paesaggio lo-cale, fin dai tempi del dominio tedesco nell’area slesiana, ha prodotto un adattamento peculiare. Da un lato nel corpo degli impianti estrattivi abban-donati si sviluppa una coltivazione/prelievo individuale e parcellizzata. Pic-cole squadre di 6-8 raccoglitori entrano quotidianamente (e abusivamente) negli impianti ed estraggono modesti quantitativi di carbone per autoconsu-mo e per un piccolo commercio. Dall’altro il rapporto generale con l’ambien-te appare quello di una sorta di regressione in cui lo spazio ex-minerario è ora inteso come uno spazio naturale, uno spazio di ritrovamenti, di appro-priazioni, di prelievi – in una parola: di caccia – a cui segue, proprio come avviene nelle società di caccia e raccolta della tradizione etnografica, un bri-colage, un adattamento di rottami, di strumenti tecnici abbandonati, in fun-zione di nuovi usi pratici e di nuove significazioni estetiche, memoriali o af-fettive. Il tutto avviene – nota Rakowski – in una strategia, in una logica di autorappresentazione fondata ancora su un modello di “vergogna esternaliz-zata” (p. 100). “Essi ci hanno distrutto”, vale a dire gli agenti esterni del cambiamento hanno agito in modo tale da “distruggere” i minatori non solo per l’usura dei corpi e per la “rovina” della loro salute, ma, assai di più, per il suo opposto, cioè per la mancanza attuale di quel lavoro (p. 101).

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TOMASZ RAKOWSKI | HUNTERS,GATHERERS,ANDPRACTITIONERSOFPOWERLESSNESS 245

Il terzo terreno etnografico è il perimetro della zona industriale-mineraria attiva di Belchatow, il più grande bacino di carbone-lignite del Paese, aperta nel 1955 e destinata ad alimentare un’importante centrale di energia elettri-ca. Gli enormi impianti della KWB confinano con una rete di piccoli possedi-menti e di case rurali abitate da ex-agricoltori i quali ambiscono a vendere i loro fondi non più produttivi al grande ente industriale. Nell’attesa sviluppa-no con il mondo minerario limitrofo un rapporto materiale e immaginario di radicale separatezza ed estraneità. La miniera diventa per loro un Orbis Inte-rior che incombe sui loro destini e li determina, mentre il loro mondo dome-stico si basa su comportamenti estranei alle logiche di mercato, e anche qui prevalgono il cacciare e il raccogliere.

Il “grande magazzino” di beni della miniera si presenta come un campo di accessibilità disponibile “immediatamente”, come qualcosa che esce dalla scatola magica spinto da una molla. Bisogna solo “saper guardare”, dice Wa-claw, uno degli interlocutori di Rakowski. Nei margini della miniera si trova-no “tesori” e “trofei” – come metalli ottimamente zincati e nascosti da una coltre di polvere, dozzine di telefoni quasi nuovi perfettamente funzionanti, abiti da lavoro mai usati – cose che appaiono facilmente e tutte in una volta. “Gli oggetti si accumulano nelle case e nei cortili: sono le condensazioni dei legami speciali che i loro abitanti mantengono con il KWB. I raccoglitori at-tribuiscono al possesso di questi “trofei” un significato praticamente magico. Si tratta di oggetti “apparsi di colpo”, rivelati quasi in tutte le loro caratteri-stiche e oggetto di un riconoscimento improvviso. Così come si incontrano di colpo i tesori, o avvengono le apparizioni della Madonna. (p. 227)

Il carattere peculiare della ricerca di Tomasz Rakowski sembra quindi es-sere quello di cercare le tracce della crisi complessiva della società polacca nella lunga durata della transizione di sistema, direttamente nellʼintreccio locale fra ambienti, corpi e oggetti, nella tensione fra i modi incorporati di vivere la transizione e le autorappresentazioni degli ex-minatori, votate ad elaborare lʼassenza di un “prima”, il vuoto attuale e lʼindecifrabilità del futu-ro. Una grande tradizione polacca di studi sociali sulla povertà, un puntuale ricorso alla filosofia fenomenologica, un uso creativo del concetto levistraus-siano di bricolage, e di scienza del concreto, e poi apporti di Ingold, Bour-dieu, Mauss e di molti altri conducono Rakowski a delineare un orizzonte culturale che invoca spontaneamente un fertile confronto con altre storie minerarie, non solo in Europa.

Felice TIRAGALLO

Università di Cagliari

felice.tiragallo@unica.it

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