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DISPENSA DI ENOGASTRONOMIA CLASSE V B

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Academic year: 2021

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DISPENSA DI ENOGASTRONOMIA CLASSE V B

IL MENU

Il menù è l’elenco delle pietanze realizzate in un ristorante. Esso serve:

 ad indicare l’insieme delle pietanze e delle bevande che entrano nella composizione di un pasto.

 Ad indicare il cartoncino sul quale è trascritto l’elenco.

Il menu, come programma delle vivande, è sempre esistito ma veniva trascritto in una pergamena e letto agli ospiti. Il menu stampato su fogli sembra sia stato diffuso dal 1855 e presentato in occasione di banchetti realizzati alla corte di Napoleone III. La necessità del menu nasce dopo l’imposizione del servizio alla russa anziché quello alla francese.

I COMANDAMENTI DEL MENU

Per qualunque negozio la vetrina rappresenta sempre un’ arma potentissima. È lo strumento che ogni commerciante ha a sua disposizione per stuzzicare nei clienti la voglia di comperare, per far loro acquistare, per esempio, una cravatta anche quando non ne hanno effettivamente bisogno. Anche i ristoratori hanno un’arma ed è il menu. Con questo semplice foglio di carta si può invogliare il cliente ad ordinare le varie specialità, magari anche quando non ha tanta fame.

LA SEMPLICITÀ PRIMA DI TUTTO

Il menu deve rispecchiare la personalità del nostro ristorante. Prima di sedersi a tavolino e pensare a cosa scriverci dentro, bisogna ragionare sulle impressioni che si vogliono trasmettere al cliente informale. Per realizzare una lista fatta a dovere ci sono dei punti fermi che non si possono tralasciare.

Solitamente il cliente tiene in mano il menu per pochi minuti, quindi in questo lasso di tempo dovrà avere subito una buona impressione generale delle proposte e dovrà riuscire a trovare qualcosa che lo stimoli a ordinare. Di conseguenza la prima regola da rispettare è: la chiarezza e facilità di lettura.

Per creare il menu possiamo utilizzare anche un normale computer e un programma per scrivere. La lista deve essere immediata e quindi va realizzata con un tipo di carattere che risulti chiaro e facile da leggere. Bisogna fare poi molta attenzione anche alle dimensioni del testo che deve essere leggibile a tutti..

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Un altro aspetto importante del nostro menu riguarda la disposizione del testo. Abbiamo detto che un menu deve essere facile da leggere quindi bisogna fare molta attenzione al modo in cui il testo viene inserito nella pagina. A questo proposito, per essere più comodo da leggere il testo va disposto su colonne. In questo modo sarà più leggibile rispetto al testo che scorre per tutta la larghezza della pagina.

SCEGLIERE LE PAROLE CON ATTENZIONE

Guardando attentamente i menu realizzati da alcuni ristoratori è facile notare alcuni errori comuni. Si tratta di alcune parole inserite con l’intento di aggiungere qualità ai piatti proposti e che invece possono ottenete l’effetto contrario. Per esempio l’aggettivo fresco che spesso si trova vicino al nome di alcune pietanze a base di pesce, porterà il cliente a pensare che sono freschi solo gli ingredienti di quel piatto, mentre tutti gli altri no

L’ospite, invece, deve dare per scontato che tutto quello che viene servito è freschissimo e di alta qualità. Questo concetto fondamentale non deve mai essere messo in dubbio. Lo stesso discorso vale per termini come delizioso o squisito. Queste parole aumentano le aspettative del cliente e lo rendono più critico. Bisogna lasciare che sia lui stesso a dire se quello che gli è stato servito era di suo gusto, magari chiedendoglielo a voce a fine pranzo e dimostrando così di essere molto attenti al suo parere. Le parole che servono per la descrizione dei piatti devono creare immagini nella mente del cliente, non esprimere giudizi.

GLI ERRORI PIÙ COMUNI

Quando il cliente si trova in mano un menu troppo scomodo da consultare si innervosisce.

Gli errori più comuni che si commettono durante la sua realizzazione sono . un testo troppo piccolo o troppo grande. Un menu dovrebbe essere poco più grande di un quaderno di scuola, le dimensioni giuste sono quelle di un comune foglio A4.

Un altro aspetto importante riguarda la traduzione dei piatti in lingua estera. Se il locale si trova in una zona turistica frequentata da stranieri può essere molto utile indicare i piatti anche in inglese e in tedesco. Un errore di lingua commesso nella descrizione di un piatto toglierà al locale il fascino che con tanta fatica si è cercato di ricreare.

I VARI TIPI DI MENU

Il momento determinante dell'intero servizio ristorativo è costituito dalla scelta delle pietanze, preparate nella zona di produzione e consumate dal cliente, nella maggior parte dei casi, nella sala ristorante.

Al cliente viene data la possibilità di effettuare la sua scelta consultando il menu. Il termine "menu" è usato correntemente:

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 sia per indicare il menu operativo, cioè l'insieme delle pietanze che costituiscono un pranzo;

 sia per indicare il menu fisico, cioè il supporto (la carta o il cartoncino) sul quale vengono ordinatamente riportati i piatti.

Per concepire correttamente il menu operativo, è necessaria un'accurata selezione dei piatti, che tenga conto di molteplici fattori: le esigenze e le abitudini alimentari della clientela, il contesto nel quale viene svolto il servizio ristorativo, la stagionalità dei piatti offerti e così via.

I tipi di menu più utilizzati possono essere raggruppati in due categorie:  menu alla carta , detto anche “a scelta del cliente”;

 menu fisso;

MENU ALLA CARTA

È l'elenco delle preparazioni gastronomiche proposte dall'azienda ristorativa, ordinate per portate.

Per portata si intende ciascuna delle diverse vivande che si portano in tavola: un pranzo di tre portate, per esempio, può essere costituito dal primo, dal secondo e dal dessert. La lista delle vivande riporta, oltre agli ingredienti caratterizzanti il piatto, l'indicazione se si tratta di un alimento fresco o surgelato e il prezzo di vendita. Questo tipo di menu consente al cliente di determinare la scelta gastronomica e l'ammontare del conto.

Nella grande carta, la lista è molto più lunga e comprende piatti raffinati ed elaborati, talvolta appartenenti alla cucina internazionale. Viene generalmente proposta nei ristoranti di categoria superiore ed è solitamente aggiornata con cadenza stagionale.

MENU FISSO

In questo caso l'offerta gastronomica viene definita dall'azienda ristorativa e il cliente effettua la sua scelta in relazione a essa, quindi non ha un ampio margine di discrezionalità. Il menu propone, generalmente, da due a tre piatti per portata, offrendo al cliente la possibilità di scegliere un piatto per portata. Il prezzo, solitamente accessibile, è prefissato e si riferisce al menu nel suo complesso.

Tra le tipologie più diffuse di menu fisso ricordiamo il menu turistico, il menu a tema.

 Il menu turistico costituisce una vera e propria strategia commerciale per attirare i clienti. Viene proposto con prezzi particolarmente vantaggiosi nei ristoranti delle località turistiche. Per invogliare i turisti non si punta solo sul prezzo, ma anche sull'offerta: di solito si propongono due o tre menu alternativi completi a prezzo fisso.

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 Il menu per ricorrenze è stilato dai ristoratori in occasione di festività particolari, come il Natale, il Capodanno, il giorno di San Valentino ecc.

ALTRI TIPI DI MENU FISSO:MENU DEGUSTAZIONE

Possiamo definirlo una variante raffinatissima del menu a prezzo fisso. Infatti, anche in questo caso il prezzo è predefinito; i piatti sono però di livello decisamente superiore, sia per la qualità e la freschezza degli alimenti impiegati, sia per la tecnica culinaria.

Le pietanze sono generalmente elaborate, creative e innovative. Il servizio si svolge con dressage di ogni singolo piatto e le porzioni sono ridotte: si tratta, in buona sostanza, di "assaggi", ben presentati e completati con guarnizioni. A ogni piatto è in genere abbinato un vino specifico.

Queste pietanze incuriosiscono, stuzzicano l'appetito e appagano la fantasia degli ospiti, che possono gustare in un solo servizio le diverse specialità della casa. Il prezzo fisso è comprensivo dei vini e del servizio.

MENU CONCORDATO

Si stila in linea di massima per banchetti, cerimonie e occasioni diverse: matrimoni, feste, convegni ecc. Il menu viene definito dal cuoco o dal manager della ristorazione insieme al committente del banchetto, il quale conosce le caratteristiche del gruppo di invitati e le loro esigenze gastronomiche e nutrizionali. La scelta dei piatti viene fatta considerando anche la spesa pro capite che il committente intende sostenere.

PIATTO UNICO

Non può essere considerato un vero e proprio menu, bensì la proposta, a prezzo fisso, di un piatto variamente composto che da solo potrebbe costituire un pasto. La richiesta del piatto unico è sempre più diffusa e trova la sua motivazione nella necessità, oggi molto sentita, di rispettare sani principi nutrizionali.

La composizione del piatto unico si rifà alla dieta mediterranea, che prevede il consumo prevalente di pane, pasta, legumi, pesce, latte e derivati, frutta fresca, olio d'oliva come condimento.

L'apporto calorico complessivo di un piatto unico non deve superare le 700/800 kcal e deve garantire un equilibrato apporto di nutrienti: carboidrati, lipidi, glucidi, vitamine e sali minerali.

IL MENU’ IN BASE ALL’ETA’ E ALLO STATO DI SALUTE DEL CLIENTE.

Costruire il menù in base all’età e allo stato di salute del cliente vuol dire variare i piatti, ingredienti e quantità a seconda che ci si trovi a fornire il pasto a studenti o a lavoratori o a persone anziane.

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Se chi consuma il pasto svolge un’attività fisica impegnativa o un lavoro pesante, avrà bisogno di piatti più robusti; se soffre di malattie o patologie che richiedono una dieta personalizzata, bisognerà evitare certi alimenti e servirne altri.

Lo stesso accade se bisogna servire clienti che seguono diete speciali. Tenendo conto dell’età, saranno scelte carni tenere o pesci senza lische, si potranno servire cibi frullati, passati, disossati e sminuzzati. In generale costruire il menù in base all’età o all’attività svolta dai clienti vuol dire curarsi dell’aspetto nutrizionale individuando gli alimenti e le quantità più adatte al consumatore. Costruire il menù in base allo stato di salute e a momenti fisiologici particolari, vuol dire compilare diete specifiche sulla base delle necessità fisiche e in relazione alle eventuali patologie del singolo individuo.

Ogni dieta richiede attenzioni particolari nella scelta e nella preparazione dei cibi. Può anche verificarsi la necessità di pranzare in orari differenziati; è necessario quindi informare la brigata di cucina sulle modalità previste predisponendo che riportino le indicazioni sui principali regimi alimentari. Il menù può così diventare strumento di diffusione di una corretta e sana alimentazione. Alla figura del responsabile del ristorante si affianca quindi quella del dietologo, come già avviene nella ristorazione scolastica, ospedaliera, in alcune aziende e alberghi.

IL MENÙ IN BASE ALL’ETÀ.

Il fabbisogno giornaliero deve essere suddiviso nei diversi momenti della giornata e in modo differente a seconda dell’età. Per la dieta del bambino e dell’adolescente che hanno necessità di accrescimento, il fabbisogno calorico dovrebbe essere suddiviso tra: la prima colazione, uno snack, la colazione, la merenda , il pranzo. Per gli adulti e gli anziani la dieta, che ha le caratteristiche di mantenimento, è costituita dai tre pasti principali: prima colazione, pranzo, cena.

Per la dieta dei bambini da 4 a 12 anni il latte e i suoi derivati rimangono gli alimenti prioritari, soprattutto per la prima colazione e per uno dei pasti principali. Inoltre sono indicati una volta al giorno un piatto di verdure cotte e uno di verdure crude o di frutta. Particolarmente importante diventa lo studio del menù per la refezione scolastica , che deve fornire una alimentazione equilibrata, che tenga conto delle abitudini alimentari della collettività, scegliendo piatti salutari ma graditi ai bambini. Dai 12 ai 18 anni si parla di dieta dell’adolescenza. La capacità di scelta autonoma anche in campo alimentare porta i ragazzi ad un consumo poco attento dei cibi, in una fase della vita in cui bisognerebbe imparare a nutrirsi con un’ampia varietà di alimenti.

In età adulta la dieta dovrebbe mantenere nei valori di norma il peso corporeo e anche nella terza età dovrebbe essere equilibrata, riducendo l’apporto calorico.

IL MENU’ IN FUNZIONE DELLO STATO DI SALUTE DEL CLIENTE.

Il fabbisogno giornaliero medio di un individuo adulto è di 2254 calorie, anche se molto dipende dal lavoro svolto. Le calorie necessarie potrebbero anche essere inferiori a tale valore dato che aumentano i lavori sedentari. È importante il calcolo del quantitativo massimo di colesterolo, che in un individuo adulto deve essere al

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massimo di 300 mg, ma che può essere levato fino a 500 mg per persone in perfetta salute.

In caso di sovrappeso occorre seguire una dieta ipocalorica, quindi potrebbe essere necessario iniziare il pasto con molte verdure, che conferiscono un senso di sazietà. Per prevenire o curare alcune malattie si può unire la cura farmacologica a una dieta alimentare, escludendo alcuni cibi favorendo il consumo di altri.

Le esigenze del cliente possono essere molto diverse, a volte legate a problemi di intolleranza verso alcuni alimenti e alla necessità di diete arricchite. Tra le diete più comuni figurano quelle per diabetici, con pochi grassi e zuccheri, le diete ricche di calcio, per persone affette da osteoporosi, le diete prive di lattosio, quelle povere di glutine, per persone con celiachia, quelle a basso contenuto di colesterolo e grassi saturi, nei casi di colesterolo alto.

È essenziale che il cliente possa seguire la propria dieta. Ogni sistema di ristorazione dovrebbe essere in grado di servire clienti con particolari esigenze alimentari. A seconda dei casi i clienti potranno richiedere di consumare i pasti in orari diversi da quelli consueti. Il personale di cucina deve essere informato delle richieste e del tipo di dieta con schede apposite, compilate sulla base delle esigenze alimentari del cliente e offrire la massima disponibilità nella scelta e nella preparazione dei cibi.

METODI FISICI DI CONSERVAZIONE. A) L’USO DEL FREDDO.

Il freddo ha lo scopo di rallentare o arrestare del tutto la degradazione dei cibi dovuta a processi chimici o enzimatici. Il freddo, comunque, non è in grado di distruggere le tossine e non ha effetto sterilizzante. Per questo gli alimenti destinati alla conservazione a freddo devono essere di buona qualità e possedere una quantità di microbi ridotta al minimo.

Una prima tecnica che si avvale dell’uso del freddo è la REFRIGERAZIONE, essa è applicata sia a livello industriale che domestico con la diffusione dei frigoriferi. Durante la refrigerazione ,i liquidi organici non solidificano, perciò essi non ledono le strutture cellulari dell’alimento conservando in maniera pressoché inalterata le sue caratteristiche nutritive. Tuttavia, la refrigerazione non blocca ma rallenta lo sviluppo dei microrganismi, quindi i prodotti possono essere conservati pochi giorni o al massimo qualche settimana.

Attraverso il controllo o la modifica dell’atmosfera che accompagna la refrigerazione, si realizza la tecnica della REFRIGERAZIONE IN ATMOSFERA CONTROLLATA , cioè a bassa concentrazione di ossigeno. Essa si effettua con la frutta gli ortaggi per rallentarne la maturazione. L’impianto deve essere a tenuta stagna in modo che l’atmosfera sia costante nel tempo. La tecnica della CONGELAZIONE consiste nel portare l’alimento a temperature basse in modo che l’acqua contenuta negli alimenti si solidifica e cristallizza. Tuttavia quanto più grandi sono i cristalli di ghiaccio che si formano all’interno delle cellule, tanto più ,nella fase di scongelamento, si verifica fuoriuscita di sali minerali e vitamine. Ecco perché i metodi di congelazione lenta sono stati sostituiti da quelli di congelazione rapida. Infine, abbiamo la SURGELAZIONE,che è una forma di congelazione ultrarapida. Le operazioni di surgelazione si possono effettuare solo in stabilimenti autorizzati

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dall’autorità sanitaria, e comportano la preparazione dei cibi, il loro confezionamento, il congelamento ultrarapido a - 300 o -500 in brevissimo tempo e la conservazione del prodotto a -180. Affinché il prodotto si mantenga qualitativamente inalterato deve essere mantenuta la cosiddetta “catena del freddo”, cioè dal luogo di produzione fino alla vendita deve essere mantenuta sempre la temperatura di conservazione a-180 . La scongelazione di un alimento deve essere compiuta per non comprometterne le caratteristiche e qualità , essa può essere praticata a temperatura ambiente, in frigo, con forno a microonde ecc.ecc…

B) L’USO DEL CALORE.

L’impiego del calore è un metodo efficace per distruggere i microorganismi e gli enzimi responsabili della alterazioni degli alimenti. Alle temperature elevate, il calore diventa un vero e proprio battericida anche se le temperature elevate alterano le caratteristiche degli alimenti. E’ necessario trovare il compromesso giusto che permetta qualità igienica e danneggiamento minimo degli alimenti. Louis Pasteur si accorse che riscaldando il latte il rischio di contrarre la tubercolosi si abbassava, inoltre l’alimento si conservava qualche giorno in più. Fu così ideato il metodo della PASTORIZZAZIONE, che si distingue in bassa o alta a seconda della temperatura utilizzata. Tuttavia oggi si utilizza il metodo HTST detto anche pastorizzazione rapida che sia applica anche su altri alimenti liquidi. Con la pastorizzazione si distruggono tutti i germi patogeni, ma non le spore che dopo breve tempo possono generare nuovamente microrganismi. Per questo motivo , di solito, la pastorizzazione viene associata alla refrigerazione o al sottovuoto o ad altri sistemi conservativi. La STERILIZZAZIONE è un trattamento che si effettua sempre al di sopra del 100 o e distrugge tutti i microrganismi presenti e le spore, è meno vantaggiosa perché l’alta temperatura provoca alterazioni di vario tipo. Esiste poi il trattamento UHT,che consiste nel riscaldare un alimento liquido con uno scambiatore di calore o con iniezione di vapore surriscaldato, e infine il CONFEZIONAMENTO ASETTICO ,che consente di confezionare il prodotto trattato termicamente in contenitori asettici . In questo modo si utilizza una sterilizzazione meno aggressiva e le perdite nutritive del prodotto sono limitate al massimo.

C) LA SOTTRAZIONE DI ACQUA.

I microrganismi, per vivere, hanno bisogno di una quantità ben precisa di acqua che possono trovare negli alimenti, di conseguenza, eliminando parzialmente l’acqua dagli alimenti si può allungarne la conservazione. Questo è il sistema della CONCENTRAZIONE che può essere a caldo ,a freddo o mediante membrana. La prima è la classica, più utilizzata, che consiste nella evaporazione controllata a temperature inferiori a 100 0 per tempi lunghi; ha il difetto di alterare le caratteristiche degli alimenti sensibili alle alte temperature. La seconda consiste nell’allontanare l’acqua sotto forma di cristalli di ghiaccio, infatti quando si scende sotto gli 0 0 l’acqua si separa del resto della soluzione sotto forma di ghiaccio. Infine l’ultima, in cui si impiegano filtri costituiti da membrane semipermeabili che trattengono i liquidi lasciando passare l’acqua.

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Il metodo forse più antico è quello dell’ ESSICCAMENTO solare o con metodi artificiali ,con gli essiccatoi anche se l’acqua non viene eliminata del tutto ,resta sempre nell’alimento in minima parte.

Infine abbiamo la LIOFILIZZAZIONE. Questo particolare sistema conservativo consiste nel congelamento dei prodotti alimentari e nella loro successiva disidratazione .I liofilizzati si rigenerano con la semplice aggiunta di acqua.

Le fasi della liofilizzazione sono quattro: © PREPARAZIONE DEL PRODOTTO.

© CONGELAMENTO RAPIDO O SURGELAZIONE.

© DISIDRATAZIONE SOTTOVUOTO E SUBLIMAZIONE. © CONFEZIONAMENTO.

Nella prima fase si suddivide il prodotto, che viene ridotto in piccole porzioni, nella seconda lo si congela a temperature comprese tra i -400 e i -300 , nella terza si opera un vuoto molto spinto e si riscalda leggermente per provocare la sublimazione dell’acqua, infine il prodotto così liofilizzato viene confezionato.

Le sostanze liofilizzate si mantengono inalterate per lungo tempo, riprendono l’aspetto originario se messe a contatto con acqua a temperatura ambiente, inoltre il loro peso si riduce di molto .

D) L’ USO DELLE RADIAZIONI.

L’impiego delle radiazioni per la conservazione degli alimenti è effettuata con tecniche particolari, alcune delle quali sono ancora in fase sperimentale. L’irraggiamento si basa sulla propagazione negli alimenti di energia ad opera di radiazioni elettromagnetiche come i raggi ultravioletti (UV), i raggi X e gamma. I raggi UV essendo meno penetranti , hanno una debole azione antimicrobica. I raggi X e gamma hanno il potere penetrante ed energia sufficiente per sottrarre o aggiungere elettroni agli atomi del materiale al quale vengono sottoposte.

Nel nostro paese questi trattamenti devono essere indicati con apposito marchio nelle confezioni vendute al pubblico.

E) MODIFICAZIONI DI ATMOSFERA. ATMOSFERA CONTROLLATA O CAP.

Si tratta di una tecnica che consiste nella sostituzione dell’aria con gas inerti. Si effettua trattando il prodotto entro speciali confezioni all’interno delle quali l’aria è stata sostituita da gas inerti appunto. Si definisce “atmosfera controllata” perché i gas inerti che conservano il prodotto si mantengono costanti nel tempo.

ATMOFERA MODIFICATA O MAP.

Si verifica quando la composizione dei gas inerti si modifica durante la conservazione del prodotto,perché il prodotto respira .In questo modo diminuisce l’ossigeno e aumenta l’anidride carbonica.

SOTTOVUOTO .

La conservazione sottovuoto si attua eliminando il contatto dell’aria con l’alimento , quindi creando il vuoto all’interno del contenitore alimentare.il vuoto elimina l’ossigeno frenando le reazioni degenerative e il proliferare dei microrganismi.

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CRYOVAC.

Il cryovac è una tecnologia innovativa basata sulla congelazione o refrigerazione dell’alimento chiuso in una pellicola impermeabile trasparente e sottovuoto.Questa tecnologia si impiega soprattutto per carni fresche insaccati, e altri prodotti facilmente deteriorabili.

. METODI CHIMICI DI CONSERVAZIONE.

A) CONSERVAZIONE CON IL SALE.

L’uso del sale è uno dei metodi più antichi di conservazione degli alimenti.Esso può essere effettuato a secco , per aspersione, sfregamento o sovrapposizione a strati, oppure in salamoia, per immersione in soluzioni acquose.Il sale penetra negli alimenti impedendo la putrefazione.

B) CONSERVAZIONE CON LO ZUCCHERO.

La sua azione conservativa è analoga al sale, tuttavia il saccarosio deve comunque essere presente nell’alimento per il 50%-60% dato che le percentuali basse possono favorire fermentazioni.

C) CONSERVAZIONE CON L’OLIO.

L’olio d’oliva e gli olii di semi in genere si impiegano per proteggere gli alimenti dal contatto con l’aria e impedire quindi lo sviluppo dei microrganismi .

D) CONSERVAZIONE CON L’ACETO.

L’azione conservativa dell’aceto è dovuta al suo potere acidificante che inibisce la formazione dei microrganismi.

E) CONSERVAZIONE CON L’ALCOOL ETILICO (SOTTO SPIRITO). Anche l’alcol etilico ha la proprietà si creare un ambiente sfavorevole alla proliferazione dei microrganismi.

METODI CHIMICO-FISICI E BIOLOGICI DI CONSERVAZIONE. A) AFFUMICAMENTO.

Questo metodo antico, consiste nel sottoporre gli alimenti all’azione combinata del calore e del fumo, di alcuni legni come il faggio, il castagno o le querce con l’aggiunta di alcune erbe aromatiche ( alloro ,rosmarino salvia…). L’azione conservativa unita ad una parziale disidratazione ha un’azione antifermentativa ed antisettica.

B) FERMENTAZIONE.

La fermentazione sfrutta l’azione di microrganismi capaci di produrre nella sostanza alimentare condizioni tali da impedire fenomeni di decomposizione. Le principali sono : la fermentazione alcolica, lattica, propionica, acetica, citrica. In particolare la fermentazione lattica serve per la produzione dello yogurt ,nella maturazione dei formaggi, insaccati e nella preparazione dei crauti.

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SCHEDA TECNICA DI PRODUZIONE Definizioni

Il piatto è un insieme di ingredienti lavorati, utilizzando modi e tecniche appropriate che, si identifica con un nome specifico.

Gli elementi minimi essenziali che deve contenere una scheda tecnica di produzione sono:

il nome della ricetta gli ingredienti

la quantità

numero dei coperti

gli utensili usati e i metodi di cottura

La scheda tecnica di produzione professionale.

Lo chef di cucina e l’economo predispongono per ogni pietanza dettagliatamente la scheda di produzione ricetta, il costo delle materie prime, il tempo di esecuzione, le attrezzature necessarie, il tipo di presentazione.

I dati che deve contenere la scheda sono:  la ragione sociale della ditta;

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 il nome della ricetta;  la categoria della ricetta;  il numero dei coperti;  la foto del piatto finale;

 gli ingredienti del piatto, unita di misura, quantità, prezzo per kg, prezzo dell’unità di misura utilizzata;

 il procedimento della ricetta in fasi di preparazioni, se necessario con le foto;  l’attribuzione del lavoro alle singole partite;

 il tempo reale della preparazione;  le attrezzature utilizzate;

 le varianti;

 le osservazioni nutrizionali;

 la storia del piatto o dell’ingrediente principale;  le note personali.

I verbi e i termini utili da utilizzare per la scheda di produzione ricetta. La scheda ricetta

La scheda-ricetta costituisce il corpo centrale per la buona riuscita della stessa

pietanza, dell’organizzazione delle attrezzature, utensileria, del personale e dei costi. Il nome della ricetta funge da titolo della relativa scheda: è viene scelto (ove

possibile) la grafia italiana, limitando l’impiego delle dizioni dialettali allo stretto indispensabile.

La successiva parte di codificazione presenta innanzitutto il numero di porzioni a cui si riferisce la ricetta. Nella maggior parte dei casi, è pari a 4 o 6.

A seguire, viene illustrata la codificazione tipologica (posizione nel menù: antipasto, minestra, dessert, etc.), la stagionalità, il livello di difficoltà (modesto, medio o

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elevato), il tempo di esecuzione (in minuti) e la tecnica (o meglio, il principio) di cottura. Una notazione più estesa indica gli utensili necessari per approntare la formulazione (ad esclusione di quelli più ovvi).

È importante il verbo da utilizzare il più indicato è l’infinito.

L’infinito è una forma verbale usata in molte lingue come l’italiano. È la forma che si trova nei dizionari e non è riferita ad alcun tempo (presente, passato o futuro), né ad alcuna persona grammaticale (io, tu, lui, lei). In italiano, la forma dell’infinito di un verbo come andare è composta da una radice (and-) e da una desinenza (-are). Prendere una casseruola media, metterla sul fuoco a fiamma bassa, versare l’olio d’oliva quanto sufficiente per far rosolare la cipolla precedentemente tritata

finemente. Aumentare la fiamma e rimestare continuamente, appena la cipolla si è imbiondita versare i pomodori pelati ecc……..

I PRODOTTI ALIMENTARI

La caratteristica essenziale dei prodotti alimentari è la genuinità. Ciò significa che devono possedere unicamente le loro caratteristiche naturali, senza l’aggiunta di qualsiasi altra sostanza.

Sempre più spesso i produttori si associano per tutelare i prodotti del territorio e richiedono la registrazione dei prodotti tipici. La registrazione avviene inoltrando la domanda al Ministero per le politiche agricole, che la trasmette alla Commissione europea. I prodotti tipici italiani sono oltre 100. I marci di qualità previsti sono:

1) D.O.P.: denominazione di origine protetta. 2) I.G.P.: indicazione geografica protetta. 3) S.T.G: specialità tradizionale garantita. Nel settore vinicolo esistono altri tre marchi:

1) D.O.C.: denominazione di origine controllata.

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3) I.G.T.: indicazione geografica tipica.

Il marchio DOP si associa a prodotti che provengono da una area geografica ben precisa. Il marchio IGP si assegna ad un prodotto la cui qualità è legata all’origine geografica. In questo caso è sufficiente che almeno una delle fasi di produzione sia effettuata in zona. Il marchio STG identifica le caratteristiche di un prodotto per distinguerlo da altri simili.

I NUOVI PRODOTTI ALIMENTARI.

1) Gli alimenti dietetici: essi sono pensati per particolari regimi alimentari, per esempio l’infanzia, per i diabetici, per le diete dimagranti.

2) Gli alimenti integrati: essi sono addizionati con altri nutrienti come per esempio le vitamine, i Sali minerali e le proteine.

3) Gli alimenti alleggeriti( cibi light): sono preparati riducendo il contenuto dei grassi, degli zuccheri del sale e dell’alcool.

4) Gli O.G.M.: la ricerca scientifica ha sviluppato le tecniche di laboratorio dette di clonazione o transgeniche. Gli organismi geneticamente modificati sono dei prodotti alimentari che sono modificati per aumentarne la redditività o per renderli più resistenti ai parassiti.

IL BANQUETING

Comunemente il banqueting è considerato sinonimo di catering, infatti viene definito anche “catering a domicilio” per distinguerlo dal catering vero e proprio denominato “industriale”.

Il banqueting , pur essendo in effetti derivato dal catering , ha caratteristiche sue proprie, è un contratto anch’esso atipicoe può essere definito secondo la legge “ servizio di ristorazione al domicilio del consumatore”.

Il termine “banqueting” ( dall’inglese “to banquet” , banchettare) indica l’organizzazione di banchetti di alta qualità al domicilio del cliente o in locali appositi. Per effettuare tale servizio non basta una autorizzazione generica di somministrazione di alimenti e bevande, come previsto per i ristoranti, ma è necessario creare una società di servizi ed ottenere l’autorizzazione della Camera di Commercio o dalla Prefettura.

La fondamentale differenza con il catering sta nel fatto che nel banqueting l’intera organizzazione del servizio è assunta dall’impresa fornitrice; altra differenza è che , mentre nel catering il rapporto fra le parti è continuativo, per il banqueting è caratterizzato da una durata occasionale .

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Il servizio oggetto del contratto è a ciclo completo, in quanto la società si assume la responsabilità di tutto l’evento, dal rifornimento del cibo, all’apparecchiatura ,al servizio di sala e quant’altro richiesto dal committente.

Di solito la preparazione delle vivande è realizzata nei locali della società, con la tecnica del sottovuoto e solo il completamento della cottura viene effettuato sul posto. Le attrezzature necessarie possono essere di proprietà dell’azienda o noleggiate in tutto o in parte da società specializzate. Un’altra caratteristica del banqueting è la “personalizzazione del servizio” che riuscirà tanto meglio quanto più le parti hanno concordato l’allestimento nei minimi dettagli. Nella prassi il servizio viene concordato su appositi formulari detti “check list” dove vengono indicati con precisione tutti gli elementi che compongono il servizio stesso ( il menù, le bevande, la disposizione dei tavoli, l’addobbo…..).

LE FIGURE PROFESSIONALI NEL BANQUETING.

Un’ organizzazione così complessa richiede personale altamente specializzato e responsabile dell’intera gestione dell’evento, che sappia coordinare tutti i settori e le fasi del servizio.

La figura professionale che ha questa funzione è il FOOD AND BEVERAGE MANAGER. La sua competenza è amplissima: dal controllo di qualità, alla gestione, all’igiene, alla gestione delle scorte al funzionamento delle attrezzature, ma anche al marketing, la gestione delle risorse umane. Naturalmente sono necessarie competenze di tipo organizzativo, contabile,gestionale , eno-gastronomiche,merceologiche ecc. ecc.

Altra figura professionale di rilievo è il WINE MANAGER ,responsabile del settore vini, che si distingue dal sommelier.Egli infatti non si limita solo a selezionare i vini, abbinarli al cibo e indirizzare il cliente, ma è anche responsabile della cantina ,degli acquisti dei vini e gestisce un proprio budget.Egli, inoltre, è un dipendente mentre di solito il sommelier è un lavoratore autonomo.

Il responsabile del servizio è invece il BANQUETING MANAGER, che è il vero e proprio organizzatore dell’occasione di banqueting.E’ lui che sceglie la sede, effettua dei sopralluoghi, studia il posto migliore per l’ubicazione del buffet,l’illuminazione ,i decori, gli addobbi, al momento del banchetto è responsabile della preparazione e presentazione dei piatti.Al termine dell’evento si assicura che ogni cosa rientri nella sede dell’azienda.

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Il servizio di cucina è curato dallo CHEF DI CUCINA.

Spetta a lui definire il menù per l’occasione, fare un sopralluogo negli ambienti dove viene allestito il banchetto, posizionare la cucina mobile, individuare le attrezzature necessarie, fornire indicazioni in merito all’economo.

In aggiunta, nei grandi centri di produzione è prevista la figura dello CHEF TECNOLOGO che ha una specifica competenza sulle tecnologie di conservazione dei cibi e alla progettazione di menù indirizzati a gruppi collettivi. Altra figura emergente è lo CHEF DIETISTA, che si occupa di realizzare menù specifici per le diverse esigenze e patologie della clientela e di valorizzare stili alimentari sani.

Altra figura professionale di rilievo è costituita dal BARMAN che ha conoscenze tecniche liquoristiche e abilità nella preparazione dei drink tradizionali e nuovi in base alle aspettative del cliente.

Infine, c’è l’ECONOMO responsabile del magazzino, che si occupa del trasporto delle merci nel luogo destinato al banchetto e controlla che tutti i beni escano e rientrino nell’azienda.

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IL CATERING NELLA RISTORAZIONE

A differenza della ristorazione tradizionale, il catering non svolge tutto il ciclo lavorativo nello stesso luogo. Ed offre servizi e pasti in luoghi diversi e lontani da quelli destinati alla preparazione dei cibi.

Una delle formule più diffuse prevede la produzione e la fornitura di pasti pronti. Il cibo, preparato nelle cucine del “caterer”, è trasportato e consegnato al cliente senza provvedere al servizio di distribuzione ai consumatori.

La forma completa di catering è quella che provvede, invece, all’intera organizzazione del servizio; essa può aver luogo preparando i cibi nelle cucine del caterer, trasportandoli sul luogo del servizio ed effettuando anche la distribuzione con il proprio staff.

Esiste poi il caso di “appalto del servizio di ristorazione”, in cui l’albergo o l’istituzione che necessita del servizio ristorante, possedendo spazi per sala e cucina già attrezzati, decide di affidare la produzione pasti ad una ditta esterna, per evitare i problemi connessi alla produzione dei pasti. Può decidere di appaltare l’intero settore, oppure solo i banchetti. Sono nate così imprese che, rilevano le gestioni della ristorazione alberghiera o delle varie forme di ristorazione collettiva.

L’organizzazione della produzione-distribuzione può avvalersi, di sistemi di fornitura pasti tramite lagame fresco-caldo o legame refrigerato.

Nel primo caso il cibo preparato è destinato al pronto consumo, entro due ore, i pasti sono confezionati in contenitori termici, trasportati in luoghi di consumo e distribuiti mantenendoli a temperature tali da garantire la massima sicurezza igienica.

Il legame refrigerato prevede invece che i cibi pronti vengano confezionati e raffreddati rapidamente a 10 gradi con gli abbattitori di temperatura; le preparazioni vengono poi conservate in frigorifero alla temperatura di 2 gradi fino ad un massimo di 3-5- giorni, al momento della distribuzione vengono rigenerati e serviti alle giuste temperature. Meno utilizzato è il sistema del legame surgelato, che presenta il vantaggio di un tempo di conservazione più lungo, a temperatura di abbattimento e conservazione di 18 gradi.

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Il trasporto degli alimenti deve avvenire con veicoli idonei e in contenitori destinati solo a questo scopo. Veicoli e contenitori devono essere resistenti agli urti, impermeabili, di facile pulizia.

I VARI TIP DI CATERING

La refezione scolastica: essa deve proporre ricetta bilanciate ed appropriate per tutelare la salute dei giovani consumatori. Per l’elaborazione dei menù ci si avvale della collaborazione di nutrizionisti e pediatri. Il menù è strutturato su due periodi, uno invernale ed uno estivo, con rotazione mensile in modo da introdurre un’ampia varietà di pietanze nel rispetto della stagionalità dei prodotti.

La ristorazione ospedaliera: essa deve tenere conto delle problematiche sanitarie e delle esigenze dietetiche dei degenti. Deve essere realizzata nel pieno rispetto delle norme igieniche per evitare contaminazione e circolazione di batteri ed infezioni. Il catering ferroviario: il vagone ristorante è sempre presente soprattutto sui treni che percorrono lunghe tratte ferroviarie. Sul vagone ristorante sono presenti attrezzature per la conservazione e il riscaldamento dei cibi, anche per il confezionamento dei piatti espressi; la riserva di acqua potabile deve provenire da acquedotti pubblici. Il catering navale: esso si limita alla fornitura di alimenti crudi o semilavorati che vengono poi trattati nelle cucine di bordo; sono previste anche la somministrazione e la produzione di pasti per il personale di bordo e per i passeggeri, ricorrendo agli chefs e camerieri dipendenti dell’azienda di catering nei locali concessi dall’armatore. Il catering aereo: sugli aerei i contratti di fornitura sono stipulati direttamente tra caterer e compagnie aeree, La società di catering si limita alla fornitura di pasti, il servizio ai passeggeri avviene ad opera del personale di bordo. Occorre considerare la durata del volo, e le attrezzature disponibili necessarie per il trattamento degli alimenti, lo spazio a disposizione per distribuire i pasti, la sistemazione del cibo nei vassoi.

LA FILIERA AGROALIMENTARE E IL KM “0”

Per garantire che al consumatore giungano prodotti di qualità gli alimenti devono passare attraverso diversi processi. I processi di trasformazione servono ad eliminare i microbi e a prevenire la loro moltiplicazione, per azzerare il rischio di intossicazioni ed infezioni. I processi di trasformazione industriale non sono in grado da soli di garantire la sicurezza dei prodotti alimentari, in quanto essa deve essere condivisa da tutti coloro che partecipano alla catena alimentare: dai produttori, ai trasportatori, ai venditori.

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Oggi gli standard qualitativi dei prodotti sono molto elevati, e anche i consumatori devono fare attenzione all’igiene alimentare e alla preparazione e conservazione degli alimenti. Il sistema agroalimentare è il complesso delle attività di produzione e distribuzione che contribuiscono alla creazione di prodotti agroalimentari, fino al consumatore finale.

Il termine “filiera” indica l’insieme dei soggetti e delle operazioni attraverso cui si realizza un prodotto agroalimentare e lo si rende disponibile per il consumatore. Indica cioè tutti i passaggi che il prodotto compie prima di arrivare sulla tavola del consumatore finale.

Per “prodotto agroalimentare” si intende un prodotto a destinazione alimentare ottenuto dalla lavorazione di una o più materie prime di origine agricola. Ogni passaggio di trasformazione ha un costo di intermediazione, conservazione e trasporto che fanno aumentare il valore del prodotto finale. Dopo la raccolta e la trasformazione i prodotti sono pronti per essere venduti attraverso i canali di distribuzione. Il percorso che il bene deve effettuare per passare dal magazzino del produttore al consumatore finale è classificato in tre tipologie. La prima prevede la presenza di uno o più intermediari, il cosiddetto canale lungo, la seconda prevede un solo intermediario, ed è la catena breve, la terza è il canale diretto in cui il consumatore è collegato direttamente al produttore senza alcun intermediario.

La filiera lunga è un sistema complesso, in cui gli intermediari sono molto distanti tra loro. Essa porta all’esclusione dei piccoli produttori, alla scomparsa delle risorse tradizionali e della varietà delle materie prime, all’aumento del prezzo, ma anche ad una corretta diffusione e vendita dei prodotti oltre che a un maggiore controllo dei processi igienici. Tuttavia , in caso di filiera lunga aumenta l’inquinamento e la difficoltà di tracciare completamente il percorso di tutte le merci. Quindi anche la sicurezza alimentare diventa più difficile da realizzare.

La filiera corta è più sostenibile perché comporta benefici di tipo ambientale riducendo l’inquinamento portato dai lunghi viaggi dei prodotti, valorizza i prodotti del territorio, esaltando le tradizioni e abbassa i prezzi poiché collega il consumatore e il produttore. Infatti essa si realizza con la vendita diretta, dove l’azienda crea uno spaccio all’interno per la vendita de propri prodotti, con l’e-commerce e con i farmer’s market, cioè i mercati dove i produttori vendono direttamente ai loro clienti. Tutte queste modalità realizzano il “chilometro 0”, e anche i ristoranti locali offrono i menù a km 0 , offrendo al cliente la possibilità di scegliere piatti realizzati con i prodotti del territorio.

Il “chilometro zero” è una forma di filiera corta che prevede che i prodotti vengano venduti nel luogo di produzione o in aree strettamente limitrofe, e porta vantaggi economici, ecologici e sociali. Questa forma di filiera presuppone che i consumatori cambino i loro stili di vita prestando maggiore attenzione alla stagionalità dei prodotti e alla loro provenienza.

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Nonostante la globalizzazione abbia dato la possibilità anche al settore agricolo di aumentare le proprie produzioni e ricercare innovazioni per crescere ed essere competitivi, in alcuni casi la qualità dei prodotti è andata persa, oltre alla perdita delle tradizioni riguardanti i prodotti agricoli. Le filiere corte e il “chilometro 0” sono quindi preferibili per favorire la rintracciabilità dei prodotti e la sostenibilità dal punto di vista ecologico.

LA SICUREZZA ALIMENTARE

La qualità e la sicurezza del cibo dipende dagli sforzi di tutte le persone coinvolte nella catena della produzione agricola, della lavorazione, del trasporto e della preparazione e del consumo. Sul piano europeo nel 2002 è stato creato l’EFSA ( european food safety autority-agenzia europea per la scurezza alimentare) che lavora in collaborazione con i vari stati membri, offrendo consulenze di tipo scientifico su tutti i problemi che influiscono sulla sicurezza alimentare. L’efsa supervisiona tutte le fasi di produzione e fornitura degli alimenti e dei rischi legati alla catena alimentare, compresi quelli che riguardano gli animali e le piante.

Il primo anello della catena riguarda le materie prime. Dall’azienda agricola o dal grossista i prodotti vengono trasportati alle industrie alimentari. Esse si affidano a moderni sistemi di controllo qualità per garantire la sicurezza dei prodotti fabbricati. I principali sono: GMP che prevede procedure e sistemi di lavorazione in grado di offrire qualità e sicurezza costanti, l’HACCP, che si concentra sui potenziali problemi e sul conseguente controllo degli stessi già in fase di progettazione, e l’ISO 9000, che garantisce che le industrie alimentari, le società di catering e le altre aziende collegate rispettino le procedure stabilite e documentate.

Al termine della lavorazione l’imballaggio garantisce che il prodotto alimentare arrivi al consumatore in condizioni ottimali, mantenendo l’integrità, la sicurezza e la qualità dei cibi durante il trasporto , nei magazzini dei grossisti, nei punti vendita al dettaglio fino alla casa del consumatore. Tutte le informazioni devono essere garantite dall’etichetta.

Il consumatore è l’anello finale della catena alimentare e deve verificare sempre sui cibi la scadenza, non deve acquistare cibi che non sono stati conservati adeguatamente, deve riporre subito in frigo i cibi che necessitano refrigerazione e verificare lo stato dei prodotti surgelati. Una volta scongelati non ricongelarli.

Evitare il contatto tra cibi crudi e cotti. Questa precauzione riduce il rischio di contaminazione crociata (passaggio di batteri da un cibo all’altro). Conservare carni, pollame e pesce crudi nella parte inferiore del frigorifero e i cibi cotti sui ripiani superiori. Non riporre in frigorifero cibi caldi perché causano un aumento della temperatura interna della cella. Conservare gli alimenti in frigorifero avvolti in un foglio di plastica o in contenitori dotati di coperchio. Scartare i cibi ammuffiti o che abbiano aspetto, gusto o odore sgradevole.

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Conservare gli alimenti in scatola in luogo pulito, fresco e asciutto.

Lavare sempre le mani con acqua calda e sapone prima di cucinare e dopo aver maneggiato il cibo. Coprire gli eventuali tagli o ferite con un cerotto impermeabile. Tenere pulite tutte le superfici della cucina lavandole con acqua calda, detergente e disinfettante, per evitare la contaminazione crociata. Lavare gli utensili e i taglieri utilizzati per preparare il cibo. Il coltello usato per tagliare alimenti crudi può trattenere dei batteri che possono essere trasferiti ad altri alimenti. Usare taglieri e utensili diversi per gli alimenti crudi e cotti. Lavare accuratamente la frutta e la verdura cruda prima del consumo e dell’ulteriore lavorazione. Scongelare i surgelati in frigorifero e cucinarli non appena scongelati.

I rischi per la sicurezza alimentare

La possibilità che il cibo venga contaminato da sostanze chimiche o microrganismi sussiste già al momento del raccolto e rimane fino al momento del consumo. In generale, i rischi per la sicurezza alimentare possono essere classificati in due vaste categorie:

Contaminazione microbiologica (per es. batteri, funghi, virus o parassiti). Questa categoria provoca, nella maggior parte dei casi, sintomi acuti.

Contaminanti chimici, tra cui sostanze chimiche presenti nell’ambiente, residui di farmaci di uso veterinario, metalli pesanti e altri residui involontariamente o incidentalmente introdotti nella catena alimentare durante la coltivazione, la lavorazione, il trasporto o l’imballaggio.

I PRODOTTI DOP CAMPANI

L’Italia, con 266 tra prodotti DOP, IGP e STG, è il Paese europeo che dispone del maggior numero di eccellenze agroalimentari con una certificazione geografica riconosciuta dall’Unione europea.

DOP: Denominazione di Origine Protetta, è il marchio di tutela giuridica della denominazione che l’Unione europea attribuisce agli alimenti con caratteristiche qualitative che dipendono essenzialmente o esclusivamente dal territorio in cui sono stati prodotti. L’ambiente geografico comprende sia fattori naturali (clima, caratteristiche ambientali), sia fattori umani (tecniche di produzione tramandate nel tempo, artigianalità, savoir-faire) che, combinati insieme, consentono di ottenere un prodotto inimitabile al di fuori di una determinata zona produttiva. Nel gruppo troviamo specialità alimentari come: salumi, formaggi, olio e alcuni ortofrutticoli. Affinché un prodotto sia DOP, le fasi di produzione, trasformazione ed elaborazione devono avvenire in un’area geografica delimitata. Chi fa prodotti DOP deve attenersi

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alle rigide regole produttive stabilite nel disciplinare di produzione, e il rispetto di tali regole è garantito da uno specifico organismo di controllo. I colori del marchio sono il giallo e il rosso.

La mozzarella di bufala campana è un formaggio a pasta filata ottenuto esclusivamente da latte di bufala. La cagliata, preparata scaldando il latte e addizionando caglio di vitello e fermenti lattici, matura sotto siero per circa 5 ore, al termine delle quali viene sottoposta all’operazione di filatura: la pasta, messa in grandi vasche e unita ad acqua bollente, viene prima filata, ossia ridotta in veli ripiegati più volte su se stessi, e poi “mozzata” in svariate forme, da quella globosa più tipica, ai vari nodi, trecce e bocconcini. Le mozzarelle vengono successivamente passate in acqua fredda, salate in salamoia e immerse nel liquido di governo, una soluzione di acqua e sale talvolta addizionata di acido lattico, con il quale sono commercializzate. La mozzarella di bufala ha colore bianco perlaceo e crosta pellicolare sottile ed elastica. Il suo profumo ricorda quello del latte e dei fermenti lattici, mentre il sapore è dolce, delicato e fresco, con consistenza piacevolmente spugnosa. Il termine “ mozzarella” deriva dall’espressione “mozzare”, ovvero tagliare, poiché, in fase di lavorazione, la pasta filata viene divisa per essere ulteriormente lavorata

Il “Provolone del Monaco DOP” è un formaggio semiduro a pasta filata, stagionato, prodotto nell’area della Penisola Sorrentina – Monti Lattari, esclusivamente con latte crudo. La specificità del “Provolone del Monaco DOP” è il risultato di un insieme di fattori tipici dell’area di produzione, in particolare delle caratteristiche organolettiche del latte prodotto da bovini allevati sul territorio, del processo di trasformazione che rispecchia ancora oggi le tradizioni artigiane e del particolare microclima che caratterizza gli ambienti di lavorazione e stagionatura. Attraverso il riconoscimento della DOP è ora possibile il recupero e la valorizzazione dell’intero sistema zootecnico della zona di produzione, fondato in particolare sull’allevamento del bovino TGA (tipo genetico autoctono) Agerolese. Originaria della provincia di Napoli, la razza Agerolese è diffusa oggi solo nei comuni di Agerola e Gragnano. Essa deriva da incroci di bovini di razza Frisona, Bruna e Jersey con la popolazione locale autoctona ed è considerata in pericolo di estinzione dalla FAO. Il colore del mantello può variare dal castano al nero con un’orlatura di peli chiari intorno al muso anch'esso scuro. La vacca Agerolese ha delle rese molto modeste, ma, di contro, produce un latte di altissima qualità, dovuto anche all’area geografica dei Monti Lattari e all’ambiente unico e incontaminato che vi si ritrova. Questo latte, in miscela, è utilizzato per produrre non solo il Provolone del Monaco ma anche l’ineguagliabile Fiordilatte ed altri formaggi a pasta filata di rinomata bontà tipici della zona.

L'olio extravergine di oliva DOP Colline Salernitane presenta, al consumo, un bel colore che va dal verde al giallo paglierino più o meno intenso; è limpido, a volte velato. All'olfatto mostra un deciso ed ampio sentore di fruttato di oliva pulita, con discrete note di foglia verde, di erba e di pomodoro acerbo. Al gusto rivela un sapore

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deciso e persistente, gradevolmente amaro e piccante, giustamente corposo, con buona ed equilibrata struttura e chiari sentori di carciofo, cardo e vegetali amari. Il retrogusto è pulito. L'acidità è sempre inferiore allo 0,70%. L'olio si ottiene dalla premitura di olive delle varietà autoctone della zona di produzione o di antica introduzione, da sole o congiuntamente: Rotondella, Frantoio, Carpellese o Nostrale per almeno il 65%; Ogliarola e Leccino in misura non superiore al 35 %, mentre è ammessa la presenza di altre varietà locali per un massimo del 20%.

La notevole presenza di note aromatiche fa prediligere l’uso di quest’olio su piatti di una certa consistenza, come minestre a base di legumi, gustose pastasciutte della tradizione campana e grigliate di pesce. Le tecniche di coltivazione degli oliveti sono quelle tradizionali dell’area delle Colline salernitane, che assicurano all’olio che ne deriva l’elevato e noto pregio qualitativo. In alcuni comprensori si sono affermate soluzioni tecniche ed organizzative molto innovative, come la raccolta e la potatura meccanica delle olive. Le olive destinate alla produzione dell’olio DOP “Colline Salernitane” devono essere raccolti esclusivamente a mano, entro il 31 Dicembre di ogni anno; è autorizzato l'ausilio di mezzi meccanici, come scuotitori e pettini vibranti. Le olive raccolte vanno conservate e trasportate in cassette forate dalla capacità massima di 25 Kg. e molite entro e non oltre il secondo giorno dalla raccolta. Per l'estrazione dell'olio sono ammessi soltanto processi meccanici e fisici che preservino il più fedelmente possibile le caratteristiche di qualità del frutto. La produzione massima di olive non deve superare i 120 quintali ad ettaro e la resa in olio non può superare il 20%.

Il caciocavallo silano.

Il Caciocavallo Silano DOP è un formaggio semiduro, a pasta filata, prodotto con latte di vacca di diverse razze, tra cui la Podolica, una tipica razza autoctona delle aree interne dell'appennino meridionale. La produzione del Caciocavallo Silano inizia con la coagulazione del latte fresco a una temperatura di 36-38°C, usando caglio di vitello o di capretto. La fase di maturazione consiste in un'energica fermentazione lattica, la cui durata varia in media dalle 4 alle 10 ore e può dirsi completata quando la pasta è nelle condizioni di essere filata. Segue un'operazione caratteristica, consistente nella formazione di una specie di cordone, che viene plasmato fino a raggiungere la forma definitiva. La forma, sferica, ovale o troncoconica, varia secondo le diverse aree geografiche di produzione. Il peso è compreso fra 1 e 2.5 kg. La crosta, sottile, liscia, di marcato colore paglierino in superficie, può manifestare la presenza di leggere insenature dovute ai legacci. La pasta si presenta omogenea o con lievissima occhiatura, di colore bianco o giallo paglierino. Il sapore è inizialmente dolce fino a divenire piccante a stagionatura avanzata. Il Caciocavallo Silano può essere consumato come formaggio da tavola o utilizzato come ingrediente per tantissime ricette tipiche dell'Italia meridionale. Grazie alle sue qualità nutritive, è particolarmente adatto alle diete dei bambini, degli anziani e degli sportivi.

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La produzione di questo formaggio è localizzata nelle aree interne delle regioni Calabria, Basilicata, Campania, Molise e Puglia. In Campania sono interessate, parzialmente, tutte le province.

IL CIPOLLOTTO NOCERINO

Il "Cipollotto Nocerino DOP" caratterizza i bulbi della specie Allium Cepa (cipolla) prodotti da oltre 2000 anni nell'agro pompeiano-nocerino. Gli ecotipi locali riferibili alla DOP sono: Nocera , Precoce la Regina, Precoce Meraviglia, Marzatica fredda, Marzatica calda, Nocerese, Bianca di Castellammare, San Michele, Giugnese. Le caratteristiche distintive, a livello tecnico-mercantile, del "Cipollotto Nocerino DOP" sono: un calibro alla raccolta di 2-4 cm (fa parte delle cipolle di medio-piccole dimensioni), bulbo tunicato di forma cilindrica, schiacciata ai poli, con leggero ingrossamento alla base delle foglie, colore delle tuniche interne ed esterne interamente bianco, polpa succulenta e di sapore dolce, foglie di color verde intenso, di forma lineare terminante a punta. Essendo una cipolla a raccolta primaverile (da marzo a giugno) è utilizzata soprattutto per il consumo fresco, non avendo un'elevata propensione alla conservazione. Il "Cipollotto Nocerino DOP" deve le sue caratteristiche di pregio che lo fanno distinguere da altri analoghi prodotti soprattutto alle particolari ed eccezionali condizioni geo-pedologiche ove esso viene coltivato. E' noto che i terreni dell'agro nocerino-sarnese e dell'area stabiese-pompeiana, per la loro origine vulcanica, sono sciolti, pianeggianti e di elevata fertilità ed essi conferiscono ai prodotti agricoli locali caratteristiche di elevato pregio. Proprio, le condizioni dell'ambiente climatico sono alla base dell'eccezionale valore qualitativo delle produzioni ortofrutticole dell'area. E il "Cipollotto Nocerino DOP" per le sue peculiari e spiccate specificità, è appunto la specie più coltivata nell'Agro. Per le sue caratteristiche qualitative ed organolettiche, legate soprattutto alla tenerezza del bulbo e alla dolcezza della polpa, che ne fanno un prodotto di elevata digeribilità, è particolarmente richiesto sui mercati nazionali ed internazionali. Ricercato dagli chef locali è gustato quasi sempre fresco accanto ad insalate verdi, pomodori ma è presente anche in primi piatti ed utilizzato per guarnire tanti altri manicaretti d'autore. Il "Cipollotto Nocerino DOP", oltre alla sua tipicità deve la sua fama sui mercati anche per le sue caratteristiche merceologiche di elevata qualità. Questo perché il prodotto finito, sin dal momento successivo alla raccolta, subisce una serie di lavorazioni che gli conferiscono quel valore aggiunto indispensabile oggi per competere sul mercato globale: pelatura del bulbo, lavaggio, selezione, taglio parziale del ciuffetto radicale e delle foglie, legatura a mazzetti, condizionamento. Il prodotto immesso al consumo è classificato di prima categoria mercantile.

IL FICO BIANCO DEL CILENTO

La Denominazione geografica protetta "Fico bianco del Cilento" è riferita al prodotto essiccato della cultivar "Dottato", pregiata varietà di fico diffusa in tutto il Mezzogiorno. In particolare, il prodotto tutelato è quello che si è andato

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selezionando e diffondendo nel Cilento nel corso dei secoli: il "Bianco del Cilento". Prodotto avente caratteristiche uniche e di assoluto pregio, apprezzate anche all'estero, il "Fico bianco del Cilento" DOP deve la sua denominazione al colore giallo chiaro uniforme della buccia dei frutti essiccati, che diventa marroncino per i frutti che abbiano subito un processo di cottura in forno. La polpa è di consistenza tipicamente pastosa, dal gusto molto dolce, di colore giallo ambrato, con acheni prevalentemente vuoti e ricettacolo interno quasi interamente pieno. Tali caratteristiche, considerate di eccellenza per la categoria commerciale dei fichi essiccati, sono appunto i tratti distintivi che qualificano il "Bianco del Cilento" DOP sui mercati. Confezionati al naturale in diverse forme (cilindriche, a corona, sferiche, a sacchetto) i fichi del Cilento sono commercializzati anche nella maniera antica, posti cioè alla rinfusa in cesti fatti di materiale di origine vegetale che possono arrivare anche a venti chili di peso. Una preparazione tradizionale ancora in uso è quella che vede i fichi "steccati", infilati cioè in due stecche di legno parallele per formare le "spatole" o "mustaccioli". Il "Fico Bianco del Cilento" DOP è posto in commercio anche farcito con mandorle, noci, nocciole, semi di finocchietto, bucce di agrumi (ingredienti provenienti dallo stesso territorio di produzione) o ricoperto di cioccolato, od anche immerso nel rum, con l'obiettivo di ampliare la gamma dell'offerta, soprattutto nel periodo natalizio. Sempre più ricercati sono anche i fichi essiccati e poi dorati al forno, soprattutto quelli farciti. Pregiati, ma sempre più rari per gli alti costi di preparazione, sono i fichi mondi, senza buccia, dal colore chiarissimo tendente al bianco puro e dal sapore prelibato. Le pregevoli caratteristiche del prodotto così come descritte sono dovute, oltre che alle qualità intrinseche della varietà Dottato, anche all'ambiente di coltivazione e di lavorazione dei frutti. Infatti, l'azione mitigatrice del mare e la barriera posta dalla catena degli Appennini alle fredde correnti invernali provenienti da nord-est, insieme alla buona fertilità del suolo e ad un ottimale regime pluviometrico rappresentano le ideali condizioni pedo-climatiche per la produzione dei fichi del Cilento. Inoltre, va posto giusto rilievo al fatto che, oltre alla coltivazione, anche le fasi di essiccazione e lavorazione del prodotto si svolgono per intero nell'area geografica di produzione, presso strutture agricole ed edifici rurali, in un armonico processo di interazione tra prodotto, uomo ed ambiente. La semplicità di coltivazione e la resistenza della pianta ad avversità fitopatologiche, poi, hanno permesso alla coltura di guadagnare anche il gradimento del coltivatore cilentano che ha collocato da sempre il fico nella propria azienda, in coltura specializzata o consociata. Non va dimenticata, inoltre, la funzione svolta da questa coltivazione nel mantenimento del paesaggio e dello spazio rurale, dal quale appare ormai quasi inscindibile.

OLIO E.V.O. DEL CILENTO

L'olio Cilento DOP si ottiene dalla premitura di olive delle varietà Pisciottana, Rotondella, Ogliarola, Frantoio, Salella e Leccino per almeno l' 85%; possono, inoltre, concorrere altre varietà locali presenti nell'area di produzione in misura non superiore al 15%. L'olio, al consumo, è di colore giallo paglierino con buona vivacità ed intensità; spesso limpido, a volte velato. All'esame olfattivo mostra un leggero

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sentore di fruttato, talvolta con note di mela e di foglia verde. Il gusto è tenue e delicato di oliva fresca, fondamentalmente dolce con appena percettibili note vivaci di amaro e piccante. E' discretamente fluido, con evidenti sentori di pinolo e retrogusto di nocciola e mandorla. L'acidità è sempre inferiore al valore di 0,70%. La notevole presenza di note aromatiche fa prediligere l'uso di quest'olio su piatti di una certa consistenza, tipici dell'area di origine, come grigliate di pesce, insalate selvatiche, verdure bollite, legumi e primi piatti in genere. L'olio "Cilento" DOP è il frutto dell'armonizzazione delle più moderne tecnologie di lavorazione con una tradizione millenaria. A livello agronomico, particolare cura è posta durante le fasi della raccolta, del trasporto e della conservazione delle olive. Per essere ammesse alla produzione di olio DOP le olive devono essere raccolte rigorosamente a mano; è autorizzato l'ausilio di mezzi agevolatori meccanici, come scuotitori e pettini vibranti; le reti sono ammesse esclusivamente per agevolare le operazioni di raccolta, che deve essere effettuata entro il 31 dicembre di ogni anno. La produzione massima di olive ad ettaro è di 110 quintali, mentre la resa in olio massima è del 22%. Le olive vanno molite entro 48 ore dalla raccolta.

OLIO E.V.O. IRPINIA COLLINE DELL’ UFITA

L'olio extravergine di oliva "Irpinia Colline dell'Ufita DOP" presenta senza dubbio caratteristiche organolettiche di grande pregio. E' di colore verde, se giovane, fino a giallo paglierino, di diversa intensità. All'olfatto si rivela fruttato, con piacevoli note erbacee e netti sentori di pomodoro acerbo, percepibili distintamente anche al gusto; all'assaggio è armonico, con intense, ma sempre piacevoli ed equilibrate sensazioni di amaro e piccante, in armonia con l'elevato contenuto in polifenoli. L'acidità, inoltre, non supera il valore di 0,50%, con punteggio al panel test non inferiore a 7. L'olio "Irpinia Colline dell'Ufita DOP" deve derivare per non meno del 60% dalla varietà Ravece (valore elevato all'85% per i nuovi impianti); per la restante parte possono concorrere altre varietà locali, quali l'Ogliarola, la Marinese, l'Olivella, la Ruveia, la Vigna della Corte. Estremamente ridotto (non più del 10 %) l'apporto ammesso di altre varietà non autoctone, quali il Leccino o il Frantoio. Le tecniche di coltivazione degli oliveti sono quelle tradizionali delle Colline dell'Ufita, che assicurano all'olio che ne deriva l'elevato e noto pregio qualitativo. La raccolta viene effettuata entro e non oltre il 31 dicembre di ogni anno e le olive vengono molite entro due giorni dalla raccolta. La resa al frantoio non può eccedere il 20%. L'olio "Irpinia Colline dell'Ufita DOP" è il risultato della perfetta armonia tra ambiente, varietà, capacità imprenditoriale e tradizione, che in Irpinia risultano essere antichissime. L'area di produzione della DOP coincide con quella di coltivazione delle varietà più pregiata dell'olivicoltura irpina e che è assurta a simbolo dell'olivicoltura di qualità: la Ravece. La Ravece è una cultivar di origine sconosciuta, ma almeno dal ‘500 diffusa quasi esclusivamente nel territorio ufita-arianese, componente privilegiata della dieta mediterranea che in quest'area si caratterizza sul trinomio vino pane e olio. La notevole presenza di note aromatiche e il suo gusto fruttato intenso fa prediligere l'uso di quest'olio su piatti di una certa consistenza, come minestre a base di legumi, gustose pastasciutte della tradizione irpina, zuppe, bruschette e grigliate di carne.

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Essendo un prodotto di gran pregio per la sua categoria, attraverso il riconoscimento della DOP potrà essere conosciuto ed apprezzato non solo a livello locale ma sui mercati nazionali ed internazionali.

OLIO E.V.O. PENISOLA SORRENTINA

L'olio extravergine di oliva DOP Penisola Sorrentina presenta, a prima vista, un bel colore giallo paglierino, più o meno intenso, con riflessi verdognoli; a volte è velato. All'esame olfattivo rivela notevole armonia aromatica, con un delicato sentore di fruttato di oliva e con fini e piacevoli note di erbe aromatiche (soprattutto rosmarino e menta). Il sapore è decisamente dolce con armoniose e lievi note di amaro e piccante. E' fluido, equilibrato e con piacevoli sfumature speziate. Ha retrogusto pulito, di mandorla verde e fresca. L'acidità non supera mai il valore di 0,80%. L'amaro ed il piccante, nelle giuste gradazioni, si amalgamano perfettamente garantendo all'olio il giusto equilibrio; gli odori mediterranei del rosmarino si esaltano nell'abbinamento con il pomodoro e i piatti che ad esso si richiamano. Ottimo sulle grigliate di pesce e di verdure. Originale e particolarmente gradevole il suo abbinamento con le insalate di limoni, ma soprattutto con il sorbetto e la delizia al limone, dolci tipici di Sorrento. L'olio "Penisola Sorrentina" DOP si ottiene dalla molitura delle olive Ogliarola o Minucciola (nota in letteratura anche come "Olivo da olio"), per non meno del 65%; Rotondella, Frantoio o Leccino, da sole o congiuntamente, in misura non superiore al 35%. E' ammessa anche la presenza di altre varietà per un massimo del 20% del totale. Le tecniche di coltivazione degli oliveti sono quelle tradizionali della Penisola sorrentina che assicurano all'olio che ne deriva l'elevato e noto pregio qualitativo. Negli oliveti, collocati su arditi terrazzamenti degradanti verso il mare, le olive sono raccolte rigorosamente a mano; è autorizzato solo l'ausilio di mezzi meccanici, come scuotitori e pettini vibranti, che agevolano la raccolta, che va effettuata entro il 31 dicembre di ogni anno. E' vietato l'uso di cascolanti. La raccolta deve essere effettuata entro e non oltre il 31 dicembre di ogni anno. Le olive vanno molite entro e non oltre il secondo giorno della raccolta. Per l'estrazione dell'olio sono ammessi soltanto processi meccanici e fisici che preservino il più fedelmente le caratteristiche di qualità del frutto. La produzione massima di olive ad ettaro è di 90 q.li, con una resa in olio del 20%

OLIO E.V.O. DELLE TERRE AURUNCHE

L'olio extra vergine di oliva "TERRE AURUNCHE", secondo il disciplinare di produzione, richiede l'impiego di olive provenienti per almeno il 70% dalla cultivar "Sessana". La Sessana è originaria della zona di produzione (il suo nome deriva dal nome della cittadina Sessa Aurunca, comune più esteso della zona di produzione), mentre le cultivar minori previste (Corniola, Itrana e Tonacella) sono originarie dei territori confinanti e rappresentano un altrettanto importante patrimonio della biodiversità locale.

L'olio extra vergine di oliva "Terre Aurunche" al momento dell'immissione al consumo presenta ottime caratteristiche fisiche, chimiche ed organolettiche, con acidità inferiore a 0,60 e un buon contenuto in polifenoli; gusto dai toni buoni di

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