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Santa Maria Liberatrice

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Academic year: 2021

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S

ANTA

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ARIA

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IBERATRICE Rione Testaccio

La chiesa parrocchiale, eretta nel 1908 nella omonima piazza nel cuore del quartiere Testaccio (dal 1921 promosso a XX rione di Roma), è affidata all’ordine dei Salesiani. Ha ereditato il titolo e l’icona mariana, principale oggetto di culto, dalla chiesa di Santa Maria Liberatrice al Foro Romano demolita nel 1900 per portare alla luce la sottostante chiesa di Santa Maria Antiqua.

Nel 1888 vicario di Roma Lucido Mario Petocchi segnalava in un resoconto indirizzato al pontefice Leone XIII l’urgenza di erigere una chiesa parrocchiale nel nascente quartiere Testaccio per “provvedere alla religiosa assistenza delle molte famiglie che colà avrebbero preso dimora, ed alla cristiana educazione di tanti figli del popolo” (cit. in Mellano, p. 189). Dopo un primo rifiuto da parte di padre Michele Rua, Rettore della Pia Società Salesiana, il Cardinale Vicario affidò nel 1905 i lavori della chiesa ai Benedettini del vicino monastero di Sant’Anselmo. Questi potevano contare sui proventi della vendita di un terreno che la Santa Sede possedeva nel quartiere e di un capitale di duecentomila lire donato dalle Oblate di Tor de’ Specchi. Si trattava del rimborso offerto loro dallo stato italiano per la demolizione, eseguita nel gennaio del 1900, della chiesa di Santa Maria Liberatrice al Foro Romano, che le monache di santa Francesca Romana occupavano dal 1548. L’intento era quello di fare emergere la sottostante chiesa di Santa Maria Antiqua sede di un antichissimo culto mariano trasformato in chiesa probabilmente sotto l’imperatore Giustino II (567-578). La chiesa sovrastante era stata eretta nel XIII secolo e nel 1617 ricostruita dalle fondamenta dall’architetto Onorio Longhi su commissione del cardinale Marcello Lante che in tal modo desiderava ottemperare, come attestava una lunga epigrafe conservata nella chiesa (Forcella, p. 406), alle volontà testamentarie del fratello Michele morto in giovane età. Al XVII secolo risalgono le prime notizie relative all’immagine miracolosa che dava il nome alla chiesa collocata sopra l’altare maggiore: una iscrizione marmorea ricorda il breve del 23 settembre 1621 con il quale Gregorio XV concedeva numerose indulgenze all’altare sopra il quale era esposta l’icona appena restaurata, mentre risale al 4 agosto 1653 l’incoronazione della Vergine del Capitolo Vaticano su richiesta delle Oblate. Il predicatore gesuita Concezio Carocci la inserisce nella sua raccolta delle principali immagini mariane di Roma e ne tramanda la leggenda di fondazione: l’origine dell’icona si legherebbe al racconto di un miracolo di papa Silvestro il quale, con l’aiuto della Vergine, avrebbe reso innocuo un drago che abitava “in una gran voragine di fuoco, detta già il Lago di Curzio” (Carocci, p. 414) e che ogni giorno causava strage nella

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popolazione di Roma. Sulla grotta, diventata la tomba del drago, Silvestro avrebbe fatto erigere un tempio mariano: “E chiamolla Santa Maria libera nos a poenis Inferni [...] perché in quell’orrore, a quei fischi, a quel furno, a quel fuoco, a quelle furie rassembrogli quella Vorragine un Inferno, per un solo Dragone” (ivi, p. 428). Il culto della Vergine “liberatrice” ancora nei giorni precedenti la demolizione della chiesa, era al centro di pratiche devote per la salvezza delle anime del purgatorio.

Se negli anni precedenti non erano mancate nella stampa cattolica denuncie per le “pazze demolizioni che avvengono al Foro Romano” e che minacciano l’“atterramento delle antiche chiese , e nel modo più esplicito a quelle di S. Maria in Aracoeli e Liberatrice” («La Voce della Verità», 24 marzo 1883, cit. in Morganti, p. 11), le critiche si fecero più sfumate all’indomani dell’abbattimento della chiesa barocca che riportava alla luce quello che era considerato uno dei più antichi tempi mariani della città. Romolo Artioli pur riconoscendo la validità dell’iniziativa, terminava il suo saggio sulla rivista «Cosmos Catholicus» con una immagine che costituisce una sorta di amaro epilogo del racconto fondativo della chiesa: “Fiori, lumi, gente per ogni dove; già si sentiva, come per l’aria, tra le nubi d’incenso che libravansi vaporose in alto, quasi una legione d’esseri diabolici, pronti con infernali artigli d’acciaio, a sbranare la chiesa, che ora mi sembrava cosa vivente”. Nel suo saggio egli formulava anche l’augurio, di lì a pochi anni realizzato, che i cimeli dell’antica chiesa, temporaneamente portati dalle monache nella loro casa alle falde del colle capitolino, fossero presto accolti in un nuovo tempio (Artioli 1900, p. 96 e Id. 1909).

Nel 1905 l’incarico di realizzare la nuova chiesa di Santa Maria Liberatrice fu sottratto ai Benedettini e affidato da papa Pio X nuovamente ai Salesiani che fornirono maggiori garanzie di una rapida costruzione dell’edificio e di una più efficace azione pastorale, assicurando accanto alla cura parrocchiale anche la gestione di scuole serali e un oratorio sul modello sperimentato nei pressi della stazione Termini (v. Sacro Cuore a Castro Pretorio). Come scriveva nel 1906 il «Bollettino Salesiano» il quartiere proletario del Testaccio, tra i più poveri e difficili della Roma dei primi del Novecento, era considerata una “terra di missione” (non è un caso che Piero Maironi, il protagonista del Santo fogazzariano, romanzo pubblicato nel novembre del 1905, finisca qui i propri giorni al servizio dei poveri) e come tale non poteva essere abbandonato alla “propaganda dei socialisti” crescendo “nell’ignoranza religiosa e nell’odio del prete” (La nuova chiesa). La sfida che si giocava sul campo educativo, vedeva contrapposti da una parte i seguaci di don Bosco attivi nel quartiere fin dal 1898 con una scuola popolare, dall’altra istituzioni formative laiche che avevano nei primi anni del Novecento un instancabile organizzatore nella figura di Domenico Orano profondo conoscitore della realtà “testaccina”.

La Casa Generalizia dell’Ordine incaricò l’architetto Mario Ceradini, veneziano di nascita ma piemontese di formazione, di approntare in breve

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tempo un progetto. Questi a sua volta affidò il cantiere alla società torinese Porcheddu, specializzata nella nuova tecnica del calcestruzzo armato. Dopo solo due anni la chiesa, inaugurata il 28 novembre del 1908, era pressoché terminata. L’edificio a tre navate si presenta con una facciata in laterizio e travertino in stile neo-romanico con un programma iconografico che richiama la continuità con il complesso cultuale di Santa Maria Antiqua, ritenuta la più antica basilica romana dedicata alla Vergine: in mosaico sono infatti riproposti gli affreschi “di maggiore importanza storica” (Lanciani, p. 301) della chiesa tardomedievale, quelli della cappella dei Santi Quirico e Giulitta realizzata al tempo di papa Zaccaria (742-752). La scelta non era casuale: in quella medesima cappella era stata infatti trovata l’iscrizione che indicava il nome della chiesa (Birgo Maria qui appellatur antiqa) mettendo fine alla lunga controversia sull’esatta ubicazione del titolo. A ricordo della sua storia più recente sotto i mosaici furono collocati gli stemmi di Pio X, delle Oblate di Tor de’ Specchi e della Società Salesiana. Nell’interno a tre navate spicca, sotto un baldacchino in marmo rosso, l’altare maggiore sopra il quale fu collocata l’icona titolare della chiesa.

“La taumaturga Immagine di S. Maria Liberatrice [...]è salita in trionfo fra quella laboriosa popolazione, dopo essere stata più secoli fra i ruderi del Palazzo dei Cesari”, annunciava il «Bolletino Salesiano», sottolineando il ruolo centrale ricoperto dall’icona nella pratica liturgica e l’entusiasmo della popolazione (XXXIII/1 (1909), p. 10). In realtà la nuova fabbrica non da tutti era vista di buon occhio come dimostrano le aggressioni e le sassaiole nei confronti del salesiano Angelo Lovisolo, nel 1906, e di altri ecclesiastici che si recavano per le strade del quartiere. Tale situazione aveva inevitabili ripercussioni sulla pratica liturgica: quando don Lovisolo, nominato primo parroco il 25 aprile del 1909, volle dare particolare enfasi al mese mariano con una processione, si verificarono infatti tumulti con sassate e insulti, che si ripeterono puntualmente l’anno seguente. Il salesiano Luigi Albisetti, in una cronaca manoscritta di quei primi anni, redatta nel 1937, ricorda alcune invocazioni “curiose” dei fedeli: “Madonna bella falli morì ammazzati questi repubblicani!...” (Mellano, p. 58). E ai “viva Maria” dei devoti facevano seguito ingiurie contro i preti e bestemmie da parte della folla. Polarizzò anche la stampa romana la protesta che accompagnò la processione del Corpus Domini del 1910 (per le reazioni sui quotidiani Lunadei, pp. 100-101) cosicché la successiva processione per la festa di Santa Maria Liberatrice fu vietata dal questore per motivi di ordine pubblico.

Negli anni seguenti i salesiani riuscirono a entrare gradualmente nel tessuto sociale del quartiere attraverso iniziative ricreative, quali la filodrammatica o il cinema (in concorrenza con il Cinematografo educativo fondato nel 1909 dall’Orano), l’organizzazione di gruppi giovanili e operai, la scuola. Già nel 1914 la situazione sembra cambiata stando a quanto scrive

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l’«Osservatore romano» all’indomani della processione di Santa Maria Liberatrice, il 31 maggio del 1914,: “La popolazione del Testaccio ha saputo dare nella festa della sua Patrona, una nuova meravigliosa smentita alle affermazioni di coloro che ritengono il Testaccio la rocca dell’anticlericalismo romano. Ce ne congratuliamo con quei bravi cattolici e soprattutto con gli infaticabili Salesiani che in pochi anni di lavoro assiduo hanno ridestato la fede in quel popolare quartiere” (Lunadei, p. 101). Negli anni Venti l’icona è ormai definita “la Regina di Testaccio” (Cesia, p. 789) e il suo definitivo ancoraggio al territorio si realizza attraverso il patronato sul nuovo rione e la proliferazione di Madonnelle nelle strade del quartiere come quella realizzata nel 1926 dal Prof. Capanni dell’Istituto di S. Michele e collocata tra via B. Franklin e via Galileo Ferraris o la copia con cornice di stucco con la scritta lungo il bordo S. Maria libera nos a poenis inferni, in via Giovan Battista Bodoni datata 1929 o infine la riproduzione in mosaico in via Marmorata del 1933 (Madonnelle romane, pp. 90-91, Gittarelli). Ancora oggi la festa per la Madonna Liberatrice è celebrata l’ultima settimana di maggio, con un programma fitto che alterna iniziative ludiche a eventi culturali che culminano nella processione la sera della domenica.

Fonti: BAV, ACSP, Madonne coronate, II, f. 121r-122v; L. Albisetti, Notizie per la compilazione della cronistoria della Pia Società Salesiana, dattiloscritto datato 30 agosto 1937, in Archivio Salesiano Centrale (ASC), F 899; G. Vanella, Chiesa di S. Maria Liberatrice al Testaccio in costruzione. Pro manuscripto. Memoria dell’Ispettore Romano al Capitolo della P.S.S. Roma, 8 marzo 1907, ASV, Fondo S. Cuore, H 0040706 (pubblicata in appendice a M.F. Mellano, I Salesiani nel quartiere romano del Testaccio (primo ventennio del ’900, Roma 2002, pp. 193-199).

Bibliografia: Bombelli 1792, I, pp. 133-136; Carocci 1729, pp. 411-432; V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e d'altri edifici di Roma dal secolo XI fino ai giorni nostri [...], VII, Roma 1876, pp. 401-410; G. Hartmann, Archeologia. S. Maria antiqua al foro romano [...], in «La Civiltà Cattolica», s. XVI, VI/1102 (1896), pp. 458-478; R. Artioli, La chiesa di Santa Maria Liberatrice. Appunti di storia e d’arte, in «Cosmos Catholicus. Grande rivista cattolica illustrata», a. II. fasc. 3-4 (1900), pp. 81-96; La nuova Chiesa di S. Maria Liberatrice al Testaccio in Roma, in «Bollettino Salesiano», XXX/1 (1906), pp. 10-14; R. Artioli, La nuova chiesa di S. Maria Liberatrice in Roma, in «Arte e Storia», s. IV, 28/6 (1909), pp. 169-172; Processioni e dimostrazioni anticlericali al Testaccio e I fatti del Testaccio, in «Il Messaggero», 30 maggio 1910; D. Orano, Come vive il popolo a Roma. Saggio demografico sul quartiere Testaccio, Pescara 1912; Parrocchia Santa Maria Liberatrice, Atti del I Congresso parrocchiale, 6-8 dicembre 1930, Roma 1930; L. Paterna Baldizzi, La prima chiesa di Roma, Roma 1941; E. Ceria, Annali della Società Salesiana, III. Il rettorato di don Michele Rua, parte II (1899-1910), Torino 1946, pp. 774-792; M. Cingolani, Per il cinquantenario della parrocchia di S. Maria Liberatrice al testaccio. Discorso tenuto alla Sala Clemson il 6 dicembre

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1958, Roma 1959; Ceschi 1963, pp. 164-165; 75° dell’Opera salesiana al Testaccio, a cura della Direzione della Casa e dell’Unione ex-allievi, Roma 1977; F. Iozzelli, Roma religiosa all’inizio del Novecento, Roma 1985, ad indicem; D. Gallavotti Cavallero, Guide rionali di Roma. Rione XX - Testaccio, Roma 1987, pp. 42-46; G. Scarfone, La chiesa di S. Maria Liberatrice al Testaccio, in «Strenna dei romanisti», 51 (1990), pp. 485-497; Madonnelle romane e religiosità popolare, mostra Mariana in S. Michele a Ripa Grande (1 dicembre 1991-6 gennaio 1992), Catalogo di studi a cura di Mons. D. Balboni, Roma, Romana Società Editrice, 1991, pp. 90-91; S. Lunadei, Testaccio: un quartiere popolare. Le donne, gli uomini e lo spazio della periferia romana (1870-1917), Milano 1992, pp. 95-106; L. Iamurri, Santa Maria Antiqua, in Roma sacra. Guida alle chiese della città eterna. 3° itinerario, pp. 26-30; F. Lombardi, Roma. Le chiese scomparse. La memoria storica della città, Roma, p. 270; M.G. Zanotti, S. Maria Antiqua, in LTUR III, 1996, pp. 214-215; C. Cerchiai, Testaccio, in I rioni e i quartieri, 8, pp. 168-169; M.F. Mellano, I Salesiani nel quartiere romano del Testaccio (primo ventennio del ’900), Roma 2002; M. Spesso, La chiesa di Santa Maria Liberatrice al quartiere operaio del Testaccio in Roma e le architetture di Mario Ceradini per i Salesiani, Genova 2002; G. Morganti, Giacomo Boni e i lavori di Santa Maria Antiqua: un secolo di restauri, in Santa Maria Antiqua al Foro Romano cento anni dopo, Atti del colloquio internazionale (Roma, 5-6 maggio 2000), a cura di J. Osborne, J. Rasmus Brandt, G. Morganti, Roma 2004, pp. 11-30; Nuzzo 2005, pp. 508-510; M. Alemanno, Le chiese di Roma moderna, III. I Rioni Ripa e Testaccio e i quartieri del quadrante sud-est, Roma 2007, pp. 24-27; S. Gittarelli, A passeggio per Roma alla ricerca delle edicole sacre. Rassegna fotografica [...], Roma 2008, pp. 296-297.

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